Regioni migratorie e regioni politico-amministrative. L’emigrazione verso le “altre Americhe” da un territorio di frontiera calabro-lucano-campano
1. Premessa
La geografia dell’emigrazione italiana è stata studiata il più delle volte privilegiando le partizioni politico-amministrative, sia nel considerare i luoghi di partenza che nell’individuare le destinazioni. Sicché si è abituati a ragionare in termini di regioni e province italiane (tutt’al più di regioni del nord e del sud), così come si è abituati a considerare le destinazioni nei termini rigidi delle realtà e dei confini statali (al massimo di singoli stati all’interno di grandi compagini federali come gli Usa e il Brasile).
La ricerca empirica, condotta su esperienze migratorie poco conosciute o del tutto ignorate, mi ha spinto invece a privilegiare altri parametri. Essi hanno a che fare, quando si tratta dei luoghi di partenza, con la realtà geografica (oroidrografica, climatica, demografica, ecc.), ma anche economica, sociale e culturale del territorio, nonché con gli accidenti della natura (terremoti, alluvioni e altri eventi più o meno catastrofici). Tutti elementi che poco hanno in comune con le partizioni amministrative e che in ogni caso definiscono territori che non coincidono con esse.
Nel corso delle mie indagini ho dovuto constatare, ad esempio, che i dati statistici relativi alla precocità o al ritardo dell’inizio dell’emigrazione di massa nel Meridione, se si conserva come parametro la partizione amministrativa regionale, non danno conto della realtà, anzi finiscono col deformarla. Si dà il caso, infatti, che all’interno di ciascuna regione si riscontrino enormi differenze non solo tra una provincia e l’altra, ma anche tra aree più circoscritte di una stessa provincia. Ad esempio, l’emigrazione di massa è assai precoce nel Salernitano, nel Potentino e nel Cosentino; non lo è affatto – per rimanere alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria – nel Casertano, nel Materano e nel Reggino. Ma, scendendo più nel dettaglio, si scopre che all’interno delle stesse province di Salerno, Potenza e Cosenza, che le statistiche pongono in cima alla classifica della più precoce e massiccia emigrazione, si manifestano comportamenti difformi e che, in una prima lunga fase, il maggior contributo alle statistiche migratorie è dato, in realtà, da un territorio abbastanza circoscritto, sia pur comune alle tre province e alle tre regioni. Si tratta di un’area costituita dal Cilento e dal Vallo di Diano, ossia la parte più meridionale del Salernitano, dalla Val d’Agri e dal Lagonegrese, a sud di Potenza, e dal Pollino, posto a cavallo tra Calabria e Lucania; nonché dalla corrispondente costa tirrenica, comune alle tre province di Salerno, Potenza e Cosenza all’altezza e nelle vicinanze del golfo di Policastro.
La precoce e vivace emigrazione in partenza da questo territorio – di cui si sta per dire e argomentare – costringe ad affrontare in termini diversi anche la questione degli sbocchi. Se infatti l’America Latina di Buenos Aires e Montevideo, di Rio de Janeiro e São Paulo, non perde, neppure in questo caso, la sua straordinaria importanza, è vero anche che in questi flussi migratori risaltano la forza di attrazione di alcune regioni periferiche del Brasile e la particolare rilevanza dell’intero bacino dei Caraibi, dalle coste venezuelane e colombiane all’istmo centroamericano, con Panama e Costarica, al Guatemala (e, in misura più contenuta, al Salvador e all’Honduras), alle grandi isole delle Antille con le loro capitali, L’Avana e Santo Domingo1. Anche sul piano delle mete migratorie si è costretti, dunque, ad esaminare regioni geografiche, in questo caso vastissime, comuni ad una molteplicità di stati ma irriducibili a ciascuno di essi. Queste aree geografiche sono caratterizzate da elementi di attrazione che attraversano i confini politico-amministrativi e che esaltano spesso la funzione di richiamo svolta da piccole città in ascesa, dinamizzate tra Otto e Novecento dai commerci – si tratta non di rado di città portuali – e da rapidi processi di trasformazione capitalistica e di modernizzazione, privi però delle durezze e delle complicazioni proprie delle grandi capitali e dei più imponenti centri urbani.
