1. L’economia dell’area aquilana negli anni ’80 dell’Ottocento: il progetto di sviluppo di Giuseppe Andrea Angeloni
Ancora alla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento l’Abruzzo aquilano presentava le produzioni tipiche dell’economia agro-pastorale, assai più diversificate rispetto a quelle caratteristiche del Mezzogiorno – consistenti soprattutto in grano, vino e olio – sulle quali si erano concentrati maggiormente gli interventi legislativi in materia di credito agrario negli anni post-unitari. Il sostegno a queste produzioni tipiche diffuse in tutta la provincia – dallo zafferano della zona di Navelli alla lana e ai prodotti caseari legati all’allevamento ovino dei circondari di Sulmona e Castel di Sangro – la cui necessità era stata avvertita sin dagli anni immediatamente successivi all’Unità, assumeva un significato del tutto particolare nel momento in cui, di fatto, si decideva della loro stessa sopravvivenza, a fronte della grave crisi economica che vivevano le aree dell’aquilano maggiormente legate ad esse1. In questo senso riveste particolare interesse rilevare lo scollamento tra le scelte di politica del credito adottate dai principali istituti dell’area e le battaglie che contemporaneamente venivano portate avanti nel Parlamento nazionale dal barone Giuseppe Andrea Angeloni, probabilmente la più interessante e completa figura di deputato proveniente dalla provincia dell’Aquila nel primo trentennio post-unitario2.
Originario di Roccaraso, all’estremità meridionale dell’aquilano, Giuseppe Andrea Angeloni apparteneva ad una delle più grandi famiglie della borghesia armentaria abruzzese (il titolo nobiliare fu riconosciuto alla famiglia solo nel 1881), il cui patrimonio si era accresciuto notevolmente con la soppressione della Dogana di Foggia e con la censuazione delle terre del Tavoliere, realizzate in età napoleonica3. Nato nel 1826, Angeloni fu avviato giovanissimo allo studio delle scienze agronomiche dal padre, che aveva riorganizzato i vasti possessi familiari in Abruzzo e in Puglia integrando l’attività agricola con quella zootecnica. A Napoli entrò in contatto con l’ambiente dei giovani liberali raccoltisi intorno a Basilio Puoti, partecipò attivamente alla breve esperienza costituzionale napoletana del 1848-49 e fu quindi costretto ad andare in esilio; rientrato in patria poco prima della spedizione dei Mille, fu attivo durante gli eventi insurrezionali del 1860 e successivamente nella fase di preparazione del plebiscito.
Colpito duramente nei suoi possedimenti dalle rappresaglie del brigantaggio dei primi anni post-unitari, Angeloni, grazie anche ai notevoli ampliamenti del patrimonio terriero realizzati successivamente con l’acquisto dei beni provenienti dall’Asse ecclesiastico, avviò una radicale riorganizzazione dell’attività dell’azienda familiare, realizzando una maggiore integrazione tra attività agricola e zootecnica. Tra l’altro, Angeloni fu uno dei primi imprenditori agro-zootecnici dell’aquilano ad adottare la rotazione tra il grano e la sulla, pianta leguminosa particolarmente adatta sia per arricchire il terreno di azoto che come foraggio per l’allevamento del bestiame; grazie a questo sistema di rotazione, poteva aumentare il numero dei capi allevati in regime stabulare e soprattutto si otteneva una crescita notevole delle rese, anche dei terreni di montagna, da circa 5 a oltre 30 volte la semente.
Al di là dell’incremento della produzione cerealicola, Angeloni realizzò anche un netto miglioramento qualitativo del patrimonio zootecnico, grazie al rinnovamento dei capi sia bovini, soprattutto mediante l’incrocio con esemplari importati dall’area danubiana, che ovini, che vennero a comporsi quasi esclusivamente di pecore di razza merinos. Successivamente Angeloni volse il suo impegno al miglioramento della manifattura dei prodotti. In particolare, per quanto riguarda la produzione casearia, introdusse delle tecniche di lavorazione che permisero la confezione di beni a minor grado di deperibilità, destinati quindi a mercati più ampi di quelli del solo consumo locale; per quanto riguarda invece la produzione laniera, egli impiantò piccole manifatture per compiere le prime fasi della lavorazione del prodotto, che pertanto non venne più commercializzato come grezzo ma come semilavorato.
In definitiva, tutto l’impegno di Angeloni come imprenditore si può sintetizzare nel tentativo di migliorare e modernizzare le produzioni più caratteristiche dell’area aquilana, ma sin dai primi anni dopo l’Unità, egli aveva maturato il convincimento che le possibilità di crescita dell’agricoltura e dell’allevamento della provincia e più in generale dell’Abruzzo e del Mezzogiorno continentale fossero destinate a restare compresse senza una decisa azione da parte dello Stato. Negli anni 1863-1865, Angeloni era intervenuto, pertanto, con alcuni scritti nel dibattito che accompagnava nel Paese la discussione, nel Parlamento nazionale, della Legge sull’affrancamento del Tavoliere. I provvedimenti assunti in età napoleonica avevano infatti sciolto le servitù gravanti sul Tavoliere e ne avevano concesso in enfiteusi perpetua vaste estensioni, prevedendo anche l’affrancamento per le terre salde a coltura, ma con la restaurazione borbonica era stata cancellata la possibilità dell’affrancamento e ripristinato il divieto di coltivazione delle terre salde a pascolo, sicché il problema dell’assetto colturale e del regime dei suoli del Tavoliere si era riproposto dopo l’Unità4.
