Italiener. Registri e star del cinema italiano in Germania negli anni venti

“Dopo i russi gli italiani rappresentano la colonia cinematografica più forte di Berlino”, osserva Ferruccio Biancini su Kines alla fine degli anni Venti1. Qualche mese prima Raul Quattrocchi scriveva sul medesimo foglio: “I buoni film attualmente prodotti in Germania sono il 95% dovuti a régisseurs italiani”. E’ palese l’esagerazione ed è facile cogliere nell’osservazione un sottotono nazionalistico e provocatorio, in cui è avvertibile un riflesso del dibattito che si sviluppa animoso sul finire del decennio intorno alla rinascita del cinema italiano. Al tempo stesso l’osservazione rimanda a un fenomeno che contrassegna significativamente la vicenda del cinema italiano lungo gli anni Venti, al quale la storiografia complessivamente si è poco interessata2. Lungo gli anni ’20 sono numerosi i registi, gli attori, i tecnici che si trasferiscono all’estero; l’elenco è vasto e comprende molti fra i principali esponenti della produzione d’anteguerra. Il fenomeno è un riflesso della crisi in cui il settore precipita all’indomani della Grande Guerra, dopo il prestigio di cui il cinema italiano godeva nel mondo durante gli anni ’10. In breve tempo la produzione si riduce a pochi film all’anno e il declino, dopo il fallimento del progetto dell’Unione Cinematografica Italiana, si fa irreversibile ed è frutto di molteplici fattori che s’influenzano reciprocamente, dalla debolezza del settore (che difetta di organizzazione industriale) al venir meno del mercato estero dopo la Grande Guerra, alla concorrenza di Hollywood, con cui s’intrecciano un regresso tecnico ed espressivo e l’incapacità di tenersi al passo con il gusto del pubblico.
La meta per chi lascia l’Italia è principalmente Berlino, che si erge a centro dell’Europa cinematografica durante gli anni Venti. Qui lavorano, fra i registi, Mario Bonnard, Guido Brignone, Carmine Gallone, al quale si deve il primo film sonoro che si produce in Germania, Das Land ohne Frauen (Terra senza donne, 1929), Nunzio Malasomma e Gennaro Righelli, per menzionare alcuni; e l’elenco abbraccia anche un grande numero di star, accanto a figure di secondo piano. Oltre a Francesca Bertini, che partecipa a un film in Germania nel 1927, Mein Leben für das Deine (Odette), ricordiamo, fra le Italienerin di maggior successo oltre Alpe, Diana Karenne, Marcella Albani e Maria Jacobini. Ricordando il periodo, Augusto Genina, che approda a Berlino nel 1926, descrive la città come un eldorado, dove “il cinema rappresentava un’oasi di ricchezza, di euforia e di mondanità”, esprimendosi con ammirazione sulla produzione d’oltralpe degli anni Venti, di cui attribuisce il successo alla capacità di rinnovarsi dopo la guerra, diversamente da ciò che accade in Italia; “i film tedeschi, realizzati in un clima di disfacimento, si staccavano nettamente dal conformismo di un cinema ormai superato”, ricorda il regista; “la grande cinematografia tedesca […] dominava in quel momento con la sua originalità, i suoi mezzi, i suoi ottimi interpreti e i grossi complessi industriali. […] A me, che venivo da un paese dove gli stabilimenti erano ormai ridotti a magazzini di materiale in disuso, sembrò di passare dalla morte alla vita”3.

Registi, divine e forzuti

Fra i registi che si trasferiscono a Berlino lungo il decennio, Gennaro Righelli è fra i primi a lasciare l’Italia all’inizio degli anni Venti e il suo nome spicca per l’intensità e il successo con cui il regista lavora oltre Alpe. Dal 1923 al 1929 è artefice di 15 film in Germania, dove giunge insieme all’attrice Maria Jacobini, fra le star del cinema muto italiano4, con la quale lavora abitualmente dall’inizio del decennio ed a cui il regista è anche legato sentimentalmente. In Germania la coppia esordisce con Boheme (La Boheme, 1923), un adattamento del romanzo di Henri Murger, costituendo anche una casa di produzione, la Maria Jacobini-Film. La stampa apprezza in Boheme l’attenzione per il dettaglio e per la descrizione dell’ambiente (il regista “si è concentrato con cura sui più piccoli particolari”, è il commento che si legge sulla Berliner Börsen-Zeitung)5 e il film segnala la Jacobini all’attenzione del pubblico d’oltre Alpe. L’attrice “che gode già di un grande nome all’estero, […] giustifica la sua reputazione”; “la sua leggiadria tutta spiritualità sa dare forma con grande delicatezza a moti dell’animo, la sua interpretazione avvince”6.
