L’emigrazione siciliana*

Ti lassu Sicilia bedda mia
Iu parru sulu la lingua to,
e partu e vaju assai luntanu
unni si parra sulu amiricanu
(Franco Trincale, Sicilia a Brooklyn, in Lettera al papà lontano, musicassetta Fonola, s.d.)

Semo arivati qui in una cità che si chiama Nuova iorca ed è più grande di tutta la Siggilia che fa spavento tanta è la popolazione nelle strate. Uno si perde. Ma cci sono molti nostri paesani che pare di essere a Rabato e si fa tanto di cuore sentendo il nostro linguaggio
(Luigi Capuana, Gli “Americani” di Ràbbato, Torino, Einaudi, 1974, p. 38)

Nell’ultimo ventennio del Novecento l’emigrazione siciliana è stata raccontata in numerose testimonianze letterarie. Essa aveva già avuto riscontro nella letteratura di viaggio o nelle pagine di Pirandello2, nonché aveva da tempo trovato un proprio spazio nella canzone folklorica: si pensi ai versi di Trincale qui posti in epigrafe, nonché a Lu trenu de lu suli, la ballata di Ignazio Buttitta in memoria di Salvatore Scordo sepolto dalle macerie di Marcinelle3. Dopo il 1980, però, sono apparsi quadretti della vita quotidiana dei migranti, che danno voce proprio a questi ultimi4. In particolare nel 1991 è stata pubblicata La spartenza di Tommaso Bordonaro, dirompente diario di un contadino che ripercorre, tra le altre cose, la propria esperienza negli Stati Uniti5. In seguito la voglia di esprimersi in prima persona ha trovato la via del web: così racconti di singoli, talvolta corredati da foto o da altri materiali, sono apparsi da soli o sono stati inseriti nei dibattiti e nelle raccolte storico-documentarie di associazioni quali Sicilia mondo (http://www.siciliamondo.it/).
Agli inizi del Duemila il settore tra memorialistica e letteratura si è arricchito anche di pagine giornalistiche. Non tutte sono scritte da autori siciliani, né tutte sono imperniate sulla presenza siciliana. Tutte, però, ne ricordano qualche aspetto: la fondazione di città nordamericane che si chiamano Palermo, la colonia siciliana di Brooklyn, i siciliani negli Stati Uniti durante gli anni del proibizionismo e del gangsterismo, l’emigrazione illegale di operai e camerieri siciliani verso gli Stati Uniti alla fine del Novecento6. Inoltre è uscito un romanzo in bilico tra invenzione ed esperienza, che descrive giorno dopo giorno un anno di un laureato siciliano emigrato a Padova7.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione di questi nuovi testi i critici hanno preso a indagare sulle voci più antiche, ricostruendo la carriera letteraria, cinematografica o teatrale dei siciliani nel Nuovo Mondo. Tali indagini hanno evidenziato come la figura del siciliano nel Nuovo Mondo8 sia ad un tempo vero e proprio topos del cinema e delle letterature d’oltreoceano9, spesso sfruttato da autori che non sono di origine siciliana10. Esse inoltre hanno mostrato come la figura del siciliano sia anche divenuta un elemento portante delle culture italo-americane11, al punto di essere mitologizzata dall’enorme successo de Il padrino (1969) di Mario Puzo. Ora proprio lo scrittore in questione si è sempre definito di origini napoletane e ha dichiarato di aver scritto The Godfather esclusivamente per soldi12. La sua opera e il successivo adattamento cinematografico, cui ha sempre collaborato, hanno riscosso una grande eco, ma anche non poche critiche dai siciliani d’America13. In ogni caso a questo punto la figura del siciliano emigrato è divenuta un richiamo cui gli stessi siciliani di Sicilia non hanno saputo resistere, sia pure per ironizzarvi in un modo agro-dolce. Se Daniele Ciprì e Franco Maresco intitolano una loro pellicola allo zio d’America di tutte le famiglie dell’isola1414, Andrea Camilleri ritrae il perfetto migrante come una figura che ha perso tutto, persino la sua identità, pur avendo avuto una vita di successo, e alla fine si uccide nell’isola per ridare senso alla propria esistenza15.
Il coacervo di testi (e film) appena citati ruota attorno al problema dell’identità siciliana: identità dell’emigrato, ma anche di chi è rimasto; evoluzione identitaria del primo al contatto con mondi nuovi e del secondo dentro a un’Italia che cambia e di fronte a quanto gli emigrati riportano nell’isola. Se riandiamo alla letteratura scientifica, in particolare a quella del secondo Novecento, sui singoli e sulle comunità emigrate dall’isola al Vecchio e al Nuovo Mondo ci accorgiamo come i titoli mirino sempre alla definizione di cosa sia il siciliano all’estero (e cosa il siciliano in patria), secondo uno schema già approntato agli inizi del secolo scorso, mettendo in rilievo la compattezza del nucleo emigrato e il ruolo in esso giocato dall’essere numerosi: come sottolinea Luigi Capuana nel suo romanzo d’emigrazione, i siciliani all’estero sono così tanti che persino New York diventa alla domenica una propaggine del paese di partenza16.
In effetti la discussione tardo novecentesca sull’emigrazione siciliana si concentra sui caratteri “antropologici” delle comunità all’estero, mentre soltanto pochi contributi valutano perché si sia partiti e dove si sia andati17. Quello che ha veramente interessato gli studiosi è come i siciliani si siano adattati ai luoghi di accoglienza18, come abbiano reagito a rifiuti e segregazione19, come abbiano talvolta scelto l’illegalità per affermare il proprio diritto ad esistere20. Allo stesso tempo l’adattamento è stato letto alla luce di quanto avvenuto nell’isola o, viceversa, per capire quali effetti abbia sortito l’incontro con l’Europa o le Americhe nelle comunità emigrate e persino in quelle di partenza2121. Tali conseguenze sono poi indagate a livello socio-economico o sociale e psicologico22 23. Da questa ultima opzione deriva tra l’altro la notevole curiosità per le forme di associazione o comunque di incontro all’estero24 e per le trasformazioni della religiosità considerata un vero e proprio elemento di identificazione nella realtà di emigrazione25. In entrambi i casi, secondo gli studiosi, le forme di associazionismo regionalistico o religioso avrebbero rafforzato e anche simboleggiato i legami con la regione di origine o comunque la nostalgia per questa26.
La saggistica sinora discussa ruota dunque attorno alla definizione di cosa voglia dire essere siciliano e trascura la dimensione storica del fenomeno migratorio dalla Trinacria. Eppure proprio questa dimensione è assai importante, perché la Sicilia è stata l’ultima regione italiana a partecipare al grande esodo migratorio di fine Ottocento ed è attualmente la regione con più emigrati all’estero27. Prima dell’ultimo quarto dell’Ottocento i movimenti di siciliani verso l’estero erano ridottissimi e non facevano presagire il boom successivo28. Soprattutto nel primo decennio dell’Ottocento la fuoriuscita di manodopera diventa massiccia e, pur registrando regolarmente almeno un terzo di rientri, trasforma l’isola in un luogo di fuga29.
Proviamo dunque a verificare cosa avvenisse in Sicilia prima di questa dirompente rottura30. Durante il medioevo e l’età moderna, l’isola è terra d’immigrazione per antonomasia, tanto che oggi alcuni storici considerano fenomeno migratorio pure quello che una volta era etichettato come invasione31. Al di là di questi aspetti più eclatanti, possiamo dire che nei secoli medievali la Trinacria attirava migranti dalla Penisola (in particolare dal centro-nord – per esempio da Pisa, Genova e Lombardia – e della vicina Calabria), dall’Europa (in successione normanni, tedeschi, angioini e aragonesi) e persino da Mediterraneo sud-orientale32.
Secondo Maurice Aymard, fino all’Ottocento l’isola è aperta a ogni tipo d’immigrazione33. Abbiamo già segnalato l’arrivo di toscani, liguri e lombardi nel tardo medioevo34, ma non dobbiamo dimenticare altre correnti. In primo luogo possiamo menzionare gli schiavi africani (nelle campagne isolane sino a metà Cinquecento) e i greco-albanesi, che si trasferirono in Sicilia dopo il 1450 formando quattro o cinque villaggi35. In secondo luogo possiamo ricordare gli arrivi dei nobili aragonesi, del personale amministrativo castigliano, dei mercanti e banchieri catalani, in particolare di Valencia, e dei mercanti e banchieri dell’Italia del Nord (di nuovo soprattutto lombardi, genovesi, toscani) che si installarono a Palermo e Messina e distribuirono loro agenti in tutta l’isola, infine degli ingegneri militari e dei laureati delle università del Nord Italia36. In terzo luogo registriamo l’ingresso di piccoli artigiani, piccoli commercianti e salariati: tale immigrazione è cospicua già nel Trecento e cresce, fluttuando, attorno a nuclei stabili37. All’interno di questi flussi, che provengono, come quelli mercantili, dalla Lombardia, dalla Riviera ligure e, ma a un livello più basso, dalla Calabria, ci si organizza in comunità riconosciute. Il che, aggiunge Aymard, non impedisce di assimilarsi soprattutto per mezzo del matrimonio38. In quarto luogo la Trinacria attira a cavallo tra Quattro e Cinquecento gruppi di biscaglini che importano ferro dalla loro regione d’origine e in seguito lavorano nelle miniere locali, spesso trasferendosi definitivamente e chiamando le proprie famiglie39.