Angeloni era convinto della necessita dell’affrancamento; affermava tuttavia che questo fosse solo un momento iniziale, che doveva essere seguito da altri interventi per la rinascita economica dell’area. Più precisamente, egli riteneva che l’abbandono del regime vincolistico dovesse avvenire gradualmente, allungando i tempi per il riscatto dei canoni enfiteutici della censuazione ed evitando una parcellizzazione dei fondi, ma soprattutto affermava che questo provvedimento dovesse promuovere anche la proprietà dei privati, contro quella delle municipalità, dei luoghi pii, degli enti morali, nonché la realizzazione di opere di bonifica e un riassetto dell’industria armentizia, con una parziale trasformazione della pastorizia transumante in stabulare, tema questo particolarmente importante per tutta la provincia dell’Aquila. Angeloni asseriva inoltre la necessità di contenere l’incremento dell’imposizione conseguente l’affrancamento, di prevedere l’esenzione da alcune imposte, di attivare linee agevolate di credito fondiario. Infine, in stretta connessione con un più ampio progetto di commercializzazione dei prodotti dell’area del Tavoliere e più in generale del Mezzogiorno continentale, egli sosteneva l’importanza di un rapido potenziamento delle strade ferrate in funzione dello sviluppo dell’agricoltura e della zootecnia meridionali.5
Eletto deputato nel collegio di Sulmona nel 1865, Angeloni rimase nel Parlamento sino alla morte, nel 18916; schieratosi all’opposizione, nella sinistra parlamentare, per un quarto di secolo ebbe parte nei più importanti dibattiti della Camera in materia di agricoltura, economia, finanza, lavori pubblici, ecc… Nei primi anni, intervenne soprattutto sui temi dell’imposizione fondiaria, dei poteri di istituto di emissione della Banca Nazionale, dei provvedimenti applicativi della Legge 26 febbraio 1865 per l’affrancamento del Tavoliere7, ma nel corso degli anni Settanta, l’attività parlamentare di Angeloni si concentra sul tema delle infrastrutture e in particolare sulla necessità dello Stato di promuovere la costruzione delle strade ferrate. La presentazione dei progetti di Legge del 2 maggio e del 10 dicembre 1874 sulle convenzioni di riscatto e sulla costruzione di alcune ferrovie, fornì l’occasione ad Angeloni per pubblicare un pamphlet destinato ad una ampia circolazione nel paese, La questione ferroviaria innanzi al Paese ed al Parlamento: idee e proposte presentate alla Commissione parlamentare ed al Ministero dei Lavori pubblici8, nel quale si fa specifico riferimento al problema dei trasporti in Abruzzo e nell’aquilano; questi provvedimenti non arrivarono mai alla discussione parlamentare, ma successivamente Angeloni fu un appassionato difensore del progetto di legge per la costruzione di nuove linee ferroviarie presentato il 18 maggio 1878 del ministro di Lavori Pubblici Alfredo Baccarini9.
Sin dal 1877, la Camera aveva eletto l’Angeloni membro della giunta che, sotto la guida di Stefano Jacini, doveva coordinare lo svolgimento dell’inchiesta agraria, di cui egli fu scelto come commissario per i territori della Puglia, dell’Abruzzo e del Molise. Il 23 settembre 1879 fu chiamato a far parte del Governo Cairoli come segretario generale del dicastero dei Lavori Pubblici, retto ancora dal Baccarini, carica che mantenne fino alla caduta del gabinetto il 29 maggio 1881. Dalle fila del Governo, Angeloni si batté strenuamente per la costruzione della più importante linea ferroviaria che avrebbe attraversato l’aquilano, cioè la Roma-Avezzano-Sulmona, che, mediante l’allaccio con la tratta Sulmona-Pescara, avrebbe finalmente collegato la provincia con la capitale nonché le due sponde della penisola all’altezza di Roma. Con questa linea, la cui costruzione fu approvata nel 1881, si realizzò la prima parte del progetto di costruzione della rete ferroviaria abruzzese auspicata da Angeloni, che prevedeva anche il completamento dell’asse longitudinale lungo il crinale appenninico, unendo alla linea Rieti-L’Aquila-Sulmona già esistente, anche una nuova tratta Sulmona-Carpinone-Isernia, eventualmente da proseguirsi in direzione di Napoli10.
L’argomento più forte portato da Angeloni a sostegno della costruzione di questa rete di infrastrutture era l’obiettivo di ridurre i costi di commercializzazione dei prodotti dell’entroterra abruzzese. Nelle conclusioni degli atti dell’inchiesta agraria, pubblicati nel 1884, egli individuava la causa della debolezza economica dell’Abruzzo interno nel livello eccessivamente alto dei costi di distribuzione delle produzioni tipiche: lana, pelli, zafferano, confetture, formaggi, prodotti della lavorazione dei metalli; per promuovere le produzioni locali era dunque necessario dotare l’entroterra di vie di comunicazione, ferrovie e strade11.
Il collegamento fra Roma e Sulmona fu inaugurato il 29 luglio 1888; successivamente, sempre sostenendo l’importanza di queste infrastrutture in termini di crescita economica dell’area e della regione, Angeloni ottenne anche l’approvazione della costruzione dell’asse longitudinale, che fu completato nel 1897. Il progetto di sviluppo dell’aquilano sostenuto dal deputato peligno nel ventennio tra l’Unità e il principio degli anni Ottanta, si compì, dunque, sotto il profilo della realizzazione delle linee ferroviarie, nei due lustri intercorsi tra l’inaugurazione della Roma-Sulmona nel 1888 e quella della Sulmona-Carpinone-Isernia nel 1897; esso però si rivelò subito assolutamente insufficiente per riequilibrare il rapporto tra popolazione e risorse nell’area dell’entroterra abruzzese, giacché, rispetto al ventennio precedente, molte cose apparivano ormai cambiate12.
