Le origini del Corriere di Tunisi e la ridefinizione della collettività italiana: una necessità st

1. La memoria storica degli italiani in Tunisia attraverso i loro periodici
Dopo tredici anni di silenzio, la fondazione del “Corriere di Tunisi”, nel 1956, diede continuità alla lunga tradizione del giornalismo italiano in terra africana. La stampa in lingua italiana, infatti, è stata “l’iniziatrice della stampa periodica in Tunisia”2, a partire dall’edizione del “Giornale di Tunis e Cartagine” nel 1838. Questo giornale ebbe, in effetti, brevissima vita poiché il Bey Ahmed ne sospese la pubblicazione immediatamente dopo l’uscita del primo numero. Egli temeva che potesse divenire uno strumento di divulgazione di idee sovversive. Nonostante ciò, negli anni, videro la luce numerosi periodici italiani di differente orientamento ideologico. I primi fogli di natura risorgimentale e mazziniana furono a poco a poco sostituiti da pubblicazioni di orientamento moderato e filomonarchico. In seguito all’instaurazione del Protettorato francese con i trattati del Bardo3 e de La Marsa4, rispettivamente nel 1881 e nel 1883, la stampa italiana si fece promotrice di un’intensa campagna per la difesa degli interessi dei connazionali, minacciati dalle pretese egemoniche ed assimilatrici del governo di Parigi. Protagonista indiscusso di tale campagna fu “L’Unione”, espressione della borghesia liberale ed in particolare dell’élite di origine livornese5, fondato nel 1886 ed attivo, con alterne vicende, fino alla seconda guerra mondiale. In Tunisia, vi fu anche una fiorente produzione di giornali di orientamento anarchico e socialista, vicini alle istanze delle classi lavoratrici, delle quali si ponevano come l’unica, autentica voce.
Possiamo affermare che la stampa rappresenta “una fonte preziosa e importante”6, in quanto registra “il pulsare quotidiano”7 della storia della collettività italiana nel paese nordafricano. Una storia antica, che si costruisce lungo traiettorie e percorsi di natura commerciale e culturale, determinati, come è chiaro, dalla vicinanza geografica tra queste due sponde del Mediterraneo. Questa la ragione per la quale la comprensione delle origini e dell’evoluzione storica del “Corriere di Tunisi”, attualmente l’unica testata in lingua italiana del Nord Africa, è inscindibile dalle vicende che hanno tracciato la formazione della collettività italiana in Tunisia.
La stampa periodica ne registra e ne accompagna il percorso sociale, politico e culturale, “sullo sfondo dei fatti locali, anzi ne coglie gli intimi rapporti illuminando così la storia del paese di accoglimento e quella del paese protettore”8.
E’ in tale storia, ed in particolare in quella di una delle componenti più importanti, la comunità di ebrei livornesi, che si intravedono le ragioni storiche della fondazione del giornale. Quest’ultimo “ha la funzione di riflettere l’autocoscienza culturale, l’identità sociopolitica della collettività, le sue aspirazioni e i suoi interessi”9. Tra i fondatori del “Corriere di Tunisi”, infatti, troviamo alcuni degli esponenti di spicco di una ristretta élite intellettuale, di origine israelita, giunta da Livorno in Tunisia nel XVII secolo. Questa comunità ha fortemente influenzato l’evoluzione storica, economica e culturale degli italiani nel paese nordafricano.
2. Tracce significative della presenza italiana in Tunisia
Gli scambi da e verso l’altra sponda del Mediterraneo vennero regolamentati fin dal XIII secolo in base a trattati commerciali tra la Tunisia e le repubbliche marinare di Venezia, Pisa e Genova. Le relazioni diplomatiche, i trattati di pace e commercio stabilivano che i mercanti cristiani potessero fermarsi nei porti tunisini, vendere ed acquistare le merci, curare i propri affari. Da allora piccoli ed attivi nuclei di mercanti si costituirono a Tunisi, Sfax e Gabès. Nel XV secolo una comunità di pescatori genovesi si stabilì nell’isola di Tabarka per esercitarvi la pesca del corallo.
Nel corso del XVII secolo si verificò l’immigrazione di una numerosa comunità di ebrei dalla città di Livorno. Essi ebbero un importante ruolo nell’economia di Tunisi e della Tunisia. Infatti, gli ebrei livornesi detenevano il monopolio del commercio del cuoio e prestavano agli schiavi cristiani il denaro necessario al loro riscatto, traendo profitto da tali operazioni. Questi ultimi, insieme ai tabarchini, costituirono il primo nucleo di una importante e numerosa collettività italiana.
E’ però solo nel XVIII secolo che le comunità europee assunsero una struttura più complessa ed una loro propria organizzazione. Il numero di europei aumentò anche per l’intensificazione della corsa e quindi per la presenza di numerosi schiavi che, con l’abolizione della schiavitù, si insediarono in modo stabile in Tunisia.
Solo con il Congresso di Vienna (1815) ed il Congresso di Aix-la-Chapelle (1818) la reggenza di Tunisi fu costretta a rinunciare definitivamente alla pratica della corsa. Da allora si costituirono colonie di insediamento “nazionali”, si offrì ospitalità agli esuli politici risorgimentali, si accolsero i ciclici flussi migratori diretti verso stagionali lavori nell’agricoltura, nei servizi, nell’edilizia, si attrasse una emigrazione più qualificata di professionisti.
Un’importante ondata migratoria di natura politica, inoltre, cominciò a partire dal 1820. Numerosi esuli e protagonisti delle vicende risorgimentali trovarono rifugio a Tunisi dove gli italiani avevano già occupato posizioni di spicco nel contesto sociale del paese. Molti erano, infatti, i connazionali impiegati come segretari, medici o avvocati presso gli alti dignitari tunisini. Dopo il 1850, inoltre, Tunisi divenne un importante centro di cospirazione mazziniana.
In virtù di rinnovati accordi con la corte del Bey, fu più facile l’insediamento di maestranze meridionali che, cercando di sfuggire alla miseria e all’immobilismo delle loro comunità di origine, speravano di poter trovare all’estero nuove opportunità di vita e di lavoro.
Alla fine dell’800, la colonia italiana in Tunisia rifletteva in piccolo la stratificazione della società italiana: in posizione preminente vi era una borghesia, numericamente esigua, ma solida, composta da liberi professionisti, grossi commercianti, imprenditori. Il nerbo della comunità, tuttavia, era rappresentato da vecchie famiglie di notabili, che si erano trasferite in Tunisia da alcune generazioni: medici, avvocati, commercianti, mediatori d’affari, educati al culto del Risorgimento, fedeli alla tradizione liberale. Accanto a questa prosperava la piccola borghesia: proprietari di imprese o di commerci che facevano affari sull’onda della momentanea espansione economica, dovuta agli investimenti francesi nelle infrastrutture, o che rifornivano la colonia italiana di prodotti nazionali come olio, pasta, vino. Erano gli operai del Sud, tuttavia, a costituire la parte numericamente più consistente della colonia.
L’instaurazione del Protettorato francese sulla Tunisia, negli ultimi decenni dell’Ottocento, non arrestò il flusso migratorio proveniente dalla Penisola. A nulla valsero anche i tentativi di assimilazione posti in essere dalla Francia. Solo nel 1896 le rivendicazioni italiane sulla Tunisia trovarono parziale soddisfazione. Il riconoscimento da parte dell’Italia del Protettorato francese impegnava, infatti, la Francia a tutelare gli interessi italiani nella Reggenza. Esemplare la clausola che garantiva la protezione della cittadinanza italiana, ad eccezione delle naturalizzazioni individuali.
La question italienne rimase, tuttavia, sospesa durante il periodo del Protettorato. L’ingente numero di connazionali presente in Tunisia e la notevole organizzazione della collettività preoccupavano le autorità francesi, timorose di perdere la loro posizione egemonica.
Agli inizi del ‘900 la comunità italiana contava circa centomila persone. Si calcola che alla vigilia della prima guerra mondiale ai “cinquantamila francesi si contrapponevano centodiecimila italiani”10.
3. L’élite livornese ed il fascismo
Il timore del péril italien continuò a caratterizzare la politica francese in Tunisia nel primo dopoguerra, mentre iniziava a svilupparsi un diffuso movimento nazionalista tunisino che chiedeva l’emancipazione del paese ed il diritto alla sua autodeterminazione politica. I contrasti tra i due maggiori gruppi etnici europei, francesi ed italiani, indebolirono ulteriormente la leadership francese, inesorabilmente in declino.
La volontà da parte del governo di Parigi di colpire la comunità italiana ed i tentativi di assimilazione forzata, ne rinsaldavano il sentimento nazionalista e producevano in essa una profonda avversione verso la Francia. Così, numerosi italiani, furono attratti dalla propaganda del fascismo che proclamava la grandezza italiana ed una nuova vocazione egemonica e colonialista del paese. Molti emigrati videro nel fascismo la possibilità di una vendetta contro i francesi. Un governo forte avrebbe difeso con maggior vigore i loro interessi più di quanto avesse fatto negli anni precedenti il debole e screditato stato liberale italiano. Il fascismo, cui era chiaro il ruolo strategico dei nostri connazionali all’estero, fece in modo di affermarsi saldamente in terra di Tunisia. Fin tanto che, a partire dagli anni trenta, la dittatura di Mussolini non iniziò a mostrare i suoi tratti più autoritari e liberticidi, le élites dirigenti, prevalentemente costituite dai ebrei livornesi, videro nel fascismo un prezioso sostegno per conservare le loro proprie posizioni. Le minacce provenivano da una parte dalle autorità francesi, dall’altra dalla diffusione, all’interno della loro stessa comunità, di idee di stampo socialista e comunista, propagandate da alcuni esuli che avevano realizzato centri culturali e che pubblicavano numerosi giornali11. La politica di fascistizzazione delle istituzioni fu realizzata dal console Bombieri, che attuò numerose iniziative al fine di attrarre i nostri connazionali, esasperando “il tradizionale sentimento di italianità, caricandolo dei nuovi valori fascisti imperniati nella grandezza della patria e nella fondazione dell’impero”12. Furono attivati in numerose città centri dell’Opera Nazionale del Dopolavoro, istituzioni finalizzate all’indottrinamento delle masse. L’intento del regime era quello di allontanare gli italiani dalle associazioni di categoria e dai sindacati, in modo che non entrassero in contatto con idee democratiche o socialiste. Questa politica contribuì ad isolare la colonia dal contesto culturale e sociale tunisino. Gli italiani, venivano considerati dunque, dai nascenti movimenti nazionalisti arabi, dei colonizzatori e non parte integrante della multiforme nazione nordafricana. Questo fatto ebbe importanti conseguenze nel secondo dopoguerra.