Rispetto agli immigrati i siciliani di antico regime sembrano poco disposti a spostarsi, se non dentro l’isola o per casi particolari. A metà Cinquecento il reclutamento di manodopera siciliana per le fortificazioni sulle coste del Nord Africa procede con difficoltà. Analogamente va a vuoto un tentativo spagnolo di assegnare terre da colonizzare in Brasile nel 1613. Soltanto la pesca porta i siciliani lontano, persino oltre le colonne d’Ercole40. Mentre il fallimento delle rivolte antispagnole nel Seicento provoca una diaspora verso la Francia e le sue colonie41. Aymard ritiene che questo tenace radicamento sia un fattore culturale più che economico e tuttavia non bisogna sottovalutare la tendenza ad abbandonare la campagna nel Seicento per inurbarsi a Palermo42. Probabilmente siamo di fronte a un fenomeno conservativo tipico dell’ancien régime piuttosto che a una speciale costellazione psicologica. Gli spostamenti a breve e l’inurbamento non distruggono infatti l’organizzazione rurale delle zone di provenienza. La maggioranza della popolazione maschile adulta emigra in cerca di migliori opportunità di lavoro e s’inserisce in attività terziarie che l’organizzazione “coloniale” siciliana lascia libere. Grazie alla permanenza di legami strettissimi con i villaggi di provenienza si crea una sorta di monopolio su certe attività da parte degli emigrati provenienti da determinate aree subregionali. Questo controllo fa sì che la migrazione non provochi perdita di braccia nelle zone di partenza, ma sia funzionale allo scambio reciproco.
Alla fine del Settecento e durante l’epoca napoleonica tale tendenza alle migrazioni conservative trova nuove conferme. Ai pochi contadini che prendono la via dell’estero, grazie allo svincolo dalla terra reso possibile dalle riforme del viceré, si contrappone la quantità di émigrés continentali in fuga dall’occupazione francese, un’immigrazione di tipo politico che assomma dalle diecimila alle trentamila unità43. È inoltre rilevante la presenza dei mercanti inglesi intorno all’epoca dell’occupazione britannica44. Durante la successiva reazione borbonica si riscontra invece un’aumentata tendenza a partire, soprattutto dopo i moti del 1821. In questo contesto alcuni esiliati si stabiliscono a New York e organizzano un lucrativo commercio di frutta con la madrepatria45. Un’altra ondata di esuli si registra infine dopo il 1848. Nel frattempo l’emigrazione economica è assai ridotta, mentre ancora dopo il 1860 l’isola attira immigrati46.
Il quadro delle migrazioni nella Sicilia d’antico regime si completa con un fenomeno di lungo periodo di ben maggiore rilevanza, la mobilità interna secondo modalità e cronologie che qui è impossibile approfondire. In generale l’origine di questi spostamenti risale al Cinquecento, allorché i baroni iniziano a ripopolare i feudi in coincidenza con l’incremento delle esportazioni del grano. Vi è dunque un rilevante spostamento di popolazione dalle terre demaniali a quelle baronali e lo sviluppo o la creazione di borghi rurali in cui i contadini senza terra vengono accentrati e sfruttati, soprattutto nel Seicento47. Questa situazione si perpetua, dopo le leggi di eversione della feudalità (1812), nell’organizzazione del moderno latifondo: la popolazione contadina tende infatti ad accentrarsi nei centri rurali maggiori secondo il modulo abitativo delle agrotowns48.
Nella lunga fase preunitaria la popolazione siciliana cresce notevolmente, aumentando del 45% tra il 1798 e il 1861. A causa dell’estrema povertà dei contadini della Sicilia centrale, dovuta alla crisi del grano e al grande sfruttamento, i flussi interni si modificano e dalla colonizzazione delle suddette aree centrali ci si riorienta verso le zone costiere, secondo un processo già iniziato nel Settecento. Sulla costa infatti la proprietà è maggiormente suddivisa e si va sviluppando la coltura degli agrumi49. In queste zone l’immigrazione incrementa in maniera sostenuta la popolazione, mentre cala il numero degli abitanti nelle aree a latifondo, nonostante che la spinta migratoria abbia ancora un peso inferiore rispetto alle logiche demografiche dei villaggi e queste ultime siano legate alla domanda dei prodotti d’esportazione, ai prezzi e alle strutture sociali50. Il popolamento delle varie aree dipende in definitiva dalle oscillazioni di un’economia di mercato che vede la Sicilia esclusivamente come area di produzione. In fondo potremmo dire che lo sviluppo dell’agrumeto sia ad un tempo un’innovazione e “l’altra faccia del latifondo”51. Un secondo rilevante fenomeno demografico della Sicilia ottocentesca è la crescita di Palermo, Catania, Messina e altri centri urbani che accolgono le popolazioni delle campagne in crisi52. Le città non possono offrire, però, lavoro per tutti e divengono serbatoi per la successiva emigrazione53.
La mobilità interna, come è stato sottolineato da Renda, sembra dunque essere un carattere originale e rilevante della distribuzione della popolazione e dello sviluppo stesso della Sicilia di antico regime. La grande esplosione migratoria di fine Ottocento – inizi Novecento si pone in una relazione di continuità con questa mobilità. La crisi agraria di fine secolo, provocata dal crollo internazionale del prezzo del grano, colpisce anche quelle parti dell’isola che ricevono i flussi interni provenienti dalle zone del latifondo e che ora non sono più capaci di assorbirli e trattenerli. Inoltre l’eccedenza di manodopera non può essere assorbita dall’industria, visto che anche questa è fortemente intaccata dalla congiuntura54. A questo punto le risorse interne sono esaurite e tutte le possibilità sono esplorate, tranne la diaspora oltreoceano55. Il numero degli emigranti su lunga distanza, che si era contenuto di poco al di sopra delle 10.0000 unità annue, scatta a 15.000 nel 1893 e quindi aumenta quasi costantemente sino alla guerra mondiale56. Inizialmente i flussi si dirigono verso la Tunisia, dove si spera di trovare terra, ma poi si orientano verso le Americhe, quando una legge del 1902 toglie agli italiani la possibilità di possedere appezzamenti57.
Negli anni 1890 interviene un altro significativo fattore interno e cioè il fallimento del movimento dei fasci siciliani (1893-1894)58. La protesta è duramente repressa e provoca la cosiddetta “rivoluzione silenziosa”, cioè l’emigrazione dei braccianti e dei piccoli proprietari sconfitti: un flusso che si caratterizza al contempo come politico e di massa. Partono ovviamente anche molti capi del movimento e portano in America la propria esperienza politica59. Alcuni in seguito rientrano nell’isola, è il caso per esempio di Bernardino Verro, e divengono un trait-d’union tra il movimento socialista italiano e quello americano60. Questa rete politico-sindacale non soltanto trasporta idee nei due sensi, ma favorisce anche le successive ondate migratorie, assicurando ai partenti un sostegno oltreoceano.
Da questo momento l’emigrazione siciliana si connota in quanto tendenzialmente, ma non completamente, definitiva, come dimostra la partenza di molte donne e bambini. Molti emigranti politici non vogliono o non possono tornare. Inoltre una parte della diaspora lavorativa siciliana s’indirizza verso attività agricole nel Sud degli Stati Uniti che richiedono manodopera familiare61. Tuttavia tali meccanismi rivelano mere tendenze: come già accennato un terzo degli emigranti regolarmente rientra, mentre le destinazioni rurali attraggono l’emigrazione stagionale in occasione dei raccolti, grazie alla accresciuta rapidità dei trasporti marittimi62. A questo proposito non va sottovalutato il contributo all’esodo da parte delle zone non a latifondo e a coltura estensiva della Sicilia Orientale, così come non va dimenticato quello dalle isole minori63. Qui ritroviamo una tipologia più simile al resto d’Italia, con piccoli agricoltori che cercano di sopperire alla crisi mediante l’emigrazione temporanea in Sud America, mentre i braccianti si dirigono in Nord America alla ricerca di un lavoro non specializzato nel settore delle costruzioni. Secondo Giuseppe Lo Giudice, Renda ha dato troppo peso alle cause endogene, mentre vanno attentamente considerate le cause esogene: l’attrazione degli alti salari nordamericani (la quale stimola la partenza non soltanto di braccianti ridotti alla fame, ma anche di contadini che vogliono migliorare le proprie condizioni rese più pesanti dalla crisi), la rivoluzione dei trasporti e la chiusura dello sbocco tunisino nel 1902.