Il sodalizio fra la Jacobini e Righelli prosegue fra 1924 e 1925 con Steuerlos (Alla deriva), Orient (Oriente), Die Puppenkönigin (Una moglie e… due mariti) e Der Bastard (Transatlantico), che confermano lo status di star che la Jacobini si guadagna oltre Alpe e in cui l’attrice ha a fianco alcuni fra gli attori di maggior fama in Germania all’epoca, da Harry Lietdke a Heinrich George, Wilhelm Dieterle. La critica, marcando la differenza fra la Jacobini e il divismo d’anteguerra, apprezza l’attrice per la sobrietà e la naturalezza che la distinguono sullo schermo; e il suo stile di recitazione appare in sintonia con il nuovo gusto che si afferma con gli anni Venti. Recensendo Der Bastard, il Film-Kurier la giudica “una interprete di grande livello”. Con riferimento alla scena in cui la Jacobini, in ospedale, crede di vedere dovunque il suo bimbo, commenta: “Mostra in ogni gesto una ingenita cultura. In lei il gesto non è atteggiamento, ma espressione di uno stato fisico”7.
I film che gira in Germania gli guadagnano la reputazione di regista “che conosce il mestiere”8, con una senso per l’avventura e l’azione, che Righelli si mostra abile a valorizzare sullo schermo. Valgano da esempio i numeri di acrobazia con i quali inframmezza il corso della vicenda in Sensation im Wintergarten (Il cerchio dei pugnali, 1929)9, cui Righelli dà risalto grazie al taglio dell’inquadratura e al montaggio, o la sequenza del naufragio in cui culmina Der Bastard. “Inscenando il disastro navale si dimostra un virtuoso dell’immagine in movimento, […] crea con immaginosa inventiva”, è il commento del Film-Kurier10 e la stampa apprezza in Der Bastard il talento di Righelli per le scene di massa, che valuta “riuscite splendidamente, meravigliosamente emozionanti, straordinariamente crude”11 e in cui si ravvisa un’influenza del kolossal storico-mitologico d’anteguerra.
Versatile e capace, Righelli  si mostra a suo agio in differenti generi, al tempo stesso attento all’evoluzione che il cinema conosce in Europa lungo gli anni Venti e all’insegnamento di Hollywood. Facilmente quest’ultimo è avvertibile in Steuerlos, con riguardo al quale Der Kinematograph commenta che Righelli “si è formato non senza successo su esempi americani e ne ha mutuato gli aspetti positivi”12. In debito con la produzione d’oltre Atlantico, Steuerlos si segnala per lo scontro fra l’eroe e il villain su una chiatta in mezzo al fiume, con il quale termina, nel corso di una tempesta che  accresce la spettacolarità e la tensione, con i fulmini che squarciano l’oscurità, illuminando lo scontro a intermittenza. Con Die Puppenkönigin il regista si orienta verso la commedia ed Orient si raccorda con il filone esotico-coloniale, in voga in Europa durante gli anni Venti, in cui si colloca anche Fraueraub in Marokko (Il rovente Sahara, 1929). Del film, in debito con L’Atlantide di Jacques Feyder, la stampa apprezza specialmente il capitolo che si svolge nel deserto, in Egitto, che “palesa l’abile mano del regista”13. Fra i film che Righelli gira sul finire del suo soggiorno a Berlino, Fünf bange Tage (La fortezza di Ivangorod, 1928) e Die stärkere Macht (Il rapido siberiano, 1929) appartengono al filone del Russenfilm, del film a soggetto russo, di moda in Germania dopo la metà del decennio, in cui si inscrive anche Heimweh (Gli esiliati del Volga), che il regista gira nel 1927 per la Terra-Film. Si avverte in Heimweh anche la lezione del cinema d’avanguardia sovietico; il regista “mostra in questo film di aver imparato alcune cose dai russi”, si osserva sul Reichsfilmblatt, con riferimento all’opera di Vsevolod Pudovkin; “tuttavia, non copia, ma si serve soltanto di quel che vede per il proprio lavoro”14.
A fianco di Righelli comincia il lavoro di Nunzio Malasomma in Germania. Dopo un’esperienza nel campo del giornalismo, Malasomma si faceva un nome quale sceneggiatore all’indomani della Grande Guerra, un’attività che prosegue oltre Alpe, dove Malasomma è artefice insieme a Righelli della sceneggiatura di Steuerlos, Die Puppenköningin e Orient. Collegandosi al suo esordio dietro la macchina da presa con Un viaggio nell’impossibile (1922), con Giovanni Reicevich, un eroe del filone atletico-acrobatico, successivamente Malasomma s’impegna in Germania nel cinema d’avventura e di azione. Nel 1924 inizia una collaborazione con Luciano Albertini, con il quale gira Mister Radio (Mister Radio, 1924), Der König und die kleinen Mädchen (L’allegro principe di Seeland, 1925) e Eine Minuter vor Zwölf (Un minuto prima della mezzanotte, 1925).