Ma entriamo nel merito del caso migratorio prescelto.
2. Gli inizi dell’emigrazione tra il Cilento e il Pollino
Uno studio pionieristico, pubblicato nel 1874 dal futuro deputato salernitano Giovanni Florenzano, ci fornisce dati assai utili: nel 1872, l’80% di 16.256 emigranti individuati nel Meridione d’Italia parte dalle province di Salerno, Potenza e Cosenza; si tratta per il 70% di “contadini-agricoltori”, per il 18% di “artigiani” e per il 5% di “industriali” e “possidenti”; nello stesso periodo, il 74% dei vaglia postali provenienti dall’estero attraverso i consolati è diretto verso le medesime province di Salerno, Potenza e Cosenza2.
Questi dati, raccolti in epoca prestatistica, confermano che già negli anni Sessanta dell’Ottocento si manifesta tra il Cilento e il Pollino un fenomeno migratorio che coinvolge soprattutto contadini piccoli proprietari e artigiani. Si pensi che nei primi nove mesi del 1867, il sottoprefetto di Vallo della Lucania (che, a dispetto del nome, è un paese cilentano) rilascia 800 passaporti. Non è dunque un caso che nel 1876 il prefetto di Salerno denunci il carattere di massa che ha assunto l’emigrazione verso le Americhe “nell’ultimo decennio” 3.
Ma l’esodo più consistente del Salernitano parte dal Vallo di Diano, colpito nel 1857 da un gravissimo terremoto (il cui epicentro è, però, nella contigua Val d’Agri, in Basilicata) 4. Poco dopo il terremoto, che fa quasi undicimila vittime e rade al suolo numerosi comuni, giunge voce all’Intendente di Salerno che a Teggiano “per ragion di miseria, la maggior parte de’ faticatori di campagna si fanno a chiedere passaporti per l’estero” 5. È di una palmare evidenza l’incidenza della catastrofe sul precocissimo sviluppo del processo migratorio dal Vallo di Diano e dalla lucana Val d’Agri. Analogamente – si può aggiungere – a quanto sarebbe accaduto mezzo secolo più tardi, in seguito ai terremoti del 1905 e del 1908, nella Calabria centromeridionale, fino a quel momento piuttosto marginale rispetto al fenomeno migratorio. Non sorprenderà, dunque, che già negli anni Settanta dell’Ottocento si registri una contrazione demografica in molti comuni del Vallo di Diano6. Successivamente, tra il 1884 e il 1900, espatrieranno ufficialmente quasi 31.000 persone (alle quali se ne aggiungeranno altre 22.000 nel primo quindicennio del Novecento). Il paese che dà il maggior contributo all’esodo è Padula, con quasi settemila espatriati tra il 1884 e il 1915 (sicché, se quest’antico centro del Vallo nel 1871 aveva 8.662 abitanti, nel 1911 ne avrà soltanto 4.553).
Il circondario lucano di Lagonegro, posto tra il Vallo di Diano e il versante calabrese del Pollino, è l’area di più precoce e massiccia emigrazione verso le Americhe in partenza dalla Basilicata. Negli anni Settanta dell’Ottocento, i comuni spopolati sono già ventiquattro e spiccano tra gli altri i due Castelluccio (Superiore e Inferiore), Episcopia, Lagonegro e San Severino Lucano, che perdono tra il 12 e il 15% degli abitanti. Poco più a Nord, nell’alta Val d’Agri, la contrazione demografica appare ancora più vistosa: Marsico Nuovo perde più di mille dei suoi circa novemila abitanti, Tramutola perde quasi il 19% e Calvello il 14%. Poi, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, lo spopolamento cresce ancora: il primato spetta a San Severino Lucano, che perde il 38% della popolazione, seguono Montemurro con quasi il 30% e Viggiano con circa il 28%7.