L’evoluzione novecentesca dell’emigrazione siciliana vede un rallentamento e un aumentato numero di ritorni all’epoca della Grande guerra, poi una ripresa brusca nell’immediato dopoguerra prima della chiusura dello sbocco statunitense e della politica anti-emigrazionista del fascismo64. Durante il ventennio si registra, però, un numero altissimo di spostamenti verso il Nord della penisola e, dopo la guerra, questo nuovo orientamento è confermato dalle partenze verso il triangolo industriale italiano e il mercato del lavoro europeo (prima la Francia, poi la Germania e la Svizzera)65. Dopo il 1945 le destinazioni transoceaniche si rivelano insoddisfacenti e nel complesso le partenze verso di esse sono inferiori a quelle a cavallo tra Otto e Novecento, pur se i siciliani proseguono ad affluire negli Stati Uniti e in Australia66. In ogni caso il secondo Novecento conferma il processo di deruralizzazione della Sicilia (a parte alcuni nuclei di produzione intensiva per l’esportazione) e l’esodo dalle campagne verso le fabbriche del Nord o verso le città dove lo sviluppo del settore terziario ha indotto un vero e proprio boom dell’edilizia67. La crisi dell’occupazione degli anni 1970 comporta il ritorno degli emigranti e la difficoltà a partire (o ripartire), ma questo non ha significato un recupero di antiche attività, come prova l’impiego di manodopera africana immigrata nei mestieri più duri dalla pesca ai raccolti68. Infine all’alba del nuovo millennio una crescente immigrazione soprattutto mediterranea si accompagna alla ripresa dei flussi verso l’estero69. Allo stesso tempo la regione siciliana stringe nuovi rapporti con le sue comunità all’estero, tentando di sfruttarne gli elementi che hanno fatto carriera politica e che possono offrire un sostegno nei varie paesi di arrivo70.
L’aspetto che si vuole qui sottolineare dell’emigrazione siciliana, le cui fasi andrebbero ovviamente maggiormente approfondite, è il suo carattere originale, determinato dalla combinazione di fattori derivanti sia da elementi propri della storia dell’isola, sia dai tempi del fenomeno migratorio. Da un lato, infatti, sembra mancare quasi completamente la fase di emigrazione “di mestiere”, che in altre regioni ha preparato i flussi di massa. Una ricerca di qualche decennio fa mostra come da Corleone sia partito per gli Stati Uniti qualche artigiano, ma di basso livello, mentre la grande maggioranza degli emigranti era costituita da contadini offertisi come manodopera non qualificata71. Dall’altro, a causa della prevalenza del latifondo, la migrazione temporanea maschile resta fortemente minoritaria e limitata alle aree orientali. La prospettiva del ritorno con denaro sufficiente per acquistare un piccolo appezzamento è sempre presente, legata come è ad un’idea di promozione sociale radicata nella società contadina72, ma per il bracciante che parte è inevitabile portare con sé tutta la famiglia, perché quest’ultima non potrebbe mantenersi da sola.
Da un punto di vista demografico i flussi migratori rallentano sino al 1971 il trend di crescita della popolazione siciliana. Di conseguenza la transizione demografica in Sicilia passa anche per la transizione migratoria73. Da un punto di vista economico, le entrate del lavoro all’estero sono dapprima utilizzate per acquistare proprietà, il “sogno proibito” del bracciante del latifondo destinato in buona parte a restare tale a causa del notevole incremento del prezzo della terra. In seguito, soprattutto in occasione del secondo boom dell’emigrazione siciliana negli anni Cinquanta verso l’Europa e l’Italia settentrionale, si preferisce un guadagno meno aleatorio e un lavoro stabile e sicuro che esclude la possibilità del ritorno, ma consente l’inserimento in una società che offre maggiori possibilità di uscire (o almeno di far uscire i figli) dalla povertà74. Inoltre anche nelle partenze degli anni 1950 c’è un elemento che ricorda quelle di fine Ottocento. Se allora aveva giocato il fallimento del movimento dei Fasci, nella definitività della scelta migratoria conta la sensazione di una nuova sconfitta politica e il ruolo dell’illegalità mafiosa come garante degli equilibri di potere. Si parte dunque perché non si può influire sullo sviluppo democratico dell’isola e perché ci si vuole allontanare dalla Mafia75.
Questo abbandono della dimensione rurale (ma anche di quella isolana) segue le tappe dell’evoluzione del fenomeno migratorio: è teoricamente assente, anche se poi di fatto in parte realizzato, all’epoca del primo flusso: è latente, anche per la difficile determinazione del fenomeno, durante il periodo fascista; è largamente preponderante nel secondo dopoguerra. Nel processo di destrutturazione della società contadina e nello sradicamento dell’emigrante dalle proprie origini, entra infatti in gioco in modo decisivo la nuova tipologia dell’emigrazione moderna che vede prevalere le partenze definitive verso le grandi città, l’esodo che ha caratterizzato dal 1925 tutto il Mezzogiorno76. Peraltro, i legami dei siciliani con l’isola d’origine hanno continuato ad essere molto forti grazie alla stretta unità antropologica e ai contatti mantenuti mediante le catene di richiamo dell’emigrazione, nonché nei decenni più recenti le politiche della Regione siciliana, che dal 1975 inizia a interessarsi al problema migratorio77. Al di là della dimensione culturale in cui si possono rinvenire alcune caratteristiche dei fenomeni di antico regime, sembra tuttavia di poter scorgere nell’emigrazione siciliana una tipologia non diversa dall’espulsione di manodopera indifferenziata che attualmente spinge numerosi africani verso la Trinacria. I tentativi, pure segnalati, di emigrazione di contadini siciliani che si spostano per coltivare la terra altrove, sia in America (Texas e Louisiana) sia in Italia, sono casi relativamente esigui del mantenimento di una “professionalità” di agricoltori78. La grande maggioranza deve mettere invece sul mercato la propria forza lavoro e indirizzarsi verso lavori non specializzati.
Ricapitolando e schematizzando, l’emigrazione siciliana è un esempio, all’interno di un ambito geografico circoscritto, della moderna tipologia del fenomeno che si presenta tuttavia in tre fasi ben distinte. La prima, fino grosso modo al 1925, ha un elemento rilevante che la può assimilare all’emigrazione di antico regime, cioè l’idea prevalente del ritorno al paese (che spesso tuttavia non può attuarsi). Certamente però, il carattere di massa, l’assenza di una caratterizzazione di mestiere, la prevalente destinazione verso lavori di fabbrica non specializzati, le danno forti connotazioni di emigrazione moderna. Dopo il 1925 e fino alla crisi dei primi anni 1970, anche la prospettiva del ritorno, del successo da godere nella propria terra, decade a vantaggio dell’inserimento nelle aree di destinazione e l’emigrazione assume sempre più importanza nella destrutturazione della società agricola siciliana. Infine la terza fase, tra la fine del Novecento e gli inizi del nuovo millennio, sembra collegata soprattutto alla difficoltà per i giovani diplomati e laureati di trovare il lavoro richiesto e alle maggiori possibilità di movimento in ambito europeo.
Anche la costruzione delle comunità all’estero e l’elaborazione dei loro tratti culturali corrisponde a questi passaggi. Nella prima fase non sembra infatti esserci una dichiarata volontà di ricreare all’estero la propria comunità. Come ricorda Capuana, i siciliani oltre oceano sono tanti, ma non vogliono fondare una Sicilia all’estero. D’altronde una campagna antropologica di primo Novecento evidenzia come gli abitanti della Trinacria si distinguano in loco in base al villaggio d’appartenenza, in Italia si ritengano siciliani e fuori d’Italia si definiscano italiani79. Un’ulteriore testimonianza in questo senso è offerta dalla biografia di Vincenzo Sellaro, nato a Polizzi Generosa nel 1868 e morto a New York nel 1932. Dopo essersi laureato in Medicina a Napoli nel 1895, varca l’oceano e fa carriera nell’ospedale italiano di New York. Attivo massone nel 1904 inizia a pensare alla creazione di un unico organismo per raggruppare tutti gli italiani e nel 1905 fonda la Supreme Lodge of the Sons of Italy, ancora oggi attiva come Order Sons of Italy80.