È interessante approfondire in questo contesto l’orientamento tenuto dagli ebrei livornesi. Essi avevano rivestito, nei quasi tre secoli di presenza in terra d’Africa, un duplice ruolo. Infatti, erano al contempo italiani ed ebrei, due identità convergenti, sovrapposte, sedimentate. In quanto esponenti della borghesia commerciale livornese ed in virtù della loro capacità nella gestione dei traffici commerciali tra le due sponde del Mediterraneo, avevano conseguito un ruolo di primo piano all’interno della comunità italiana. Per questo era usuale dire “la Tunisia appartiene ai livornesi”. Al contempo, a motivo della loro origine israelita, essi costituivano un gruppo a sè rispetto al resto degli immigrati italiani. E’ bene, però, affermare che non tutti gli ebrei di discendenza livornese presenti nel paese erano cittadini italiani. I livornesi, infatti, non costituivano un gruppo sociale omogeneo. Vi era una compagine di antica immigrazione, quelli che si erano trasferiti in Tunisia nel XVII secolo.
Essi costituirono un gruppo differenziato rispetto agli altri tunisini di origine ebraica. In seguito allo scisma del 1741, infatti, che li separò dalla multiforme comunità ebraica tunisina, nella quale per altro fin dal loro arrivo si erano relazionati con diffidenza, essi avevano creato delle strutture comunitarie autonome: scuole, luoghi di culto, centri di preghiera, perfino tribunali rabbinici, essendo, al pari degli altri israeliti presenti nella Reggenza, soggetti alla giurisdizione del Bey. Come statuì espressamente il decreto del 10 luglio 1822 tra la Tunisia ed il Granducato di Toscana, i grana13 residenti da tempo nel paese erano considerati, senza eccezioni, soggetti al diritto comune e sudditi del Bey. Tale decreto avrebbe dovuto applicarsi anche ai livornesi che avessero deciso di immigrare nel paese nel periodo successivo. Tuttavia, quest’ultima clausola fu abrogata nel 1846, in seguito ad un nuovo accordo con il Bey Ahmed. Tale trattato faceva distinzione tra i livornesi immigrati da tempo e quelli giunti di recente. I primi sarebbero stati sottoposti alla giurisdizione tunisina e non a quella toscana. Al contrario, gli ebrei livornesi che si erano trasferiti in Tunisia dopo il 1822 o quelli che sarebbero immigrati nel futuro, rimanevano a tutti gli effetti sotto la giurisdizione del Granducato e dunque erano sottoposti al diritto consolare. In tal modo, gli ebrei livornesi giunti in Tunisia di recente o quelli che avessero deciso di trasferirsi nel futuro, avrebbero potuto conservare la cittadinanza toscana. Tale disposizione incoraggiò un nuovo flusso migratorio di israeliti livornesi, i quali costituirono a differenza di quelli immigrati nel XVII secolo, una minoranza straniera posta sotto la diretta protezione del console di Toscana e poi di quello d’Italia. Al contrario, la maggioranza egli ebrei presente nel paese continuò ad essere soggetta alla legislazione comune. In realtà, nella prima metà dell’Ottocento, giunsero nel paese nordafricano non solo ebrei toscani, ma anche israeliti di altre regioni, che prima del conseguimento dell’unità nazionale potevano beneficiare dei vantaggi garantiti ai sudditi del Granducato e mantenere la loro cittadinanza senza limiti temporali. I nuovi livornesi non si fusero con i livornesi di antica immigrazione, considerati cittadini tunisini, ritenendosi veri italiani. Tra loro erano facilmente distinguibili per i cognomi. Infatti, i secondi erano “per la maggior parte ebrei di origine iberica e avevano nomi spagnoli o portoghesi”14, come Calvo, Errera, Lara, Moreno, Nunez, Cardoso, Luisada, Silvera, Lumbroso, Paz, Carvalho. Gli altri erano un gruppo eterogeneo proveniente dalle differenti regioni d’Italia e di conseguenza avevano nomi italiani, quali: Castelnuovo, Cesana, Finzi, Montefiore, Modiglioni, Sinigallia, Volterra, Arditti, Forti, Astrologo, Spizzichino, Funaro15. Molti di loro erano esuli politici che avevano combattuto per l’unità del paese contro l’Impero Asburgico e per questo si consideravano portatori dei valori propri dell’italianità. A differenza dei primi livornesi che si erano stabiliti nella Hara16, essi alloggiavano in quartieri liberi, molte volte insieme agli altri europei di fede cristiana. Da questi ultimi, li distingueva solo, e non in tutti i casi, la professione religiosa. Erano, tuttavia, numerosi i livornesi di recente immigrazione che praticavano la religione ebraica, come dimostra l’edificazione di una loro propria sinagoga.
Dal punto di vista culturale si sentivano, però, profondamente italiani e contribuirono a diffondere anche tra gli altri israeliti la nostra lingua e le nostre tradizioni.
La minoranza livornese conservò dunque un’identità duplice che le consentì di poter dialogare sia con le autorità tunisine sia con quelle italiane, ponendosi come ponte tra diverse realtà. Con l’instaurazione del Protettorato essi si trovarono in una posizione oltremodo ambigua. Infatti, in quanto esponenti autorevoli della comunità italiana, i livornesi osteggiarono la politica assimilazionista francese. Tuttavia, questo li pose in contrasto con il resto della comunità ebraica, la quale considerò positivamente l’instaurazione del Protettorato, poiché la situazione economica e giuridica della comunità stessa ebbe notevoli miglioramenti. La Francia aveva sempre praticato una politica di emancipazione verso le minoranze di origine israelita, anche se in Tunisia procedette con cautela. Solo dopo numerose rimostranze da parte degli ebrei, questi poterono ottenere la cittadinanza francese, tanto che al 1939 quasi settemila israeliti erano cittadini francesi. Furono inoltre modernizzate le strutture amministrative della collettività. Infatti, con un decreto del 1921, la comunità di origine ebraica ebbe un consiglio d’amministrazione, eletto a suffragio universale, nel quale era garantita una rappresentanza proporzionale alla componente “livornese” ed a quella “tunisina”.
A causa dei vantaggi di status elargiti durante il Protettorato, la maggior parte degli ebrei sostenne la politica francese e cercò di integrarsi nella cultura del paese dominante. Al contrario, gli israeliti livornesi, di nazionalità italiana, accentuarono la loro italianità. Essi costituivano un gruppo numeroso, circa tremila persone. Questo era formato da alcuni ebrei di antica immigrazione che erano riusciti a divenire italiani recandosi per un tempo più o meno lungo nel Granducato di Toscana, prima dell’unificazione, anche se la maggioranza era costituita dai “nuovi livornesi”, o meglio da quegli ebrei di differenti regioni che erano giunti in Tunisia nell’Ottocento. Essi erano profondamente occidentalizzati. I loro figli “portavano nomi italiani, studiavano nelle scuole italiane della Reggenza. Al termine degli studi secondari, si recavano a studiare diritto, medicina o farmacia nelle università italiane, per poi tornare ad esercitare la loro professione nel paese, poiché le loro famiglie di antica immigrazione godevano di grande prestigio e costituivano l’elite della comunità italiana”17.
Questo il motivo per il quale molti di essi di orientarono verso l’ideologia del fascismo, che difendeva gli interessi dei connazionali e la grandezza dell’impero. Numerosi ebrei italiani accolsero con entusiasmo il nuovo regime, che si proponeva di restituire al paese la grandezza perduta e di dare riparazione all’orgoglio ferito dopo l’oltraggio della vittoria mutilata. “La fedeltà della quale diedero prova verso lo stato fascista consentì loro di ottenere la fiducia delle autorità consolari, e molti ebrei italiani ottennero cariche importanti all’interno delle istituzioni della colonia italiana”18. Negli anni ’30, molti italiani di origine israelita erano nei consigli di amministrazione della Banca Italiana di Credito, del giornale “L’Unione”, dell’Ospedale Garibaldi e della Società Dante Alighieri. Fu solo in seguito alla firma del Patto Laval Mussolini nel 1935, con il quale “l’Italia fascista abbandonava ogni pretesa sulla Tunisia in cambio di parziali compensazioni territoriali e del tacito consenso per la sua espansione coloniale in Etiopia”19, che l’élite della nostra collettività iniziò a prendere le distanze dal regime. Infatti, fu in questo periodo che il movimento antifascista in Tunisia, guidato da un ristretto gruppo di esuli e fuoriusciti di varia estrazione politica, per la maggior parte membri della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, ebbe nuovo slancio. Dal 1936 fu pubblicato il periodico antifascista “L’Italiano di Tunisi”, organo della LIDU, diretto da Loris Gallico, che offriva un’informazione attenta e capillare sia sui principali eventi internazionali sia su quelli locali. Il giornale cercava di coinvolgere tutte le forze democratiche, e di creare un legame con i movimenti nazionalisti tunisini, in particolare con il destour20 e il locale Partito Comunista. Infatti, un’intera pagina fu dedicata alle lotte sindacali nel paese.
La situazione, tuttavia, nel 1938, si complicò ulteriormente con l’adozione dell’Italia delle leggi razziali e di una politica di discriminazione verso le componenti ebraiche. Gli ebrei italiani si trovarono costretti a mutare il proprio orientamento, in quanto tali leggi furono applicate anche verso gli israeliti emigrati all’estero. Essi furono esclusi dalla pubblica amministrazione, dall’insegnamento, furono confiscate le fabbriche e le proprietà agricole oltre i cinquanta ettari. Infine, fu istituito il divieto di contrarre matrimonio con il resto della popolazione italiana.
Gli ebrei italiani vissero con sgomento l’approvazione delle leggi razziali. Queste rappresentavano un tradimento da parte di una patria che avevano sempre difeso con energia e vigore. Così, alcuni chiesero e ottennero la cittadinanza francese per proteggersi da tali discriminazioni. Altri scelsero di restare italiani e di combattere per una nuova democrazia. Infatti, una parte dell’élite ebraica finanziò la realizzazione di un quotidiano d’informazione antifascista. Tale periodico, “Il Giornale” fu redatto da numerosi giornalisti che avevano collaborato con “L’Italiano di Tunisi” e alcuni esponenti comunisti, giunti nel paese21.
4. Da privilegiati a nemici della Francia: la condizione degli ebrei italiani tra la Seconda Guerra Mondiale e la fine del Protettorato
La dichiarazione della seconda guerra mondiale e l’ingresso dell’Italia, a fianco della Germania nazista contro le forze franco britanniche, il 10 giugno 1940, fece precipitare la situazione nel paese. Tutti gli italiani furono ridotti al rango di nemici agli occhi della Reggenza.