Infine, quindici piccoli Comuni, situati sul versante calabrese del Pollino e sulla contigua costa tirrenica, che nel 1871 contano poco meno di 50.000 abitanti, cominciano poco dopo a spopolarsi, perdendo in dieci anni oltre il 5% degli abitanti. Emergono sugli altri i casi di Maierà e Santa Domenica Talao, sul Tirreno, i quali perdono, rispettivamente, circa il 16 e l’11% dei loro abitanti, e quelli di Spezzano Albanese, Malvito e Saracena, nel circondario di Castrovillari, che perdono tra l’8 e il 10%. Come nei casi precedenti di Campania e Basilicata, anche questo territorio detiene una sorta di primato nella sua regione: nell’ultimo ventennio dell’Ottocento i suoi comuni risultano quasi tutti spopolati. Emergono sugli altri i casi di Morano Calabro e Lungro, che in vent’anni perdono rispettivamente il 34 e il 30% degli abitanti. Dall’intero circondario calabrese del Pollino, che fa capo a Castrovillari, partono in vent’anni circa 45.000 persone8.
Già nel 1874 un periodico locale, “L’Osservatore Tipografico”, aveva giudicato l’emigrazione un fenomeno positivo, malgrado l’allarme dei grandi proprietari, che vedevano “per questo avvenimento dell’emigrazione deserti di cultori le loro vaste tenute e mancare dei necessari artigiani le grandi e le piccole borgate”. Lo stesso giornale osservava che “l’emigrazione degli abitanti dell’Italia meridionale per le Americhe prende piede e si sviluppa ogni giorno sempre più su vasta scala”, soprattutto nelle “due confinanti provincie della vastissima Basilicata e della Calabria settentrionale” 9.
“L’Osservatore Tipografico”, insomma, già nel 1874, fa dell’emigrazione il principale argomento di discussione, nonché di critica ai comportamenti della possidenza agraria, le cui “geremiadi”, afferma, non impediranno agli emigranti di “andare in cerca di uno stato migliore o almeno di un genere di vita, che abbia meno inconvenienti”. Il giornale si mostra come una sorta di megafono delle agenzie d’emigrazione, che propongono non solo le mete, già quasi ovvie e scontate, di Buenos Aires e Montevideo, ma anche quelle più insolite del nord-est del Brasile e dei più lontani porti del Pacifico, in Cile e Perú.
Dieci anni dopo, il fenomeno migratorio è, evidentemente, tanto diffuso e sedimentato a Castrovillari e nel Pollino che uno scrittore locale, Cristoforo Pepe, già nel 1885 ne registra le ripercussioni sociali e culturali, dedicando efficaci racconti all’inedito problema delle mogli degli “americani”, ovvero alla questione sociale delle donne lasciate sole dai mariti emigranti10, manifestando così una tempestiva capacità di rielaborazione letteraria dell’esperienza migratoria, con buon anticipo rispetto ai noti libri di Edmondo De Amicis, Sull’Oceano (1889) e In America (1897).
3. Mestieri artigiani e intraprendenza, tra socialismo e massoneria
È abbastanza evidente che i flussi migratori in partenza dall’insieme di questi territori, appartenenti a tre diverse regioni amministrative, non hanno in comune soltanto la precocità del fenomeno e le sue dimensioni quantitative, bensì anche alcuni aspetti qualitativi che danno a questa emigrazione particolari connotazioni.
I primi partenti del Cilento fanno leva sulla lunga tradizione, d’epoca preunitaria, della marineria del Principato Citeriore, sui suoi rapporti mercantili con i paesi del Mediterraneo e, oltreoceano, col Brasile. È esemplare, in tal senso, il caso dei fratelli Farano, ramai di Sapri che nel 1843 partivano alla volta di Rio de Janeiro, dove ben presto sarebbero diventati i maestri coniatori della zecca di Stato presso la corte di Dom Pedro II. Più in generale, negli anni Sessanta dell’Ottocento, gli emigranti sono quasi sempre, e su vasta scala, “piccoli proprietari forniti di grande spirito di iniziativa, nonché lavoratori artigiani e specializzati in vari rami, specialmente nelle manifatture tessili” 11.