A partire dagli anni Ottanta, la concorrenza delle lane prodotte fuori dall’Italia e la crisi dell’agricoltura hanno definitivamente messo fuori gioco sia l’industria dell’allevamento, sia la gracile cerealicoltura delle zone di alta e media quota. Angeloni puntava a ridurre i costi di commercializzazione dei prodotti con la realizzazione delle infrastrutture, ma fu la crescita relativa dei loro costi di produzione a porli al di fuori del mercato, indicando nelle tecniche di produzione l’altro campo nel quale si sarebbe dovuto orientare più massicciamente l’intervento dello Stato e delle banche locali in questa zona13.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che il progetto di Angeloni non rispondesse ad una coerente logica economica o non fosse aderente alle condizioni dell’area, ma il problema è che quando la ferrovia arriva anche nelle zone più remote della provincia dell’Aquila, non vi sono più, praticamente, prodotti da commercializzare, perché il mancato processo di modernizzazione delle forme di produzione li ha già spinti fuori mercato. È in questo punto che si deve situare il mancato incontro tra banche locali ed economia dell’area aquilana: nel corso degli anni Ottanta non vi è nessun investimento sistematico da parte degli istituti di credito locali nel miglioramento delle tecniche colturali, della zootecnia, delle manifatture.
2. La crisi di fine secolo: i dati dell’inchiesta Jarach
Ampliando l’orizzonte degli interventi promossi da Angeloni a favore della provincia dell’Aquila, è facile far rientrare il suo progetto di crescita dell’area aquilana attraverso lo sviluppo delle ferrovie nell’interpretazione data da Rosario Romeo delle scelte compiute dalla classe politica liberale per la costruzione di una rete di infrastrutture indipendente dall’immediata ricaduta produttiva ed economica dell’indotto ferroviario14. Tuttavia Angeloni riteneva che le ferrovie interne avrebbero svolto immediatamente un ruolo importante, oltre che nel promuovere la conoscenza dell’Abruzzo interno e il turismo nell’area15, soprattutto nel favorire il movimento migratorio stagionale, di cui esaltava il legame con la crescita delle produzioni locali, come ebbe a sottolineare intervenendo alla Camera dei Deputati sul progetto di linea Roma-Avezzano-Sulmona: “Ognuno sa che Roma è in continui contatti con la regione posta al suo oriente, ove si provvede specialmente di operai campestri necessari alla coltivazione delle sue terre e onde ritrae la maggior parte delle produzioni alimentari; contatti e produzioni che si moltiplicheranno in mille doppi quando [Roma] sarà messa in contatto celere con le fertili valli dell’Aniene, le nuove terre del Fucino, la valle di Sulmona e del Pescara. I vantaggi del collegamento celere non hanno bisogno di maggiori dimostrazioni”16.
In realtà, i nuovi collegamenti ferroviari, lungi dal realizzare i progressi attesi nell’ambito della circolazione delle merci e degli uomini all’interno del mercato economico regionale e tra l’Abruzzo e le regioni circostanti, svolsero un ruolo non secondario nel favorire l’esodo migratorio. La stessa Società Strade Ferrate Meridionali, concessionaria delle linee abruzzesi, per incentivare questo tipo di utenza ferroviaria tra i centri dell’Abruzzo e Napoli, principale punto d’imbarco per l’emigrazione transoceanica, adottò una politica tariffaria particolarmente mite e introdusse dei vagoni di quarta classe scoperti e senza sedili; in seguito, al principio del nuovo secolo, furono anche previste delle particolari forme di riduzione sul prezzo dei biglietti riservata agli emigranti17.
Il tema dell’emigrazione riconduce a trattare degli aspetti creditizi della crisi dell’economia dell’area aquilana, giacché con questo fenomeno si attiva un circuito creditizio diverso e parallelo a quello delle banche, alimentato dal meccanismo delle rimesse e del risparmio postale. In questo senso, la situazione del credito dell’area più interna dell’Abruzzo negli anni a cavallo del cambio di secolo trova la sua descrizione più sintetica e immediata – nonché a tratti davvero drammatica – nella relazione di Cesare Jarach pubblicata nel 1909 all’interno degli Atti dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini meridionali, relazione che si concentra soprattutto sui problemi del credito agrario, ma che getta una luce abbastanza precisa sull’intero settore18.
L’analisi di Jarach muove dalla constatazione della situazione critica in cui versano i proprietari abruzzesi, soprattutto a causa della caduta della rendita agricola, e si domanda sia quali conseguenze possa avere tale situazione in termini di variazione dell’indebitamento ipotecario e più in generale di crescita del complessivo indebitamento, sia quali risposte sappia offrire a questi problemi il sistema creditizio locale. I conservatori delle ipoteche dei circondari della regione forniscono un’indicazione di massima – sulla quale tuttavia lo stesso Jarach è estremamente cauto – della direzione di questa variazione: negli anni precedenti l’inchiesta – si può assumere negli anni intorno al cambio di secolo – il debito ipotecario diminuirebbe nella provincia di Chieti e sarebbe stazionario in quella di Teramo, mentre all’interno della provincia dell’Aquila sarebbe ancora stabile nei circondari dell’Aquila e di Avezzano e in crescita soltanto in quelli di Cittaducale e Sulmona. La spiegazione che gli stessi conservatori forniscono relativamente a questi ultimi due circondari è legata per l’area di Cittaducale al terremoto del 1898, che avrebbe causato l’accensione di numerosi debiti garantiti da ipoteca, e per l’area di Sulmona al fenomeno dell’acquisto delle terre da parte degli emigranti, che in genere comprano le proprietà con una somma risparmiata e mediante l’accensione di un mutuo di cui pagano le rate attraverso le rimesse.
