Amedeo Osti Guerrazzi, Roberta Saccon, Beatriz Volpato Pinto, Dal Secchia al Paraíba. L’emigrazione modenese in Brasile, introduzione di Emilio Franzina, Verona, Cierre, 2002, pp. 303.
Gli emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina. Il caso modenese, Atti del convegno tenutosi a Modena e a Concordia sulla Secchia, 26-27 ottobre 2001, Modena, Grafica e Stampa Provincia di Modena, 2003, pp. 223.
I due lavori sull’emigrazione modenese ed emiliano-romagnola, parte di un articolato progetto che dovrebbe concludersi con la stampa dell’“Atlante dei modenesi nel mondo”, sono stati promossi e patrocinati dalla provincia e dal comune di Concordia e realizzati col concorso dell’Istituto storico della Resistenza di Modena.
Attenzione e finanziamenti delle amministrazioni locali si rivolgono ormai sistematicamente ad un campo di studi, la storia dell’emigrazione, che da gran tempo proprio nella scala regionale e “paesana” ha individuato, non solo in Italia, un livello di analisi fecondo sul piano euristico. Il connubio tra committenza e orientamento degli studiosi verso gli ambiti territoriali ristretti in questo caso ha funzionato e dato esiti scientifici soddisfacenti. Da un lato, infatti, l’esigenza di venire incontro alle richieste legittime di riconoscimento di una memoria delle vicissitudini migratorie che si vorrebbe finalmente collettiva è stata salvaguardata ma senza concessioni e trasfigurazioni in chiave identitaria di tale passato, a differenza di quanto avvenuto ad esempio in Veneto con certe riletture etniche della colonizzazione nel Rio Grande do Sul ispirate dalla regione. Dall’altro, sul versante della ricerca, si è puntato su scavi archivistici originali e sul dialogo con la storiografia più aggiornata, invece di limitarsi all’adattamento puro e semplice di schemi preconfezionati.
Il primo volume, che concerne le fasi iniziali dell’esodo contadino verso il Brasile imperiale, ricostruisce la vicenda di una colonia, Porto Real, fondata nel 1875 nelle vicinanze di Rio de Janeiro, dove approdarono contadini modenesi, reggiani e mantovani. L’interesse per la spedizione è nato innanzitutto dall’esistenza di una fonte perspicua, il diario di Enrico Secchi, protagonista con Adelina Malavasi del reclutamento e trasferimento di cinquanta famiglie di suoi compaesani, quasi tutti provenienti da Concordia e da Novi. Nell’introduzione Emilio Franzina (che già ne aveva curato l’edizione nel 1998) si intrattiene sulle circostanze del ritrovamento e spiega l’importanza delle memorie di Secchi, ripubblicate ora nel libro, che offrono una prospettiva interna su quello che si può considerare il più antico insediamento riuscito di italiani nel paese sudamericano. Le indagini compiute da Osti Guerrazzi e Pinto Volpato in Italia e da Saccon in Brasile sono servite a contrappuntare e completare la narrazione pur particolareggiata del diario, arricchendola gli uni con informazioni sulle condizioni economiche e sociali del contesto di partenza, desunte sia dagli archivi comunali e nazionali che dai giornali dell’epoca; l’altra con preziosi ragguagli sull’impianto e soprattutto sulla successiva evoluzione del nucleo coloniale, ricavati dai documenti brasiliani e lodevolmente integrati con interviste ai discendenti dei “pionieri” di Porto Real. Anche se, come ammette lo stesso Franzina, non si può parlare di un rivoluzionamento delle nostre conoscenze in tema di cause degli espatri dei contadini padani e sviluppi del loro stabilirsi nelle aree di colonizzazione agricola oltreoceano, il libro aggiunge utili elementi sulle peculiarità dell’arruolamento condotto della coppia Secchi-Malavasi e consente di seguire attraverso le generazioni la storia di un gruppo di peninsulari all’estero.
A inscrivere l’episodio nel quadro dell’emigrazione modenese ed emiliano-romagnola in Sud America provvedono gli atti del convegno sul tema che vide impegnati nel 2001 oltre venti specialisti italiani e brasiliani. L’infelice veste grafica e la poca o nessuna cura con cui la pubblicazione è stata allestita (coerentemente, viene da dire, né in copertina né all’interno è riportato il nome del curatore) non rendono ragione alla qualità e varietà dei contributi, ricchi di indicazioni che è auspicabile l’”Atlante dei modenesi” riprenda e approfondisca. È Franzina a mettere a fuoco nell’introduzione il nodo attorno al quale hanno ruotato le due giornate di studio, rappresentato dall’“equivoco” che ha portato a sottovalutare l’incidenza dei movimenti migratori nella regione (p. 11), di cui sappiamo ancora poco (Sanfilippo, p. 22). Ingenerato prima dalla sua prossimità con un nord dove i tassi delle partenze per decenni rimasero altissimi, poi dall’inizio dell’esodo meridionale, che ha oscurato quelli perduranti nel resto d’Italia, esso è smentito dai dati statistici e dai sondaggi sui casi provinciali. Nei suoi ottimi lavori, che qui riprendeva, il compianto Marco Porcella ha ad esempio mostrato che la zona appenninica emiliana condivise con le contigue della Liguria e della Toscana il ruolo di apripista dell’emigrazione nazionale ma anche la pianura concorse da subito − e non con i soli concordiesi (Saccon) − a rendere il fenomeno significativo nell’intera regione. Il rilievo dell’intreccio tra motivazioni politiche ed economiche negli espatri, quale emerge in diversi interventi (Martellini; Mantelli; Biondi) ed è posto in evidenza, in modo innovativo, anche per il secondo dopoguerra (Sigman), non è forse l’ultima delle ragioni che dovrebbero indurre a non trascurare l’emigrazione nell’analisi dello sviluppo regionale, visto che proprio attorno alle opzioni politiche si è costruito un pezzo importante dell’organizzazione economico sociale e della stessa identità dell’Emilia Romagna.
Sembra invece illusorio il pur nobile auspicio espresso dagli amministratori, persuasi che una maggior consapevolezza dei nostri trascorsi di emigranti faciliti i rapporti con gli immigrati di oggi: talvolta anche coloro che hanno lavorato all’estero pensano, infatti, di poter in toto contrapporre la loro esperienza di “italiani” (o anche di veneti, emiliani etc.), necessari quando non anche “civilizzatori” nei paesi ospiti, ai comportamenti e alle attitudini di chi non richiesto cerca opportunità e impiego da noi.