Nei primi tre decenni del Novecento il vecchio quartiere per immigrati irlandesi di Chicago diventa progressivamente una Piccola Italia meridionale e si trasforma in Little Sicily, dove si inurbano pure coloro che inizialmente si erano recati nei campi della Louisiana81. È in insediamenti di queste dimensioni che tra le due guerre si inizia a porre il problema di comportamenti “siciliani”, come narra Jerre Mangione82. In queste comunità si re-inventano le tradizioni familiari e si obbligano i membri a sottostare a controlli forse maggiori che nei luoghi di partenza e tuttavia a lungo andare si tollerano le eterodossie di prime e seconde generazioni83. Inoltre l’apparente compattezza dei costumi “isolani” è in realtà minata anche dalle micro-contrapposizioni in base ai luoghi di partenza, per esempio dal contrasto tra messinesi e palermitani84. Insomma la storia dell’emigrazione siciliana e delle culture da essa nate rivelano all’analisi realtà molto frastagliate e forse ancora da apprezzare in tutto il loro valore.
Note
[Torna] * Ringrazio Nicoletta Bazzano e Massimo Giannini per avermi prestato o regalato molti libri sulla storia della Sicilia e dell’emigrazione siciliana, Marina Sanfilippo per avermi segnalato i materiali sulla canzone e i cantastorie, Paolo Varvaro per avermi fatto consultare le memorie di viaggio del suo avo, Giovanni Pizzorusso per aver letto una prima versione di questo saggio. Infine voglio ricordare che è stato il purtroppo scomparso George Pozzetta a farmi leggere Puzo e Mangione, facendomi dono di alcune loro opere, e a farmi ragionare sulla costruzione della “Sicilia all’estero”.
[Torna] 2 Per i viaggi, cfr. Francesco Varvaro Pojero, Una corsa nel Nuovo Mondo, Milano, Treves, 1878. Per Pirandello e gli altri autori: Sebastiano Martelli, Letteratura contaminata. Storie parole immagini tra Ottocento e Novecento, Salerno, Laveglia, 1994, e Dal vecchio mondo al sogno americano. Realtà e immaginario dell’emigrazione nella letteratura italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, pp. 433-489.
[Torna] 3 Ignazio Buttitta, Lu trenu de lu suli, Milano, Edizioni Avanti!, 1963. Sui versi di Buttitta e Trincale, cfr. Mauro Geraci, Le ragioni dei cantastorie. Poesia e realtà nella cultura popolare del Sud, Roma, Il Trovatore, 1996, pp. 238-246. Sulla tradizione della canzone d’emigrazione siciliana, cfr. Giuliana Fugazzotto, I canti dei miricani, in L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento e la storia delle comunità derivate, a cura di Marcello Saija, Messina, Edizioni TRISFORM, 2003, pp. 837-849.
[Torna] 4 Franco Caporossi, Come era nero il carbone, Roma Associazione Artisti Lepini, 1983; Antonio Scalici, Gastarbeiter, Palermo, Dharba Editrice, 1992; Rital-littérature. Antologie de la littérature des Italiens de Belgique, a cura di Anne Morelli, Cuesmes, Éditions du Cerisier, 1996.
[Torna] 5 Tommaso Bordonaro, La spartenza, Torino, Einaudi, 1991. Cfr. Mario Sarica, La spartenza, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 828-836.
[Torna] 6 Mario Pintagro e Franco Lannino, Americani di Palermo. Due cronisti fra i «palermitani» d’oltreoceano, Palermo, Hombre, 2003; Vincent Schiavelli, Bruculinu, America, Palermo, Sellerio, 2003; Alessandro Tasca di Cutò, Un principe in America e altrove, Palermo, Sellerio, 2004; Giovanni Russo, I cugini di New York (da Brooklyn a Ground Zero), Milano, Scheiwiller, 2003.
[Torna] 7 Salvatore Accardo, Un anno di corsa, Milano, Sironi, 2006.
[Torna] 8 Martino Marazzi, Voices of Italian America. A History of Early Italian American Literature with a Critical Anthology, Farley Dickinson University Press, Madison 2004; Francesco Durante, Italoamericana, I-II, Milano, Mondadori, 2001-2005; Giuliana Muscio, Piccole Italie, grandi schermi. Scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti 1895-1945, Roma, Bulzoni, 2004. Vedi inoltre Leonardo Celi, Adolfo Celi, Un uomo per due mondi (2006), documentario nel quale si ricostruiscono anche i quattordici anni in Brasile dell’attore-regista messinese. Sull’apporto siciliano al mondo dello spettacolo americano, si legga infine Erik Amfitheatrof, Sinatra, Scorsese, Di Maggio e tutti gli altri, Vicenza, Neri Pozza, 2004.
[Torna] 9 Richard Ambrosiani, Vincenzo Matera e Matteo Sanfilippo, Tony goes to Hollywood. Gli italoamericani e il cinema, “Il Veltro”, XXXIV, 3-4 (1990), pp. 373-387; Ilaria Serra, Immagini di un immaginario: l’emigrazione italiana negli Stati Uniti fra i due secoli (1890-1924), Verona, Cierre Edizioni, 1997; Il sogno italo-americano. Realtà e immaginario dell’immigrazione negli Stati Uniti, a cura di Sebastiano Martelli, Napoli, CUEN, 1998; Peter Bondanella, Gli italoamericani e il cinema, in Storia del cinema mondiale, a cura di Gian Piero Brunetta, II, Gli Stati Uniti, 1, Torino, Einaudi, 1999, pp. 911-938; Paola Casella, Hollywood Italian. Gli italiani nell’America di celluloide, Milano, Baldini e Castaldi, 1998; Scene italoamericane, a cura di Anna Camaiti Hostert e Anthony Julian Tamburri, Roma, Luca Sossella Editore, 2002. Si vedano inoltre l’intervista a Capra in Enzo Biagi, La mia America, Milano, Rizzoli, 2003, pp. 154-159, e Vito Zagarrio, Frank Capra, Firenze, Il Castoro, 1995.
[Torna] 10 Matteo Sanfilippo, Gli italo-americani nel nuovo cinema nero, “XX Secolo”, 10 (1994), pp. 63-69.
[Torna] 11 Nicholas Harney, Eh, Paesan! Being Italian in Toronto, Toronto, University of Toronto Press, 1998; Stefano Luconi, From Paesani to White Ethnics. The Italian Experience in Philadelphia, Albany, State University of New York Press, 2001; Giuseppe Losacco, Wop o mangiacake. Consumi e identità etnica: la negoziazione dell’italianità a Toronto, Milano, Angeli, 2003; Merica. Forme della cultura italoamericana, a cura di Nick Ceramella e Giuseppe Massara, Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2004; Caterina Romeo, Narrative tra due sponde. Memoir di italiane d’America, Carocci, Roma 2005; Matteo Pretelli e Anna Ferro, Gli italiani negli Stati Uniti del XX secolo, Roma, Centro Studi Emigrazione, 2005. Vedi inoltre la testimonianza di Jerre Mangione, Mont’Allegro : una comunità siciliana in America, Milano, Franco Angeli, 1983.
[Torna] 12 Mario Puzo, The Godfather Papers and Other Confessions, New York, Putnam’s Sons, 1972.
[Torna] 13 Per gli ulteriori romanzi di argomento siciliano, sino a Omertà, uscito postumo nel 2000, si consulti http://www.mariopuzo.com/. Per la trilogia del Padrino, diretta da Francis Ford Coppola e scritta da questi assieme a Puzo (1972, 1974 e 1990), si vedano ora The Godfather DVD Collection e Harlan Lebo, The Godfather Legacy, New York, Fireside, 2005. Per la critica di Puzo da una prospettiva “siciliana”, cfr. Jerre Mangione e Ben Morreale, La Storia. Cinque secoli di esperienze italo-americane (1992), Torino, SEI, 1996, p. 267.
[Torna] 14 Daniele Ciprì e Franco Maresco, Lo zio di Brooklyn (1995), nonché Idd., Lo zio di Brooklyn, a cura di Goffredo Fofi ed Enrico Ghezzi, Milano, Bompiani, 1995.
[Torna] 15 Andrea Camilleri, Being Here …, in Un mese con Montalbano, Milano, Mondatori, 1998, pp. 187-195.
[Torna] 16 Francesco “Yoni” Coci, La Sicilia e i Siciliani: note folk-loriche-psicologiche-sociali, Milano, Mangoni, 1906; Luigi Capuana, Gli “Americani” di Rabbato [1909], Torino, Einaudi, 1974. La stessa prospettiva poteva ed era talvolta applicata al caso di tutti gli emigrati italiani (Matteo Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 2005) o anche soltanto di tutti quelli meridionali (Andreina De Clementi, La sfida dell’insularità. Generazioni e differenze etniche tra gli emigrati meridionali negli Stati Uniti, “Memoria e ricerche”, 8, 1996, pp. 99-113).