Tuttavia, il 25 giugno del 1940, in seguito all’occupazione della Francia da parte delle armate naziste, il governo di Parigi fu costretto alla resa obbligata.
In tal modo, fu instaurato un governo filo tedesco, la repubblica di Vichy, mentre gruppi di partigiani, guidati da De Gaulle continuarono la guerra contro le forze dell’Asse. La Tunisia, fu sottoposta alla giurisdizione legale del governo di Vichy. Di fondamentale importanza per la storia della nostra comunità fu l’estensione delle leggi razziali sul territorio tunisino. Infatti, alla fine del 1940, dei decreti beylicali applicarono alla Tunisia tutte le disposizioni proprie dello Statut des Juifs, affermando la discriminazione legale dei cittadini di origine ebraica. Questi, a prescindere dalla loro nazionalità, furono esclusi dalle funzioni pubbliche, fu loro interdetto l’esercizio di certe professioni, mentre le loro imprese furono confiscate e poste sotto amministrazioni provvisorie. Il governo italiano considerò con particolare apprensione tali disposizioni, in quanto, colpendo anche gli ebrei italiani, riducevano drasticamente il potere della parte più dinamica della nostra colonia. Le leggi razziali divenivano l’occasione e lo strumento per mezzo del quale la Francia riusciva finalmente ad eliminare il péril italien.
Le autorità fasciste conoscevano il patriottismo del quale gli ebrei italiani avevano dato prova in passato. Alcuni di loro avevano aderito al regime, prendendone le distanze solo in seguito all’adozione delle leggi razziali. Per questo, il governo italiano ritenne possibile riallacciare i rapporti con i membri della comunità ebraica. Questi ultimi godevano di una certa autorità all’interno della colonia italiana che andava ben oltre la loro proporzione numerica. Essi costituivano la classe dirigente della comunità, le loro proprietà erano oltre il cinquanta per cento dei beni degli italiani di Tunisia. Così, “il sostegno di questa sia pur piccola comunità poteva essere di reale aiuto agli interessi economici e politici italiani, a parte il fatto, di per sé notevole, che, dal punto di vista numerico, questi ebrei costituivano un elemento di equilibrio tra le due maggiori colonie europee”22. In tal modo, il governo italiano intervenne presso le autorità francesi affinché le leggi razziali fossero applicate in Tunisia con flessibilità. Tale orientamento indirettamente contribuì a tutelare anche gli altri ebrei poiché, a motivo dell’intervento italiano, le disposizioni più vessatorie non furono applicate nel paese. Per questo, possiamo sostenere che “fino allo sbarco dell’esercito dell’Asse, gli ebrei di Tunisi godettero di condizioni migliori dei loro fratelli che risiedevano nelle zone sotto l’amministrazione di Vichy, sia in Francia sia nel Nord Africa”23.
La situazione mutò drasticamente in seguito all’occupazione della Tunisia da parte delle forze tedesche. Infatti, minacciando di fucilare i notabili, che avevano preso in ostaggio, al minimo segno di insurrezione, il comando tedesco costrinse la comunità israelita di Tunisi a fornire 3.000 uomini validi che furono impiegati per i lavori di trasporto di terra e furono internati in campi di lavoro, mentre si verificarono numerosi rastrellamenti di popolazione israelita, inviata nei campi di concentramento europei. Le autorità italiane intervennero energicamente al fine di difendere i connazionali ebrei. D’altra parte, il governo tedesco manifestò una certa disponibilità ad accogliere le rimostranze italiane in modo da non causare frizioni con l’alleato.
Così, fino alla liberazione, gli ebrei italiani ebbero un trattamento preferenziale rispetto al resto della comunità ebraica locale. Essi non vennero reclutati per il lavoro obbligatorio, non furono internati nei campi e non patirono molte delle umiliazioni alle quali furono soggetti gli altri israeliti. Questo, se garantì ai livornesi una migliore condizione, contribuì ad isolarli ulteriormente dal resto della comunità ebraica che mal tollerava questa ulteriore discriminazione.
La sconfitta dell’Asse e l’ingresso delle truppe angloamericane a Tunisi, il 7 maggio 1943, ebbe importanti conseguenze per gli italiani di Tunisia. Da questo momento in poi essi furono considerati come membri di una nazione contro la quale la Francia era in guerra. Tutti gli uomini validi furono internati nei campi o destinati ai lavori pesanti di interesse pubblico, i loro beni, le loro proprietà, i negozi, i magazzini, le case furono oggetto di requisizione. Furono, inoltre, aperti i campi di concentramento di Sawaf e Gafsa per gli uomini e di Gamart per le donne. A tali misure temporanee se ne doveva aggiungere un’altra di portata più grande. Per un’ordinanza in data 22 giugno 1944, avente effetto retroattivo dal 10 giugno 1940, il governo francese affermava la fine delle convenzioni franco-italiane del 28 settembre 1896. Così, gli italiani di Tunisia perdevano il loro status speciale e venivano sottoposti al diritto comune. Inoltre, la legge del dicembre 1923, che attribuiva la cittadinanza francese a tutti gli europei nati in Tunisia da un genitore nato a sua volta in tale paese, fu estesa agli italiani. In tal modo, tutti i bambini, nati in Tunisia dopo questa data da genitori italiani, venivano censiti come francesi. Nel 1944 vi furono deportazioni, espropriazioni, la chiusura delle scuole, l’interdizione di pubblicare giornali in lingua italiana e infine l’espulsione di numerose famiglie. A questo si aggiunsero l’esclusione dall’esercizio di numerose professioni e l’interdizione della pesca nelle vicinanze della costa tunisina. La mutata situazione determinò l’esodo di un gran numero di italiani.
Le vessazioni, questa volta, colpirono anche gli italiani di origine israelita che, fino a quel momento, avevano beneficiato di un trattamento di favore. La liberazione della Tunisia, inoltre, determinò un ulteriore peggioramento della condizione degli ebrei italiani, discriminati ora e per la loro italianità e per le loro posizioni di privilegio. Al contrario, per gli altri cittadini di origine ebraica la ritirata dell’esercito tedesco rappresentò la fine di un’esperienza tragica ed avvilente. Furono abolite le discriminazioni razziali statuite dal nazismo contro i cittadini di origine israelita, fu eliminato il lavoro obbligatorio e gli ebrei rientrarono in possesso dei beni confiscati durante la guerra. Nel 1946 erano presenti nel paese circa 70.000 ebrei tunisini, senza considerare i 25.000 israeliti di origine francese o italiana. La comunità ebraica di Tunisi fu riorganizzata con un decreto del 13 marzo 1947, mentre l’iniziativa di numerosi organismi locali si attivò per risarcire le vittime dei nazisti24. Dal 1945 iniziò, inoltre, anche dalla Tunisia un continuo esodo di coloni ebrei verso la Palestina, esodo che si intensificò dopo la formazione dello Stato d’Israele. Tra il 1948 e il 1955 circa 25.000 ebrei si recarono nel nuovo stato. Protagonisti di tale flusso furono prevalentemente gli esponenti più tradizionalisti ed integralisti della comunità, mentre quelli più occidentalizzati si diressero in Francia.
D’altra parte, nel dopoguerra si verificò un profondo mutamento della struttura demografica del paese. Se confrontiamo i dati relativi alla popolazione italiana e francese nel periodo della seconda guerra mondiale e quello immediatamente successivo, fino al conseguimento dell’indipendenza da parte della Tunisia, notiamo che essi mostrano un’evoluzione inversa. Infatti, la popolazione francese aumentò considerevolmente, raddoppiando di importanza in venti anni e divenendo, nell’insieme tunisino, la colonia europea più numerosa. Indubbiamente, in tale crescita giocò un ruolo di primaria importanza l’acquisizione della nazionalità francese da parte di numerosi elementi della popolazione europea già stabilitisi nel paese sia a titolo collettivo che a titolo individuale. Al contrario, mentre gli effettivi della popolazione francese conoscevano una progressione spettacolare, quelli della popolazione italiana subivano dal 1936 al 1956 una riduzione continua.

Italiani (1936-1956)

ZONE 1936 1946 1956
Città 49.878 46.629 38.000
Circondario 7.387 9.255 9.712
Insieme 57.262 55.884 47.712

Francesi (1936-1956)

ZONE 1936 1946 1956
Città 42.678 66.422 77.000
Circondario 8.529 16.500 30.112
Insieme 51.207 82.922 107.112
Le ragioni di tale diminuzione sono ben chiare. In primo luogo, all’indomani della liberazione del paese dalle truppe dell’Asse, le Autorità francesi procedettero all’espulsione di un certo numero di italiani considerati come “nemici della Francia”. Il provvedimento riguardò agenti fascisti, insegnanti, giornalisti, medici, avvocati, farmacisti ed anche il personale di diverse istituzioni italiane. Gli espulsi ammontarono a circa 1.200. Aggiungendovi i membri delle loro famiglie che ne condivisero le sorti, il provvedimento interessò tra le 4 e le 5.000 persone. Inoltre, la naturalizzazione forzata e quella prodotta dal desiderio di molti italiani di vivere in Tunisia godendo degli stessi vantaggi dei francesi, indebolirono ulteriormente la collettività. Diminuendo il numero degli effettivi della colonia italiana diminuiva anche il suo ruolo economico. Possiamo affermare che, con la fine della guerra, la vittoria degli alleati, la caduta del fascismo, la comunità italiana entrò in una nuova fase. Ridotta nel 1946 a circa 85.000 componenti, secondo l’ultimo censimento ufficiale, prostrata, privata delle sue istituzioni, ridotta al silenzio per il divieto di divulgare giornali in lingua italiana, essa fu costretta a ridefinirsi dal punto di vista politico, economico e culturale.
5. La stampa: voce e memoria di una nuova identità italiana
Uno dei principali strumenti di questa nuova autodefinizione e rappresentazione di fronte alla società nordafricana è “Il Corriere di Tunisi”. Anche se questo fu pubblicato per la prima volta nel 1956, dopo il conseguimento dell’indipendenza del paese, le sue origini ideali e storiche si possono reperire nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. I dieci anni che culminarono con la proclamazione della Repubblica di Tunisia furono determinanti per l’evoluzione del paese e delle sue differenti componenti. In particolare, la minoranza livornese ebbe un ruolo fondamentale per la ristrutturazione della comunità italiana, vessata dalle autorità francesi vincitrici della guerra e decise ad eliminare definitivamente il péril italien e riconquistare l’egemonia politica e militare del paese. In Tunisia iniziavano infatti a manifestarsi i primi fermenti nazionalisti locali.
