Alicia Bernasconi e Carina Frid (edit.), De Europa a las Américas. Dirigentes y liderazgos (1880-1960), Buenos Aires, Biblos, 2006, 243 pp.
Come sottolinea nel prologo Fernando Devoto, la riflessione intorno a forme e funzioni della leadership di notabili e dirigenti nello studio dei gruppi sociali non rappresenta una novità ma semmai il frutto di una riscoperta. Dopo una stagione assai lunga in cui la storia è stata essenzialmente storia delle élite e delle loro istituzioni, per alcuni decenni, a partire dagli anni settanta, si è assistito ad una sorta di rovesciamento della prospettiva: gli studiosi hanno preso a concentrarsi soprattutto sulle cosiddette classi subalterne e sull’esperienza quotidiana delle persone comuni. Di riflesso anche la produzione sui gruppi etnici e sulle comunità di origine immigratoria è stata più attenta agli strati medio bassi – cui appartenevano in fondo anche gli stessi piccoli “padroni” e gli agenti che gestivano le catene migratorie – che ai settori alti.
A questi ultimi, o per meglio dire al problema della costruzione di strutture e posizioni di potere nei paesi di immigrazione, torna ora a guardare il volume curato da Alicia Bernasconi e Carina Frid, che raccoglie i lavori presentati al convegno internazionale “De Europa a las Américas. Dirigentes y liderazgos”, svoltosi alcuni anni fa a Rosario, in Argentina, con la partecipazione di studiosi europei, americani e argentini. Nel loro insieme i contributi ci consegnano un quadro assai ricco dell’azione dei dirigenti dei gruppi immigratori in Argentina: vediamo all’opera infatti notabili e leader a vario titolo delle due principali comunità (italiani e spagnoli), in differenti ambiti spaziali ed in epoche diverse.
Un primo merito del libro è proprio quello di articolare il discorso etnico in rapporto ad una molteplicità di contesti, prendendo in considerazione un arco temporale lungo, che copre quasi per intero il ciclo dell’immigrazione europea in Argentina, dalla fase dell’alluvione immigratoria degli anni ottanta dell’Ottocento agli anni cinquanta del secolo scorso, l’ultimo decennio in cui il flusso di arrivi dal Vecchio continente fu significativo.
I saggi sono suddivisi in tre sezioni tematiche e ordinati in modo cronologico all’interno delle ultime due. Nella prima parte sono affrontate questioni di carattere generale: Núñez Seixas propone un’attenta analisi delle caratteristiche e dei meccanismi di funzionamento della leadership nelle collettività di immigrati, applicando all’esperienza dei galiziani in America i modelli elaborati dagli studiosi per gli Stati Uniti per verificarne la praticabilità; Bjerg e Otero indagano sul rapporto tra dirigenza etnica e partecipazione politica in comunità rurali, a partire da alcune biografie di danesi in Argentina, mentre Gjerde si confronta con il caso nordamericano. Nella seconda si studiano tre forme specifiche di leadership: intellettuale (Bernasconi e Scarzanella), religiosa (Ceva) e politica (Duarte). La terza è dedicata interamente al notabilato in ambito economico: commercianti (Frid e Fernández) e impresari nel settore immobiliare (Lanciotti).
Alla ricerca di una definizione del concetto di “dirigenza etnica”, Devoto invita a lasciare da parte le élite in quanto tali, ovvero le figure di emigrati che hanno raggiunto o conservato dopo l’espatrio posizioni di prestigio e potere socio-economico, all’interno della comunità etnica o al di fuori di essa, e concentrarsi solo sulla componente interessata a trasferire o far fruttare questo prestigio e potere svolgendo funzioni di vera e propria leadership.
In ambito immigratorio esistono diversi possibili gruppi di riferimento per l’esercizio di tali funzioni: il paese di origine; la comunità etnica nel contesto di arrivo; oppure più vasti settori della società di accoglienza. Sia la scelta dell’una o dell’altra sfera di azione che il grado di successo ottenuto in veste di leader dai vari notabili vanno valutati tenendo ben presenti i momenti storici e le situazioni particolari, oltre che la collocazione generale di un determinato gruppo nel paese ospite: gli italiani in Argentina per esempio non subirono discriminazioni analoghe a quelle che incontrarono i loro connazionali negli Stati Uniti (Gjerde).
Nel quadro del gruppo etnico di appartenenza, la natura della leadership coincide pressoché sempre con l’esercizio di cariche direttive all’interno delle istituzioni etniche (Núñez Seixas). L’ascesa nell’associazionismo spesso è determinata dal successo in campo economico e non viceversa (Lanciotti) oppure avviene in simultanea (Fernández). Inoltre, anche quando un notabile costruisce la sua posizione sociale o economica in ambiti informali – così i classici “padroni” che attivano catene migratorie trovando lavoro ai connazionali, ma anche i commercianti che trasformano i loro empori in luoghi di sociabilità etnica (Frid) –, c’è una fase successiva di formalizzazione, che passa il più delle volte attraverso la creazione di associazioni o l’assunzione di funzioni direttive in sodalizi esistenti (Núñez Seixas). Unica eccezione è quella costituita dai leader religiosi, che disponendo grazie al loro status di una credibilità e di un capitale simbolico personali, sono legittimati in proprio sia di fronte alla comunità immigrata cui appartengono che di fronte alla società locale (Ceva).
La centralità delle istituzioni etniche solleva la questione del grado di effettiva identificazione con i notabili dei soci che, come si sa, oltre a rappresentare solo una quota parte della massa totale degli immigrati, erano poco partecipi delle vita delle associazioni perché spesso interessati esclusivamente ai benefici da esse garantiti. Per studiare una comunità è fondamentale dunque analizzare i discorsi identitari e le dispute attorno ai principi tra i dirigenti (Bernasconi) ma anche tener conto dei momenti di mobilitazione collettiva e in generale interrogarsi sulla ricezione dei loro messaggi e richiami.
Quando l’impegno e l’attività politica dei leader nelle associazioni o sulla stampa etnica traguardano alla società d’origine, possono rispondere ad esigenze di affermazione e riconoscimento personale, magari in vista di un previsto o auspicato ritorno; ma anche dipendere da un genuino desiderio di restituire all’insieme o ad una percentuale significativa dei connazionali sradicati quella visibilità in patria che l’esperienza migratoria generalmente cancella (Duarte).
Per quanto concerne invece il rapporto con il contesto di accoglienza, ed in particolare la questione – assai dibattuta nel caso argentino – della partecipazione politica degli immigrati, non sempre la leadership etnica precede e costituisce il viatico per l’affermazione politica nella società locale: può avvenire anche il contrario. Addirittura il vincolo etnico, che in molti casi garantisce clientele e rappresenta perciò la base del successo politico, può diventare un limite, laddove si traduce in chiusura all’interno della comunità e rinuncia alla costruzione di legami e relazioni nella società locale (Bjerg e Otero).
L’impossibilità di dar conto in poco spazio del contenuto e della ricchezza dei singoli saggi ha costretto ad osservazioni generali; e rischia di lasciare completamente in ombra proprio l’aspetto che tutti gli autori non solo richiamano ma pongono alla base dei loro ragionamenti sugli attori e l’interazione sociale nei gruppi immigratori: l’importanza fondamentale dei contesti sia spaziali che temporali. È un apporto di metodo tanto decisivo quanto spesso colpevolmente trascurato.