Fra i primi che si trasferiscono in a Berlino all’inizio degli anni Venti, Albertini si colloca fra i protagonisti del filone atletico-acrobatico, che è fiorito in Italia durante gli anni Dieci e continua dopo il conflitto a godere del favore del pubblico. Lo ingaggia il produttore Jakob Karol, che si specializza all’inizio degli anni Venti in film d’avventura e à sensation e di soggetto circense. Insieme ad Albertini approda a Berlino parte della sua troupe, la moglie Linda, Angelo Rossi, Beniamino Fossati e Umberto Guarracino, oltre all’operatore Eduardo Lamberti, ed il “forzuto” esordisce in Germania nel 1921 con Der König der Manege. La regia è di Josef Delmont, fra gli artefici del filone del Sensationsfilm durante gli anni Dieci, che lo dirige in sei film fra 1921 e 1923. Successivamente Albertini apre una casa di produzione e partecipa alla Phoebus-Film15, che si distingue a metà degli anni Venti per numero di film che produce insieme a registi e attori italiani. Oltre ad Albertini, l’elenco comprende Malasomma e Righelli, il “forzuto” Carlo Aldini, che lavora per la Phoebus-Film fra 1924 e 1925, e una produzione con Diomira Jacobini, Die vertauschte Braut (Nacque senza camicia). Fra i suoi film al di là delle Alpi spiccano i titoli che l’attore gira insieme a Malasomma, in cui la critica rilevava una evoluzione di Albertini da atleta a interprete, apprezzando la sua capacità di coniugare l’esibizione di forza con una recitazione charmant. A proposito di Der König und die kleinen Mädchen si osserva sul Reichsfilmblatt: “L’esito è una commedia à sensation che per certi aspetti può essere considerata esemplare per questo genere cinematografico (che in Germania si trova appena all’inizio)“16. L’innesto della commedia sul genere del cinema d’azione, che contraddistingue i suoi film con Malasomma, è anche la cifra del ciclo che Albertini successivamente interpretava per la Aafa-Film, in cui l’attore passa con agio dal ruolo di furfante a quello di gentiluomo, spesso rischiando l’osso del collo in frac e cilindro; la serie segnava il culmine della sua attività in Germania.
Segue ai film con Albertini una collaborazione con Carlo Aldini, con il quale Malasomma gira Jagd auf Menschen (Caccia all’uomo, 1926), Einer gegen alle (Uno contro tutti, 1927) e Der Mann ohne Kopf (L’uomo senza testa, 1927). Insieme ad Albertini,  Aldini è fra i “forzuti” che assurgono a maggiore popolarità in Germania, dove esordisce nel 1923 con Die närrische Wette des Lord Aldini (Mascalzone dilettante). “Qui facciamo la conoscenza di un nuovo interprete di pellicole à sensation che possiede tutte le qualità per diventare un beniamino del pubblico”, lo presenta la stampa; “raramente abbiamo visto al cinema un corpo così magnificamente muscoloso, prendiamo per veri i suoi numeri di acrobazia e non sospettiamo nessun trucco cinematografico, come succede di solito”17. E’ l’inizio di una serie di Sensationsfilme di successo, che prosegue nel 1924 con Gentleman auf Zeit (Gentleman per 24 ore) e Dreiklang der Nacht (La leggenda di Sahib) e per i quali vale il giudizio su Dreiklang der Nacht; “in ultimo è tutto soltanto un pretesto per mostrare lo scultoreo atleta Carlo Aldini in ogni sorta di prodezze temerarie“18. Tuttavia si segnala l’apprezzamento di Siegfried Kracauer, che giudica Aldini all’altezza degli eroi del cinema d’oltre Atlantico19; e il ciclo di film che Malasomma gira con Aldini a metà degli anni Venti conferma la sua abilità per un cinema d’azione, dal ritmo veloce, al servizio della performance dell’attore. A proposito di Der Mann ohne Kopf si osserva sul Reichsfilmblatt che “c’è più di quanto non ci aspettiamo, […] il regista tiene il ritmo e non si fa sfuggire occasione per conferire fascino all’immagine”20.
Fra 1926 e 1927, al culmine della crisi che travolge il cinema italiano dopo la Grande Guerra, anche Carmine Gallone, Augusto Genina e Mario Bonnard si trasferiscono a Berlino. Quest’ultimo, uno fra gli interpreti più popolari  del cinema italiano lungo gli anni Dieci, prima di dedicarsi alla regia dopo il conflitto, esordisce in Germania con Die Flucht in den Zirkus (Russia, 1926), affiancando Guido Parish dietro la macchina da presa. Il film ha Marcella Albani per protagonista, insieme al russo Wladimir Gaindarow, attivo in Germania negli anni Venti. La collaborazione fra Bonnard e l’attrice prosegue con un film a soggetto poliziesco, Das letzte Souper (La tragedia dell’Opera, 1928) e Anschluss um Mitternacht (Fante di cuori, 1929), una commedia che piace poco; “una roba del tutto insignificante, che non suscita alcun scalpore”, è la valutazione del Reichsfilmblatt21. Viceversa la critica apprezza Das letzte Souper, riconoscendo a Bonnard di possedere “un buon occhio per il dettaglio”22; e la Neue Berliner osserva: “Bonnard ci ha messo del suo e sa avvincere grazie al ritmo e alla composizione dell’immagine”23.
