Un paese, l’Argentina, di lunghissima tradizione immigratoria dalla penisola, al quale in circa dieci anni, tra il 1947 e la seconda metà degli anni Cinquanta, approdano oltre 400.000 italiani; una nuova fase, quella postbellica, nella storia delle migrazioni internazionali, caratterizzata dall’intervento massiccio dello stato nella gestione dei flussi; una documentazione ricca e in larga misura inedita, proveniente da archivi pubblici e privati, argentini e italiani. Sono gli ingredienti che consentono a Lucia Capuzzi di sbozzare questo originale “profilo politico e sociale dell’immigrazione italiana in Argentina nel secondo dopoguerra”, che ha il merito non piccolo di costituire il primo studio organico su una vicenda migratoria sin qui quasi trascurata dalla storiografia, nonostante la vicinanza temporale (o forse proprio a causa di essa, come suggerisce Emilio Franzina nella prefazione).
Il volume è diviso in due parti. La prima prende in esame la cornice istituzionale e politica. La ricostruzione delle complesse trattative che portarono alla firma degli accordi di emigrazione, nel 1947 e nel 1948, che fa tesoro di un pionieristico saggio di Gianfausto Rosoli, è minuziosa e mette a fuoco i nodi irrisolti (in particolare la questione delle rimesse), che saranno tra le cause del calo degli arrivi e del parallelo aumento dei rimpatri registrati già all’inizio degli anni cinquanta.
Inscrivendola opportunamente in un’analisi dei mutamenti a livello economico e politico avvenuti al Plata in questa fase – tutti di segno negativo: aumento del deficit, inflazione, crescente autoritarismo e contrasti tra Perón e chiesa cattolica da un lato, militari dall’altro – l’autrice si concentra quindi sull’evoluzione della politica migratoria del governo argentino, che torna a puntare sulla colonizzazione agricola. Tuttavia dal 1953 in poi (l’ultimo anno sarà il 1959) il saldo migratorio tra Italia e Argentina si mantiene positivo in pratica soltanto grazie all’adesione dei due paesi al programma del Cime (Comitato intergovernativo per le migrazioni europee), che finanzia i ricongiungimenti familiari.
Nella seconda parte del libro la prospettiva è rovesciata: al centro c’è ora il vissuto, lavorativo e non, degli emigranti. Tra inefficienze e irregolarità delle burocrazie su entrambi i lati dell’oceano e vere e proprie truffe ai loro danni, tutte raccontate con pazienza dall’autrice, trova spazio la descrizione di esperienze nuove e particolarmente rappresentative di quegli anni, quali il trasferimento in Argentina di imprese italiane con robusti contingenti di maestranze al seguito. E si ascoltano anche voci diverse da quelle istituzionali, sia interne alla comunità italiana – come il “Corriere degli Italiani” di Ettore Rossi, che criticò a più riprese l’atteggiamento di un’Italia usa come in passato ad abbandonare gli emigrati al proprio destino – che esterne ma simpatetiche – per esempio Mario Baldelli, il sindacalista cattolico e delegato osservatore della Cgil che fu appassionato difensore dei diritti dei lavoratori suoi connazionali in Argentina.
Il saggio si chiude con un esame della struttura associazionistica della collettività italiana e con il tentativo di Perón di politicizzarla a suo favore per ottenerne, previa naturalizzazione, il voto. Condotto in extremis, alla fine del 1954, con l’appoggio di una parte, quella fascista, della dirigenza della comunità, ma avversato dalla nostra diplomazia, esso naufragò nel settembre del 1955, quando un golpe militare destituì il presidente argentino. Erano le avvisaglie di una instabilità che nell’ultimo quarto del secolo scorso avrebbe precipitato l’Argentina prima in una dittatura sanguinaria e poi in una crisi economica, politica e sociale che finì inevitabilmente per travolgere anche tanti degli italiani arrivati nel secondo dopoguerra, cambiando definitivamente di segno alla loro esperienza migratoria.