L’emigrazione della Repubblica di San Marino

Si può dire che la Repubblica di San Marino abbia sicuramente offerto, anche nel suo passato recente, un cospicuo contributo alla storia dell’emigrazione internazionale, dato che oggi quasi ben 12 mila sammarinesi (poco meno della metà dei sammarinesi residenti in Repubblica) vivono all’estero. L’emigrazione sammarinese fu provocata dallo stesso motivo che riguardò gran parte delle aree agricole italiane ed europee, in particolare quelle a bassa produttività, ossia il generale stato di malessere dell’agricoltura che, soprattutto in certe aree depresse della penisola italiana, dopo la crisi agricola degli ultimi decenni del secolo XIX stentava a darsi un’organizzazione più moderna e razionale.
L’area sammarinese costituisce una realtà interessante dal punto di vista dell’emigrazione, perché sono molti gli studi compiuti su piccole realtà locali e villaggi, in Italia e in Europa, dalle quali sono partite migliaia di persone, e soprattutto molte sono le analisi dei rientri; tuttavia, San Marino presenta la caratteristica peculiare di essere allo stesso tempo piccola comunità ed entità statuale, possedendo quindi valori comuni non solo in termini di cultura materiale ma anche di cultura giuridica e senso di appartenenza. La Repubblica, inoltre, ha alle spalle una storia millenaria senza soluzione di continuità, che ha attraversato fasi storiche difficili che hanno spesso decretato la scomparsa di comunità statuali più vaste e meglio organizzate. L’interesse per i concetti di “identità etnica” e “gruppo etnico” che gli studiosi hanno affrontato analizzando la vita delle varie comunità di emigrati, soprattutto negli Stati Uniti – non a caso chiamati, da Walt Whitman, the nation of nations – è, quindi, ancora più particolare nel caso sammarinese.
L’agricoltura sammarinese, povera e di sussistenza, nel corso dei secoli non si è mai rivelata ai suoi operatori come un’attività sicura. Inizialmente, pertanto, anche i sammarinesi entrarono a fare parte di quel flusso migratorio di tipo stagionale, “dal monte al piano”, per usare un’espressione di Paola Corti e Patrizia Audenino1, che precedono le grandi migrazioni della seconda metà del secolo XIX. Il primo a riconoscere l’emigrazione sammarinese fu Oreste Brizi, il quale scrisse nel 1842: “La Repubblica ha circa 7.000 abitanti […] siffatta popolazione è variabile a cagione dell’emigrazione di molte centinaia di agricoltori, i quali nei sei mesi in cui suol durare colà il freddo, non bastando il suolo repubblicano a nutrirli, si recano nelle campagne di Roma […]. La popolazione dunque aumenta o decresce a seconda dell’abbondanza o scarsità del ricolto o dei lavori”2.
Spostamenti stagionali per supplire ai magrissimi raccolti della terra, ci dice Brizi. In effetti, gli spostamenti dei sammarinesi sono documentati già a partire dal 1810 in rudimentali registri dei passaporti, ora conservati presso l’Archivio Pubblico dello Stato3. Sino almeno alla fine del secolo XIX, quando l’emigrazione sammarinese si inserì nel flusso delle migrazioni internazionali, le mete privilegiate dai sammarinesi furono quelle italiane (Roma, la Toscana) soprattutto nei mesi invernali, nei mesi, cioè, in cui partiva chi (in stragrande maggioranza lavoratori agricoli) non aveva la possibilità di lavorare.
Al tramontare del secolo XIX anche a San Marino avviene il “salto di qualità”in conseguenza dell’aggravarsi della crisi agricola europea. I sammarinesi ancora si spostano nei mesi invernali verso Roma, l’agro romano e la maremma toscana, ma nei registri di espatrio a cavallo tra fine del XIX e inizi del XX secolo le mete si diversificarono. Comparvero mete più lontane, italiane e non (per esempio Genova e Trieste4), ed il Sempione, dove molti sammarinesi, soprattutto muratori e scalpellini, lavorarono sul versante svizzero e su quello italiano alla costruzione della galleria, ma soprattutto destinazioni europee, mediterranee ed extraeuropee: Francia, Svizzera, Germania, Austria, Grecia, Romania; Egitto, Turchia e Africa settentrionale; Argentina, Brasile e Stati Uniti.