Una star del cinema muto italiano, la Albani e Parish, che le è a fianco dall’inizio della carriera (e cambia il suo cognome in Schamberg oltre Alpe), lavorano a Berlino dal 1922. Qui la coppia costituisce una società di produzione, la Albani-Film, e l’attrice appare fra 1923 e 1925 in una serie di drammi a forti tinte, che ha inizio con Im Rausche der Leidenschaft (La moglie del poeta). Si tratta di film su misura per la Albani, a cui offrono abilmente l’occasione per mettersi in luce e la stampa accoglie l’attrice in Germania con interesse. Si rileva come spesso sia migliore dei film che interpreta, come è il caso di Das Spiel der Liebe (Oltre la morte, 1924), in cui la Albani è “una presenza interessante […], ma non interessante a sufficienza per fare di questo film di routine qualcosa di speciale”24; e Der Film, presentando Das Geheimnis der alten Mamsel (La figlia di nessuno, 1925), rileva che l’attrice “dimostra un felice accrescimento della sua capacità d’espressione e conquista per la commovente bellezza”25. Successivamente la ripetitività del ruolo di femme fatale in cui la Albani si propone sullo schermo e una recitazione che si modella sulla gestualità del cinema d’anteguerra infastidivano la critica e il giudizio sull’attrice si cristallizza. Se ne apprezza “la bellezza mediterranea”26, ma le si rimprovera l’esteriorità della recitazione. “Bella, ma incolore” è giudicata nel film di Wilhelm Dieterle Das Geheimnis des Abbé X (1927)27, con riguardo al quale il Reichsfilmblatt osserva che la Albani “è bella, bellissima, ma troppo scialba, troppo rigida, troppo fredda”28.
Accanto alla commedia e al mélo, mostrandosi versatile e competente in generi differenti, Bonnard frequenta anche il cinema d’avventura e si confronta con Der goldene Abgrund (Atlantis, 1927), di cui sono protagonisti Liane Haid e Hans Albers, con la produzione di Hollywood. “Una storia da selvaggio West”, lo presenta la stampa, “con tesori perduti e vulcani che sputano fuoco, con banditi capeggiati da una ragazza in pantaloni, con apparente catastrofe finale e un matrimonio a concludere”29, di cui piace specialmente la parte in mezzo al Mediterraneo e la sequenza dell’isola che salta in aria con cui Der goldene Abgrund si conclude. Il film lo conferma “un regista abile, che risponde a ogni esigenza”30 e la stampa lo apprezza per la solidità del lavoro. Successivamente il regista s’impegna nel filone del Bergfilm, del “film di montagna”, che si afferma in Germania a metà degli anni Venti, avviando fruttuosamente una collaborazione con Luis Trenker, che assurge a protagonista del Bergfilm a fianco di Leni Riefenstahl con i film di Arnold Fanck Der heilige Berg (La montagna dell’amore, 1926) e Der grosse Sprung (1927).
Insieme a Malasomma lo dirige in Der Kampf ums Matterhorn (La grande conquista, 1928), in cui la Albani è a fianco di Luis Trenker, e la cooperazione prosegue con Der Ruf des Nordens (Legione bianca, 1929), che Malasomma dirige e di cui Bonnard firma la supervisione. “Un dramma della gelosia in deserti di ghiaccio senza fine”, lo presenta Die Welt am Abend31 e ne apprezza la forza di suggestione e la valorizzazione che la regia opera del paesaggio, pur notando come “l’affastellarsi di calamità, un eccesso di dettagli rendano il Polarfilm a tratti teatrale”32; “l’elemento scenografico fa la forza di questo film; l’esperienza dell’aspra, bianca immensità, […] queste sono immagini che restano impresse”33. Fra 1929 e 1930 Bonnard gira insieme a Trenker anche Die heiligen drei Brunnen e Der Sohn der weissen Berge (I cavalieri della montagna). Presentando di Die heiligen drei Brunnen, la stampa elogia la regia; “in Bonnard impariamo ad apprezzare un regista che ha molto gusto e, oltre a ciò, una fine sensibilità per il ritmo delle immagini”34. Piacciono specialmente la sequenza che si svolge nel sottosuolo e dell’acqua che invade la diga; “la regia di Bonnard sa cogliere in immagini magnifiche il selvaggio elemento con la sua bianca spuma”35. Il ciclo, con cui il regista partecipa validamente al filone del Bergfilm, si colloca in linea di continuità con l’opera di Arnold Fanck, il quale partecipa alla sceneggiatura di Der Kampf ums Matterhorn e concepisce Die heiligen drei Brunnen, e rappresenta l’apice del lavoro di Bonnard oltre Alpe alla fine degli anni Venti.
Dopo una tappa a Parigi, dove Gallone gira Celle qui domine (1927) insieme alla moglie Soava, che ne è protagonista, il regista si ferma fra la fine del decennio e l’avvento del sonoro a Berlino, prima di proseguire la sua carriera fra Parigi e Londra all’inizio degli anni Trenta. In Germania intreccia una collaborazione con il produttore Lothar Stark, per il quale dirige quattro film. Quest’ultimo, attivo dalla metà degli anni ’10 quale distributore e nel campo dell’esportazione, si segnala con la sua società Erda-Film per il consistente numero di film che produce con registi e attori italiani alla fine degli anni ‘20. L’elenco comprende, oltre alla collaborazione con Gallone, Mary’s großes Geheimnis (L’America interviene) di Guido Brignone, che è brevemente a Berlino al termine fine del decennio; una pellicola con la Albani, Da hält die Welt den Atem an (Bataclan, 1927); e i film di Righelli Fünf bange Tage, Frauenraub in Marokko e Sensation im Wintergarten.