Ausonio Franzoni, in seguito all’inchiesta effettuata in Basilicata nel 1902 per conto del Presidente del Consiglio Zanardelli, afferma che a Lauria “è rara la famiglia, anche di medio ceto, che non abbia un membro in America e che da quello non riceva soccorsi o risparmi”, aggiungendo che la meta privilegiata è l’America Latina, ma non solo l’Argentina e il Brasile; infatti molti “si dedicano al commercio minuto e si spargono in Centro America, nel Venezuela e nelle Antille. Ve n’hanno a Portorico in buone condizioni ed a Panama e Caracas”.
A Nemoli e Rivello, aggiunge Franzoni, “un’industriosità speciale induce gli abitanti ad occuparsi di preferenza nel mestiere di stagnari e di calderai, ed a portare l’arte loro all’estero con grande profitto generale. Molti di essi (…) si sono spinti al Centro America, al Venezuela ed alla Colombia”. A Maratea si riscontra “un’emigrazione specialissima, quale la danno alcuni paesi della regione dei laghi lombardi o delle prealpi venete e della riviera genovese. Sono tutti artigiani indoratori, argentari e stagnai, che si dirigono in Francia, Spagna e Belgio e si spingono invariabilmente anche in America. Anche per essi la sola America possibile è la Latina (…). Nella Colombia hanno formato nucleo a Bogotà e Porto Bonaventura, nel Venezuela a San Fernando de Apure e Ciudad Bolivar; alcuni sono stabiliti in Panama ed attendono la riapertura dei lavori [di costruzione del Canale] per realizzare grossi guadagni colle proprietà acquistate. Nell’Ecuador vari di essi si stabilirono in Guayaquil (…) Nel Brasile sta la maggioranza (…) e vi preferisce gli Stati del Nord e le città [Manaus (Amazonas), Belém (Pará), Recife (Pernambuco), Salvador (Bahia)]. (…) In nessun punto – commenta Franzoni –, neppure della Liguria, ove pullula l’elemento marinaresco, mi avvenne mai di trovare una così generale e pratica conoscenza delle condizioni materiali e politiche dei paesi sud-americani, ed una così matematica sicurezza di quanto la gente asserisce conoscere” 12.
Anche dalla Valle del Mercure, lungo il confine amministrativo tra Basilicata e Calabria, quasi tutti si dirigono verso l’America Latina e in luoghi eccentrici come il Nord del Brasile (Manaus e Salvador de Bahia, piuttosto che le affollatissime Rio de Janeiro e São Paulo), spesso iniziando come venditori ambulanti e lustrascarpe. Non dappertutto si raggiungono i vertici dell’intraprendenza e della mobilità degli artigiani di Maratea o dei celebri costruttori e suonatori d’arpa di Viggiano, ma nella Valle del Mercure, da Castelluccio come da Laino, anche i contadini che emigrano rifiutano il lavoro dei campi e preferiscono il piccolo commercio13. Così accade anche, in genere, per l’emigrazione in partenza dal Cilento, come nel caso delle catene migratorie di Camerota e Lentiscosa che privilegiano il Venezuela e in specie Caracas14.
Anche a Morano, sul versante calabrese del Pollino, quasi tutti si recano in America Latina, prediligendo Porto Alegre, città portuale e porta d’ingresso all’estremo sud del Brasile, ma concentrandosi anche in Colombia (in specie le città della costa caraibica: Barranquilla, Ciénaga, Santa Marta e, in misura minore, Cartagena), in Costa Rica (a Puerto Limón, ma specialmente a San José, la piccola capitale del paese centroamericano) e in Guatemala (nella capitale e a Quetzaltenango). La Colombia dei moranesi è anche uno dei destini privilegiati dagli emigranti del Vallo di Diano e in specie di Padula, che vi formano una vasta comunità. E nella stessa Colombia si dirigono tanti emigranti calabresi di Scalea, molti dei quali dal porto fluviale di Barranquilla si diramano nell’interno lungo le stazioni commerciali del Río Magdalena e nell’omonima regione bananiera, frequentata anche da molti moranesi e padulesi.
