Presenze in terra straniera. Esiti letterari in età moderna e contemporanea, a cura di Graziella Pagliano, Napoli, Liguori, 2005, 156 pp.
Arturo Giovannitti, , a cura di Martino Marazzi, Isernia, Cosmo Iannone, 2005, 380 pp.
L’accresciuta attenzione per tutti i risvolti culturali dell’emigrazione italiana ha ultimamente favorito un enorme recupero della letteratura italiana d’ambito migratorio. La raccolta poetica di Giovannitti Parole e sangue, uscita originalmente nel 1938 e oggi curata per il pubblico italiano da Martino Marazzi, ci permette di riscoprire un personaggio molto interessante: pastore protestante dopo la traversata oceanica, quindi agitatore sindacale e leader socialista, nonché oratore e giornalista, infine combattente antifascista, ma anche poeta, uomo di teatro e romanziere. E soprattutto, per quanto qui ci riguarda, autore politico e letterario in due lingue, anzi bilingue: con fenomeni di auto-traduzione e di elaborazione parallela nelle due lingue, che rendono quanto meno curiosa un’operazione per altro destinata al fallimento letterario, come da tempo lo stesso Marazzi ricorda (cfr. il suo Misteri di Little Italy, Milano, Franco Angeli Editore, 2001, pp. 87-90).
Giustamente Marazzi pone il problema del valore letterario e di quello storico- politico di tali produzioni. Questo è infatti il problema cruciale di simili recuperi, come risalta dalla lettura delle antologie oggi a disposizione per la letteratura italoamericana e per quella degli scrittori italiani negli Stati Uniti: in genere le opere di questi autori finiscono per essere studiate come documenti e non come testi, e non potrebbe essere altrimenti dato il loro scarso appeal letterario. Per chi vuole un esempio, è consigliata la lettura delle raccolte commentate da Francesco Durante (Italoamericana, 2 voll., Milano, Mondadori, 2001-2005), Regina Barreca (Don’t Tell Mama! The Penguin Book of Italian American Writing, New York, Penguin, 2002) e Martino Marazzi (Voices of Italian America, Madison, Farleigh Dickinson University Press, 2004), nonché della collana Transatlantica curata da Durante per l’editore Avagliano di Cava de’ Tirreni.
A tale conclusione molti critici si sono opposti cercando di rilanciare alcuni autori innalzati per una sorta di malinteso patriottismo allo status di maggiori: si pensi al recupero di John Fante, che per altro ha sempre goduto di ottima stampa fra i romanzieri e i letterati italiani (vedi al proposito l’apparato critico di Francesco Durante nei Romanzi e racconti di Fante pubblicati dai Meridiani Mondadori nel 2003). Alcuni, però, non hanno cercato di esaltare anche surrettiziamente il fascino letterario di questa produzione e hanno accettato tranquillamente che essa possa essere letta come corpus documentario piuttosto che per sue qualità intrinseche. Hanno tuttavia suggerito che per questa operazione bisogna allargare il focus dell’analisi e ricostruire tale produzione in tutta la sua vastità.
Quest’ultima ipotesi è corroborata da quattro saggi nel volume Presenze in terra straniera. In particolare, oltre alla ormai obbligatoria riflessione su Fante, qui firmata da Anna Teresa Romano Cervone, vi troviamo il recupero di un autore semi-dimenticato come Costantine Panunzio e il suggerimento di nuovi incroci analitici. Panunzio, riscoperto da Franco Suitner, insegna all’università dopo una fase di attivismo protestante e medita con interventi sociologici e autobiografici sulla questione dell’integrazione dell’immigrato (The Soul of an Immigrant, 1921; Immigration Crossroads, 1927). Non è un intellettuale isolato, ma ha il suo peso nella comunità accademica e tratta da pari a pari con esuli come Salvemini, che appoggia nella militanza antifascista. Il suo percorso documenta dunque l’inserimento ad alto livello di alcuni migranti e la loro autonomia culturale rispetto alla società di partenza e a quella di arrivo. Ugo Fracassa invece propone un altro tentativo: lavorare sul paradosso dell’estraneità leggendo Emanuel Carnevali non come un caso a sé, ma come un’esperienza paragonabile a quella di altri autori non italiani. In questo modo è possibile creare una griglia adattabile a tutta la letteratura emigrata, senza ghettizzarsi. Infine Caterina Ricciardi dipana una complicata mise en abîme storico-letteraria, ovvero affronta un romanzo, The Lost Father (1988), di una scrittrice londinese, nata da padre inglese e madre sposa di guerra pugliese, che ricostruisce l’emigrazione negli Stati Uniti del nonno che fugge a New York per motivi politici e quindi rientra in Puglia durante il fascismo, lasciando, però, parte del proprio cuore oltreoceano. Il romanzo, che tra l’altro si distingue per la sua qualità e per il suo successo nel Regno Unito, al contempo una descrizione storica (la Puglia del primo Novecento) e una ricerca, l’autrice subodora infatti che il racconto materno sul nonno non sia del tutto esatto. Inoltre è una riflessione sulla complessità della spinta migratoria: desiderio di fuga, motivazioni politiche e voglia di libertà contano quanto il bisogno economico; inoltre la tendenza a partire per i motivi di cui sopra si tramanda di generazione in generazione, tutte le figlie dell’antico migrante ripartono come spose di guerra. Stavolta siamo alle prese con un’opera che non ha solamente valore di documento, ma che sa ragionare sui documenti e sa farne il filo con cui imbastire un’operazione letteraria di successo. Sondare il corpus delle testimonianze italiane in America può quindi offrirci alcune sorprese se appena accettiamo di ampliare lo spettro di analisi e di non limitarci ad alcuni autori deputati.