Le difficoltà dei proprietari non si traducono dunque in un massiccio ricorso ai mutui ipotecari e questo dato trova conferma nel fatto che i risultati della statistica ufficiale del debito ipotecario fruttifero al 31 dicembre 1903, commentati da Jarach, indicano che la regione Abruzzi e Molise occupa il quattordicesimo posto nella graduatoria decrescente delle regioni italiane per ammontare del debito ipotecario e il nono nella graduatoria decrescente per numero di iscrizioni ipotecarie. Considerando poi il debito ipotecario in rapporto alla popolazione e alla superficie, si registra per gli Abruzzi e Molise, sempre in base alla statistica ufficiale del 1903, un importo per abitante di 37,97 lire e per chilometro quadrato di 3.507,09 lire, entrambi valori sensibilmente al di sotto della media italiana pari a 92,29 lire per abitante e a 10.615,91 lire per chilometro quadrato; infine, nella graduatoria decrescente per valore medio di iscrizione ipotecaria, la regione si colloca all’ultimo posto. Passando alla distribuzione provinciale del debito ipotecario – ciò che consente di distinguere dai dati regionali, comprensivi della provincia di Campobasso, quelli relativi alla sola area abruzzese – si ottengono i valori sintetizzati nelle tavole 1 e 2.
Tavola 1 – Ammontare del debito ipotecario e numero delle iscrizioni ipotecarie nelle province dell’Aquila, di Chieti e di Teramo al 31 dicembre 1903. | ||
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province |
ammontare del debito ipotecario
|
numero delle iscrizioni
|
|
||
L’Aquila |
13.262.725
|
6.637
|
Teramo |
12.656.229
|
6.044
|
Chieti |
16.790.271
|
11.726
|
totale |
42.709.225
|
24.407
|
|
||
Fonte: elaborazioni su dati citati in Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle Provincie Meridionali e nella Sicilia – Il credito, vol. II, Abruzzo e Molise, tomo I, Relazione del delegato tecnico Dott. Cesare Jarach,Roma 1909. |
Tavola 2 – Debito ipotecario per abitante e per km2 e valore medio per iscrizione ipotecaria nelle province dell’Aquila, di Teramo e di Chieti al 31 dicembre 1903. | |||
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|||
province |
debito ipotecario
per abitante |
debito ipotecario
per km2 |
valore medio
per ipoteca |
|
|||
L’Aquila |
33,44
|
2.060,71
|
1.999,30
|
Teramo |
40,54
|
4.577,30
|
2.094.02
|
Chieti |
43,32
|
5.697,41
|
1.431,89
|
totale |
38,95
|
3.515,75
|
1.749,88
|
|
|||
Fonte: la stessa della tavola 1. |
Se poi si integrano i dati sui mutui ipotecari presentati nell’inchiesta agraria con quelli relativi agli sconti e alle anticipazioni cambiarie, rilevate in anni precedenti negli Annali di Statistica, riportati nelle tavole 3 e 4, si verifica che anche il movimento degli effetti nelle province abruzzesi è in genere di molto inferiore a quello mediamente registrato nelle complesso di tutte le regioni italiane. L’unica eccezione è costituita dagli sconti cambiari effettuati dalle banche di credito cooperativo e dalle banche popolari della provincia di Teramo19.
Tavola 3 – Movimento degli sconti per abitante nelle province abruzzesi e in Italia negli anni 1889-90. | ||||
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||||
istituti di credito |
provincia dell’aquila
|
provincia
di teramo |
provincia
di chieti |
italia
|
|
||||
Banca Nazionale del Regno | ||||
|
||||
– 1889 |
12,55
|
23,94
|
19,64
|
99,43
|
|
||||
– 1890 |
13,76
|
25,63
|
13,61
|
91,83
|
|
||||
Credito cooperativo e banche popolari | ||||
|
||||
– 1889 |
21,11
|
51,07
|
17,46
|
44,46
|
|
||||
– 1890 |
21,35
|
55,67
|
14,92
|
40,50
|
|
||||
Società ordinarie di credito | ||||
|
||||
– 1889 |
7,36
|
= =
|
3,10
|
141,57
|
|
||||
– 1890 |
7,06
|
= =
|
2,50
|
130,80
|
|
||||
Fonte: Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Annali di Statistica, fascicolo LIV, Notizie sulle condizioni industriali delle Province di Aquila, Chieti e Teramo, Roma 1895, pp. 13, 52 e 112. |
Tavola 4 – Movimento delle anticipazioni per abitante nelle province abruzzesi e in Italia negli anni 1889-90. | |||||||
|
|||||||
istituti di credito |
provincia dell’aquila
|
provincia
di teramo |
provincia
di chieti |
italia
|
|||
|
|||||||
Banca Nazionale del Regno |
|||||||
|
|||||||
– 1889 |
2,45
|
0,73
|
2,22
|
2,64
|
|||
|
|||||||
– 1890 |
2,48
|
0,60
|
1,78
|
2,96
|
|||
|
|||||||
Credito cooperativo e banche popolari |
|||||||
|
|||||||
– 1889 |
0,15
|
0,23
|
0,38
|
0,77
|
|||
|
|||||||
– 1890 |
0,29
|
0,22
|
0,34
|
0,70
|
|||
|
|||||||
Società ordinarie di credito |
|||||||
|
|||||||
– 1889 |
0,11
|
= =
|
0,01
|
0,87
|
|||
|
|||||||
– 1890 |
0,04
|
= =
|
0,02
|
0,69
|
|||
|
|||||||
Fonte: la stessa della tavola 3. |
“È frequentissimo udire lamentare, nelle province degli Abruzzi e del Molise, la deficienza di capitale”. A questa affermazione Jarach ne fa subito seguire un’altra in apparente contraddizione, ma il cui reale significato viene presto chiarito: “la maggior parte degli istituti di credito lamenta l’abbondanza dei depositi, per i quali difettano i campi di utili investimenti”. Tale è l’offerta di depositi che molte banche sono costrette a rifiutarli e che, in ogni caso, essi sono largamente impiegati in rendita: nel 1907 la Banca Agricola Industriale Cooperativa di Sulmona ha depositi per tre milioni e oltre 800.000 lire investite in titoli emessi o garantiti dallo Stato; la Banca Popolare di Alfedena ha depositi per due milioni e 444.000 lire investite in titoli emessi o garantiti dallo Stato; la Cassa Popolare Cooperativa di Popoli ha 336.000 lire di depositi e 111.000 lire investite in titoli emessi o garantiti dallo Stato; la Banca di Sconto di Città Sant’Angelo ha 440.000 lire di depositi e 117.000 lire investite in titoli dello Stato; la Banca Mutua Popolare di Teramo ha 4.014.000 lire di depositi e ben 1.900.000 lire di Buoni del Tesoro, ecc. La situazione di esuberanza di capitali sui possibili investimenti riguarda un po’ tutti gli istituti di credito abruzzesi, anche quelli che praticano rispetto agli altri dei saggi di sconto più bassi, sebbene mediamente nella regione si applichino sempre tassi elevati, compresi tra il 5% e il 10%.