Inoltre, dall’intero territorio calabro-lucano-campano che stiamo considerando, ma in particolare da Castrovillari, in Calabria, e da Moliterno, in Basilicata, non pochi si dirigono a Panamá, dove, tra il 1880 e il 1914, si tenta ripetutamente e in ultimo si realizza la costruzione del canale interoceanico15. Infine, numerosi sono i partenti diretti nelle maggiori isole dei Caraibi, in specie all’Avana e a Santo Domingo, per esercitarvi i mestieri artigiani, soprattutto la calzoleria e la sartoria, i commerci e piccole attività industriali16. Emergono sulle altre la catena migratoria che da Santa Domenica Talao, presso Scalea, si dirige a Santo Domingo e quella che da Castrovillari si dirige all’Avana. Non sarà certo un caso se verso la fine degli anni Venti del Novecento Mario Appelius, celebre e autorevole giornalista durante il Ventennio fascista, dedicherà un intero capitolo di un suo libro di viaggio ai trecentocinquanta ciabattini di Castrovillari e agli orefici ambulanti di Padula presenti a Cuba17.
L’insieme di questi dati va collegato adeguatamente al quadro economico dell’area di partenza e alle sue stesse caratteristiche orografiche e idrografiche. Il territorio in questione è disposto lungo un asse di oltre cento chilometri, che pur ricadendo, come si è detto più volte, in tre diverse regioni amministrative ha evidentissimi dati di omogeneità interna. È, infatti, un’area prevalentemente montagnosa, racchiusa tra i monti Alburni e i monti del Pollino, situata a ridosso della costa tirrenica, sulla quale digradano quasi a precipizio gli aspri rilievi interni. Il territorio è attraversato da valli fluviali, alcune delle quali sono utilizzate dalla “via delle Calabrie”, di murattiana e borbonica memoria, l’unica strada che mette in comunicazione la Calabria con Salerno e Napoli, fino alla costruzione della ferrovia tirrenica (1895) e poi della ferrovia interna “a scartamento ridotto” Spezzano Albanese-Castrovillari-Lagonegro (1930) che consente di proseguire per Sicignano degli Alburni e Battipaglia, in direzione di Salerno. Dal punto di vista economico, nell’intera area prevalgono ovviamente l’agricoltura e la pastorizia, ma con un vistoso predominio della piccola e della media proprietà, le quali creano un universo sociale meno polarizzato rispetto alle aree del latifondo meridionale e al cui interno da lungo tempo sono emerse qua e là particolari vocazioni artigiane: si pensi agli indoratori, agli stagnini e agli argentieri di Maratea, agli orefici, ai calderai e ai ramai di Rivello e Nemoli, agli arpisti di Viggiano, ai liutai di Castellabate, agli imbianchini di Padula, agli scalpellini di Rotonda, Mormanno e Laino, ma anche ai più numerosi e “banali” calzolai, sarti e falegnami, figure sociali essenziali nei circuiti dell’economia locale, e ai tanti mestieri praticati dagli stessi contadini in una dimensione di autoconsumo, al cui centro si pongono l’unità familiare e i legami parentali.
In questo appartato universo, apparentemente chiuso e isolato, sconosciuto all’Italia urbana e moderna, privo di consistenti centri urbani e demograficamente frantumato in decine di piccoli e isolati Comuni, si colgono a ben guardare esperienze di mobilità di lungo periodo, che predispongono anche psicologicamente e culturalmente alla emigrazione transoceanica di massa, animata principalmente da artigiani e da contadini (quasi sempre piccoli proprietari e spesso dotati di qualche abilità ed esperienza artigiana), ma alla quale non è estranea neppure la piccola possidenza agraria locale. Questa mobilità di lungo periodo, nel corso dell’Ottocento, è particolarmente evidente a Viggiano, Rivello, Nemoli e Maratea, ma non è estranea neppure al Cilento e al Vallo di Diano, dove in più luoghi, come si è visto, si registra un cedimento demografico già negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, e si riscontrano esperienze di mobilità preunitaria, come nel caso degli imbianchini di Padula o dei ramai di Sapri18.