La situazione degli italiani iniziò a mutare lentamente solo dopo la firma del trattato di pace, nel febbraio 1947. All’inizio del 1948 fu riaperto il Consolato Generale d’Italia a Tunisi, anche se dovettero trascorrere tre anni perché essi potessero ottenere l’autorizzazione di costituire una Società Italiana di Assistenza, presieduta da Enrico Calò. Fu, però, mantenuto in vigore il divieto di pubblicare un giornale, in particolare dopo che l’Italia aveva manifestato un orientamento favorevole verso il movimento nazionalista tunisino.
In tale contesto fu particolarmente significativo il ruolo degli ebrei di Livorno, che ebbero l’iniziativa della realizzazione di un giornale che divenisse uno strumento di rappresentazione ma anche di ridefinizione della comunità italiana, disorientata e incapace di far udire la propria voce. Tra i fondatori del “Corriere di Tunisi” troviamo, infatti, Giuseppe ed Elia Finzi25, rispettivamente padre e figlio, due noti esponenti di una facoltosa famiglia di origine ebraica e livornese. Essi possedevano una tipografia, nella quale nel passato erano stati stampati numerosi periodici in lingua italiana26.
D’altra parte, gli ebrei livornesi si trovavano in una situazione particolarmente delicata. Essi erano l’élite dirigente della colonia italiana, pertanto furono sottoposti alle limitazioni imposte ai loro connazionali. Inoltre, in quanto esponenti dell’élite intellettuale ed esponenti illustri della comunità, costituivano un pericolo particolarmente significativo per la Francia, decisa ad eliminare l’influenza culturale e sociale italiana in Tunisia. I livornesi erano stati, nel periodo successivo all’instaurazione del Protettorato, i difensori più intransigenti dell’italianità e dell’influenza culturale italiana nel paese. Per questo, furono vessati, al pari degli altri italiani, dal governo francese e la loro secolare comunità fu sciolta con un decreto del 25 febbraio 1944.
Gli ebrei di nazionalità italiana non poterono contare su alcun sostegno da parte della comunità israelitica, a causa dei privilegi che erano stati concessi loro da parte dei fascisti. La duplice identità: italiana ed ebraica li pose in una situazione difficile. I loro trascorsi nazionalisti, ed in alcuni casi fascisti nonché i benefici dei quali avevano usufruito durante l’occupazione delle forze dell’Asse, li screditavano agli occhi della Francia che non li considerava come vittime innocenti della furia nazista, ma come pericolosi antagonisti che andavano controllati, in modo da indebolire la loro influenza. I gruppi politici esistenti prima della guerra: repubblicani, socialisti, comunisti, anarchici, con i quali i livornesi avevano collaborato dopo l’emanazione delle leggi razziali, si erano sciolti per mancanza di dirigenti, poiché la maggior parte di essi decise di ritornare in patria, per contribuire alla costruzione del nuovo stato democratico27. Solo un gruppo ridotto restava riunito attorno al vecchio ed infaticabile Giulio Barresi.
L’élite livornese, isolata di fronte all’insofferenza francese ed incapace di trovare un intesa con il sempre più consistente movimento nazionalista arabo, doveva cercare nuovi strumenti per riprendere le redini della dispersa comunità italiana, ridefinendola dal punto di vista storico, sociale e culturale.
Dell’apprensione italiana sul futuro sotto i francesi abbiamo già detto. È bene ora rimarcare che anche il nascente stato tunisino era motivo di preoccupazione. L’Islam ed il nazionalismo arabo erano il collante al quale fare riferimento per costruire solide basi di un’agognata indipendenza dal dominio straniero, fosse esso francese, italiano o ebreo. In questo clima venivano meno le garanzie che, non solo le minoranze nazionali, ma anche quelle religiose, non fossero discriminate e viste come ostacolo al processo di affrancazione del paese nordafricano.
In questo contesto, maturò il proposito di realizzare un giornale. Tale intento si potè porre in essere solo dopo l’ottenimento dell’indipendenza, a causa della drastica opposizione francese. Il 3 febbraio 1956 uscì per la prima volta “Il Corriere di Tunisi”, anche se la distribuzione iniziò solo in marzo, contemporaneamente alla dichiarazione d’Indipendenza della Tunisia, il 20 marzo 1956. In realtà, immediatamente dopo il conseguimento dell’indipendenza, furono divulgati in Tunisia due periodici in lingua italiana: “Il Corriere di Tunisi” e “L’italo tunisino”, di tendenze opposte. Il primo affermava la necessità di restare e collaborare con la Tunisia indipendente. Questo voleva rappresentarsi come il giornale di tutti gli italiani senza distinzione di orientamento politico. Il suo stesso nome era simbolo di continuità, in quanto uno dei primi giornali del secolo scorso portava il titolo di “Corriere di Tunisi”. Inoltre, prima della guerra era stato edito in Francia un “Courrier de Tunis”, ardente difensore di ideali comuni. Tra i primi obbiettivi del giornale vi era quello di dare una nuova dignità alla collettività. “L’Italo tunisino”, di tendenza fascista, magnificava la riaffermazione nostalgica delle “glorie passate”. Quest’ultimo fu sospeso dopo pochi anni, in seguito ad alcune affermazioni che inneggiavano esplicitamente alla dittatura di Mussolini e la comparavano con il nascente stato tunisino.
“Il Corriere di Tunisi”, al contrario, continuò le sue pubblicazioni ed è attualmente l’unico giornale in lingua italiana del Nord Africa. Nei suoi quarantasette anni di attività esso ha svolto la funzione di ridefinizione e rappresentazione della collettività italiana in Tunisia, sulla base delle antiche radici storiche che l’hanno caratterizzata in passato. Il giornale, amministrato ancora adesso dalla famiglia Finzi, ha consentito agli italiani di trovare un canale di mediazione di fronte alla nuova società tunisina, profondamente modificata dopo l’indipendenza. Esso è riuscito a ricompattare le fila della dispersa comunità italiana intorno ai valori del recupero dell’identità nazionale e della memoria storica. Un’identità che, tuttavia, come afferma Silvia Finzi28, figlia del direttore Elia Finzi, deve essere “multipla”. Tale termine indica un’italianità che si è formata in un rapporto dialettico ed osmotico con la realtà tunisina, dando luogo ad una cultura ed una tradizione altra rispetto a quella degli italiani rimasti in patria.
Mentre molti ebrei tunisini, immediatamente dopo la fine della guerra, avevano scelto di divenire francesi, in seguito alle nuove disposizioni riguardo alla naturalizzazione, i livornesi riaffermarono la loro italianità ed, in base a tale identità, si rappresenteranno di fronte alla Tunisia indipendente. D’altra parte, questo era l’unico modo per potersi presentare come interlocutori adeguati di fronte ai nazionalisti arabi, che amministrarono il paese dalla fine del Protettorato e che posero in atto una politica di decolonizzazione, volta a recuperare i beni in possesso degli stranieri ed a favorire la manodopera locale. Il 5 novembre 1959 fu istituita una “carta di lavoro” in mancanza della quale un lavoratore straniero non aveva più il diritto di esercitare una attività salariata. Questa carta era generalmente accordata a tutti coloro che erano nati nel paese, tuttavia veniva conferita come una concessione governativa. L’effetto di questa misura fu di far credere a più di un italiano che un giorno non avrebbe più potuto vivere del suo lavoro, così furono numerosi quelli che si persuasero di lasciare il paese. Poco tempo dopo, una legge del 30 agosto 1961 riservò ai tunisini l’esercizio delle attività commerciali e concesse agli stranieri una “carta di commercio” ma solo a titolo precario e revocabile. Questa disposizione suscitò presso gli italiani il panico e determinò una nuova ondata di partenze. Infine, la legge del 12 maggio 1964 riservò ai soli tunisini la proprietà delle terre agricole. La nazionalizzazione delle terre contribuì a ridurre sempre più gli effettivi della colonia italiana. Il governo italiano cedette alla forza delle cose e si apprestò a rimpatriare i suoi emigrati offrendo loro, sulla base degli accordi negoziati con il governo tunisino, la possibilità di trasferire i propri beni. Solo alla fine degli anni sessanta, grazie agli accordi di collaborazione tra i due paesi si restaurò un clima di distensione.
Per questo, quindici anni dopo l’indipendenza, la popolazione italiana rappresentava soltanto la decima parte di quella presente sotto il Protettorato.
6. Le vicende della nascente Repubblica di Tunisia attraverso le pagine de “Il Corriere di Tunisi”
La definizione di una nuova identità della collettività italiana da parte dell’élite livornese fu perseguita mediante la riaffermazione del mito del Risorgimento e attraverso un’apertura verso la realtà tunisina. Era necessario individuare un nucleo minimo di valori di aggregazione all’interno della comunità, costituito da quelli patriottici e libertari che avevano animato una parte significativa del Risorgimento. In tal modo, ridotta numericamente ed emarginata dal punto di vista economico, essa recuperava nel suo passato le radici della propria identità. Come all’inizio dell’Ottocento i nuovi livornesi erano stati i più accaniti difensori dell’italianità, allo stesso modo, dopo l’indipendenza, essi fornirono agli italiani rimasti in Tunisia un modello ideale al quale rifarsi e che consentisse loro di presentarsi di fronte al paese con la consapevolezza del ruolo storico e sociale svolto. Al contempo “Il Corriere di Tunisi” cercò di collocarsi nel paese nordafricano in una posizione di apertura verso il governo indipendente, promuovendo accordi di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo. Tale apertura si giustifica con le mutate condizioni demografiche ed economiche della collettività nella quale, insieme al nucleo storico, si è andato costituendo, negli anni, un nuovo gruppo, formato da italiani che risiedono temporaneamente in Africa o da italiani e soprattutto italiane sposate con tunisini. L’identità multipla, della quale il periodico si fa promotore, diviene l’unico modo di garantire una qualche forma di continuità alla collettività.
In tale arco temporale, si sono prodotti i principali mutamenti della società tunisina che hanno coinvolto, nelle loro dinamiche, l’evoluzione della compagine italiana, rendendone necessaria una ridefinizione, al fine di potersi collocare nel nuovo contesto socio economico ed internazionale. Cercheremo di analizzare come “Il Corriere di Tunisi” ha descritto la realtà tunisina agli italiani e come questi sono stati rappresentati dal giornale, il cui obbiettivo principale è quello di “registrare, di far conoscere, di condividere”29. In particolare, ci concentreremo su alcuni momenti importanti della storia del paese, quali le leggi emanate dal governo di Bourghiba al fine di decolonizzare la Tunisia, che causarono alcune tensioni con l’Italia, ed il successivo avvicinamento tra i due paesi. Non tralasceremo, inoltre, la lettura proposta dal “Corriere di Tunisi” su alcuni fatti salienti del panorama internazionale.