Dall’informatizzazione dei dati contenuti nei registri dei passaporti dal 1843 al 1923 indicanti le richieste di passaporto5, dall’analisi specifica del periodo 1900–19056 si evince come il fenomeno migratorio nella Repubblica di San Marino proprio in quegli anni di inizio secolo fosse divenuto drammatico, come lo era del resto per l’emigrazione italiana la quale toccò proprio in quegli stessi anni uno dei suoi livelli più alti. In questa scansione temporale 623 sammarinesi in condizione lavorativa risultano intestatari di passaporto: 577 uomini e 46 donne, molte delle quali si apprestavano a raggiungere il marito già emigrato. I partenti totali, tuttavia, risultano essere 1.010, numero che comprende, oltre al o alla richiedente il passaporto, i restanti componenti della famiglia (la moglie, i figli, altri familiari) che compaiono sul verso delle matrici o accanto al titolare del passaporto, senza indicazioni di età e della eventuale condizione sociale. L’anno di maggior espatrio è il 1905 con 237 richieste effettive di passaporto; in quell’anno la Repubblica di San Marino contava già 2.300 emigrati su 10.000 abitanti (9.617 per la precisione, secondo i dati del censimento del 1905).
Per quanto riguarda le destinazioni indicate sui passaporti le mete europee sono ancora quelle privilegiate. Per le mete extraeuropee compaiono destinazioni americane, che vedono il Brasile7 al primo posto seguito dall’Argentina e dagli Stati Uniti. Dalle varie mete indicate dai partenti sui passaporti colpisce la presenza di destinazioni diverse e lontane: Grecia, Turchia, Algeria, Serbia, Romania. La presenza di mete così lontane non era necessariamente segno di condizioni economiche drammatiche, che pure esistevano: molti dei partenti si recavano in quelle nazioni per seguire lavori pubblici, come per esempio la costruzione di linee ferroviarie o di grandi opere edilizie. Non è tuttavia chiaro come i sammarinesi che indicarono queste destinazioni sulle loro richieste di passaporto avessero saputo di tali paesi, dato che la comunità sammarinese non era molto facilmente collegata all’esterno. Si può supporre che, come avveniva anche per molte zone arretrate ed isolate dell’ Italia come certi villaggi dell’Italia centro-meridionale, le notizie e le novità relative ai luoghi di emigrazione arrivassero trovando insospettati canali di propagazione, rapidi ed efficaci. Tra le tipologie lavorative gli appartenenti al settore agricolo (braccianti e coloni) sono la stragrande maggioranza, mentre appartengono alla categoria dell’industria solo una quarantina di richieste in voci quali “minatore”, “muratore” ed “operaio”. Tra gli artigiani è notevole la richiesta di passaporto da parte della categoria degli scalpellini, mestiere tradizionale sammarinese. Nel numeroso settore miscellaneo sono state inserite dal censimento voci di popolazione che si definirebbero non attive: spicca tra di esse numericamente la presenza di un certo numero di possidenti, in genere piccoli proprietari.
Del 1907 è la prima legge approvata dal Consiglio Grande e Generale (il parlamento sammarinese) che si occupa di emigrazione e che prevede la corresponsione di sussidi agli emigranti (anche se solo a quelli diretti verso i paesi europei, che comunque erano ancora la stragrande maggioranza). Negli anni seguenti, durante e dopo la prima guerra mondiale, la situazione sociale ed economica sammarinese andò peggiorando, mentre gli emigranti ritornarono sempre di più in patria a causa delle condizioni di generale crisi postbellica: ciò accrebbe enormemente il numero dei braccianti. Mancavano gli impianti industriali; il patto colonico del 1917, voluto dalle leghe agricole sammarinesi, rimase lettera morta fra i proprietari terrieri che non lo applicarono; il 1918 vide scioperare per la prima volta la categoria degli impiegati pubblici, che chiedevano a gran voce un aumento di stipendio a causa del continuo aumento dei prezzi e della svalutazione. Nei primissimi anni Venti nacquero la Camera del Lavoro ed il Partito Popolare Sammarinese, mentre i socialisti massimalisti sammarinesi formarono una sezione locale del Partito Comunista d’Italia. Tutte queste formazioni politiche, assieme ad altre, saranno sciolte all’avvento del regime fascista sammarinese che seguì di qualche mese la marcia su Roma: il 4 marzo 1923, il “listone” del Partito Fascista Sammarinese, denominato Blocco Patriottico (unica formazione presentatasi alla competizione elettorale) con l’apporto di molti ex popolari e dell’Unione Democratica (partito conservatore) vinse le elezioni.