Infine, bisogna considerare la peculiarità degli elementi di contesto di natura politica, ideologica e culturale, che connotano fortemente i flussi migratori di quest’area. Si tratta, in particolare, della rigogliosa presenza socialista tra gli artigiani e anche tra i piccoli commercianti di Morano Calabro e della notevole tradizione massonica di Padula, presente in qualche misura anche a Scalea e nelle sue immediate vicinanze, oltre che tra le compagnie degli arpisti di Viggiano e nei paesi contermini della Val d’Agri.
A Viggiano, che nel 1881 contava quasi 500 musicanti su una popolazione di circa 6.000 abitanti19, aveva sede la Loggia Mario Pagano (fondata intorno al 1887), che pare fosse tra le più importanti del Sud. In un elenco degli iscritti provenienti da 18 paesi della Val d’Agri risulta che il 48% è costituito da viggianesi e che il 42% di questi sono musicanti. Sono dati che lasciano immaginare uno stretto rapporto tra le compagnie itineranti degli arpisti e la massoneria, la quale sembrerebbe predisporre per le compagnie una sorta di lasciapassare internazionale20. Del resto, già nel 1876, il giornale “L’Arpa Viggianese” era testimonianza della sedimentazione dell’esperienza sociale internazionale dei musicanti nella realtà materiale e nel patrimonio colto del luogo21. Ma, sia detto per inciso, ciò non impedirà, di lì a poco, la repressione, per iniziativa italiana ed europea, del coinvolgimento e dello sfruttamento dei bambini da parte dei musicanti di strada, che condurrà ben presto alla completa scomparsa della tradizione degli arpisti viggianesi itineranti22.
Più in generale, nel tardo Ottocento, sono presenti logge massoniche in quasi tutti i paesi lucani di maggiore emigrazione23. Nel Vallo di Diano, con le logge di Padula (1887) e Sala Consilina (1891), la massoneria ha un notevole sviluppo nell’ultimo ventennio dell’Ottocento. Nei registri del Grande Oriente si ritrovano i nomi di 184 massoni del Vallo: 57 di essi, quasi un terzo, sono di Padula; altri 39 di Sala24. Tra i padulesi si contano 27 “possidenti” (pari al 47%), ma anche artigiani, commercianti, liberi professionisti, insegnanti e impiegati, appaltatori e costruttori, che nell’insieme rappresentano in qualche modo la parte più moderna della società locale. Nell’elenco degli iscritti ricorrono molti cognomi che ritroviamo nelle comunità padulesi formatesi tra Otto e Novecento nel Caribe colombiano25.
In Calabria, non lontano dal confine lucano, un centro massonico non trascurabile è Scalea. Nell’elenco degli iscritti alle Logge calabresi del Grande Oriente compaiono nel primo Novecento 15 massoni nati a Scalea e altri 18 nati nei contigui centri di Maierà e Orsomarso. Si tratta soprattutto di liberi professionisti, studenti, commercianti e artigiani (i “possidenti” sono soltanto il 20%), che costituiscono la borghesia modernizzante del luogo. Non siamo in grado di stabilire un nesso documentato tra l’organizzazione massonica e l’emigrazione, ma non è certo casuale che in quest’elenco di massoni si ritrovino alcuni cognomi e individui che appartengono alla colonia italiana in Colombia, animata dagli scaleoti più intraprendenti26.