7. L’inizio di un dramma
Fin dai primi anni, “Il Corriere di Tunisi”, oltre a descrivere come per ogni giornale che nasce, la linea editoriale che lo contraddistingue, si trova immediatamente a dover dare voce alla comunità italiana, che, dal 1959, è oggetto di misure discriminatorie ad opera del governo tunisino. Gli italiani di Tunisia, che avevano salutato con simpatia l’indipendenza del Paese, ora ne ravvisavano l’incombente pericolo per i propri interessi, per il proprio futuro. Molti italiani erano stati licenziati perché la maggior parte degli imprenditori, loro datori di lavoro, erano partiti. Inoltre il governo tunisino aveva dato inizio al programma di pieno impiego della manodopera nazionale, licenziando i lavoratori italiani assunti da enti statali o parastatali. Si susseguirono provvedimenti restrittivi sul lavoro che colpirono direttamente, o indirettamente, un gran numero di connazionali. I primi ad essere discriminati furono quelli impiegati nei trasporti. Vennero inasprite, infatti, le misure contro l’esercizio della libera professione di tassista per gli stranieri residenti nel Paese. Tale provvedimento era un chiaro segnale di quanto sarebbe accaduto alla nostra collettività, in termini di limitazioni e privazioni che giungeranno fino all’esproprio delle terre degli agricoltori.
Il senso di disagio e di incertezza sul futuro pervase allora tutti gli italiani che abitavano in Tunisia e che lì erano nati, come emerge dall’editoriale pubblicato dal “Corriere” il 3 gennaio 1959, dal titolo Capodanno non lieto. Essi, pur comprendendo che tali provvedimenti erano volti ad assicurare il lavoro ai tunisini, chiedevano al loro governo di studiare misure adeguate per “fronteggiare una situazione che per molti rappresenta un problema elementare di vita e di sopravvivenza”. Sulla collettività italiana gravò da allora un forte senso di sconforto e di abbandono in quanto “circolano voci (che speriamo non attendibili) che altre misure del genere siano da attendersi in un futuro non lontano”. Alla stessa data, inoltre, “Il Corriere” pubblica un altro articolo, dal titolo Difficoltà e promesse del lavoro italiano. Vi si descrive la situazione precaria nella quale si trovano un numero sempre maggiore di italiani in Tunisia. Tra i fattori che causavano tale situazione vi era quello per cui “il lavoratore italiano, almeno quello di Tunisia è animato da un sentimento di indipendenza individuale […] Indi una certa repulsione di un lavoro collettivo e impersonale”. Così la Tunisia, avviando un processo di industrializzazione, avrebbe avuto sempre meno bisogno di artigiani italiani come ebanisti, falegnami, muratori, e così via. Tuttavia, si ammoniva “gli italiani non devono tenersi allo scarto”.
Oltre a denunciare la precaria condizione degli italiani, “Il Corriere di Tunisi” compiva un’opera di sollecitazione nei confronti del consolato generale, al fine di coadiuvarlo nell’azione di assistenza ai connazionali. Il 10 gennaio fu pubblicato un pezzo intitolato Il programma d’assistenza delle autorità italiane per fronteggiare la situazione. Le misure adottate consistevano nel rimpatrio consolare, vale a dire il rimborso delle spese di viaggio, mediante imbarco su un piroscafo della Tirrenia, e facilitazioni di viaggio fino al porto di Marsiglia, per coloro che domandassero di recarsi in Francia. Inoltre, il consolato generale erogava un modesto sussidio alimentare per quelle centinaia di famiglie che erano state colpite dai provvedimenti in materia di rinnovo di licenze per le pubbliche autovetture ai non tunisini. La gravità del problema era da cogliersi nel fatto che per la prima volta “si era verificato un fenomeno che togliesse il lavoro a tante centinaia di persone contemporaneamente”. I recenti avvenimenti preludevano alla “necessità di uno studio di insieme per quei provvedimenti di carattere organico e generale, dei quali da tanto tempo il nostro giornale sta propugnando l’urgenza e la necessità, ci risulta che tra breve il Consolato Generale inizierà un’operazione di rilevazione statistica di tutti gli Italiani residenti in Tunisia, per sapere finalmente quanti siamo, che cosa facciamo, quanto possediamo e per quanti di noi sono indispensabili misure specifiche con l’intervento delle nostre Autorità, vuoi per quelli che vogliano rimanere in Tunisia, vuoi per quelli che vogliano partire verso altri lidi”. Numerose furono le manifestazioni di protesta degli italiani. “Il Corriere” ammoniva: “Queste manifestazioni non possono avere alcun risultato al di fuori di quello di esporre tutti noi Italiani a cattive figure nei confronti della popolazione locale: sono perciò assolutamente da evitare”.
Il 17 gennaio si dava notizia della partenza dei primi italiani con l’articolo:Un primo gruppo di disoccupati italiani partito per l’Italia. E’ allo studio della Direzione Generale Emigrazione un piano di avviamento verso altri paesi tramite enti internazionali.
La partenza dei primi connazionali verso l’Italia pose la problematica dei rimpatri all’attenzione del Ministero degli Affari Esteri e dell’Ufficio dell’Emigrazione. Mete privilegiate sarebbero state non solo la madre patria ma anche la Francia, tramite l’ O. N. I. (Office National Immigration) di Milano ed il Brasile, mediante il CIME.
“Il Corriere” criticava la politica della concessione di sussidi che considerava “dato il numero dei disoccupati e dei bisognosi, gocce d’acqua nel mare”, mentre era favorevole alle previdenze “limitate ma immediate” che avrebbero potuto “spianare la strada per sistemazioni definitive”.
Al “Corriere di Tunisi” giungevano numerose le lettere dei rimpatriati. Esse, drammaticamente, raccontavano della loro esperienza ma avevano la funzione anche di mantenere i contatti con i familiari rimasti in Tunisia. Si dava vita, così, a due rubriche: una, intitolata “Lettere al Direttore”, in cui si può leggere delle difficoltà del ritorno e l’altra, invece, dedicata ai saluti brevi. Testimonianza quest’ultima importante, in quanto mette chiaramente in luce quanto fosse radicato il senso di comunità, e al contempo, quanto fosse drammatica la separazione.
Il 16 maggio il giornale registra il primo insediamento dei profughi. “Sono cominciate a giungere le prime lettere dei connazionali rimpatriati che si trovano nei centri di prima accoglienza”. Qui di seguito si riportano un paio di quelle, fra le più significative, che riflettono la loro situazione: gioia per il ritorno e per il trattamento ricevuto, difficoltà incontrate. Da Brescia si legge: “siamo arrivati al campo il giorno 18 alle ore 15 del pomeriggio; non possiamo lamentarci di nulla, ci hanno dato: diciotto coperte, dodici lenzuola, sei letti con materassi, ed infine quello che ci occorre per mangiare […] Il mangiare è abbondante ma poco gustoso […] Qui al campo è molto lontano dalla città, dunque è difficile trovare lavoro”. Da Altamura: “giunti a Napoli, via Palermo, guidati dall’incaricato della Commissione, siamo andati alla Casa degli Stranieri dove si poteva prendere la corriera per raggiungere (sempre a Napoli) il Palazzo dell’Emigrante per pranzare e riposarci”. Le prime lettere descrivevano dettagliatamente il vitto, l’alloggio, il viaggio,“eravamo trattati con riguardi alla stessa stregua degli altri passeggeri. Ogni famiglia aveva un tavolo per sé con tovaglioli bianchissimi. I camerieri, alla frutta, ci dettero perfino cucchiai e forchette”. Ed ancora, “il campo è grandissimo con ampi capannoni del genere fattorie; ciascuno contiene 24 stanze vaste e tutte separate”.
Accanto alle testimonianze dirette, “Il Corriere” dava voce alle istituzioni. Si legge in data 14 febbraio del 1959: Un grave problema in via di soluzione. L’assistenza del governo italiano per i disoccupati che rimpatriano dalla Tunisia. Il governo italiano si impegnava ad ospitare i connazionali che rimpatriavano presso il Centro di Brindisi. “Tale ospitalità, che integralmente gratuita comprende, oltre l’alloggio tre pasti giornalieri e l’assistenza sanitaria, farmaceutica ed ospedaliera e durerà fintanto che gli ospitati non saranno occupati o sistemati altrove”. Nei centri di raccolta veniva assegnato anche un contributo temporaneo di risistemazione in Italia o all’estero e funzionava un ufficio di collocamento e di emigrazione.
Al contempo, “Il Corriere” dava notizia degli studi relativi alle possibilità di collocamento dei rimpatriati, come nel pezzo, datato 11 febbraio 1961, Possibilità di assorbimento della manodopera in Italia. Il consolato generale, in collaborazione con gli Uffici Regionali e Provinciali del Lavoro, svolse un’indagine volta ad accertare se esistevano effettive possibilità di collocamento della manodopera. Verificato che il triangolo Torino, Milano, Bologna offriva serie opportunità, si elencano le località dove esistono richieste di lavoro e le qualifiche di possibile occupazione.
Tuttavia, nel 1961 la situazione sembrò migliorare, in seguito all’estensione della legge profughi, promulgata il 25 ottobre 1952, ai rimpatriati dalla Tunisia e dall’Egitto. Secondo tale normativa, come informa “Il Corriere”, il 6 gennaio 1962, i rimpatriati potevano usufruire “dell’assunzione obbligatoria presso gli Enti Pubblici [….]; e dell’assunzione obbligatoria presso le aziende private con più di 50 dipendenti, in ragione del 10% delle assunzioni del nuovo personale”.
Inoltre, il 30 settembre 1961, “Il Corriere” pubblica un’intervista del ministro Mondher Ben Ammar sulla situazione degli italiani in Tunisia, nella quale egli dichiara “nel nuovo assetto economico del paese l’Italia ha una posizione di scelta”.

8. Una svolta decisiva

La svolta nelle relazioni italo tunisine si produsse nel giugno del 1962 con la visita del presidente del Consiglio Fanfani a Tunisi e la firma degli accordi di cooperazione tra i due paesi. L’evento fu accolto con grande entusiasmo dal giornale che a lungo aveva atteso l’arrivo di un alto rappresentante dell’Italia. Il 10 gennaio del 1959, “Il Corriere” aveva pubblicato una lettera aperta degli italiani di Tunisia a Fanfani, in occasione della sua visita al Cairo.“Eccellenza, la notizia del vostro viaggio in Egitto ci rallegra, e ci fa peccare d’invidia”. Infatti, mai un capo di governo italiano si era ancora recato in visita ufficiale in Tunisia, dove vi era una numerosa colonia di italiani. “Prima di abbandonarsi all’immeritato destino, aggrappati ai rottami ancora galleggianti, gli Italiani di Tunisi invocano il Vostro intervento affinché possiate rendervi conto della incombente catastrofe, prima della catastrofe e non dopo, come purtroppo avviene ogni volta che la sorte avversa infierisce contro gli esseri umani”. La catastrofe della quale si parlava era l’esodo, che vedeva un fortissimo ridimensionamento del numero dei nostri connazionali, come stava già accadendo per la compagine francese. “Per tutti gli Italiani di Tunisia non v’è oggi che una sola speranza: che l’Italia si desti!”
