Sono il 42,07% gli italiani nel mondo che hanno votato. A conclusione delle operazioni di voto all’ estero la Farnesina ha fornito i dati definitivi relativi alle buste contenenti le schede votate e ai plichi inviati dagli uffici consolari e relative percentuali. In Europa la media delle buste ricevute sul totale di plichi inviati è del 38,44%, simile a quella dell’America del Nord (37,3%), mentre in America Latina la media è del 51,81% e nella ripartizione Africa-Asia-Oceania del 44,12%. In particolare in Australia si sono registrati 39032 votanti su 94520 buste inviate, per una percentuale di votanti pari al 41,29%.
Focalizzando l’attenzione sulla comunità italo-australiana, se andiamo a guardare alle singole aree geografiche australiane, registriamo il seguente numero di voti: 4927 voti su 10899 buste inviate dalle autorità consolari ad Adelaide e pari al 45,21%, il 30,16% a Brisbane, il 42,47% a Canberra, un lodevole 47,44% a Melbourne, il 41,08% a Perth e, infine, il 36,96% a Sydney, con ciò riflettendo significativamente un’incidenza pertanto più alta nelle aree metropolitane australiane e di quelle di più recente distribuzione geografica delle comunità italiane, in linea con il modello storico di diffusione dell’emigrazione italiana in Australia, così come si è andato sviluppando dai primi anni Trenta e fino alla fine degli anni Settanta del Ventesimo secolo.
A conti fatti gli italiani d’Australia, con la notevole maggioranza di consensi popolari espressi a favore della lista L’Unione-Prodi (il 52,25% contro il 33,27% a favore di Forza Italia) e l’elezione di un deputato (Marco Fedi) e di un senatore (Nino Randazzo) nella lista dell’Unione, sono anche balzati all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media in Italia per via di quel tenue, ma sufficiente e significativo, margine di maggioranza della coalizione di centro-sinistra al Senato della Repubblica ascrivibile al voto nella circoscrizione Estero che ha messo fine al governo Berlusconi.
Quale prima e più semplicistica analisi politica, sembra inevitabile indicare come il risultato del primo esercizio di voto politico all’estero della storia repubblicana italiana sia il segnale forte di un’Italia fuori d’Italia che in primo luogo ha risposto con decisione all’immagine internazionale che dell’Italia ha dato negli ultimi cinque anni il governo Berlusconi e di come questa immagine possa aver pesato come “fardello” su tutta la comunità italiana d’Australia. Ciò detto, il voto espresso dagli italiani all’estero sembra ulteriormente marcare una svolta epocale quanto meno nella percezione dell’identità (anche politica) delle comunità italiane all’estero che si ha in Italia.
Come ha ben puntualizzato il neo-eletto senatore Randazzo, il ministro Tremaglia – già acerrimo fautore da lunga data del diritto di voto degli italiani all’estero – anziché sventolare possibili brogli (atteggiamento peraltro già rientrato al momento della stesura di questa breve nota), farebbe meglio ad accogliere in decoroso silenzio il verdetto elettorale della circoscrizione Estero, con particolare riferimento all’area geografica australiana.
Ora si rende evidente che è stato, come si dice in inglese, “hoisted on his own petard”, è saltato in aria con la sua stessa bomba. Una specie di kamikaze politico.
Nessuno nega al ministro Tremaglia il fatto di essere stato da tempo immemorabile uno dei più strenui paladini del voto all’estero. Ma si può e si deve negare l’attribuzione esclusiva della paternità della conquista del diritto di voto all’estero a lui personalmente ed al governo di cui ha fatto parte, poiché, mentre è vero che c’è sempre stata una diffusa opposizione trasversale in tutti gli schieramenti al voto all’estero, è altrettanto vero che le prime fondamentali modifiche costituzionali per il voto all’estero si ebbero proprio con un governo di centrosinistra, con il governo Prodi.
L’esclusività del merito del voto all’estero attribuibile ad una sola persona o alla sola destra è un mito ormai sfatato e – come questo risultato elettorale ha dimostrato – anche improduttivo in termini di consensi elettorali.
In altre parole, la percezione generalizzata (in vasti settori dell’ intelligentia, nei media, in Italia e non solo) che le comunità italiane all’estero avessero ancora – come è stato facile ipotizzare fino agli anni Sessanta e Settanta – una predisposta simpatia per le aree conservatrici, reazionarie, di destra e certamente non per le forze più segnatamente democratiche e di sinistra dello scenario politico italiano e internazionale, si è dimostrata errata e, appunto, fortemente penalizzante della compiuta sensibilizzazione ideologica e democratica che molte comunità italiane all’estero hanno sviluppato e portato a compimento in questi ultimi decenni, in ciò aiutati e sostenuti anche da una capillare rete di patronati, enti assistenziali e un associazionismo diffuso che ha spesso funzionato da trait d’union con la società e la cultura italiana d’origine.
Quello del voto degli italiani d’Australia non è stato un risultato che, al contrario, ha sorpreso il neo-deputato Marco Fedi, amico personale di lunga data e già attivo esponente politico nell’area più progressista della comunità italo-australiana, visto che, come ha ricordato a margine del risultato elettorale, “avevamo già avuto segnali nelle elezioni dei Comites e nei referendum che fosse un elettorato orientato verso principi e valori progressisti, e quindi anche politicamente di sinistra”.