Anche per quanto riguarda più specificamente il credito agrario, Jarach osserva che sussiste una situazione di abbondanza di capitale disponibile. Escluse le tradizionali strutture dei monti frumentari e delle casse di prestanze agrarie, “organi atrofici o paralitici”, a praticare il credito agrario sono innanzitutto le casse rurali, presenti, al principio del secolo, in numero di una nella provincia di Chieti, due in quella di Teramo e 16 in quella dell’Aquila. Il giudizio su questi istituti è positivo: “…laddove esiste una Cassa rurale è evidente il maggior grado di progresso agrario, il più diffuso consumo di concimi, la più estesa coltura delle foraggiere leguminose, l’uso di qualche aratro perfezionato, etc.”, ma anche per essi si riscontra un modesto esercizio del credito agrario a fronte di larghe disponibilità di cassa.
Il credito agrario è anche esercitato dai consorzi e dai sindacati agrari, che accettano cambiali con un interesse annuo del 5% o vendono in conto corrente, grazie alle dilazioni nel pagamento concesse dalle ditte fornitrici. Jarach giudica l’attività dei consorzi e dei sindacati più consistente rispetto a quella delle casse rurali (ad esempio negli anni 1906 e 1907 il Sindacato agrario di Teramo accettò cambiali per circa 31.000 lire e 51.000 lire, e fece vendite in conto corrente per circa 192.000 lire e 362.000 lire), ma comunque limitata, anche perché per l’attività di risconto delle cambiali questi istituti si servono più delle banche locali, che non del Banco di Napoli, potenzialmente il principale esercente il credito agrario nell’area. Gli istituti locali, infatti, non praticano saggi più bassi, ma richiedono minori formalità rispetto al Banco di Napoli, e ciò spiega anche perché l’esercizio del credito agrario da parte di quest’ultimo sia decisamente modesto (ad esempio ancora nel 1906 il Banco di Napoli non svolse operazioni di credito di questo tipo nella provincia di Chieti, ne fece in quella di Teramo per 36.470,20 lire e in quella dell’Aquila per 257.866,19 lire).
Complessivamente casse rurali, consorzi e sindacati agrari, banche locali abilitate alla pratica del prestito agrario, esprimono un’offerta di questa forma di credito minore rispetto alle loro potenzialità, anche se a tutto questo si deve poi aggiungere quella parte del credito ordinario che viene comunque destinato all’agricoltura. Soprattutto i grandi proprietari, che godono della fiducia del mercato, preferiscono chiedere prestiti agli istituti di credito ordinario per evitare di assolvere le formalità richieste dal credito agrario, anche se questo comporta il pagamento di un saggio d’interesse maggiore.
Se presso tutti gli istituti abruzzesi “non difetta il capitale disponibile, …. ché anzi esso è piuttosto abbondante”, cosa crea dunque la situazione di “deficienza di capitale” così spesso lamentata? La risposta che dà Jarach tende a distinguere contadini da una parte e proprietari “dissestati” dall’altra: “i contadini, la clientela più numerosa, hanno denaro per comprare a contanti”, mentre invece è “la classe dei proprietari dissestati che reclama ad alta voce un esercizio meno limitato del credito agrario, che afferma il bisogno più facilmente accessibile, sfrondandolo delle ingombranti formalità di cui è attualmente circondato”, formalità che sono individuate soprattutto nella eccessiva pubblicità del credito agrario – che rischia di diminuire il prestigio sociale dei proprietari mostrando la loro esposizione debitoria – e nel fatto che il credito agrario è in merci, mentre i proprietari vorrebbero denaro liquido, perché i prestiti che vorrebbero richiedere sarebbero in realtà destinati al consumo e non all’agricoltura.