I numeri de “Il Corriere” di giugno furono quasi interamente dedicati alla visita del presidente del Consiglio. L’11 giugno 1962, nell’articolo Intensificata cooperazione fra Italia e Tunisia veniva riportato integralmente il messaggio di Fanfani alla comunità:“tutti questi colloqui nutriti di ricordi, di sguardi, di considerazioni hanno confermato un tenace attaccamento degli italiani di Tunisia all’Italia; un vivo desiderio di essi di poter attendere al tradizionale lavoro in questa terra, con la serenità di chi sa di poter sempre tornare bene accolto all’antico focolare, con la speranza che nella nuova realtà tunisina, cordiali intese possano rinsaldare una vecchia amicizia”. L’articolo ricordava, inoltre, che “il Presidente del Consiglio ha concluso inviando tramite i presenti un abbraccio a tutti gli Italiani in Tunisia e un saluto e una stretta di mano a tutti i loro amici e conoscenti tunisini, dicendo ad essi che l’Italia li stima per l’impegno col quale cercano le vie del progresso nella libertà e nella giustizia”. Il giornale riportava, inoltre, il discorso pronunciato dall’ambasciatore italiano Aldo Mazio, nel pezzo dal titolo Da un secolo gli italiani attendevano questa visita, il quale ripercorreva la storia degli italiani in Tunisia. Una storia che iniziò con l’arrivo dei livornesi “il primo nucleo stabile della nostra comunità ancora oggi rappresentato da una élite, da una vera aristocrazia sefardita per i quali l’attaccamento all’Italia è pari all’attaccamento alla propria fede. Questa élite livornese ha occupato ed occupa un posto di grande rilievo nella vita culturale, professionale e commerciale della Tunisia ed ha fornito i quadri originali della collettività italiana alla quale dovevano aggiungersi i liguri e i sardi tenaci”. La decolonizzazione era un momento di travaglio nel parto dell’indipendenza. Quest’ultima aveva significato disoccupazione e tunisificazione anche se “in modo più umano e più civile che altrove ma non per questo meno penoso poiché ha imposto ridimensionamenti e riconversioni di attività economiche e delicati trapianti familiari”. Fanfani tranquillizzava i connazionali, i “loro problemi saranno oggetto delle più attente cure del governo italiano”. La visita del presidente del Consiglio è riuscita a “riportare le relazioni italo tunisine alla cordialità del periodo nel quale Mazzini incoraggiava i suoi fratelli tunisini e Cavour veniva qui per far sentire il suo apprezzamento per la Tunisia e per creare nuove linee di navigazione”.
L’accenno al periodo risorgimentale implicava l’esaltazione di una politica di reciproca apertura tra i due paesi. In particolare, il Risorgimento era considerato il paradigma di un orientamento italiano non prevaricatore nei confronti del paese nordafricano. Per questo, anche nell’editoriale del 16 giugno, si invitava il governo a riprendere l’“onesta politica post-risorgimentale di Cairoli” e si ringraziava Fanfani “per essere venuto fra noi a rinsaldare il legame indissolubile che ci lega all’Italia”.
Come si è già accennato il mito del Risorgimento era particolarmente sentito dagli italiani di Tunisia. Così, in una lettera del 25 aprile 1959, “Il Corriere” descriveva fra i suggerimenti proposti dai lettori, quello di creare una rubrica a puntate sugli avvenimenti di questo significativo periodo della storia d’Italia. Curiosamente periodizzato come iniziato nel 1859 e concluso nel 1959. Il 30 maggio 1959, inoltre, si può leggere in Aria nuova in seno alla nostra collettività, “noi confermeremo che oggi uno solo è il nostro colore: il TRICOLORE del Risorgimento”.
In seguito alla visita di Fanfani, il 5 luglio, furono firmati, tra l’Italia e la Tunisia, accordi di collaborazione in numerosi settori. In essi si sostanziarono le speranze dei nostri connazionali. Per questo, “Il Corriere” auspicava nell’articolo Sentimenti e interessi, “una maggiore interazione, un più intimo inserimento dei nostri nella vita economica tunisina. Perché nessuna comunità può vivere nell’incertezza del proprio avvenire”.
L’atteggiamento del governo tunisino, pur nella considerazione delle gravi conseguenze per la collettività italiana, tuttavia, non veniva biasimato dal “Corriere di Tunisi” che, anzi, attraverso le sue colonne, si spendeva in chiarimenti in merito ai provvedimenti adottati, gettando le basi per una fattiva collaborazione con la Tunisia indipendente. Era, infatti, di fronte ai ritardi ed alle manchevolezze delle autorità italiane, non procrastinabile per i connazionali che in Tunisia vedevano il proprio avvenire, stringere intese e rapporti di scambio con i diversi settori politici ed economici del paese. Nell’articolo del 24 novembre 1962, intitolato Prospettive l’editorialista del “Corriere” chiedeva retoricamente “che cosa dovevano fare i dirigenti della Repubblica? Quello che hanno fatto”. La politica di Burghiba era necessaria per trasformare le antiche strutture in moderne, così da avviare un reale sviluppo della Tunisia. Ed ancora, il 21 novembre 1964, nella rubrica “Noi, italiani di Tunisia”, anche dopo la nazionalizzazione delle terre, con forza si affermava: “lo abbiamo già detto, lo ripetiamo e lo ripeteremo ancora: una vera ed affettuosa amicizia ci lega al popolo tunisino. [….] Ma sappiamo anche che il primo obbiettivo di una riacquistata indipendenza da parte dell’Italia è stato quello di accordare a tutti gli individui che sono venuti a trovarsi sotto la sua amministrazione, anche se ex oppressori (e non è il caso nostro in Tunisia) il diritto di disporre di tutto quanto da loro posseduto purché acquistato legalmente ed onestamente”.
Il clima di cordialità fra le due nazioni iniziò a mutare con la promulgazione del Codice della Nazionalità, il 5 marzo 1963. L’articolo 7 statuiva “è tunisino il bambino nato in Tunisia da padre e nonno nati anch’essi in Tunisia”. Era prevista la facoltà, per i nati prima dell’entrata in vigore del codice, di ripudiare la cittadinanza tunisina prima del compimento dei vent’anni. Ma la conseguenza di tale scelta sarebbe stata l’obbligo di lasciare il paese. Le norme si applicavano anche ai minorenni nati prima della loro entrata in vigore, ossia a circa quattromila italiani, un numero considerevole, dato che la collettività contava non più di trentamila persone.
Su tale questione il direttore del “Corriere di Tunisi”, Elia Finzi, ritenne di dover palesare la sua opinione. Nell’articolo Fugare i dubbi e pensare realisticamente all’avvenire, del 10 agosto 1963, scriveva: “I degni figli di tanti onesti lavoratori debbono essere o degli stranieri che continuano a tempo la loro collaborazione, oppure debbono TOTALMENTE inserirsi nel corpo della nuova Tunisia diventandone cittadini con i medesimi doveri e i medesimi diritti dei nazionali locali oppure lasciare definitivamente questa terra”. Tuttavia, egli sosteneva la necessità di una sensibilizzazione affinché i connazionali, che fossero diventati tunisini, non si sentissero cittadini di seconda categoria. In tal modo, la Tunisia avrebbe confermato il suo ruolo di “guida nella liquidazione del colonialismo”.
Gli interventi così tanto auspicati dalla compagine italiana in Tunisia, si realizzarono in parte e non secondo le aspettative. È solo adesso che i toni, prima soltanto minacciati, si fanno più aspri e di dura condanna nei confronti della madrepatria. Così si legge, il 24 ottobre 1964, nel pezzo Necessità di un dialogo: “siamo passati, durante questi ultimi anni, attraverso dure prove, talvolta umilianti senza che un qualsiasi appoggio anche morale venisse a sostenerci ed ad incoraggiarci”. “La visita di S. E. Fanfani e gli accordi che vi fecero seguito si sono avverati illusori, e contrari al risultato scontato [….] Dopo l’entusiasmo provocato dalle fallaci promesse di un interessamento immediato e fattivo alla nostra situazione, abbiamo atteso invano [….] con voce tremante e con le lacrime negli occhi”.
9. Sempre più dura la vita della collettività italiana
Il 16 maggio 1964 è scritto sulla prima pagina del “Corriere di Tunisi” a grandi lettere: La Tunisia ha deciso la “tunisificazione” di tutte le terre agricole. Il 12 maggio, infatti, il Governo tunisino aveva emanato una legge che espropriava le terre di proprietà dei coloni italiani. Burghiba affermò che il provvedimento non aveva carattere anti italiano: “se la Tunisia è fermamente decisa a sbarazzarsi delle ultime sequele del colonialismo, per impedirne una volta per tutte il ritorno, essa resta fedele al suo ideale di amicizia e di cooperazione con tutti i popoli che vogliono trattare con essa da eguali”.
Ed è proprio prendendo le distanze dal colonialismo che Elia Finzi denuncia il provvedimento, affermando in Triste titolo di gloria che gli italiani non “avevano NULLA, assolutamente nulla da spartire con il COLONIALISMO” poiché avevano acquistato le loro terre con i risparmi del loro lavoro. Oltre seimila italiani furono improvvisamente privati delle loro proprietà. Nulla era noto riguardo ai risarcimenti. “Il Corriere” chiedeva un intervento immediato delle autorità italiane per risolvere la questione che minacciava di distruggere la nostra collettività. Nel giornale veniva pubblicato integralmente il testo della legge. Il direttore continuava poi in …è sempre vivo!, del 13 giugno 1964, ribadendo che gli agricoltori italiani “venivano assimilati, dunque, ai colonialisti, dimenticando che essi, invece, erano stati dei colonizzatori. Gente cioè che aveva lavorato, fecondato, valorizzato terre acquistate senza ombra di privilegio coloniale”.
Al contempo, giungevano dall’Italia le lettere dei connazionali ospitati nei centri di accoglienza. Il problema dei rimpatriati, infatti, continuò negli anni successivi. “Il Corriere” pubblicò incessantemente notizie dai campi profughi allestiti nella penisola, come a Tortona, presso Torino, o ad Altamura, in Puglia.