Il fascismo a San Marino aveva incontrato subito il consenso delle classi privilegiate del paese e della vecchia oligarchia che era uscita sconfitta dalla rivoluzione pacifica del 1906 che aveva portato il paese al suffragio allargato; dei proprietari terrieri, restii ad adottare il patto colonico del 1917, del ceto impiegatizio, timoroso di perdere i propri privilegi, e di coloro che non avevano gradito la pur moderata legge tributaria del 1922. Nel 1923 venne approvato un nuovo patto agrario che riformò quello del 1917 in senso nettamente favorevole ai proprietari, esautorando l’influenza delle leghe contadine. Vari esponenti socialisti, comunisti e cattolici diedero inizio all’emigrazione politica: saranno seguiti presto da molte comuni famiglie sammarinesi. Il 27 settembre 1923, sei mesi dopo l’instaurazione del regime fascista sammarinese, il Consiglio Grande e Generale riformò la legge del 1907 e il regolamento dell’Ufficio per l’emigrazione temporanea, creato dalla stessa legge, ufficio che si occupava della corresponsione dei sussidi agli emigranti, esautorandone praticamente le funzioni che passarono direttamente all’esecutivo tramite la Segreteria di Stato per gli Affari Esteri. Si anticipò in questo modo a San Marino quella burocratizzazione della questione migratoria che avverrà molto presto anche nella vicina Italia. Non si fece più menzione del rapporto di collaborazione che vigeva dal 1907 con la Società Umanitaria di Milano: quest’ultima, come è noto, verrà sciolta dal fascismo nel 1924, seguita, a distanza di pochi anni, dall’Opera Bonomelli (1928) e dagli altri enti assistenziali per l’emigrazione.
Durante gli anni del fascismo la Repubblica di San Marino ed il Regno d’Italia, nonostante la sostanziale analogia dei due regimi, intrapresero due differenti politiche migratorie. L’Italia, dopo l’introduzione delle quote da parte degli Stati Uniti con la legge del 1921 e la sua integrazione del 1924, cercò dapprima di ottenere da parte del governo statunitense condizioni di favore per l’emigrazione italiana che rischiava, come poi in gran parte fu, di vedersi chiudere un importantissimo canale di sbocco. Non riuscendo in questo tentativo, il governo italiano assunse un atteggiamento legislativo nettamente contrario agli espatri, soprattutto per motivi di orgoglio e prestigio nazionale, cercando, tuttavia, di promuovere iniziative e proposte relative alla “colonizzazione” per aggirare i limiti all’emigrazione, come per esempio alla seconda Conferenza internazionale dell’emigrazione e immigrazione, che si tenne a L’Avana nel 1928. La delegazione sammarinese, partecipante anch’essa al consesso, in quella circostanza appoggiò le posizioni della delegazione italiana in tema di accordi e “principi di solidarietà tra gli Stati, possessori di vasti territori incolti, e gli Stati a densa popolazione […]”8.
Assieme a tutte le organizzazioni dell’emigrazione laiche e cattoliche, nel 1927 il fascismo soppresse il Fondo per l’emigrazione e sciolse il Commissariato generale dell’emigrazione. Alla fine degli anni Venti aumentarono enormemente le tasse per la concessione del passaporto, mentre l’espatrio clandestino veniva severamente punito dalle nuove disposizioni che limitavano anche gli spostamenti interni nel Regno. Tutto questo accadeva di fronte alla crisi economica internazionale degli anni Venti e la politica di rivalutazione della lira a quota 90, che ridusse le esportazioni contraendo lo sviluppo industriale ed i salari. Questa situazione economica non poté non influenzare San Marino ma, al contrario dell’Italia, il governo fascista del Titano ebbe nei confronti del fenomeno migratorio un atteggiamento più morbido. L’esodo fu favorito dall’incapacità dello stato sammarinese di reagire alla situazione di immobilismo economico. Unica eccezione furono i lavori per la costruzione della ferrovia elettrica Rimini – San Marino, iniziata nel 1928 e terminata nel 1932, lavori che però non diedero che una temporanea occupazione alla manodopera sammarinese tanto più che la società concessionaria della linea preferì assumere a costi inferiori soprattutto lavoratori italiani. Finita la ferrovia, i lavoratori disoccupati tornarono a fare i braccianti ma, non essendoci lavoro, molti con le loro famiglie presero la via dell’emigrazione9.
