Kimber M. Quinney, Thomas J. Cesarini e Historical Society of San Diego, San Diego’s Little Italy, Charleston, SC, Arcadia, 2007, 127 pp.
Con oltre 55.000 abitanti di ascendenza italiana secondo i dati del censimento federale del 2000, San Diego costituisce oggi la sesta città più grande degli Stati Uniti per numero di italo-americani se si esclude l’hinterland delle aree metropolitane. La loro presenza cominciò a registrarsi in maniera massiccia a partire dal 1906, quando questa località funse da rifugio per coloro che avevano abbandonato San Francisco dopo il terremoto e il conseguente incendio che l’avevano devastata. Nonostante la loro origine geografica composita in Italia, la maggioranza proveniva o discendeva soprattutto da due località: Porticello in Sicilia e Riva Brigoso in Liguria.
Il volume che viene qui recensito traccia la storia della Little Italy di San Diego attraverso una ricca e articolata serie di immagini fotografiche. La ricostruzione si incentra su alcuni nuclei tematici che, a giudizio degli autori, caratterizzano l’esperienza italo-americana in questa città: il processo di inserimento nella società ospite senza perdere le proprie tradizioni etniche; il ruolo centrale della parrocchia di Our Lady of the Rosary – costituita nel 1925 – nella vita della comunità non soltanto nella dimensione confessionale ma anche nella sfera sociale e culturale; il mantenimento della saldezza dei legami familiari attraverso più generazioni quale ulteriore elemento di coesione della presenza italo-americana in città; l’importanza fondamentale dell’industria ittica – dal momento della pesca alla lavorazione del pesce, in particolare tonno e sardine – rimasta almeno fino alla seconda guerra mondiale la principale fonte sostentamento per una larga maggioranza dei membri di questo gruppo etnico, alcuni dei quali erano impegnati nelle tonnare ancora negli anni Ottanta; le forme associative della comunità dalle semplici riunioni conviviali e dalle associazioni dei pescatori fino alle organizzazioni sindacali come la United Fish Canneries Workers Union e alle occasioni per celebrare le proprie radici italiane armonizzandole tuttavia con la realtà del paese d’adozione.
L’encomiabile lavoro di ricerca e di presentazione del materiale fotografico non cancella alcune perplessità sulla chiave di lettura che il libro finisce per offrire al lettore. Un qualche riferimento all’espulsione degli immigrati non naturalizzati dalla costa del Pacifico dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale è ormai diventato un topos dei testi sugli italo-americani in California. L’assenza di tale menzione in questo volume potrebbe essere considerata come un salutare superamento di quella sorta di sindrome da commiserazione per le discriminazioni subite in passato che nell’era del politically correct imperante affligge talvolta anche la storiografia sulle minoranze etniche. Nel contesto di San Diego, però, si tratta di una mancanza a dir poco singolare, in considerazione dell’impatto traumatico – in termini economici ancor prima che da un punto di vista psicologico – che tale provvedimento bellico ebbe su una comunità che viveva essenzialmente sulla pesca. In questa prospettiva, si rivela addirittura forviante l’affermazione degli autori secondo cui, nel corso della seconda guerra mondiale, il servizio militare avrebbe offerto agli italo-americani forme di impiego alternative all’occupazione nel settore ittico (p. 67).
Il sostegno offerto dagli italo-americani al regime di Mussolini negli anni Venti e Trenta fu ovviamente legato al trasferimento coatto nell’interno degli immigrati che avevano mantenuto la cittadinanza italiana. Sembra, quindi, che la rimozione della scomoda adesione degli italo-americani al fascismo costituisca una scelta deliberata del volume. Tale intento parrebbe trasparire anche dall’identificazione di Italo Balbo esclusivamente come “famed Italian aviator” (p. 76) nonché dalla pubblicazione di immagini di raduni dove, perfino alla presenza del console generale d’Italia che nel 1935 distribuiva certificati di merito scolastico (p. 121), nessuno dei presenti faccia il saluto romano. A tale proposito, l’attribuzione della nascita della prima scuola di italiano di San Diego all’inizio degli anni Trenta al solo desiderio degli immigrati che i propri figli imparassero in modo corretto l’idioma della loro terra d’origine (p. 26) risulta un’affermazione parziale alla luce dell’impegno profuso dal fascismo nel promuovere la conoscenza della cultura e della lingua italiana per cementare la fedeltà degli italo-americani al regime [Matteo Pretelli, Culture or Propaganda? Fascism and Italian Culture in the United States, “Studi Emigrazione”, 43, 161 (2006), pp. 171-91]. La lealtà di questi ultimi agli Stati Uniti dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale è un elemento a cui gli autori danno opportunamente rilievo attraverso, per esempio, due pagine interamente dedicate a ricordare l’eroico marine John Basilone, il primo italo-americano ad aver ricevuto la Congressional Medal of Honor, il più alto riconoscimento conferito dal Congresso (pp. 116-17). Tuttavia, ancorché in una prospettiva celebrativa e agiografica, tale fedeltà avrebbe acquisito più spessore se fosse stata posta in relazione alla penetrazione del fascismo tra gli italo-americani prima della guerra.