[Torna] 17 Giovanni Raffaelli, Siciliani nel mondo, in Storia della Sicilia, a cura di Francesco Benigno e Giuseppe Giarrizzo, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 113-133. Il modello per lo studio dei motivi della partenza sembra essere sempre quello offerto da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino nell’Inchiesta in Sicilia relativa alla situazione del 1876, se ne vedano le ristampe di Firenze, Vallecchi, 1974 e Palermo, Kalós Editore, 2004. Per la successiva applicazione di questo modello, si consultino le pubblicazioni degli istituti per lo studio del Meridione, ad esempio: ISVI Istituto di Formazione e Ricerca sui Problemi Sociali dello Sviluppo, L’emigrazione meridionale nelle zone d’esodo, Catania, Facoltà di Scienze Politiche, 1975-1976; Formez, Ricerca sull’emigrazione meridionale nelle zone di esodo, Roma, Formez, 1977, in più volumi (in particolare il Rapporto di sintesi, curato da Gianfausto Rosoli); Formez, Emigrazione e regioni meridionali, Roma, Formez, 1978; L’emigrazione siciliana verso l’estero: nel contesto dell’emigrazione italiana. Aspetti e problemi, a cura di Piero Carbone, Palermo, Istituto Paolo VI Segretariato Regionale per l’Emigrazione Siciliana, 1978. Vedi infine Piero Carbone, L’altra Sicilia. Aspetti, problemi, prospettive dell’emigrazione siciliana, Palermo, C.O.E.S., 1986.
[Torna] 18 Johan Leman, From challenging culture to challenged culture. The Sicilian cultural code and the socio-cultural praxis of Sicilian immigrants in Belgium, Leuven, Leuven University Press, 1987; Girolamo Sineri, Cambiando cielo. L’integrazione sociale dei siciliani in Olanda, Catania, ISVI, 1989; Valentino Belfiglio, Sicilian Houstonians in transition, in Italian Americans in transition, a cura di Joseph V. Scelsa, Salvatore J. LaGumina e Lydio Tomasi, New York, The American Italian Historical Association, 1990, pp. 39-47. Talvolta questi studi giocano sulle comparazioni con altre realtà regionali: Maria Cristina Cacopardo e José Luis Moreno, La emigración italiana meridional a la Argentina: calabreses y sicilianos (1880-1930), “Studi Emigrazione”, 98 (1990), pp. 231-253; Camilla Bettoni e Antonia Rubino, Emigrazione e comportamento linguistico. Un’indagine sul trilinguismo dei siciliani e dei veneti in Australia, Galatina (Lecce), Congedo Editore, 1996; Bettina Alejandra Bavero, Venetos y sicilianos en Mar del Plata: Los inmigrantes italianos de posguerra y el desarrollo de dos realidades barriales, “Altreitalie”, 27 (2003), pp. 106-120.
[Torna] 19 Dino Cinel, Sicilians in the deep South: the ironic outcome of isolation, “Studi Emigrazione”, 97 (1990), pp. 55-86; Patrizia Salvetti, Corda e sapone. Storie di linciaggi di italiani negli Stati Uniti, Donzelli, Roma, 2003.
[Torna] 20 In realtà la discussione è ormai molto più smaliziata, pur se abbondano le opere descrittive: Gian Carlo Fusco, Gli indesiderabili, Palermo, Sellerio, 2003 (ristampa, però, di articoli scritti decenni or sono); Gaetano Rizzo Nervo, Lucky Luciano, Pellegrini, Cosenza, 2000; Roberto Olla, Padrini. Alla ricerca del DNA di Cosa Nostra, Milano, Mondadori, 2003. Per una riflessione più accurata, cfr. Salvatore Lupo, Storia della mafia, Roma, Donzelli, 1996, Cose nostre: mafia siciliana e mafia americana, in Storia dell’emigrazione italiana, cit., II, 2002, pp. 245-270, e Gli alleati e la mafia: un patto scellerato?, “Meridiana”, 49 (2004), pp. 193-206.
[Torna] 21 Constance Cronin, The sting of change. Sicilians in Sicily and Australia, Chicago, The University of Chicago Press, 1970; Maria Mantello, Now and then. The Sicilian farming community at Werribee Park 1929-1949, Carlton, Globe Press, 1986; Martina Giuffré, Le comunità eoliane d’Australia: gli studi storico-antropologici, le fonti, le prospettive, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 491-523.
[Torna] 22 Robert L. Vivolo, Emigration and agriculture in a Sicilian village, in The politics of return. International return migration in Europe, a cura di Daniel Kubat, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1984, pp. 73-77; Arnd Schneider, Emigration und Rückwanderung von ’Gastarbeitern’ in einem sizilianischen Dorf, Frankfurt am Main, Lang, 1990.
[Torna] 23 Stephanie Rothenburg-Unz, La famiglia siciliana tra paese di origine e colonia etnica, “Studi Emigrazione”, 85 (1987), pp. 47-62; Frank Salamone, Power and dominance in Sicilian households in Rochester, N.Y. (Lewis Street Center), “Studi Emigrazione”, 113 (1994), pp. 64-90; Frank P. Vezzano, Miei cari figli: separation and sadness among the Gangitani (Sicily), in Italian Americans in transition, cit., pp. 211-216; Marina Marengo e Angela Alaimo, Tracce dell’origine: un approccio inconsueto all’alterità. La Sicilia nei racconti dei siciliani di Losanna, in Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi, II, La cittadinanza e l’esclusione, la `frontiera adriatica’ e gli altri luoghi dell’immigrazione, la società e la scuola, a cura di Carlo Brusa, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 460-482; Linda Reeder, When the Men Left Sutera: sicilian women and Mass Migration, 1880-1920, in Women, Gender, and Transnational Lives. Italian Workers of the World, a cura di Donna Gabaccia e Franca Iacovetta, Toronto, University of Toronto Press, 2002, pp. 45-75, e Widows in White: Migration and the Transformation of Rural Italian Women, Sicily, 1880-1920, Toronto, University of Toronto Press, 2003. Nel Canada la riflessione è stata portata avanti anche dal cinema: Maria Gabriella Adamo, La parola e il silenzio. Gli scénarios della trilogia filmica di Paul Tana e Bruno Ramirez sull’immigrazione italo-siciliana in Québec, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 781-817; Sergio Piraro, Dalla Sarrasine agli anni ’60: emigrazione ed integrazione nel Canada francofono, ibid., pp. 819-826. Del film citato in questo ultimo intervento è stata pubblicata la sceneggiatura: Bruno Ramirez et Paul Tana, La Sarrasine, Scénario, Montréal, Boréal, 1992.
[Torna] 24 Salvatore Palidda, L’immigration italienne en France. II – L’exemple de groupes régionales italiens en France, “Studi Emigrazione”, 78 (1985), pp. 226-234; Enrico Cumbo, The Sicilian Presence in Canada, in A Monument for Italian-Canadian Immigrants, a cura di Gabriele Scardellato e Manuela Scarci, Toronto, The Department of Italian Studies, 1999, pp. 20-26.
[Torna] 25 Stefano Girola, I Tre Santi. Fede storia tradizione dalla Sicilia al Queensland, Brisbane, Minerva E&S, 2000. Vedi inoltre The Saints in the Lives of Italian-Americans. An Interdisciplinary Investigation, a cura di Joseph A. Varacalli, Salvatore Primeggia, Salvatore J. LaGumina e Donald J. D’Elia, suppl. monografico a “Forum Italicum”, New York, 1999, e Antonio Paganoni e Desmond O’Connor, Se la processione va bene … Religiosità popolare italiana nel Sud Australia, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1999. Sui rapporti tra Chiesa cattolica ed emigrazione siciliana, cfr. infine Chiesa ed emigrazione a Caltanissetta e in Sicilia nel Novecento, a cura di Pietro Borzomati, Caltanissetta, Edizioni del Seminario, 1988, e Gianfausto Rosoli, Insieme oltre le frontiere. Momenti e figure dell’azione della Chiesa tra gli emigrati italiani nei secoli XIX e XX, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1996.
[Torna] 26 Cfr. Arnd Schneider, Futures Lost. Nostalgia and Identity among Italian Immigrants in Argentina, Frankfurt am Main, Lang, 2000, ma si tenga presente quanto scrive Salvatore Palidda (L’associazionismo italiano in Francia, “Studi Emigrazione”, 160, 2005, pp. 919-934) sulla progressiva scomparsa di tale nostalgia.