Negli anni Novanta dell’Ottocento, a Morano, dove non si ha traccia di attività massoniche, si sviluppa, invece, per iniziativa dell’avvocato Nicola De Cardona, il più florido circolo socialista della Calabria, che ha il suo punto di forza nell’adesione attiva del ceto artigiano, il quale a sua volta è il nerbo dell’emigrazione transoceanica, diretta principalmente a Porto Alegre, nell’estremo sud del Brasile, ma anche in Colombia e in vari paesi del Centroamerica, oltre che nelle consuete Buenos Aires e Rio de Janeiro. La giovanile formazione socialista sembra dare agli emigranti maggior determinazione e consapevolezza; e il legame col circolo di De Cardona, grazie anche alla pubblicazione del periodico “Vita Nuova” 27, perdurando fino alla compiuta affermazione del regime fascista, costituisce lo strumento privilegiato per conservare un legame col paese d’origine, dando luogo ad una singolare esperienza politico-culturale e sociale, altrove sostenuta in genere dalla Chiesa attraverso la rete capillare delle parrocchie. La durevolezza del rapporto intrattenuto dagli emigrati con la formazione socialista ricevuta a Morano è confermata dal persistente antifascismo di molti emigrati moranesi, documentato fino agli anni Trenta e talora fino alla Seconda guerra mondiale, soprattutto in Costa Rica e in Colombia28.
Il successo dell’esperienza migratoria nei paesi d’arrivo apre a molti, socialisti compresi, la prospettiva dell’adesione alla massoneria, forse anche quando non sussistevano precedenti esperienze massoniche nella madrepatria. Se ne hanno moltissime conferme nel caso della Colombia e del Centroamerica, dove si è indagato anche in questa direzione. Nel caso colombiano, i principali pionieri dell’immigrazione italiana, dal ligure Juan Bautista Mainero, giunto a Cartagena nel 1849, al garibaldino piemontese Ernesto Cerruti, giunto nella regione del Cauca nel 1870, sono tutti ferventi massoni; ma lo sono anche i calabro-lucano-campani insediati nella costa caraibica tra Otto e Novecento. Spesso lo diventano gli stessi socialisti moranesi a Barranquilla, a Santa Marta e soprattutto a Ciénaga, ribollente “capitale” della zona bananiera, dove il genovese José De Andreis era annoverato tra i fondatori della locale loggia massonica sin dal 188729. Per il Centroamerica basti segnalare che in Guatemala, dove si reca un buon numero di emigranti di Morano (ma se ne trovano anche di Tramutola, Padula, Montesano, ecc.), si registra che molti di essi, insediati a Quetzaltenango, la seconda città del paese, sono membri di due logge massoniche fondate nel tardo Ottocento. Tra loro artigiani, commercianti, costruttori e artisti, che saranno poi impegnati nella ricostruzione della città colpita nel 1902 da un grave terremoto30.
Sia in Colombia che in Centroamerica, inoltre, si osserva la consuetudine della rituale celebrazione del XX Settembre, che trasforma il festeggiamento tipicamente massonico della “breccia di Porta Pia” in un laico strumento di aggregazione delle comunità italiane. Non raramente, infine, l’affiliazione massonica entrerà in conflitto con le politiche messe in atto dal fascismo tra gli italiani all’estero, esplodendo talvolta in vicende più o meno clamorose31.
4. A mo’ di conclusione
Si spera che risulti chiara, a questo punto, l’utilità di un approccio più articolato e complesso alla questione della geografia dell’emigrazione. Seguendo il metodo e la strada percorsi in questa ricerca, è probabile che emergano non poche vicende consimili anche in altre aree della Penisola, che costringerebbero a ridefinire largamente una geografia dell’emigrazione italiana fondata soltanto su criteri politico-amministrativi32. Si pensi a quanti elementi di analogia con questa ricerca si potrebbero cogliere in alcune aree di frontiera centrosettentrionali, come, solo per fare qualche esempio, nel vasto e articolato Nord-Est, lungo l’asse ligure-piemontese tra Genova e il Monferrato, e infine nel complesso territorio che va dal Levante ligure alla Lucchesìa attraverso le Apuane e l’Appennino tosco-emiliano. Tutto lascia immaginare che, procedendo in questa direzione, si scorgerebbero elementi suggestivi e utili per analisi e interpretazioni di non scarso interesse.
Note