La collaborazione con la Erda-Film ha inizio con Die Stadt der tausend Freuden (La città del piacere), in cui Gallone, sullo sfondo di uno sfavillante luna-park, imbastisce un mélo che si alimenta dell’astio fra i proprietari del parco, Jack e Carlos, e della simpatia che al contempo Jack prova la sorella del socio, Juliette. La stampa riconosce al soggetto di possedere un potenziale d’intrattenimento, ma l’esito è giudicato insoddisfacente, traducendosi principalmente in una grandiosità del décor, a discapito della macchina da presa e del montaggio, che si subordinano alla scenografia. Scrive la Licht-Bild-Bühne con riferimento al luna-park, che “si è visto raramente qualcosa di simile persino in film americani”36; tuttavia la pellicola non soddisfa. “Gallone conduce la regia con pulizia, ma convenzionalmente”, è la valutazione del Reichsfilmblatt37 e il Film-Kurier commenta: “Ha certo voluto lavorare fastosamente e con nobiltà, con dedizione e temperamento”, ma il regista “questa volta non lascia nell’insieme una impressione favorevole”38.
Segue Marter der Liebe (La grande tormenta, 1928), che Gallone gira dopo la supervisione del film di Heinz Paul Das Karusell des Todes (1928). Protagonista è Olga Tschechowa, nella parte di una madre alla ricerca del figlio di cui si è persa traccia nel tumulto del conflitto che oppone Polonia e Unione Sovietica all’inizio degli anni Venti. Analogamente a Die Stadt der tausend Freuden è una coproduzione con la Francia, dove assume il titolo L’enfer d’amour. La pellicola piace e Cinéa-Ciné scrive: “Questo soggetto ha il merito di essere molto semplice e, nel contempo, quello di essere molto cinematografico”39. In particolare si ricorda di Marter der Liebe lo scontro fra gli eserciti sovietico e polacco sullo sfondo di una campagna innevata, con il ghiaccio che, sottile, si rompe sotto il peso della cavalleria, con gli animali che cadono in acqua. Qui è avvertibile il senso che Gallone possiede per lo spettacolo, che ritroviamo in Schiff in Not (S.O.S., 1928). Si tratta di una produzione di budget consistente, di cui si gira una parte in Libia e la fotografia si deve a Vittorio Armenise. Se il soggetto è convenzionale, la regia si rivela apprezzabile e la stampa si entusiasma per la scena del naufragio; “di un realismo, con una abbondanza d’effetti e di dettagli”, si legge su Cinémonde, “che toglie il respiro”40.

Un Italiener e la Nero-Film

Fra i protagonisti della storia del cinema italiano, che percorre con successo dal muto (esordisce nel 1914 con La moglie di Sua Eccellenza) all’inizio degli anni Cinquanta, Genina giunge a Berlino nel 1926 e prosegue la sua carriera per un decennio fuori d’Italia, fra Germania, Francia e Austria. L’esordio in Germania avviene con Die weiße Sklavin (La schiava bianca, 1926); anch’esso è prodotto da Lothar Stark e si colloca nel filone esotico-coloniale, su cui la Erda-Film successivamente ritorna con Frauenraub in Marokko e Schiff in Not, incentrandosi su una donna che s’invaghisce di un arabo, che sposa e dal quale fugge rocambolescamente, quando questi la riduce in schiavitù. Se il soggetto propende verso il feuilleton, il film s’impone per la regia e la qualità dell’immagine. “Appare concepito e realizzato con estrema cura, una perfetta eleganza”, scrive Cinéa-Ciné pour tous41 e il Reichsfilmblatt lo giudica “un film d’arte, […] Genina lavora in modo altamente artistico, mostra immagini che sono viste con l’occhio del pittore, conduce l’azione con estrema sensibilità”42. Piace specialmente la parte che ha luogo nel deserto, in cui la stampa scorge il punto di forza di Die weiße Sklavin; e la valorizzazione del paesaggio che fa da sfondo alla vicenda, su cui la macchina da presa indugia estesamente, sospendendo l’azione, precorre La legione bianca, fra i film di maggior rilievo che Genina gira nel corso degli anni Trenta, che segna il suo rientro in Italia a metà del decennio.