Jarach è particolarmente efficace nel sottolineare l’atteggiamento dei proprietari terrieri che vorrebbero accedere a denaro a basso costo per sostenere il livello dei consumi, alle condizioni generali del credito ordinario e con i tassi praticati per quello agrario, ma allo stesso tempo sottolinea implicitamente gli alti saggi d’interesse praticati dagli istituti di credito ordinario, al quale non è detto che si ricorresse solo per sostenere i consumi e non anche con finalità produttive. Inoltre, non tutti ritenevano che i tassi d’interesse praticati per il credito agrario fossero bassi, come il tono di Jarach sembra far pensare: negli stessi anni dell’inchiesta, ad esempio, il segretario della Camera di Commercio della provincia dell’Aquila scrive: “solamente tre istituti di credito agrario funzionano nella nostra Provincia, il Consorzio agrario e la Cassa di Risparmio dell’Aquila, la Banca Popolare Agricola di Sulmona; grandissimo aiuto per gli agricoltori potrebbe essere la Cassa di Risparmio se facilitasse loro i prestiti e riducesse il tasso d’interesse, che è veramente eccessivo, non corrispondente alla natura dell’Ente” 20.
In definitiva, nel campo del credito ordinario i tassi d’interesse sono troppo alti e scoraggiano la richieste di denaro, nella formula del debito tanto ipotecario che cambiario; nel campo del credito agrario, invece, possono essere praticate condizioni migliori, ma per ragioni diverse, né i contadini da una parte, né i proprietari dall’altra vi ricorrono. È, però, ancora da sottolineare, in quest’analisi, il motivo addotto per spiegare perché i contadini non richiedono, o richiedono molto poco, il credito agrario: “coll’emigrazione il contadino si è messo generalmente in condizione di non aver bisogno di ricorrere al piccolo prestito”.
A partire dagli anni ’70 dell’Ottocento, infatti, l’emigrazione è venuta a stravolgere qualsiasi precedente assetto della vita sociale ed economica dell’Abruzzo. Senza entrare nell’anali delle fasi di questo fenomeno, delle sue cause e della sua distribuzione territoriale21, è sufficiente qui ricordare che tra il censimento del 1871 e quello del 1881 l’emigrazione abruzzese è di 26.900 unità, un valore superiore al saldo migratorio complessivo dell’intero Mezzogiorno e che costituisce circa il 3% dell’intera popolazione regionale presente al 1881, mentre nel successivo ventennio l’emigrazione sfiora le 200.000 unità, pari ad oltre l’11% rispetto al totale delle regioni meridionali e a poco meno del 20% della popolazione regionale presente nel 190122.
Con l’avvio dell’emigrazione si innesca anche il fenomeno dell’invio delle rimesse; è questo l’aspetto che lega la storia del credito ai movimenti migratori della regione o, per meglio dire, che evidenzia il ruolo svolto dagli emigranti all’interno del processo di crescita economica dell’Abruzzo. Sino ad ora è stato studiato in particolare il ruolo che in quest’area ha svolto il Banco di Napoli, che aveva ricevuto dallo Stato la concessione del servizio di trasmissione in patria del risparmio degli emigrati, sia direttamente, attraverso la succursale di Chieti e le agenzie dell’Aquila e di Teramo23, sia per tramite di banche corrispondenti locali, come la Banca Popolare Cooperativa Marsicana per l’area di Avezzano, la Banca Agricola Industriale Cooperativa di Sulmona per la conca peligna, la Banca Popolare di Alfedena per l’area più meridionale della provincia aquilana, ecc24.
Grazie agli istituti locali, il Banco di Napoli riuscì a realizzare sul territorio un servizio capillare di recapito delle rimesse, anche perché molti di questi istituti avevano anche filiali o propri incaricati in centri diversi da quelli dove avevano sede, coprendo così un’area ancora più ampia. Ad esempio nel 1902 la Banca Popolare Cooperativa di Pollutri, in provincia di Chieti, si impegnò nei confronti del Banco di Napoli ad estendere il servizio di pagamento dei vaglia nei paesi limitrofi di Casalbordino, Capello e Monteodorisio, inviando un proprio incaricato e ricorrendo al servizio postale solo in casi estremi25.
Il Banco di Napoli, per espletare questo servizio, ricorse spesso anche a ditte bancarie e a singoli fiduciari, che operavano da soli o in accordo con gli istituti locali. Per avere un’idea della ampiezza della rete di contatti che richiedeva questo sistema per funzionare, si consideri a titolo di esempio che la Ditta Antonio Napoleone e figlio s’impegnò a pagare direttamente i vaglia a Ortona a mare e tramite un fiduciario a Fossacesia, e che il Banco di Lanciano assunse la stessa incombenza direttamente a Lanciano e tramite un fiduciario a Castelfrentano, Guardiagrele, S. Vito Chietino, Torino di Sangro, S. Eusanio del Sangro, Frisia, Paglieta, S. Maria Imbaro, Rocca S. Giovanni, Treglio, Altino, Crecchio; nella stessa area era attiva anche la Banca Popolare Cooperativa di Lanciano, che, oltre a Lanciano, s’impegnava a pagare i vaglia a Mezzagrogna, Casoli, Bomba, Orsogna e Atessa. Ancora nella provincia di Chieti, la Banca Cooperativa di Lama dei Peligni provvedeva direttamente al pagamento dei vaglia a Lama e tramite fiduciari a Taranta Peligna, Palena, Lettopalena, Civitella Messer Raimondo, Fara S. Martino. Nella provincia di Teramo, la Banca Popolare Cooperativa di Nereto pagava direttamente a Nereto e tramite fiduciari a Ancarano, Colonnella, Controguerra, S. Egidio alla Vibrata, S. Omero, Teramo Nuovo, ecc. 26.
