Stéfanie Prezioso, Itinerario di un «figlio del 1914». Fernando Schiavetti dalla trincea all’antifascismo, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004, XII-390 pp.

Questi sentimenti sono esacerbati dalla paura del ritorno alla vita civile, dal senso di declassamento, dalle difficoltà concrete e spingono ad avvicinarsi a Mussolini all’inizio del 1919: Schiavetti fonda un fascio in giugno, ma non nasconde anche la sua reticenza nelle riunioni e nelle adunate. D’altronde è totalmente estraneo alla politica imperialista, specie verso la Dalmazia, di Mussolini. Per lui la tentazione fascista dura dunque poco, come per molti futuri quadri antifascisti, e lo ritroviamo presto segretario del PRI, dove rappresenta la giovinezza, la linea intransigente, l’occasione di rilancio e l’antifascismo. Ne derivano gli attacchi di Colajanni, dei militanti romagnoli molto ostili al PSI, infine di quelli che l’hanno promosso e ora dubitano di alleanze che sembrano anticipare l’assorbimento in una organizzazione di massa. Pur se allontanato dalla segreteria, lo si ritrova in seguito alla testa del giornale di partito, La Voce repubblicana. Non rinnega il suo fascismo del 1919, ma denunzia la deriva di Mussolini, la paragona al bolscevismo e si unisce entusiasta all’Aventino, visto come un modo di portare il popolo alla democrazia e di legarsi a tutte le tendenze antifasciste, pronto a diminuire le intemperanze rivoluzionarie prima di dover prendere la via dell’esilio nel 1926.
L’esilio avrebbe potuto essere studiato con la stessa minuzia, alla luce di questa formazione e sottolineando gli elementi di continuità e di rottura. Avremmo così avuto un altro progetto e un altro libro di queste dimensioni. Ci si sarebbe allora potuti fermare alla pagina 308, cioè alla partenza dall’Italia, guadagnandoci perché quanto segue è troppo sintetico per non deludere, senza considerare l’approssimazione nella quale l’autrice cade per l’impossibilità d’immergersi nei numerosi fondi archivistici della polizia italiana e contemporaneamente per la tendenza a citare fonti polemiche. Tanto peggio: l’apporto di grande qualità di questo saggio è contenuto nelle prime trecento pagine e forse permetterà un giorno di avviare un nuovo lavoro in grado di illuminare l’esilio a Marsiglia e poi a Zurigo e di contestualizzarlo nella continuità degli anni di formazione così brillantemente esaminati.