Il fulcro del lavoro di Genina a Berlino è costituito dalle commedie, Der Sprung ins Glück (La storia di una piccola parigina), Das Mädchen der Strasse (Scampolo), Liebeskarneval (Carnevale d’amore) e Quartier Latin, che il regista gira insieme all’attrice Carmen Boni. Questa è protagonista di una dozzina di film in Germania fra 1927 e 1929, con cui si guadagna lo status di star. Oltre alle commedie con Genina, la Boni compare in film di Géza von Bolvary, Karl Grune, Robert Land, Richard Oswald e Franz Seitz. Dopo l’esordio nel 1919 con il film di Mario Corsi La scimitarra, l’attrice si legava a Genina in un sodalizio che ha inizio con La moglie bella (1925) e, dopo il successo con L’ultimo Lord e Addio giovinezza!, prosegue fra Berlino e Parigi, finché l’introduzione del sonoro non pone fine bruscamente alla sua carriera all’inizio degli anni Trenta. “Non era bellissima, ma rappresentava un tipo nuovo per il cinema di allora: alta, magra, con la pelle scura e i grandi occhi neri. Insomma, il tipo garçonne con abbondante sex appeal”43, la ricorda Genina e le commedie in cui la dirige le sono tagliate su misura. Pur rimproverandole “le sue affettazioni”, la stampa apprezza “lo charme della Italienerin44. A proposito di Das Mädchen der Strasse, si tratta di un adattamento della pièce di Dario Niccodemi Scampolo, la Filmtechnik osserva: “la Boni scarabocchia un grazioso Scampolo di fronte alla macchina da presa”45; “la Boni ha risposto col film a ogni aspettativa. Non è mai stata così brava dal suo esordio. […] Stabilisce subito un contatto con il pubblico”, è il commento del Film-Kurier46. Spesso è scarmigliata e un boccolo le cade ribelle sul viso; si comporta come un monello e si veste trascuratamente. Per far visita a un barone si abbiglia da signora, ma siede sul bracciolo di una poltrona come un ragazzetto, giocando con le gambe, al tempo stesso attirando il barone a sé e tenendolo a distanza. La descrive il Film-Kurier: “Ha il coraggio della ineleganza e, con ciò, della caratterizzazione. Non è ‘dolce’ come la Pickford, ma più gamin47; ed è pronta a infilarsi in abiti da uomo, che indossa con nonchalance, per conquistare il giovanotto che le piace, togliendo di mezzo la concorrenza, come accade in Liebeskarneval, dove “s’innamora di uno scrittore, del quale estromette l’amante in questo modo: le si accosta in abiti maschili e ottiene al primo colpo successi per i quali Casanova la invidierebbe”48.
Con i film che gira con la Boni oltre Alpe il regista conferma una sensibilità per la commedia, che distingue Genina fra i registi italiani che lavorano in Germania, i quali si dedicano prevalentemente al (melo)dramma, declinandolo variamente, o al film d’azione e di avventura. La stampa si esprime favorevolmente sul risultato; l’apprezzamento, a fronte di una convenzionalità delle fabulae, va alla capacità di Genina di trasporle efficacemente sullo schermo, all’attenzione che presta alla messinscena e all’immagine. “Una commedia che si distingue per comicità di situazione e numerosi sviluppi farseschi”, è la valutazione del Film-Kurier a proposito di Der Sprung ins Glück.49 “In questo film ci si è attenuti… al film”, si constata con riferimento a Das Mädchen der Strasse50, ponendo in luce l’autonomia con cui il regista opera rispetto alla commedia di Dario Niccodemi. In proposito Die Filmwoche nota che “la pièce ha ceduto soltanto l’involucro, mentre tutto il resto è frutto proprio del film”51. Si veda il duello che l’ingegnere di cui Scampolo s’innamora ingaggia con il colletto della camicia per abbottonarlo, vincendo in fine l’opposizione del collo, dopo che il maggiordomo ci prova vanamente.
In proposito è interessante il confronto cui si fa cenno sulla stampa con la commedia che si pratica in Germania alla fine degli anni Venti. Il paragone risulta a vantaggio di Genina, il quale “è riuscito a distaccarsi dallo stereotipo della commedia tedesca”. A fare la differenza, più dei soggetti, è l’abilità secondo la critica con cui il regista plasma il materiale, orchestrando la narrazione. “Non è importante il soggetto di per sé, […] ma l’idea filmica e la sua visualizzazione ottico-tecnica nel film”52, osserva il Film-Kurier e la stampa riconosce a Genina la capacità di raccontare una storia cinematograficamente. Valga da esempio Das Mädchen der Strasse. La contentezza che s’impadronisce di Scampolo quando l’amante dell’ingegnere (in casa del quale Scampolo è a servizio) procrastina il ritorno, trova espressione nel ballo in cui Scampolo si scatena. E un litigio fra Scampolo e l’amante si conclude con quest’ultima che sbatte il pugno sulla toeletta, colpisce la confezione di cipria e produce una nuvola bianca in cui la donna scompare! “Una pellicola divertente in cui la vicenda è mostrata nel film stesso e non grazie alle didascalie, questo vuol dire molto se si considera l’orientamento comune della commedia tedesca”53, osserva la critica e il confronto con la produzione di casa si ripropone a proposito di Liebeskarneval. Recensendo la pellicola, il Film-Kurier riconosce al regista di muoversi “nel segno del buon gusto”, dimostrando una sensibilità “che purtroppo non hanno molti registi tedeschi”, e pone i suoi film al pari con la produzione di Hollywood54.
Fra i film di cui Genina è artefice in Germania, Der Sprung ins Glück, Das Mädchen der Strasse e Liebeskarneval si devono alla Nero-Film, fra le case di produzione più importanti che operano in Germania alla fine degli anni Venti55. In particolare la storia del cinema la ricorda per il suo sodalizio con G.W. Pabst, che ha inizio con Die Büchse der Pandora, e per i film di Fritz Lang M e Das Testament des Dr. Mabuse. Oltre alla cooperazione con Genina, la Nero-Film produce anche Das letzte Souper, una pellicola con la Boni, Die Gefangene von Shanghai (La prigioniera di Shanghai, 1928) e Die Flucht in die Nacht (Enrico IV, 1926) di Amleto Palermi, dal dramma di Luigi Pirandello, che la collocano fra le case di produzione d’oltralpe che più lavorano con registi e attori italiani56; e ci sembra utile soffermarci sulla cooperazione fra la Nero-Film e Genina, la quale getta una luce sull’intreccio più ampio in cui si colloca l’attività del regista fuori d’Italia.