Un orientamento che, dopo anni di stereotipi e preconcetti, sembra finalmente far risaltare sotto una nuova luce le istanze democratiche e progressiste volute e ora finalmente espresse da ampi settori delle comunità italiane all’estero.
Focalizzando l’attenzione sulla comunità italo-australiana, se andiamo a guardare alle singole aree geografiche australiane, registriamo il seguente numero di voti: 4927 voti su 10899 buste inviate dalle autorità consolari ad Adelaide e pari al 45,21%, il 30,16% a Brisbane, il 42,47% a Canberra, un lodevole 47,44% a Melbourne, il 41,08% a Perth e, infine, il 36,96% a Sydney, con ciò riflettendo significativamente un’incidenza pertanto più alta nelle aree metropolitane australiane e di quelle di più recente distribuzione geografica delle comunità italiane, in linea con il modello storico di diffusione dell’emigrazione italiana in Australia, così come si è andato sviluppando dai primi anni Trenta e fino alla fine degli anni Settanta del Ventesimo secolo.
A conti fatti gli italiani d’Australia, con la notevole maggioranza di consensi popolari espressi a favore della lista L’Unione-Prodi (il 52,25% contro il 33,27% a favore di Forza Italia) e l’elezione di un deputato (Marco Fedi) e di un senatore (Nino Randazzo) nella lista dell’Unione, sono anche balzati all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media in Italia per via di quel tenue, ma sufficiente e significativo, margine di maggioranza della coalizione di centro-sinistra al Senato della Repubblica ascrivibile al voto nella circoscrizione Estero che ha messo fine al governo Berlusconi.
Quale prima e più semplicistica analisi politica, sembra inevitabile indicare come il risultato del primo esercizio di voto politico all’estero della storia repubblicana italiana sia il segnale forte di un’Italia fuori d’Italia che in primo luogo ha risposto con decisione all’immagine internazionale che dell’Italia ha dato negli ultimi cinque anni il governo Berlusconi e di come questa immagine possa aver pesato come “fardello” su tutta la comunità italiana d’Australia. Ciò detto, il voto espresso dagli italiani all’estero sembra ulteriormente marcare una svolta epocale quanto meno nella percezione dell’identità (anche politica) delle comunità italiane all’estero che si ha in Italia.
Come ha ben puntualizzato il neo-eletto senatore Randazzo, il ministro Tremaglia – già acerrimo fautore da lunga data del diritto di voto degli italiani all’estero – anziché sventolare possibili brogli (atteggiamento peraltro già rientrato al momento della stesura di questa breve nota), farebbe meglio ad accogliere in decoroso silenzio il verdetto elettorale della circoscrizione Estero, con particolare riferimento all’area geografica australiana.
Ora si rende evidente che è stato, come si dice in inglese, “hoisted on his own petard”, è saltato in aria con la sua stessa bomba. Una specie di kamikaze politico.
Nessuno nega al ministro Tremaglia il fatto di essere stato da tempo immemorabile uno dei più strenui paladini del voto all’estero. Ma si può e si deve negare l’attribuzione esclusiva della paternità della conquista del diritto di voto all’estero a lui personalmente ed al governo di cui ha fatto parte, poiché, mentre è vero che c’è sempre stata una diffusa opposizione trasversale in tutti gli schieramenti al voto all’estero, è altrettanto vero che le prime fondamentali modifiche costituzionali per il voto all’estero si ebbero proprio con un governo di centrosinistra, con il governo Prodi.
L’esclusività del merito del voto all’estero attribuibile ad una sola persona o alla sola destra è un mito ormai sfatato e – come questo risultato elettorale ha dimostrato – anche improduttivo in termini di consensi elettorali.
In altre parole, la percezione generalizzata (in vasti settori dell’ intelligentia, nei media, in Italia e non solo) che le comunità italiane all’estero avessero ancora – come è stato facile ipotizzare fino agli anni Sessanta e Settanta – una predisposta simpatia per le aree conservatrici, reazionarie, di destra e certamente non per le forze più segnatamente democratiche e di sinistra dello scenario politico italiano e internazionale, si è dimostrata errata e, appunto, fortemente penalizzante della compiuta sensibilizzazione ideologica e democratica che molte comunità italiane all’estero hanno sviluppato e portato a compimento in questi ultimi decenni, in ciò aiutati e sostenuti anche da una capillare rete di patronati, enti assistenziali e un associazionismo diffuso che ha spesso funzionato da trait d’union con la società e la cultura italiana d’origine.
Quello del voto degli italiani d’Australia non è stato un risultato che, al contrario, ha sorpreso il neo-deputato Marco Fedi, amico personale di lunga data e già attivo esponente politico nell’area più progressista della comunità italo-australiana, visto che, come ha ricordato a margine del risultato elettorale, “avevamo già avuto segnali nelle elezioni dei Comites e nei referendum che fosse un elettorato orientato verso principi e valori progressisti, e quindi anche politicamente di sinistra”.
Un orientamento che, dopo anni di stereotipi e preconcetti, sembra finalmente far risaltare sotto una nuova luce le istanze democratiche e progressiste volute e ora finalmente espresse da ampi settori delle comunità italiane all’estero.