Frequentemente le stesse banche presso le quali avveniva la riscossione dei vaglia delle rimesse raccoglievano l’intero risparmio delle famiglie degli emigranti in attesa di essere impiegati. A partire dagli anni Ottanta, il flusso delle rimesse degli emigranti favorì la formazione di una rete di istituti locali, generalmente inquadrati nella struttura delle banche popolari o di credito cooperativo. All’inizio del nuovo secolo le banche di questo tipo sono 13 nella provincia dell’Aquila, lo stesso numero in quella di Teramo e quasi il doppio, esattamente 27, in quella di Chieti. Alla stessa data sono attive 14 casse di risparmio, fondate tutte, con la sola eccezione della Cassa di risparmio di Civitella Casanova, entro il principio degli anni Ottanta, e concentrate prevalentemente nella provincia di Teramo. Le banche di credito ordinario sono soltanto cinque in tutte e tre le province: la Cassa di Sconto di Aquila (fondata nel 1875), la Banca Marsicana in Avezzano (1884), la Banca di Pescara (1883), la Cassa di Sconto di Teramo (1889), la Banca di Sconto di Città Sant’Angelo (1896)27.
Utilizzando poi i dati della Banca d’Italia sui bilanci degli istituti di credito italiani dal 1890 al 1936 è possibile osservare alcune interessanti regolarità riferite alle banche abruzzesi per gli anni 1890, 1900 e 191028. Le banche ordinarie presentano nei tre anni di riferimento una sostanziale stabilità nelle quote di attivo riconducibili al portafoglio e ai titoli, pari rispettivamente a circa un terzo e al 6-8%; triplicano invece gli effetti da incassare e le sofferenze passano dal 31% al 6%. Al passivo, cresce la raccolta dei depositi, che passa dal 30% al 40% e si dimezza il valore del patrimonio sul totale dal 32% al 16%. Nel caso delle banche popolari il peso percentuale del portafoglio si riduce del 10% sul totale dell’attivo, passando dal 62% al 52%, e quello dei titoli raddoppia dal 7% al 14%; al passivo anche per questo tipo di istituti si ha una riduzione della percentuale del patrimonio e un aumento del peso dei depositi che raggiungono nel 1910 il 70% del totale. Per quanto riguarda poi le casse di risparmio, si osserva all’attivo in forma ancor più pronunciata la stessa trasformazione rilevata per le banche popolari, cioè si riduce il peso del portafoglio e cresce quello dei titoli; al passivo, al contrario, cresce il valore del patrimonio e si riduce la massa dei depositi, che comunque raggiunge nel 1910 ancora il 74% del totale.
Nonostante le regolarità riscontrate, le tre tipologie di istituti di credito presentano dunque andamenti non del tutto coincidenti; se però si considera il complesso delle aziende di credito abruzzesi, sempre negli anni di riferimento 1890, 1900 e 1910, si rileva che i diversi andamenti tendono a compensarsi e a comporre una tendenza piuttosto stabile: all’attivo si ha una riduzione del portafoglio dal 58% al 46% mentre cresce il peso dei titoli dal 7% al 18%; al passivo il patrimonio passa dal 16% al 12% e i depositi fiduciari crescono dal 67% al 71%. In definitiva, le banche abruzzesi crescono grazie alla maggior raccolta dovuta alle rimesse, ma non vi sono segnali di un aumento del loro impegno nello sviluppo economico locale, come testimonia peraltro il peso contenuto e sostanzialmente costante sul 5-7% dell’attivo dei mutui.
Se all’emigrazione è riferibile, attraverso le rimesse, la crescita delle banche locali, ben maggiore è l’effetto che questo fenomeno ebbe sul risparmio postale. Le Casse di risparmio postali, attive a partire dal 1875, costituivano naturalmente quella rete capillare di diffusione delle rimesse, attraverso l’uso dei vaglia, e di raccolta del risparmio, che, con i passaggi che si sono visti, faticosamente realizzava il Banco di Napoli attraverso le banche locali e i fiduciari, e talora anche attraverso le stesse casse di risparmio postale. Non è facile un’esatta quantificazione della percentuale di depositi postali riconducibili alle rimesse, ma il legame emigrazione-rimesse-risparmio postale è ben documentato29 e i dati relativi alle tre province d’Abruzzo dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento documentano la forte crescita della raccolta postale30.
Tavola 5 – Raccolta postale degli anni 1889-1909 per le tre province d’Abruzzo, valori assoluti e percentuali. | |||||||
|
|||||||
anni |
provincia
dell’aquila valori assoluti |
provincia
di chieti valori assoluti |
provincia
di teramo valori assoluti |
totale
|
provincia
dell’aquila valori percentuali |
provincia
di chieti valori percentuali |
provincia
di teramo valori percentuali |
|
|||||||
1889 |
982.911
|
1.475.879
|
737.532
|
3.196.322
|
30,75
|
46,17
|
23,07
|
1890 |
1.118.554
|
1.716.606
|
797.975
|
3.633.135
|
30,79
|
47,25
|
21,96
|
1891 |
1.277.066
|
1.800.572
|
809.962
|
3.887.600
|
32,85
|
46,32
|
20,83
|
1892 |
1.364.751
|
1.987.171
|
812.202
|