Di fronte alla crisi in cui il cinema italiano precipita dopo la guerra Genina si fa carico all’inizio degli anni Venti di produrre anche i film di cui è artefice. Nel 1921 fonda la Films Genina con la quale, a cominciare da Debito d’odio, produce quasi tutti i suoi film nel corso del decennio, in parte finanziando la produzione grazie alla vendita all’estero; una politica di cui testimonia la presenza di Walter Slezak, un nome di primordine del cinema di lingua tedesca fra le due guerre mondiali, fra gli interpreti dell’ultimo film che Genina gira in Italia, Addio giovinezza! e che lo porta in contatto con la Germania. “In quella tragica situazione restava una sola cosa da fare: produrre film per contro proprio”, ricorda Genina; “così fecero molti. E lo feci anch’io. Le case di noleggio mi aiutavano, comprando in anticipo i miei film. Ed io guadagnavo, vendendoli soprattutto all’estero. […] Poi quando la situazione in Italia divenne più difficile, mi reca in Germania per vendere le piccole da me”57. Dall’attività di vendita al di là delle Alpi dei film che gira in Italia all’inizio degli anni ‘20 il regista passa al lavoro a Berlino e scorgiamo nell’esperienza una premessa e il trampolino per il suo trasferimento in Germania. Gli fa da biglietto da visita Il focolare spento (1925), “una smagliante gemma del cinema italiano”58, che ottiene un notevole successo in Germania, dove s’intitola Mutter, verzeih mir! e il film con cui Genina esordisce oltre Alpe, Die weisse Sklavin, è coprodotto dalla francese Sofar (Societé des Films Artistiques), la quale partecipa anche a Der Sprung ins Glück e Quartier Latin. La collaborazione con la Sofar prosegue con Prix de beauté, quando Genina si trasferisce in Francia, e la società coproduce anche Die Stadt der tausend Frauen e Marter der Liebe a fianco della Erda-Film. L’interesse della Nero-Film, che produceva un paio di film fra 1924 e 1925 insieme alla Gaumont, per una cooperazione con la Francia, incrociandosi con la ricerca di Genina per un produttore in Germania, spiega probabilmente l’incontro fra la Nero-Film e il regista.
La collaborazione con la Nero-Film coinvolge Genina anche sul piano della produzione. E’ indicativo che Der Sprung ins Glück appaia in Italia con il marchio della Films Genina; il dettaglio suggerisce che il regista detiene la commercializzazione in patria delle pellicole che gira oltre Alpe, capovolgendo il percorso che lo vede in precedenza vendere all’estero i film di cui è artefice in Italia. Durante il suo soggiorno a Berlino Genina partecipa alla creazione di una casa di produzione in Italia, l’Adia, che produce La grazia (1929) in collaborazione con la Sofar e la tedesca Orplid-Film, per la quale Genina gira Quartier Latin. Significativa è anche la partecipazione della Nero-Film al film di Mario Camerini Rotaie, in cui è ugualmente coinvolta l’Adia59. Similmente sembra probabile anche la partecipazione di Palermi alla produzione di Die Flucht in die Nacht, che è in parte girato in Italia e figura di produzione italiana sulla stampa. “Finalmente abbiamo assistito alla visione di un italianissimo film”, scrive La Rivista Cinematografica60 e la Rassegna del Teatro e del Cinematografo lo giudica “indubbiamente fra i migliori della produzione italiana più recente, benché recitato in gran parte da artisti stranieri”61.
Attraverso la collaborazione con gli Italiener, proseguendo in una politica che coltiva dalla metà degli anni Venti, la Nero-Film si prefigge una internazionalizzazione del suo prodotto, con un occhio a un importante mercato, qual era l’Italia (dove il valore del box office quasi raddoppia fra 1924 e 1927), in cui la sua presenza risulta sporadica; soltanto alcuni fra i film con Harry Piel che la Nero-Film produce all’inizio degli anni Venti giungono in Italia62. La strategia guida, insieme alla composizione del cast, anche la scelta del soggetto e dell’ambientazione. La presenza, oltre alla Boni e la Albani, di attori italiani risulta cospicua, da Oreste Bilancia ad Angelo Ferrari, a Raimondo Van Riel, estendendosi anche a ruoli di secondo piano; e Livio Pavanelli è protagonista di Das Mädchen der Strasse a fianco della Boni. Ed è indicativo, insieme al ricorso a testi del teatro italiano per Die Flucht in die Nacht e Das Mädchen der Strasse, il fatto che l’Italia spesso offra l’ambientazione. Die Flucht in die Nacht, riporta La Rivista Cinematografica63, è girato in una villa a Fiesole, fra colonne e cipressi che si stagliano contro il cielo. Liebeskarneval si svolge in parte sul Lago Maggiore64, la storia di Scampolo ha Roma per quinta e la regia punteggia il corso della vicenda con scorci della capitale, dalla scalinata di piazza di Spagna alla basilica di S. Pietro. “La Città Eterna per sfondo. L’occhio abbraccia il cielo. […] Una conquista cinematografica”, s’infervora il Film-Kurier65.

