Chi ha letto Transnational Migration: International Perspectives curato da Peggy Levitt, John DeWind e Steven Vertovec (“International Migration Review”, 143, 2003), ha notato come il caso italiano, illustrato da Robert C. Smith, riposi, per esplicita dichiarazione dell’autore, sugli scritti di e sul confronto con Peter D’Agostino. Quest’ultimo è molto noto agli studiosi interessati all’assistenza cattolica agli emigranti italiani negli Stati Uniti e al suo contributo allo sviluppo di un’etnicità ancorata all’America, ma non dimentica del passato europeo. Su questo problema D’Agostino ha scritto alcuni saggi che illuminano anche importanti retroscena socio-politici, quali, per esempio, i rapporti tra consolati fascisti, religiosi immigrati e comunità di origine italiana. Possiamo ricordare a proposito del primo versante della ricerca: When Friars Become Missionaries: an Interpretive Review of Scholarship on Italian Servites in Chicago, “Studi Storici dell’Ordine dei Servi di Maria”, 56 (1993), pp. 93-109; Italian Ethnicity and Religious Priests in the American Church: The Servites, 1870-1940, “Catholic Historical Review”, LXXX, 4 (1994), pp. 714-740; The Scalabrini Fathers, the Italian Emigrant Church and Ethnic Nationalism in America, “Religion and American Culture “, 7, 1 (1997), pp. 121-159. Mentre il terzo è soprattutto sviluppato da The Triad of Roman Authority: Fascism, the Vatican, and Italian Religious Clergy in the Emigrant Church, “Journal of American Ethnic History”, 17, 3 (1998), pp. 3-37. In seguito D’Agostino è andato oltre queste prime importantissime tappe della sua carriera. Sul piano accademico si è trasferito dallo Stonehill College, dove ha iniziato a insegnare, al Dipartimento di storia della University of Illinois at Chicago. Su quello scientifico ha allargato lo spettro dei temi affrontati. Ha, per esempio discusso l’immagine dell’immigrato italiano, utilizzando una curiosa, ma assai proficua prospettiva: Cranium, Criminals and the “cursed Race”: Italian Anthropology in U.S. Racial Thought, “Comparative Studies of Society and History”, 44, 2 (2002), pp. 319-343. Ha quindi riaffrontato la questione del sostegno religioso agli emigrati italiani in un saggio che offre anche un bilancio dell’idea di missione nell’universo cattolico e una sintesi del problema del cattolicesimo post-tridentino nell’Italia meridionale: Orthodoxy or Decorum? Missionary Discourse, Religious Representations, and Historical Knowledge, “Church History”, 72, 3 (2003), pp. 699-735. Infine ha combinato i vari piani della sua ricerca nel recentissimo volume Rome in America: Transnational Catholic Ideology from the Risorgimento to Fascism (Chapel Hill, University of North Carolina Press, 2004), il cui manoscritto ha vinto nel 2003 l’Elizabeth D. Brewer Prize of the American Society of Church History. Poiché questo volume è appena uscito ed è quindi troppo presto per valutarne adeguatamente i meriti, abbiamo pensato d’intervistare l’autore, chiedendogli di presentare la sua opera.
1) Quali sono state le linee guida della tua ricerca?
In Rome in America dimostro come i conflitti ideologici tra il moderno liberalismo e il cattolicesimo che hanno infuriato nell’Ottocento, a partire dalla questione romana, abbiano influenzato l’elaborazione delle relazioni sociali negli Stati Uniti. In pratica dimostro come la questione romana abbia innervato il dibattito che ha portato i cattolici americani, a qualunque gruppo etnico appartenessero, a separarsi dai loro vicini protestanti ed ebrei. Infatti, mentre i cattolici americani sostenevano Pio IX contro i monarchici liberali e i repubblicani italiani, i protestanti e gli ebrei americani esaltavano il Risorgimento e la creazione del Regno d’Italia come il compimento di un sogno millenaristico diffusosi dal Nuovo al Vecchio Mondo.
Nel libro non mi limito tuttavia a quanto accaduto nel solo Ottocento. Seguo infatti come l’attacco dei cattolici statunitensi al liberalismo moderno, per loro simbolizzato dal regno d’Italia, si adatti all’evolversi delle relazioni tra quest’ultimo e il papa. Nei primi due decenni del Novecento i cattolici americani si sono adeguati alla condanna cattolica dell’Italia moderna promossa da Pio X e Benedetto XV. Quando invece lo stato fascista e il Vaticano hanno ufficialmente chiuso il conflitto con gli accordi del Laterano e la creazione della città del Vaticano, i cattolici americani hanno celebrato l’avvenimento e difeso le sue premesse illiberali di fronte agli attacchi aggressivi dei protestanti e degli ebrei, che già paventavano quello che i loro correligionari avrebbero potuto soffrire in Italia. In ogni passaggio del conflitto sviluppatosi in Italia tra il 1848 e il 1948, i cattolici, i protestanti, gli ebrei, i liberali e persino il governo americani sono stati così coinvolti nei dibattiti, nelle strategie e persino nelle conseguenze delle relazioni tra l’Italia e il papa.