4.164.124
|
32,77
|
47,72
|
19,50
|
1893 |
1.494.067
|
2.125.835
|
870.597
|
4.490.499
|
33,27
|
47,34
|
19,39
|
1894 |
1.481.426
|
2.080.898
|
896.406
|
4.458.730
|
33,23
|
46,67
|
20,10
|
1895 |
1.491.608
|
2.113.338
|
910.511
|
4.515.457
|
33,03
|
46,80
|
20,16
|
1896 |
1.465.951
|
2.028.913
|
914.025
|
4.408.889
|
33,25
|
46,02
|
20,73
|
1897 |
1.908.354
|
2.471.940
|
1.090.413
|
5.470.707
|
34,88
|
45,19
|
19,93
|
1898 |
2.238.134
|
2.791.286
|
1.148.571
|
6.177.991
|
36,23
|
45,18
|
18,59
|
1899 |
2.719.799
|
3.288.689
|
1.326.144
|
7.334.632
|
37,08
|
44,84
|
18,08
|
1900 |
3.006.072
|
3.869.923
|
1.305.380
|
8.181.375
|
36,74
|
47,30
|
15,96
|
1901 |
2.804.847
|
3.799.620
|
1.194.173
|
7.798.640
|
35,97
|
48,72
|
15,31
|
1902 |
3.128.592
|
4.219.096
|
1.294.767
|
8.642.455
|
36,20
|
48,82
|
14,98
|
1903 |
4.124.044
|
5.125.808
|
1.706.366
|
10.956.218
|
37,64
|
46,78
|
15,57
|
1904 |
4.439.900
|
5.637.804
|
2.139.434
|
12.217.138
|
36,34
|
46,15
|
17,51
|
1905 |
4.451.990
|
6.084.807
|
2.411.298
|
12.948.095
|
34,38
|
46,99
|
18,62
|
1906 |
5.202.075
|
7.293.932
|
3.006.655
|
15.502.662
|
33,56
|
47,05
|
19,39
|
1907 |
5.922.786
|
8.094.161
|
4.042.011
|
18.058.958
|
32,80
|
44,82
|
22,38
|
1908 |
2.790.160
|
4.755.263
|
1.900.435
|
9.445.858
|
29,54
|
50,34
|
20,12
|
1909 |
680.002
|
2.822.446
|
449.054
|
3.951.502
|
17,21
|
71,43
|
11,36
|
|
|||||||
Fonte: elaborazioni su dati tratti da Ministero delle Poste e dei Telegrafi, Relazione statistica intorno ai servizi postali e telegrafici etc., Roma, anni1889-1909 (la raccolta postale è calcolata come depositi attivi al 31 dicembre, comprensivi degli interessi maturati e al netto dei depositi rimborsati durante l’anno). |
Tavola 6 – Raccolta postale nella provincia dell’Aquila e i depositi a risparmio della Cassa di risparmio dell’Aquila, anni 1895-1914. |
|||||||
|
|||||||
anni | raccolta postale (1) |
cassa di risparmio (2) |
% 1 su 2 |
anni | raccolta postale (1) |
cassa di risparmio (2) |
% 1 su 2 |
|
|||||||
1895 |
1.491.608
|
4.047.050
|
36,86
|
1905
|
4.451.990
|
6.653.108
|
66,92
|
1896 |
1.465.951
|
3.941.969
|
37,19
|
1906
|
5.202.075
|
7.481.971
|
69,53
|
1897 |
1.908.354
|
4.115.548
|
46,37
|
1907
|
5.922.786
|
6.957.490
|
85,13
|
1898 |
2.238.134
|
4.290.245
|
52,17
|
1908
|
2.790.160
|
6.818.142
|
40,92
|
1899 |
2.719.799
|
4.489.882
|
60,58
|
1909
|
680.002
|
6.847.328
|
9,93
|
1900 |
3.006.072
|
4.757.254
|
63,19
|
1910
|
12.915.977
|
7.139.644
|
180,91
|
1901 |
2.804.847
|
5.085.966
|
55,15
|
1911
|
14.458.835
|
7.272.206
|
198,82
|
1902 |
3.128.592
|
5.309.151
|
58,93
|
1912
|
15.208.069
|
7.368.748
|
206,39
|
1903 |
4.124.044
|
5.772.622
|
71,44
|
1913
|
16.642.671
|
7.361.704
|
226,07
|
1904 |
4.439.900
|
6.175.130
|
71,90
|
1914
|
16.557.934
|
6.876.170
|
240,80
|
|
|||||||
Fonte: per i dati sul risparmio postale la stessa della tavola 7; per i dati sui depositi a risparmio della Cassa di risparmio dell’Aquila Bilanci della Cassa di risparmio dell’Aquila, anni 1895-1914. |
Di particolare interesse per evidenziare il ruolo notevolissimo del risparmio postale all’interno del sistema creditizio abruzzese, è il confronto tra i dati della raccolta postale nella provincia dell’Aquila e quelli dei depositi attivi presso la Cassa di risparmio dell’Aquila, principale istituto dell’area per raccolta e impieghi. Il confronto tra le due serie di dati mostra che nel tempo cresce il peso del risparmio postale rispetto alla raccolta effettuata dalla Cassa di risparmio, con la sola fase della caduta del flusso delle rimesse negli anni 1908-09, seguita, però, da una forte ripresa e anzi dal superamento della consistenza dei depositi postali rispetto ai depositi della Cassa.
3. Conclusioni
Un tema ricorrente nella storia del credito nel Mezzogiorno negli anni tra l’Unità e la prima Guerra Mondiale è la difficoltà incontrata dagli istituti bancari e dalle Casse di risparmio, nonostante gli sforzi compiuti su diversi piani e in varie forme, per realizzare una stabile interazione con le economie locali, avviando o sostenendo un circolo virtuoso di trasformazione, crescita e sviluppo del territorio. Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questa interazione sono, com’è noto, di varia natura – politici, amministrativi, sociali, dovuti alla difficoltà di individuazione degli strumenti per operare, ecc. – e segnano la storia dello sviluppo di un sistema del credito nelle regioni meridionali ben al di là del periodo cui si fa qui riferimento: il mancato sviluppo economico che si registra nel Mezzogiorno, soprattutto tra la fine degli anni Ottanta e il principio del decennio successivo, concorre in forma decisiva, infatti, ad avviare il fenomeno dell’emigrazione e ad attivare, con esso, un circuito creditizio diverso e parallelo a quello delle banche, alimentato dal meccanismo delle rimesse e del risparmio postale.
Note