Uno dei paesi che si apprestava ad accoglierli era la Francia10, che negli anni Venti, contrariamente all’atteggiamento di chiusura di altri paesi, aprì le porte a lavoratori stranieri soprattutto attraverso gli ingaggi, tramite contratti scritti, nei paesi di provenienza da parte delle industrie e delle miniere. Il paese transalpino fu meta di molti sammarinesi ed italiani i quali trovarono uno sbocco alternativo rispetto a quello degli Stati Uniti e dell’America meridionale, anche se gli Stati Uniti già dal 1924 avevano concesso alla Repubblica di San Marino una comoda quota di cento partenti per anno fiscale11. La crisi del 1929, poi, diminuì l’accesso verso le Americhe, invogliando molti sammarinesi ed italiani a tornare e a ripartire, in molti casi dopo pochi mesi, scegliendo questa volta mete europee più vicine come la Francia e la Svizzera.
Secondo le statistiche le richieste dei passaporti nella Repubblica di San Marino raggiunsero un picco considerevole alla fine degli anni Venti in conseguenza della grande crisi economica mondiale e della situazione creatasi con quota 90 in Italia. La difficile situazione economica e le quote migratorie fecero diminuire le partenze extraeuropee; Francia, e Svizzera in misura minore, diventarono le mete privilegiate dei sammarinesi relegando in secondo piano l’Italia, mentre fra le mete extraeuropee scompare il Brasile soppiantato, già nel primo decennio del secolo, da Argentina e Stati Uniti. Per quanto riguarda le condizioni lavorative degli emigranti, le statistiche mostrano che il settore primario risulta al primo posto, tuttavia la presenza di una buona quota nei settori secondario e terziario denota un qualche progresso dell’economia sammarinese rispetto agli anni precedenti. Sarebbe stato certamente interessante per questi anni compiere un confronto tra popolazione attiva e richieste di passaporto come è stato fatto per gli anni 1900-1905; purtroppo per gli anni 1923-1940 mancano statistiche precise sulla popolazione totale e soprattutto non abbiamo assolutamente dati riguardanti le condizioni sociali della popolazione. Indubbiamente pesa su ciò la mancanza fino agli anni Sessanta, nella Repubblica di San Marino, di un ufficio centrale di statistica, mancanza che ha costretto gli addetti ai lavori a stime ed ipotesi fatalmente approssimative soprattutto degli anni fra le due guerre mondiali.
Il dopoguerra vide San Marino dibattersi ancora di più in una crisi economica e molti sammarinesi ripresero l’emigrazione scegliendo ancora una volta Francia, Svizzera, Belgio; in questi tre paesi molti vennero ingaggiati come minatori assieme a lavoratori di tutte le parti d’Europa. Nel 1945, per risolvere in parte il problema dell’approvvigionamento dei beni di prima necessità, la Repubblica di San Marino sottoscrisse un accordo con l’UNRRA che prevedeva la fornitura di merci per oltre trentamila dollari; inoltre giunsero in quello stesso anno gli aiuti raccolti dalle associazioni dei sammarinesi di New York City e Detroit. Riprese l’emigrazione transoceanica, e anche l’Argentina e nuovi paesi come il Canada furono mete dell’emigrazione sammarinese dagli anni Cinquanta in avanti.