In una lettera del 25 novembre 1961, dal titolo I lavoratori e artigiani ci scrivono…, la collettività italiana faceva il punto su un periodo segnato dall’esodo di molti verso mete spesso difficili e mai precise. “Sospinti attraverso il mondo da un soffio di legittima decolonizzazione, quali granelli di sabbia nel mare, gocce d’acqua nel deserto [….] Il problema dilagava e l’insufficienza delle provvidenze governative gettavano nel più profondo stato di disperazione coloro che, meno preparati ad affrontare la situazione locale, a malincuore decidevano di rientrare in Italia”.
Grazie all’opera di tanti connazionali ed al “Corriere di Tunisi” la situazione della comunità italiana trovava una eco nella stampa nazionale tanto da contribuire al varo della legge profughi.
Tra gli interventi, salutati con favore, quello della Commissione agricola Sarda, presieduta dall’onorevole Cadeddu. Misura volta ad assicurare assistenza a quanti avessero voluto stabilirsi in Sardegna. L’isola veniva tratteggiata come una possibile meta atta ad ospitare i profughi provenienti dalla Tunisia. È con questo intendimento che si devono leggere i numerosi articoli ad essa dedicati, quali Sardegna e Tunisia, del 10 maggio del 1959, nel quale si diceva che “la Sardegna può ospitare oltre un milione e mezzo di persone”; La Sardegna si apre al mondo, del 20 aprile 1963 e La Nurra di Sardegna è ormai una terra redenta, del 1 giugno 1963.
Al fine di reperire nuove possibilità di impiego in Italia, “Il Corriere di Tunisi” realizzò una rubrica Possibilità di inserimento in Italia, dall’11 luglio 1963. Questa voleva essere una finestra aperta sulle proposte di inserimento nella realtà italiana, mediante le lettere inviate ai giornali italiani. Inoltre, nell’articolo dell’11 febbraio 1961, Possibilità di assorbimento della manodopera in Italia, si comunicava che il consolato generale, in collaborazione con gli Uffici Regionali e Provinciali del Lavoro, preparava un’indagine volta ad accertare le effettive possibilità di collocamento della manodopera.
Dal 1964, è importante registrare l’inizio di una rubrica, a cura di Francesco Quattrocchi, corrispondente da Torino, intitolata notizie da Tortona. In essa si racconta la vita del Centro di accoglienza, dando notizia degli infortuni sul lavoro, delle cerimonie, si inviano messaggi di solidarietà per gli agricoltori italiani di Tunisia colpiti dalle misure di esproprio, si illustrano le difficoltà nel lasciare il campo mentre gli arrivi si moltiplicano “a causa della mancanza di case popolari e degli astronomici prezzi degli affitti.” Per quanto riguarda la costruzione di case popolari, il 25 giugno 1964, ci si augurava che esse fossero edificate il più vicino possibile alle città industriali “per evitare ai profughi di percorrere 10 o 15 chilometri due o tre volte al giorno per trovare un impiego”.
10. Le prime trasmissioni in lingua italiana nell’altra sponda del Mediterraneo
“Il Corriere di Tunisi”, strumento cartaceo di informazione, è, altresì, attento alle nascenti tecnologie, come dimostrano i tanti articoli dedicati prima alla radiofonia e poi alla televisione. Così, la visita del presidente del Consiglio Fanfani al Cairo, conclusasi il 9 gennaio del 1959, diviene l’occasione per parlare della nascita di un programma radiofonico in lingua italiana. Tale visita aveva, infatti, come obiettivo il riavvicinamento economico, culturale e politico tra l’Italia ed i Paesi Arabi, dove erano presenti da tempo comunità di nostri connazionali. È in questo intendimento che si doveva leggere la nascita di un programma in lingua italiana a Radio Cairo. Come riporta “Il Corriere di Tunisi” nell’articolo del 3 gennaio 1959, dal titolo Emissioni italiane a Radio Cairo, le emittenti radiofoniche egiziane avrebbero mandato in onda ogni sera, dalle 22 alle 22.30, una trasmissione in lingua italiana. L’annuncio fu accolto con favore dalla numerosa collettività italiana residente in Egitto ed in tutto il bacino del Mediterraneo orientale. Esso rivelava l’interesse di voler accrescere le relazioni tra Italia ed Egitto anche attraverso il mezzo radiofonico, ritenuto allora tra i più moderni ed efficaci strumenti di avvicinamento tra i popoli.
Al contempo, la RAI premiava, con 4 biglietti di andata e ritorno per l’Italia, quegli ascoltatori che si fossero distinti nel contribuire alla diffusione delle sue trasmissioni fra i connazionali, come dal “Corriere”, nell’articolo Premi della RAI-Tv per gli ascoltatori all’estero, del 21 marzo 1959.
Il ruolo della radiofonia italiana è di fondamentale importanza, oltre che per la trasmissione della nostra lingua e della nostra cultura, anche per sensibilizzare il paese e far comprendere alla collettività italiana le ragioni dei provvedimenti adottati dopo l’indipendenza della Tunisia. Questo appare evidente nell’articolo Alla RAI radioconversazione sugli italiani in Tunisia del Consigliere G.W. Maccotta. Giovedì scorso, alle ore 8.45 nel corso del quarto d’ora che il programma nazionale della Radio Roma dedica ai problemi degli italiani all’estero, pubblicato nella stessa data. Secondo Maccotta, l’indipendenza di molti stati dell’Africa e dell’Asia dalle potenze coloniali aveva determinato importanti mutamenti nelle condizioni delle collettività europee, anche di quelle non appartenenti alla potenza ex coloniale. Egli affermava: “Sono comuni il problema, di natura soprattutto psicologica, dell’inserimento nel nuovo ordinamento politico ed istituzionale della Tunisia, e quello, di natura concreta, della possibilità di continuare a vivere e ad operare tenuto conto del comprensibile desiderio tunisino, di sostituirsi gradualmente agli europei nei posti di lavoro e nelle varie attività economiche che durante il Protettorato erano prevalentemente in mano a questi ultimi”. Alla luce di tali intendimenti si spiegavano le misure adottate dal governo tunisino, volte a non autorizzare il lavoro dei “tassisti” non tunisini, misure che avevano colpito direttamente, o indirettamente, 400 nuclei familiari italiani. La situazione si faceva sempre più preoccupante nella considerazione che il governo tunisino aveva preannunciato un piano programmatico di riscatto delle terre appartenenti agli europei, provvedimento che, se attuato, avrebbe colpito oltre 2.000 famiglie di italiani dediti all’agricoltura. “Nessuno degli italiani di Tunisia ha abbandonato o abbandona volentieri quella terra, accogliente ed ospitale per la sua natura ed il carattere della popolazione: ma l’esodo, ripeto, è determinato da circostanze obbiettive”.
“Il Corriere” diede particolare risalto alla tematica dei programmi RAI trasmessi in Tunisia. Il 3 settembre 1960, nell’articolo Televisione: successo completo, si osservava con soddisfazione che grazie al trasmettitore di Bou-Kornine, recentemente installato dalla RAI, fosse ora possibile seguire i programmi della televisione italiana. “Il numero dei televisori a Tunisi aumenta quotidianamente e sta rapidamente raggiungendo le trecento unità”.
Ma la vera svolta fu segnata dalla decisione di Radio Tunisi di diffondere, nell’ambito della sua programmazione, una trasmissione interamente dedicata all’Italia in lingua italiana. “Il Corriere” registrò l’evento con un’intervista esclusiva al direttore del palinsesto internazionale di Radio Tunisi. Il 5 gennaio del 1963 “Il Corriere” scrive Dal 1° Gennaio un’ ora di Programmi italiani a Radio Tunisi. Un’intervista esclusiva del “Corriere” con i promotori dell’interessante iniziativa. Secondo l’articolo, la RadioTelevisione Tunisina, riservando un’ora delle sue trasmissioni alla lingua italiana, nel quadro del suo programma internazionale, segnava una data importante per le relazioni italo tunisine. “L’idea di un programma internazionale a Radio Tunisi – ci ha dichiarato il Sig. Hassen Abbas, direttore dello stesso programma – è nata durante i dolorosi fatti di Biserta30. La R.T.T. ha sentito il bisogno di comunicare le sue idee, i suoi bisogni al mondo intero senza dovere per questo servirsi unicamente della lingua francese. Da quel giorno, il programma in lingua francese di Radio Tunisi, divenne internazionale. Ma internazionale soltanto di nome poiché, lentamente ma certamente, alla ripresa delle relazioni Franco-Tunisine, il programma ritornò al suo aspetto iniziale”. Ed ancora, “Ho subito pensato che il primo passo verso l’internazionalizzazione dei programmi si sarebbe dovuto compiere in favore delle collettività straniere residenti a Tunisi. Gli eccellenti rapporti esistenti fra Italia e Tunisia da secoli sono stati recentemente rinforzati dallo scambio di visite dei capi di stato dei due Paesi”. È importante rilevare, come ci dice Salwa Sayir, attuale conduttrice del programma, che “l’italiano è una lingua molto conosciuta in Tunisia anche grazie alla televisione sia pubblica che commerciale italiana che nel paese è molto diffusa ed apprezzata”31. La giornalista afferma pure “l’originalità del mio programma sta nel fatto che esso non ha mai tradito le ragioni per le quali è venuto ad essere. Si tratta, infatti, di una finestra aperta sul Mediterraneo che rinsalda attraverso la musica, le parole, le interviste ai tanti ospiti, le relazioni da sempre strette tra questi due nostri paesi”.
Il primo direttore del Programma Italiano di Radio Tunisi fu Marcello Ettore. Egli raccontò al “Corriere”, nell’articolo precedentemente menzionato, del grande successo della diffusione della musica italiana presso i radioascoltatori non solo di Tunisia ma di tutto il bacino del Mediterraneo. Egli affermava: “la reazione del pubblico è stata ottima. Abbiamo ricevuto lettere da tutto il bacino mediterraneo” che esprimevano il profondo apprezzamento per l’iniziativa.
Il programma si articolava in una prima parte riservata alle tematiche locali (attualità, donna, turismo, ragazzi), un approfondimento culturale, lo sport. Nell’ambito dell’appuntamento giornaliero, era previsto pure un Notiziario sui principali fatti internazionali e della penisola. Mentre la collaborazione con la RAI-Tv si limitava all’invio, da parte di questa, di programmi per lo più culturali. A questi era riservata l’ultima parte della trasmissione.“Il tutto è inframmezzato da canzoni italiane per tutti i gusti e da brani lirici”.
“Il Corriere” augurava la piena riuscita “di questa ottima impresa e concludiamo con il ricordo ai radio ascoltatori che questi programmi sono destinati a loro e devono quindi essere impostati come meglio li aggrada. Che essi non esitino a scrivere per dimostrare la loro solidarietà per eventuali critiche ed apprezzamenti”.