In tema di omissioni, colpisce che il libro sorvoli sullo sventramento della Little Italy all’inizio degli anni Settanta, quando oltre un terzo del quartiere venne distrutto per dare modo a un’autostrada (l’Interstate 5) di attraversare San Diego. Le poche immagini relative alla fine del Novecento fanno riferimento solo alla fase successiva alla gentrification del distretto e alla sua trasformazione in uno di quelli che il sociologo Jerome Krase ha più volte definito “parchi a tema etnico” per turisti urbani [Jerome Krase, Authentic Little Italy Che cos’è? A Photo Essay, “Harvard College Journal of Italian American History and Culture”, 1, 1 (2007), pp. 20-27].
Nell’introduzione gli autori auspicano che il libro contribuisca ad attrarre visitatori nella Little Italy di San Diego (p. 8). La carta patinata e l’attenta cura editoriale non mancheranno di soddisfare con facilità un tale proposito che competerebbe più a una sofisticata brochure turistica che non a un testo di storia locale.
L’encomiabile lavoro di ricerca e di presentazione del materiale fotografico non cancella alcune perplessità sulla chiave di lettura che il libro finisce per offrire al lettore. Un qualche riferimento all’espulsione degli immigrati non naturalizzati dalla costa del Pacifico dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale è ormai diventato un topos dei testi sugli italo-americani in California. L’assenza di tale menzione in questo volume potrebbe essere considerata come un salutare superamento di quella sorta di sindrome da commiserazione per le discriminazioni subite in passato che nell’era del politically correct imperante affligge talvolta anche la storiografia sulle minoranze etniche. Nel contesto di San Diego, però, si tratta di una mancanza a dir poco singolare, in considerazione dell’impatto traumatico – in termini economici ancor prima che da un punto di vista psicologico – che tale provvedimento bellico ebbe su una comunità che viveva essenzialmente sulla pesca. In questa prospettiva, si rivela addirittura forviante l’affermazione degli autori secondo cui, nel corso della seconda guerra mondiale, il servizio militare avrebbe offerto agli italo-americani forme di impiego alternative all’occupazione nel settore ittico (p. 67).
Il sostegno offerto dagli italo-americani al regime di Mussolini negli anni Venti e Trenta fu ovviamente legato al trasferimento coatto nell’interno degli immigrati che avevano mantenuto la cittadinanza italiana. Sembra, quindi, che la rimozione della scomoda adesione degli italo-americani al fascismo costituisca una scelta deliberata del volume. Tale intento parrebbe trasparire anche dall’identificazione di Italo Balbo esclusivamente come “famed Italian aviator” (p. 76) nonché dalla pubblicazione di immagini di raduni dove, perfino alla presenza del console generale d’Italia che nel 1935 distribuiva certificati di merito scolastico (p. 121), nessuno dei presenti faccia il saluto romano. A tale proposito, l’attribuzione della nascita della prima scuola di italiano di San Diego all’inizio degli anni Trenta al solo desiderio degli immigrati che i propri figli imparassero in modo corretto l’idioma della loro terra d’origine (p. 26) risulta un’affermazione parziale alla luce dell’impegno profuso dal fascismo nel promuovere la conoscenza della cultura e della lingua italiana per cementare la fedeltà degli italo-americani al regime [Matteo Pretelli, Culture or Propaganda? Fascism and Italian Culture in the United States, “Studi Emigrazione”, 43, 161 (2006), pp. 171-91]. La lealtà di questi ultimi agli Stati Uniti dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale è un elemento a cui gli autori danno opportunamente rilievo attraverso, per esempio, due pagine interamente dedicate a ricordare l’eroico marine John Basilone, il primo italo-americano ad aver ricevuto la Congressional Medal of Honor, il più alto riconoscimento conferito dal Congresso (pp. 116-17). Tuttavia, ancorché in una prospettiva celebrativa e agiografica, tale fedeltà avrebbe acquisito più spessore se fosse stata posta in relazione alla penetrazione del fascismo tra gli italo-americani prima della guerra.
In tema di omissioni, colpisce che il libro sorvoli sullo sventramento della Little Italy all’inizio degli anni Settanta, quando oltre un terzo del quartiere venne distrutto per dare modo a un’autostrada (l’Interstate 5) di attraversare San Diego. Le poche immagini relative alla fine del Novecento fanno riferimento solo alla fase successiva alla gentrification del distretto e alla sua trasformazione in uno di quelli che il sociologo Jerome Krase ha più volte definito “parchi a tema etnico” per turisti urbani [Jerome Krase, Authentic Little Italy Che cos’è? A Photo Essay, “Harvard College Journal of Italian American History and Culture”, 1, 1 (2007), pp. 20-27].
Nell’introduzione gli autori auspicano che il libro contribuisca ad attrarre visitatori nella Little Italy di San Diego (p. 8). La carta patinata e l’attenta cura editoriale non mancheranno di soddisfare con facilità un tale proposito che competerebbe più a una sofisticata brochure turistica che non a un testo di storia locale.