Dall’inizio degli anni Sessanta l’emigrazione sammarinese negli Stati Uniti e negli altri paesi entrò in una fase di declino, mentre iniziò per molti sammarinesi il fenomeno inverso, l’emigrazione di ritorno. Questi furono gli anni in cui sia nella Repubblica di San Marino che in Italia i dati statistici registrarono una maggioranza di rientri rispetto alle emigrazioni, ma mentre in Italia il livello migratorio, seppur ridotto, si indirizzava ora quasi esclusivamente verso i paesi della CEE, nella Repubblica di San Marino il fenomeno migratorio risentì di un ribasso verso tutte le aree, in anni nei quali un deciso aumento del tenore di vita legato alla crescita delle attività economiche del settore terziario (soprattutto il turismo) e un allargamento occupazionale nel settore della pubblica amministrazione portarono ad un innalzamento notevole del livello dei redditi in Repubblica. L’inserimento nel tessuto economico del paese degli emigrati rientrati fu quindi estremamente positivo in quanto i rientri ebbero il loro inizio proprio nel momento di più decisa crescita economica della Repubblica di San Marino, cioè a partire dai primi anni Sessanta.
Nella Repubblica di San Marino la maggior parte dei rientri è avvenuta nella seconda metà degli anni Sessanta, con una punta massima nel 197012. Per quanto attiene alle motivazioni del ritorno degli emigrati, si può dire che queste furono sostanzialmente legate a fattori di tipo familiare e a fattori di tipo economico, motivazioni che spesso, però, risultavano essere intrecciate fra loro. I figli costituirono spesso il fattore decisivo. Se essi erano piccoli, bisognava decidere dove si voleva fossero educati, perché man mano che crescevano si sarebbero sempre più integrati nella società di accoglienza. Se si voleva rientrare, occorreva comunque prendere, anche se con difficoltà, una decisione anche per il loro futuro.
La motivazione principale addotta risiedeva soprattutto nel fortissimo desiderio di ritornare, di ricongiungersi prima o poi con i familiari rimasti in patria, desiderio mai sopito dalla partenza. Qualche volta, oltre alle motivazioni familiari, era un membro della famiglia che, in contrasto con gli altri, sceglieva di rientrare per non essersi mai del tutto integrato, a differenza dei familiari, nella società di accoglienza, e per non averne accettato fino in fondo i valori. Altre volte circostanze sfortunate avvenute nel paese di emigrazione, come la malattia, convincevano l’emigrato a ritornare a San Marino dopo vari anni di permanenza all’estero senza che il suo soggiorno gli avesse portato frutto; altre volte, motivi di ritorno erano le crisi economiche del paese di accoglienza (è il caso dell’Argentina). In alcuni casi, il rientro definitivo in Repubblica era stato preceduto da un tentativo di rientro che non aveva dato esito positivo, per vari motivi, per esempio le troppe difficoltà burocratiche per l’apertura di un’attività commerciale in proprio, o per problemi di inserimento nel tessuto sociale sammarinese. Molti emigrati sammarinesi, delusi da questo approccio di rientro, ritornarono all’estero scegliendo di rimanere definitivamente là. Altre famiglie di sammarinesi, prima di rientrare, si erano preparate, per così dire, il terreno, essendo rimaste informate sulla situazione economica in patria attraverso i parenti rimasti là.
Al problema materiale del rientro, che aveva visto molte famiglie rinunciare spesso a posizioni di benessere, soprattutto se si proveniva dagli Stati Uniti, seguiva quello dell’accoglienza. A parte i casi di mancato reinserimento nella società sammarinese che comportava a volte, come si è già detto, il ritorno nei paesi di emigrazione, l’accoglienza da parte dei connazionali fu generalmente buona. A nessuno dei rientrati sfuggirono i profondi cambiamenti avvenuti nella società sammarinese durante gli anni della loro assenza. Anche i sammarinesi residenti non guardavano più ai rientrati con curiosità, dato che ormai i rientri erano avvenimenti normali, che non facevano più notizia. Quasi ogni famiglia sammarinese accolse, in quegli anni, parenti di ritorno dall’estero. Pochi ex emigrati dovettero adattarsi a mansioni di basso livello: anzi, i molti che all’estero si erano messi in proprio portarono con successo la loro esperienza nella costituzione di un’attività imprenditoriale in loco. Altri usarono i risparmi per creare attività commerciali dal nulla o prenderne in gestione altre già avviate, o ottennero licenze artigianali.