Questa breve trattazione sulla programmazione in lingua italiana nel Mediterraneo nelle pagine de “Il Corriere di Tunisi”, prosegue per tutto il decennio con notizie che riportano curiosità ed informazioni. Ad esempio, l’articolo del 22 agosto 1964 dal titolo Un’interessante inchiesta della T. V. Antenne nel Mediterraneo. Dal Marocco a Malta via Tunisia e Libia- Una intervista al tecnico Mozzanti, registra un pezzo del Radiocorriere relativo all’inchiesta sui paesi del Mediterraneo che captano la televisione italiana o che con essa collaborano. Ancora in Tunisia non esisteva la televisione locale, tuttavia la diffusione dei programmi italiani era grande. Unitamente alla radio, la televisione era ritenuta fondamentale come strumento di diffusione della realtà italiana e della sua lingua.
11. Conclusioni
Prima di concludere questa breve trattazione sulle origini e i primi anni di vita del “Corriere di Tunisi”, possiamo sinteticamente svolgere alcune puntualizzazioni sul lavoro fin ora svolto.
In primo luogo, è importante ribadire il nesso inscindibile fra la storia della comunità italiana e le origini del “Corriere”. Non si può leggere quest’ultimo come momento a sé, slegato dalle vicende più o meno recenti che hanno segnato l’evoluzione storica della comunità italiana di Tunisia. Poiché le sue radici affondano nei percorsi a volte tortuosi tracciati dai nostri connazionali nel paese nordafricano, in un rapporto dialettico con gli altri gruppi stranieri e le autorità locali.
“Il Corriere di Tunisi” ha, con alterne vicende, svolto la funzione di rappresentare la comunità italiana nei confronti della Tunisia indipendente fornendo, al contempo, un’ immagine della nuova identità politica del paese. Si è trattato, però, di una rappresentazione non neutra ma volta a reperire un canale di comunicazione fra queste due realtà, in un momento storico nel quale si profilava fra loro un imminente conflitto. Si è affermato che la stessa rappresentazione ha implicato una ridefinizione ed una ricomposizione della collettività italiana, scossa dai rivolgimenti della guerra, dell’occupazione nazista e dell’opera di francesizzazione forzata svolta dal Governo di Parigi nel dopo guerra. E’ proprio l’intento di dare nuova forma alla comunità e di presentarla alle autorità post coloniali come un interlocutore attendibile, quello che spinge l’élite italiana, costituita in prevalenza dai discendenti degli ebrei livornesi, a fondare il “Corriere di Tunisi”.
Nella nostra analisi abbiamo cercato di ripercorrere, seppur brevemente, le complesse vicende, vicine e lontane, della comunità, alla luce della loro importanza per la creazione del “Corriere”. Infine, ci siamo concentrati su alcuni tra i temi più significativi trattati dal giornale, nel suo intento di ridefinizione della collettività.

Questo è solo uno spunto di riflessione, una piccola finestra su un problema, quello della rappresentazione degli italiani all’estero attraverso i più diversi mezzi di comunicazione.

Note

1 Per quanto questo lavoro sia frutto di un impegno comune, la redazione dei paragrafi 1, 2, 3, 4, è di Lucia Capuzzi, mentre Giuseppe Maria Continiello ha steso i paragrafi 5, 6, 7, 8, 9, 10. Le conclusioni sono state scritte congiuntamente.
2 Michele Brondino, La stampa italiana in Tunisia. Storia e società, 1838-1956, Milano, Jaca Book, 1998, p. 9.
3 Tale trattato non instaurò formalmente, come generalmente si afferma, il protettorato francese in Tunisia. Esso consentiva alle autorità militari francesi l’occupazione militare temporanea di alcune parti del paese, al fine di mantenere la pace a difendere la Reggenza da nemici interni ed esterni. Tuttavia, gli occupanti si impegnavano a rispettare i trattati esistenti tra la Tunisia e le altre potenze europee, mentre un ministro residente francese avrebbe operato come intermediario fra la Reggenza e il suo paese. Inoltre, il Bey si impegnava a non realizzare alcun nuovo accordo con altri stati senza aver preventivamente informato il governo francese. In tal modo, la Francia si garantiva una generica tutela sulla Reggenza ma non un vero e proprio protettorato, anche se venivano realizzate le premesse poiché questo di potesse effettivamente concretare.
4 Questa convenzione, firmata l’8 giugno 1883, statuì l’atto di nascita del protettorato della Francia sulla Reggenza. Infatti, viene utilizzato per la prima volta il termine protettorato, mentre viene attribuito al governo francese la funzione di regolare e dirigere l’amministrazione interna della Reggenza.
5 Vengono generalmente definiti “livornesi” un gruppo di borghesi e commercianti di origine israelita che si trasferì nella in Tunisia nel XVII secolo. Essi acquisirono una posizione di preminenza all’interno della comunità italiana. Infatti, costituirono una componente importante della classe dirigente ed intellettuale.
6 Salvatore Bono, Fonti e documenti per la storia della Tunisia, Tunisi, Quaderni dell’Istituto Italiano di Cultura, 1969, p. 18.
7 Ibidem.
8 Michele Brondino, La stampa italiana in Tunisia, “Il Corriere di Tunisi”. XXXV anniversario 1956-1991, 5 luglio 1991, p. 12.
9 Ibidem.
10 A. D’Anthouard, Réflexion sur notre politique coloniale en Tunisie, «Reinseignements coloniaux et documents», supplemento a «L’Afrique Francaise», gennaio 1914.
11 In seguito all’emigrazione di contadini e manovali del Mezzogiorno le idee socialiste e anarchiche, diffuse da un ristretto gruppo di intellettuali, trovarono un terreno fertile. Nacque, infatti, una stampa vicina alle istanze dei lavoratori italiani, ai loro problemi, che si faceva promotrice delle loro rivendicazioni. Essa viene definita “di protesta sociale” ed uno degli esponenti più noti fu l’anarchico Nicolò Converti.
12 Michele Brondino, La stampa italiana in Tunisia. Storia e società 1838-1956, cit., p. 95.
13 Tale espressione indicava generalmente gli ebrei livornesi.
14 Paul Sebag, Histoire des juifs de Tunisie, Parigi, L’Harmattan, 1991, p. 111.
15 Secondo Lévy, l’individuazione dei due gruppi in base all’origine dei loro cognomi non è del tutto esaustiva, in quanto molti dei nomi citati avrebbero origini molto antiche e non si può del tutto escludere un’influenza iberica. Lionel Lévy, La communauté juive de Livourne, Parigi, L’Harmattan, 1996, p. 43.
16 Quartiere ebraico di Tunisi.
17 Paul Sebag, Histoire des juifs de Tunisie, cit., p. 209.
18 Ibidem, p. 210.
19 Y. Fracassetti Brondino, La stampa antifascista in Tunisia, “Il Corriere di Tunisi”. XXXV anniversario, cit., p. 19.
20 Il partito liberale costituzionale, fondato negli anni ’20, dopo lo scioglimento del partito tunisino in seguito agli incidenti del Gellas. Il destour, divenuto neo destour nel 1934, chiedeva l’emancipazione del popolo tunisino e la concessione di una costituzione con un parlamento eletto.
21 Tra i più noti antifascisti di origine ebraica vi erano Giulio Barresi, sua figlia Clelia, Guido Levi e Enrico Forti. Alcuni israeliti erano socialisti, come Alfonso Errera, mentre altri come i fratelli Ben Sasson, i fratelli Gallico e Marco Vais erano comunisti.
22 Daniel Carpi, L’atteggiamento italiano nei confronti delle ebrei della Tunisia durante la seconda guerra mondiale (giugno 1940- maggio 1943), “Storia Contemporanea”, 20, 6 (1989), p. 1196.
23 Ibidem, p. 1201.
24 Furono riunite le due comunità ebraiche: quella livornese e quella tunisina. Tuttavia gli ebrei italiani furono esclusi dalle cariche all’interno del consiglio direttivo, in quanto erano cittadini di uno stato che aveva dichiarato guerra alla Francia.
25 La famiglia Finzi era giunta in Tunisia nel 1830 per sfuggire alla persecuzione contro i patrioti che avevano partecipato ai moti per l’unità nazionale. Gli altri fondatori erano Augusto Bindi Sapelli e Nullo Casotti, l’unico che aveva una lunga esperienza come giornalista ed era responsabile dell’ufficio stampa del Consolato italiano.
26 Prima della seconda guerra mondiale la tipografia Finzi stampò anche numerosi periodici di tendenza fascista: “L’Azione”, “Il Risveglio”, “Il Reduce”, “Il Ghibli”, “Adunata”, “Scintilla”, “Tripoli”, “L’Africano”, “Il lavoratore di Tunisia”, “Cocodè”.
27 Ad esempio, gli attivisti comunisti Marco Vais e Maurizio Valenzi divennero rispettivamente caporedattore de “L’Unità” a Torino e sindaco di Napoli.
28 Intervista telefonica a Silvia Finzi, giugno 2003.
29 Silvia Finzi, Il Corriere di Tunisi, in Michele Brondino, La stampa italiana in Tunisia. Storia e società 1838-1956, cit.
30 A partire dal luglio del 1961 il governo tunisino si trova in una gravissima situazione di crisi con la Francia che rifiutava di evacuare la base militare di Biserta. Questa crisi troverà ampia eco nelle pagine del “Corriere di Tunisi”, come negli articoli: Il problema della base di Biserta e le relazioni tuniso- francesi, 8 luglio 1961; Assediata dai “Paras” e bombardata senza tregua dall’aviazione militare francese. Tragica situazione a Biserta. Il Presidente Burghiba lancia un appello all’O.N.U. e rompe le relazioni diplomatiche con la Francia, 22 luglio 1961; Biserta punto nevralgico fra due mondi. È necessario obbedire al Consiglio di Sicurezza e sostituire i militari con i diplomatici, 29 luglio 1961; I ministri Ladgham e Mokaddem a Parigi per Biserta. Possibile la prossima riapertura delle relazioni diplomatiche franco tunisine, 6 gennaio 1962; Lunedì a Parigi i ministri tunisini Ladgham e Makaddem. Inizio dei negoziati per la questione di Biserta, 13 gennaio 1962; Verso la ripresa delle relazioni franco tunisine, 23 giugno 1962; L’evacuazione della base aeronavale di Biserta, 30 giugno 1962; Il Presidente Burghiba ha presenziato alla Festa dell’Evacuazione, 14 dicembre 1963.
31 Intervista telefonica a Salwa Sayir, 30 maggio 2003, nell’ambito del programma radiofonico Mediterraneo in linea, trasmesso da Radio Press. Programma realizzato e condotto da Giuseppe Maria Continiello e Lucia Capuzzi.