[Torna] 27 Francesco Brancato, L’emigrazione siciliana degli ultimi cento anni, Cosenza, Pellegrini Editore, 1995; Antonino Checco, L’emigrazione siciliana, i luoghi e le comunità di partenza (1881-1913): una proposta di ricerca, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 83-127. Nel 2003 la Sicilia aveva 528.000 emigrati all’estero, pari al 17% del totale italiano, e forniva la componente maggiore all’immigrazione italiana in Belgio, Francia e Germania, e negli Stati Uniti: Giammario Maffioletti e Alberto Colaiacomo, Gli italiani nel mondo. Dinamiche migratorie e composizione della collettività, “Studi Emigrazione”, 153 (2004), pp. 169-194.
[Torna] 28 Salvatore Candido, Scrittori, mercanti, marinai, soldati siciliani sulle orme di Cristoforo Colombo, “Nuove Prospettive Meridionali”, II, 4 (1992), pp. 87-94.
[Torna] 29 F. Brancato, L’emigrazione siciliana, cit.; A. Checco, L’emigrazione siciliana, cit.; Giuseppe Bottaio, Dalla Sicilia ad Ellis Island. L’emigrazione siciliana nel 1906, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 275-287.
[Torna] 30 Nelle pagine che seguono sono sviluppati alcuni spunti già enucleati in Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal Basso Medioevo al secondo dopoguerra, “Bollettino di demografia storica”, 13 (1990), pp. 155-159.
[Torna] 31 Si veda la letteratura soprattutto francese, da Maurice Aymard, La Sicile terre d’immigration, in AA.VV., Les migrations dans les pays méditerranéens au XVIIIe et au début du XIXe siècle, Nice, Centre de la Méditerranée moderne et contemporaine, 1974, pp. 134-157, a Jean-Marie Martin, L’immigrazione normanna, inglese e francese nel Regno normanno di Sicilia, in Studi in onore di Salvatore Tramontana, a cura di Enrico Cozzo, Pratola di Serra, Elio Sellino Editore, 2003, pp. 281-289. Sull’immigrazione straniera favorita dalla conquista normanna, cfr. Norbert Kamp, Die deutsche Präsenz im Königreich Sizilien (1194-1266), in Die Staufer im Süden. Sizilien und das Reich, a cura di Theo Kölzer, Sigmaringen, Jan Thorbecke Verlag, 1996, pp. 141-185, e Annliese Nef, Les souverains normands et les communautés culturelles en Sicile, “Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age”, 115 (2003), p. 611-623. Della stessa autrice vedi inoltre Fortuna e sfortuna di un tema: la Sicilia multiculturale, in Rappresentazioni e immagini della Sicilia tra storia e storiografia, a cura di Francesco Benigno e Claudio Torrisi, Roma-Caltanissetta, Sciascia Editore, 2003, p. 149-170, e Les juifs de Sicile: des juifs de langue arabe du XIIe au XVe siècles, in Ebrei e Sicilia, a cura di Nicolò Bucarla, Michele Luzzati e Angela Tarantino, Palermo, Regione Sicilia – Flaccovio, 2002, pp. 169-178. Per un quadro riassuntivo di questa complessa società medievale, cfr. Francesco Leggio, Federico II capo di uno stato multietnico, “Affari Sociali Internazionali”, 26, 1 (1998), pp. 157-172.
32 Rosa Maria Dentici Buccellato, Forestieri e stranieri nelle città siciliane del basso medioevo, in Forestieri e stranieri nelle città medievali, atti del seminario internazionale di studio, Firenze, Salimbeni, 1988, pp. 235-248; Pietro Corrao, Uomini d’affari stranieri nelle città siciliane del tardo medioevo, “Revista de Historia Medieval”, 11 (2000), pp. 139-162. Per il caso toscano, cfr. Carmelo Trasselli, I lucchesi in Sicilia, in Lucca archivistica storica economica. Relazioni e comunicazioni al XV Congresso Nazionale di Archivistica, Roma, Il Centro di ricerca editore, 1973, pp. 224-231; Giuseppe Petraia, Sui toscani in Sicilia tra ‘200 e ‘300: la penetrazione sociale e il radicamento dei ceti urbani, in Commercio, finanzia, funzione pubblica. Stranieri in Sicilia e in Sardegna nei secoli XIII-XV, a cura di Marco Tangheroni, Napoli, Liguori, 1989, pp. 129-209, e Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese. L’emigrazione dei Pisani in Sicilia nel Quattrocento, Pisa, Pacini, 1989. Per il caso lombardo: Illuminato Peri, La questione delle colonie “Lombarde” in Sicilia, “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 57 (1959), pp. 253-280.
33 M. Aymard, La Sicile, cit.
34 Nel caso genovese la mobilità mercantile è raddoppiata da flussi aristocratici, cfr. Carmelo Trasselli, Genovesi in Sicilia, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, LXXXIII (1969), pp. 153-178, e Pietro Corrao, Un dominio signorile nella Sicilia tardomedievale, ipertesto in “Reti medievali”, 2, 1 (2001), http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/iper/venti.htm#.
[32] 32 Rosa Maria Dentici Buccellato, Forestieri e stranieri nelle città siciliane del basso medioevo, in Forestieri e stranieri nelle città medievali, atti del seminario internazionale di studio, Firenze, Salimbeni, 1988, pp. 235-248; Pietro Corrao, Uomini d’affari stranieri nelle città siciliane del tardo medioevo, “Revista de Historia Medieval”, 11 (2000), pp. 139-162. Per il caso toscano, cfr. Carmelo Trasselli, I lucchesi in Sicilia, in Lucca archivistica storica economica. Relazioni e comunicazioni al XV Congresso Nazionale di Archivistica, Roma, Il Centro di ricerca editore, 1973, pp. 224-231; Giuseppe Petraia, Sui toscani in Sicilia tra ‘200 e ‘300: la penetrazione sociale e il radicamento dei ceti urbani, in Commercio, finanzia, funzione pubblica. Stranieri in Sicilia e in Sardegna nei secoli XIII-XV, a cura di Marco Tangheroni, Napoli, Liguori, 1989, pp. 129-209, e Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese. L’emigrazione dei Pisani in Sicilia nel Quattrocento, Pisa, Pacini, 1989. Per il caso lombardo: Illuminato Peri, La questione delle colonie “Lombarde” in Sicilia, “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 57 (1959), pp. 253-280.
[33] 33 M. Aymard, La Sicile, cit.
[Torna] 34 Nel caso genovese la mobilità mercantile è raddoppiata da flussi aristocratici, cfr. Carmelo Trasselli, Genovesi in Sicilia, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, LXXXIII (1969), pp. 153-178, e Pietro Corrao, Un dominio signorile nella Sicilia tardomedievale, ipertesto in “Reti medievali”, 2, 1 (2001), http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/iper/venti.htm#.
[Torna] 35 Cfr. in generale ancora Maurice Aymard, Profili demografici, in Storia della Sicilia, diretta da Rosario Romeo, VII, Palermo, Società Storia di Napoli del Mezzogiorno continentale e della Sicilia, 1978, pp. 217-240, in particolare pp. 226-227. Per gli schiavi vedi inoltre Id., De la traite aux chiourmes: la fin de l’esclavage dans la Sicile moderne, in Miscellanea Charles Verlinden, “Bulletin de l’Institut historique belge de Rome”, XLIV (1974), pp. 1-21, nonché Charles Verlinden, Schiavitù ed economia nel Mezzogiorno agli inizi dell’età moderna, “Annali del Mezzogiorno”, III (1963), pp. 11-38. Per i greco-albanesi: Franco Mosino, I Greci a Siracusa alla fine del Medioevo, “Incontri meridionali”, terza serie, III, 1-2 (1983), pp. 161-165.
[Torna] 36 Oltre alla bibliografia già citata, cfr. Carmelo Trasselli, Mercanti forestieri in Sicilia nell’età moderna, in Storia della Sicilia, diretta da R. Romeo, VII, cit., pp. 163-182; Governare il mondo. L’impero spagnolo dal XV al XIX secolo, a cura di Massimo Ganci e Ruggiero Romano, Palermo, Società Siciliana per la Storia Patria, 1991; Francesco Benigno e Claudio Torrisi, Élites e potere in Sicilia dal medioevo a oggi, Roma, Donzelli, 1995.
[Torna] 37 Cfr. Pietro Corrao, La popolazione fluttuante a Palermo fra ‘300 e ‘400: avvicendamenti e rotazioni nazionali e sociali, in Commercio, finanza, funzione pubblica, cit., pp. 34-88.
[Torna] 38 M. Aymard, La Sicile, cit.
[Torna] 39 Carmelo Trasselli, Sui biscaglini in Sicilia tra Quattro e Cinquecento, “Mélanges de l’École française de Rome. Temps Modernes”, 85, 1 (1973), pp. 143-158.
[Torna] 40 Valdo D’Arienzo e Biagio Di Salvia, Siciliani nell’Algarve, Palermo, Sellerio, 1990.