Spesso furono i figli degli emigrati rientrati ad incontrare le maggiori difficoltà di inserimento. Ai ragazzi che all’estero avevano già frequentato alcuni anni di scuola secondaria la legge sammarinese non riconobbe gli studi compiuti, costringendoli così a ricominciare gli studi partendo dalla scuola elementare e ad ottenere, seppure in pochi mesi, la licenza di scuola media inferiore. Essi, a causa dei problemi con la lingua italiana e per l’esperienza traumatica dell’inserimento scolastico, di solito non proseguivano oltre i loro studi. Alcuni non accettarono volentieri il rientro a San Marino, ed il loro inserimento a scuola fu spesso difficile, sia perché essi rifiutavano l’inserimento nell’ambiente scolastico, sia per le difficoltà stesse del sistema scolastico sammarinese, impreparato ad accoglierli e ad affrontare le loro esigenze, prime fra tutti quelle legate alla lingua.
Dalle interviste realizzate, nel corso di vari studi13, ad un certo numero di ex emigranti sammarinesi, sono molto interessanti le domande che li invitavano ad esprimere un giudizio sulla loro esperienza all’estero, se essa cioè fosse stata importante per il loro reinserimento nella società di partenza. Dalle risposte sono arrivate considerazioni sostanzialmente più che positive, dato che quell’esperienza ha permesso loro di muoversi con autonomia e decisione non solo nella costruzione di una nuova attività lavorativa nella madrepatria, ma anche di un nuovo stile di vita nella società sammarinese.
Note
 
1Patrizia Audenino e Paola Corti, L’emigrazione italiana, Milano, Fenice 2000, 1994, p. 6.
2Oreste Brizi, Quadro storico-statistico della serenissima Repubblica di San Marino, Firenze, Fabris, 1842, pp. 58-9.
3Cfr. Roberto Venturini, Movimenti consuetudinari, mobilità, emigrazione europea e transoceanica nei documenti di espatrio sammarinesi tra Otto e Novecento, “Studi emigrazione”, 138 (2000), pp. 405-429.
4Cfr. Marina Cattaruzza, La formazione del proletariato urbano. Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo XIX alla prima guerra mondiale, Torino, Musolini Editore, 1979.
5R. Venturini, Movimenti consuetudinari, cit.
6Roberto Venturini, Terre straniere. L’emigrazione sammarinese negli Stati Uniti, 1920–1970, tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1996–1997, pp. 34-49; Id., Dopo nove giorni di cielo e acqua. Storia, storie e luoghi in mezzo secolo di emigrazione sammarinese negli Stati Uniti, Repubblica di San Marino, Edizioni del Titano, 1999, pp. 41-49.
7Cfr. Mauro Reginato, Da San Marino a Espirito Santo, fotografia di un’emigrazione, Repubblica di San Marino, Guardigli Editore, 2002.
8Archivio Pubblico dello Stato, Repubblica di San Marino, Prot. n. 00197, Rep. A Pos. LXXX, lettera del 1 maggio 1928 di Francesco Maria Ferrari, Console generale della Repubblica di San Marino a New York, al Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Giuliano Gozi.
9Laura Rossi, Fra primo e secondo dopoguerra: attività politica e sindacale, in Sindacato politica ed economia a San Marino in età moderna, Repubblica di San Marino, Centro di Studi Storici Sammarinesi, n. 12, 1995, p. 64.
10Cfr. David Bologna, Comunità senza terra, Repubblica di San Marino, Edizioni del Titano, 1996.
11R. Venturini, Dopo nove giorni di cielo e acqua, cit., p. 90.
12Segreteria di Stato per gli Affari Esteri, XVI Consulta dei cittadini sammarinesi all’estero, Rielaborazione grafica di alcuni dati statistici sul fenomeno dell’emigrazione sammarinese, Repubblica di San Marino, 1995.
13Fabio Foresti ed Elisabetta Righi Iwanejko, C’era sempre metà qui metà là. Racconti sammarinesi dell’emigrazione, Repubblica di San Marino, AIEP Editore, 1996; R. Venturini, Terre straniere, cit.; Id., Dopo nove giorni di cielo e acqua, cit.; Id., L’emigrazione dalla Repubblica di San Marino. Testimonianze di emigrati sammarinesi, “Frontiere”, IV, 8 (2003), pp. 15–18; Id., Una terra mistica. Storie, testimonianze e racconti di vita di emigranti sammarinesi negli Stati Uniti, Salerno, Il Grappolo, 2004.