Gli immigrati italiani in America sono stati particolarmente importanti per questo processo, che ha infine legato strettamente la chiesa americana al papato. Tra gli immigrati e i loro figli vi erano membri del clero di lingua italiana e rappresentanti del governo italiano negli Stati Uniti. Così, all’interno di questi ultimi, ha infuriato la battaglia tra la chiesa e lo stato italiani, entrambi desiderosi di monopolizzare le risorse della comunità emigrata. Oltre a descrivere questo conflitto della diaspora, evidenzio come non sia da considerarlo un episodio isolato dal resto della vicenda americana. La chiesa per gli immigrati italiani negli Stati Uniti ha avuto un enorme sostegno dalla chiesa cattolica statunitense e i consoli italiani hanno ricevuto l’aiuto dell’establishment protestante e liberale. Ho quindi cercato di non considerare le comunità d’immigrati italiani come isolate dalla società ospite, ma di mostrarle come pienamente inserite in quest’ultima. A tal proposito balza agli occhi quanto accade durante gli anni del fascismo. Dopo l’ascesa di Mussolini, i cattolici americani, in particolare quelli di origine irlandese che per decenni avevano protestato contro l’Italia, si schierano al fianco dei fascisti italiani e dei consolati fascisti in America. Ho di conseguenza dedicato metà del libro alla politica religiosa ed etnica del fascismo negli Stati Uniti, rivedendo nettamente quanto scritto da John Diggins molti decenni or sono.
2) In quali archivi hai lavorato e perché?
Ho portato avanti la mia ricerca sia a Roma, sia negli Stati Uniti. A Roma mi sono servito in primo luogo dell’Archivio Segreto Vaticano, in particolare dei fondi della Delegazione apostolica negli Stati Uniti e, ma in misura minore, di quelli della Segreteria di stato. Sempre sul fronte ecclesiastico, ho inoltre esplorato l’Archivio storico della Congregazione de Propaganda Fide. Sul fronte dello stato italiano, ho analizzato le serie dell’Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri concernenti la diplomazia vaticana in Europa e negli Stati Uniti e quelli relativi alle attività consolari o dell’ambasciata italiana a Washington, D.C. Con mia grande sorpresa ho scoperto che proprio questa documentazione contiene moltissime informazioni sulle attività religiose e sul ruolo della chiesa.
Negli Stati Uniti ho visitato numerosi archivi diocesani, in particolare quelli assai grandi di Brooklyn, Detroit, Boston, Providence, Chicago e Cleveland. Inoltre ho setacciato dozzine di giornali cattolici, ebrei e protestanti, che mi hanno permesso di mettere meglio in rilievo le dimensioni e l’intensità del conflitto sul suolo americano. In particolare la stampa cattolica negli Stati Uniti (in inglese, in tedesco e, per quanto in misura minore, pure in polacco) mostra con chiarezza come i conflitti ideologici sullo status della chiesa in Italia fossero importanti per tutti i gruppi etnici. In questa prospettiva sarebbe, tra l’altro, interessante esplorare ulteriormente l’eco internazionale della storia italiana.
3) Quali sono le conclusioni del tuo lavoro?
Ho sfruttato la mia ricerca in archivio per affrontare alcuni punti focali della storia contemporanea. In primo luogo attacco la versione cattolica dell’eccezionalismo americano e dimostro, in contrasto con le tendenze predominanti della storiografia statunitense, che la chiesa cattolica degli Stati Uniti era una provincia di un’amplissima istituzione internazionale e che le risorse del cattolicesimo americano sono state messe a disposizione delle pretese ideologiche del papato in lotta contro il liberalismo. Negli Stati Uniti i cattolici proclamavano e proclamano che il liberalismo europeo era maligno, massonico e demoniaco, ma al contempo asserivano e asseriscono che le premesse liberali della società americana erano e sono positive e perciò eccezionali. Io contesto questa pretesa dimostrando come il papato e i cattolici americani ignorassero le rilevanti differenze tra i repubblicani radicali e i conservatori liberati in Italia. Non prendessero cioè in considerazione i molti cattolici liberali della Destra italiana che volevano portare avanti qualche variante del sogno di riforma ecclesiastica elaborato da Manzoni o Rosmini e non volevano certo schiacciare il papato. Per i cattolici americani non vi erano differenze tra Garibaldi e Cavour, o tra Pisacane e Massimo d’Azeglio. Confondendo quelle due specie di liberalismo, i cattolici americani sminuivano qualsiasi forma di liberalismo europeo e italiano e ritraevan l’Italia moderna come uno stato anticlericale impegnato soprattutto nell’attaccare Dio. Allo stesso tempo, i cattolici americani insistevano che il “vero” liberalismo – quello rappresentato dalla costituzione statunitense che garantiva la libertà di religione ai cattolici americani – dipendeva da una tradizione totalmente differente.
A tal proposito ritengo che l’attuale pretesa di un peculiare “cattolicesimo americano”, nato da un liberalismo americano a sua volta assolutamente unico, è il frutto delle asserzioni di quei cattolici liberali americani che, a partire dal Concilio Vaticano II, stanno cercando di sviluppare autonome posizioni, ma che dovrebbero studiare con maggior cura le tradizioni liberali europee. Nel mio libro ho focalizzato l’attenzione sul papato per dimostrare quanto fosse importante la sua presa su tutta la chiesa americana, nonostante il pluralismo etnico e regionale si quest’ultima. Utilizzando estesamente gli archivi della Santa Sede spero che altri possano proseguire questa ricerca e scavare ancor più in profondità le radici sociali, culturali e diplomatiche della storia americana.
Spero infine di aver contribuito alla discussione teoretica su come scrivere una storia transnazionale grazie al mio uso delle teorie sull’ideologia e delle loro relazioni con i rituali pubblici. Il mio libro esamina infatti dibattiti pubblici, ma analizza anche i rituali negli spazi pubblici come modi per realizzare le premesse ideologiche e per riprodurre le ideologie attraverso più generazioni e spazi geografici lontani fra loro.