[Torna] 41 In generale cfr. Jean-François Dubost, La France italienne. XVIe-XVIIe siècles, Paris, Aubier, 1997. Più specificamente: Émile Laloy, La révolte de Messine. L’expédition de Sicile et la politique française en Italie (1674-1678). Avec des chapitres sur les origines de la révolte (1648-1674) et sur les sortes des exilés (1678-1702), Paris, Klincksieck, 1929-1931; Léopold Lamontagne, Crisafy, Thomas, in Dictionnaire Biographique du Canada, Québec, Les Presses de l’Université Laval, 1966, pp. 245-246; Irene Polverini Fosi, Crisafi, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 30, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1984, pp. 767-769.
[Torna] 42 M. Aymard, La Sicile, cit., p. 144.
[Torna] 43 Francesco Renda, L’emigrazione in Sicilia, Palermo, Sicilia al Lavoro, 1963 (nuova edizione Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1989).
[Torna] 44 Michela D’Angelo, Mercanti inglesi in Sicilia: 1806-14, Milano, Giuffré, 1988.
[Torna] 45 Anna Maria Martellone, Italian Mass Emigration to the United States, 1876-1930: A Historical Survey, “Perspectives in American History”, nuova serie, I (1984), pp. 378-423.
[Torna] 46 Letterio Briguglio, Le condizioni della Sicilia nel pensiero di emigrati veneti (1860-1866), Padova, Società Cooperativa Tipografica, 1963.
[Torna] 47 Maurice Aymard, In Sicilia: sviluppo demografico e sue differenziazioni geografiche, 1500-1800, in Demografia storica, a cura di Ercole Sori, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 195-226; Francesco Benigno, Una casa, una terra. Ricerche su Paceco, paese nuovo nella Sicilia del Sei e Settecento, Catania, CUECM, 1985, Vecchio e nuovo nella Sicilia del Seicento: il ruolo della colonizzazione feudale, “Studi storici”, XXVII, 1 (1986), pp. 93-107, e Assetti territoriali e ruralizzazione nella Sicilia del Seicento: note per una discussione, in SIDES, La popolazione nelle campagne in Italia nel XVII e nel XVIII secolo, Bologna, CLUEB, 1993, pp. 55-71. Giuseppe Restifo, Sradicamenti drammatici e migrazioni interne nella Sicilia dell’età moderna, “Bollettino di Demografia Storica”, 19 (1993), pp. 181-190, ricorda anche il popolamento delle isole minori, per il quale cfr. pure Carmelo Trasselli, Il popolamento dell’isola di Ustica nel secolo XVIII, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 1966.
[Torna] 48 Giuseppe Barone, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in Storia delle regioni dall’Unità a oggi. La Sicilia, a cura di Giuseppe Giarrizzo e Maurice Aymard, Torino, Einaudi, 1987, p. 191.
[Torna] 49 F. Renda, L’emigrazione in Sicilia, cit.
[Torna] 50 F. Renda, L’emigrazione in Sicilia, cit.; Maurice Aymard e Gérard Delille, L’exemple de l’italie entre XVe et XVIIIe siècle: le poids des structures agraires, familiales et patrimoniales, in Évolution agrarie et croissance démographique, a cura di Antoinette Fauve-Chamoux, Liège, Ondina Éditions, 1987, pp. 155-176.
[Torna] 51 Maurice Aymard, Economia e società: un sguardo d’insieme, in Storia delle regioni. La Sicilia, cit., pp. 5-37. Vedi inoltre Salvatore Lupo, Il giardino degli aranci. Il mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Venezia, Marsilio, 1990.
[Torna] 52 G. Barone, Egemonie urbane, cit.
[Torna] 53 A. Martellone, Italian Mass Emigration, cit.
[Torna] 54 M. Aymard, Economia e società, cit.; Corradina Polto, Crisi economica ed emigrazione in Sicilia, in Genova, Colombo, il mare e l’emigrazione italiana nelle Americhe, a cura di Claudio Cerreti, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1996, pp. 206-217.
[Torna] 55 A. Checco, L’emigrazione siciliana, cit.
[Torna] 56 Il fenomeno è abilmente sintetizzato in Francesco Coletti, Della emigrazione italiana, Milano, Hoepli, 1911, che ne segnala i risvolti economici, in particolare l’afflusso di rimesse. È analizzato più nel dettaglio da Giovanni Battista Raia, Il fenomeno migratorio siciliano (con speciale riguardo al quinquennio 1902-1905), Palermo, 1908, e Giuseppe Bruccoleri, L’emigrazione siciliana. Caratteri ed effetti secondo le più recenti inchieste, Roma, Cooperativa tipografica Manuzio, 1911.
[Torna] 57 Giovanni Raffiotta, La Sicilia nel primo ventennio del secolo XX, Palermo, Industria Grafica Nazionale, 1959, pp. 143-151, che si basa essenzialmente su Giovanni Lorenzoni, Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, VI, Sicilia, Roma, Tipografia Bertero, 1910. Vedi inoltre l’apprezzamento demografico in Luigi Di Comite e Michele De Candia, L’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti d’America: il caso della Sicilia (1880-1914), “Analisi Storica”, VI, 10 (1988), pp. 5-33.
[Torna] 58 Giuseppe Giarrizzo et al., I fasci siciliani, Bari, De Donato, 1975; Francesco Renda, I fasci siciliani (1892-1894), Torino, Einaudi, 1977, e La “questione sociale” e i Fasci (1874-1894), in Storia delle regioni. La Sicilia, cit., pp. 157-188; I fasci siciliani dei lavoratori (1891-1894), a cura di Santi Fedele, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1994. Vedi inoltre Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano, II, Dalle prime lotte nella valle padana ai fasci siciliani, Torino, Einaudi, 1997, e Salvatore Butera, L’isola difficile. Sicilia e siciliani dai fasci al dopoguerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000.
[Torna] 59 Malcom Sylvers, Sicilian Socialists in Houston, Texas, 1896-1898, “Labor History”, 11 (1970), pp. 77-81; George E. Pozzetta, Italians and the Tampa General Strike of 1910, in Pane e lavoro: The Italian American Working Class, a cura di Id., Toronto, MHSO, 1980, pp. 29-46; Donna R. Gabaccia, From Sicily to Elisabeth Street, Albany, State University of New York Press, 1984, Neither Padrone Slaves nor Primitive Rebels: Sicilians on Two Continents, in “Struggle a Hard Battle” – Essays on Working Class Immigrants, a cura di Dirk Hoerder, De Kalb, Northern Illinois University Press, 1986, pp. 95-117, e Militants and Migrants: Rural Sicilians Become American Workers, New Brunswick, NJ – London, Rutgers University Press, 1988; Gary R. Mormino e George Pozzetta, The Immigrant World of Ybor City, 1885-1985, Urbana, University of Illinois Press, 1987; Bruno Cartosio, Sicilian Radicals in Two Worlds, in A l’ombre de la statue de la liberté. Immigrants et ouvriers dans la République américiane 1880-1920, a cura di Marianne Débouzy, Paris, Presses Universitaires de Vincennes, 1988, pp. 127-138; Amelia Paparazzo, Italiani del Sud in America. Vita quotidiana, occupazione, lotte sindacali degli immigrati meridionali negli Stati Uniti (1880-1917), Milano, Franco Angeli, 1990. Nel tempo si crea anche un flusso politico verso l’Oceania: Salvatore Costanza, Socialismo emigrazione e nazionalità. Tra Italia e Australia, Trapani, Arti Grafiche Corrao, 1992.
[Torna] 60 G. Barone, Egemonie urbane, cit. Le biografie dei fascianti emigrati e tornati si trovano in Il movimento operaio in Italia. Dizionario biografico (1853-1943), a cura di Franco Andreucci e Tommaso Detti, Roma, Editori Riuniti, 1976-1978.
[Torna] 61 A. Martellone, Italian Mass Emigration, cit.
[Torna] 62 F. Renda, L’emigrazione in Sicilia, cit.; A. Checco, L’emigrazione siciliana, cit.
[Torna] 63 Filippo A. Nunnari, L’emigrazione nella provincia di Messina, Messina, Tipografia Micale, 1906; Giuseppe Lo Giudice, L’emigrazione dalla Sicilia orientale dal 1876 al 1914, in Il movimento migratorio italiano dall’Unità ai giorni nostri, a cura di Franca Assante, Genève, Droz, 1975, pp. 327-359; Luciana Caminiti, L’emigrazione eoliana a cavallo del ventesimo secolo, in L’emigrazione italiana transoceanica, cit., pp. 297-311; Riccardo Ponti, La presenza italiana nella Nuova Zelanda (1875-1950), “Studi Emigrazione”, 159 (2005), pp. 643-659.
[Torna] 64 Luigi Arcuri Di Marco, L’emigrazione siciliana all’estero nel cinquantennio 1876-1925, “Annali del Mezzogiorno”, VI (1966), pp. 169-234; Anna Treves, Le migrazioni interne nell’Italia fascista. Politica e realtà demografica, Torino, Einaudi, 1976; Pina Travagliante e Simona Laudani, Strutture e movimento della popolazione in Sicilia tra le due guerre, “Archivio storico per la Sicilia Orientale”, LXXXVI (1980), pp. 379-429; Raffaele Rauty, Il sogno infranto, Roma, manifestolibri, 1999.
[Torna] 65 Contributi sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, a cura di Giammario Maffioletti e Matteo Sanfilippo, “Studi Emigrazione”, 155 (2004); Emigrazione italiana in Germania, a cura di Mariella Guidotti e Sonja Haug, ibid., 158 (2005); Le collettività di origine italiana in Europa occidentale dagli anni 1970 ai giorni nostri, a cura di Roberto Sala, ibid., 160 (2005).
[Torna] 66 Per il quadro generale, cfr. Francesco Brancato, La svolta demografica e l’emigrazione, in Storia della Sicilia, diretta da Rosario Romeo, IX, Palermo, società Storia di Napoli del Mezzogiorno continentale e della Sicilia, 1977, pp. 149-178. Per le partenze transoceaniche: Caterina Cirelli ed Elena Di Blasi, Il movimento migratorio siciliano verso le Americhe dall’Unità nazionale ai nostri giorni, in Genova, Colombo, il mare, cit., pp. 479-495; Giammario Maffioletti, Gli italiani negli Usa, “Studi Emigrazione”, 143 (2004), pp. 449-475; Adriano Boncompagni, In Australia, in Storia dell’emigrazione italiana, II, cit., pp. 111-119. Per l’emigrazione interna: Luigi Marinatto, Antonio Airò, Renata Bottarelli, Rino De Marco e Giancarlo Galli, Cronache della immigrazione siciliana a Milano, Milano, La Famiglia siciliana di Milano, 1964; Danilo Dolci, Chi gioca da solo, Torino, Einaudi, 1966; Recenti immigrati a Torino: un’indagine sui terremotati, “Studi Emigrazione”, 15 (1969), pp. 204-218; Francesco Saba Sardi, Viaggio dalla Sicilia al continente 1955-1980, Milano, Centro Studi CSAPP, 1978; Giuseppe Virciglio, Milocca al Nord, Milano Franco Angeli, 1991; Fabio Levi, L’immigrazione, in Storia di Torino, IX, Gli anni della Repubblica, a cura di Nicola Tranfaglia, Torino, Einaudi, 2000, pp. 157-187. Per un quadro complessivo, con molti riferimenti ai siciliani: Amalia Signorelli, Movimenti di popolazione e trasformazioni culturali, in Storia dell’Italia repubblicana, a cura di Francesco Barbagallo, II, 1, Torino, Einaudi, 1995, pp. 587-658; Bruno Bonomo, Il dibattito sulle migrazioni interne italiane del secondo dopoguerra, “Studi Emigrazione”, 155 (2004), pp. 679-681. Purtroppo, però, i quadri più vasti lasciano irrisolti alcuni problemi. Franco Ramella, Immigrazione e traiettorie sociali in città: Salvatore e gli altri negli anni sessanta, in L’Italia delle migrazioni interne. Donne, uomini, mobilità in età moderna e contemporanea, a cura di Angiolina Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli, 2002, pp. 339-385, distingue un circuito di lavoro e una sociabilità meridionale all’interno del mondo torinese, ma poi i suoi esempi (i casi di emigrati siciliani, sardi, pugliesi e lucani) mostrano realtà individuali collegate a catene regionali e lasciano intuire che il concetto di “meridionale” è frutto di un’astrazione, che lo storico mutua dal sentire piemontese dell’epoca.
[Torna] 67 M. Aymard, Economia e società, cit., e Alberto Di Blasi, L’emigrazione e la deruralizzazione della Sicilia nell’ultimo dopoguerra (1951-1971), Genova, Istituto di Scienze Geografiche, 1972.
[Torna] 68 Sul problema del rientro in Sicilia, cfr. Il reinserimento degli emigrati di ritorno: indagine preliminare alla costituzione di cooperative in un comprensorio siciliano, a cura di Emilio Reyneri, Napoli, Formez, 1982. Sull’immigrazione, la bibliografia sulla Sicilia è ormai troppo vasta per essere qui riassunta, sia pure indicativamente. Basti qui rimandare ai dati nei vari Dossier statistico immigrazione annuali della Caritas e della Fondazione Migrantes.
[Torna] 69 È tornata l’emigrazione. Sicilia: L’isola si spopola, www.rassegna.it, 7.2.2003.
[Torna] 70 Conferenza dei parlamentari di origine italiana (Roma, 20-21 novembre 2000), Roma, Senato della Repubblica-Camera dei Deputati, [2000]; I parlamentari di origine italiana nel mondo, Roma, Senato della Repubblica-Camera dei Deputati, 2000; Le regioni per gli italiani nel mondo, a cura di Virginio Aringoli, Giovanni Ortu, Luigi Sandirocco e Luigi Bloise, Roma, Editrice FILEF, 2000; Ministero degli Affari Esteri, Atti della Prima Conferenza degli italiani nel mondo, Pomezia, Società Tipografica Romana, 2002.
[Torna] 71 Renée Rochefort, L’émigration en Amérique, avant 1918, dans une bourgade sicilienne, “Quaderni di geografia umana per la Sicilia e la Calabria”, III (1958), pp. 123-135.
[Torna] 72 Giovanni Cusimano e Giovanni Spini, Orientamenti e motivazioni delle correnti migratorie siciliane: analisi dei risultati di un’indagine campionaria, Palermo, Ingrana, 1966.
[Torna] 73 Stefano Somogyi, La dinamica demografica delle province siciliane 1861-1971, Palermo, Istituto di Scienze Demografiche, 1974; Gino Longhitano, La dinamica demografica, in Storia delle regioni. La Sicilia, cit., pp. 983-1020.
[Torna] 74 G. Cusimano e G. Spini, Orientamenti e motivazioni, cit.
[Torna] 75 La letteratura è vasta, ma non coesa, tuttavia si possono trovare utili riferimenti in Giuliana Saladino, Terra di rapina, Sellerio, Palermo 2001 (prima edizione 1977); Franco Pezzino, Il lavoro e la lotta: operai e contadini nella Sicilia degli anni 40 e 50, Catania, CUECM, 1987; Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, III, Dall’occupazione militare alleata al centro-sinistra, Palermo, Sellerio, 1987; Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000.
[Torna] 76 Francesco Barbagallo, Lavoro ed esodo nel sud (1861-1961), Napoli, Guida, 1973.
[Torna] 77 F. Brancato, La svolta demografica, cit.; Giammario Maffioletti, I siciliani nella nuova realtà europea e mondiale, “Dossier Europa Emigrazione”, XVI, 2 (1991), pp. 6-8.
[Torna] 78 Jean Ann (Vincenza) Scarpaci, Immigrants in the New South: Italians in Louisiana’s Sugar Parishes, 1880-1910, in Il movimento migratorio italiano, cit., pp. 197-216, e Walking the Color Line. Italian Immigrants in Rural Louisiana, 1880-1910, in Are Italians White?, a cura di Jennifer Guglielmo e Salvatore Salerno, New York – London, Routledge, 2003, pp. 60-76; J. Mangione e B. Morreale, La Storia, cit., pp. 185-190; Corrado Barberis, Le migrazioni rurali in Italia, Milano, Feltrinelli, 1960.
[Torna] 79 Charlotte Gower Chapman, Milocca: A Sicilian Village, Cambridge-London, Schenkman Publishing, 1971.
[Torna] 80 John Andreozzi, Guide to the Records of the Order Sons of Italy in America, [Minneapolis], Immigration History Research Center, University of Minnesota, 1989, p. II.
[Torna] 81 J. Mangione e B. Morreal, La Storia, cit., p. 159.
[Torna] 82 Jerre Mangione, An Ethnic at Large. A Memoir of America in the Thirties & Forties, Philadelphia, University of Pennsylvania, Press, 1983.
[Torna] 83 Ancora Mangione, An Ethnic at Large, cit., cap. I, ricorda come non esistesse un modello unitario. Per le mutazioni e le invenzioni, cfr. D.R. Gabaccia, From Sicily to Elisabeth Street, cit. e Simone Cinotto, Una famiglia che mangia insieme. Cibo ed eticità nella comunità italoamericana di New York, 1920-1940, Torino, Otto, 2001.
[Torna] 84 Stefano Luconi, Becoming Italian in the US: through the Lens of Life Narratives, “MELUS”, 29, 3-4 (2004), pp. 151-163.