Una considerazione

Nel quadro di una riflessione sull’opera degli Italiener in Germania durante gli anni Venti si pone l’interrogativo (che appare centrale) se questa si caratterizzi per una sua specificità. Cosa la distingue, se una differenza è riscontrabile, dalla produzione che correntemente vede la luce in Germania all’epoca? E gli Italiener esercitano una influenza su quest’ultima, lasciando una traccia nel cinema della repubblica di Weimar? Purtroppo l’attuale stato della ricerca non consente di rispondere compiutamente alla domanda, che imporrebbe una ricognizione sull’intera produzione ad opera di registi italiani oltre Alpe e si scontra con la l’ostacolo che, in buona parte, i film non sono visibili; numerosi titoli risultano perduti o il cattivo stato di conservazione in cui versano impedisce la visione.
Specularmente l’interrogativo sulla differenza che sussiste fra i film degli Italiener e la produzione d’oltralpe solleva la questione dell’influsso che quest’ultima eventualmente esercita su loro. In cosa si distinguono i film che girano a Berlino da quelli che realizzano in Italia all’inizio degli anni Venti, precedentemente alla trasferta in Germania? L’esperienza che maturano nel cinema d’oltralpe si riflette nei film di cui sono artefici in Italia all’inizio degli anni Trenta, quando in gran parte rientrano in patria? Con una punta di orgoglio Raul Quattrocchi osserva a proposito di Das Mädchen der Strasse come “fra i realizzatori italiani emigrati all’estero Genina è il solo che nulla abbia perduto o acquistato”, constatando con soddisfazione che “il suo stile e il suo linguaggio visivo schiettamente umani e quindi latini, […] non sono stati sopraffatti né imbastarditi”66. Al tempo stesso la stampa rimarca il livello di qualità che distingue i film di cui il regista è artefice a Berlino e la differenza con la produzione che vede la luce in Italia all’epoca. Con riguardo a Der Sprung ins Glück si osserva su La Rivista Cinematografica: “E’ un film che, oltre a recare l’inconfondibile impronta geniniana, si distacca assolutamente da quanto è stato fatto sinora in Italia. Lo stesso Genina ha superato se stesso”67.
Senza entrare nel merito di questo o quel film, appare indubbio, se consideriamo il fenomeno complessivamente, che l’esperienza di lavoro oltre Alpe di molti fra gli esponenti di maggior rilievo del cinema italiano lungo gli anni Venti gioca un importante ruolo nel rilancio della produzione in Italia dopo l’avvento del sonoro, gettando un ponte fra il periodo di crisi e la ripresa che il cinema italiano conosceva all’inizio degli anni Trenta. “La parentesi di lavoro all’estero, […] ha consentito un indubbio mantenimento di livello professionale”, è la valutazione di Gian Piero Brunetta68; e si deve ai registi che operano fra Germania e Francia durante gli anni Venti se il cinema italiano, scuotendosi dal suo torpore, si dimostra in grado di “ridurre rapidamente, dalla invenzione del sonoro, il gap stilistico e produttivo rispetto al contemporaneo cinema europeo e americano”69.
Note:

1 Ferruccio Biancini, I misteri della Friedrichstrasse, “Kines”, 26 (1929); e Raul Quattrocchi, La tragedia dell’Opera di Mario Bonnard, “Kines”, 12 (1929); cit. in Mino Argentieri, L’asse cinematografico Roma-Berlino, Napoli, Edizioni Libreria Sapere, 1986, p. 85.
2 Oltre ai lavori di ricognizione di Vittorio Martinelli, I Gastarbeiter fra le due guerre, “Bianco e Nero”, 3 (1978), pp. 3-93; Cineasti italiani in Germania tra le due guerre e Destinazione Parigi, in Cinema italiano in Europa 1907-1929, a cura di Vittorio Martinelli, Roma, Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema, pp. 131-159 e pp. 160-169, si vedano gli interventi di Jean A. Gili, Les rapports entre la France et l’Italie de 1896 à la fin des années 20, in Le cinéma français muet dans le monde. Influences réciproque, Tolosa, Cinémathèque de Toulouse/Institut Jean Vigo, 1988, pp. 103-114 e Les italiens dans le cinéma français pendant l’entre-duex-guerres, in Mélange Paul Gonnet, Nizza, Université de Nice, 1989. Si segnala anche Francesco Bono, Casta Diva & Co. Percorsi nel cinema italiano fra le due guerre, Viterbo, Sette Città, 2004, con riferimento al capitolo Italiener a Berlino. Augusto Genina e la Nero-Film, pp. 15-37.
3 Augusto Genina, Ora so che il cinema era il mio mondo, in Sergio Grmek Germani, Vittorio Martinelli, Il cinema di Augusto Genina, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1989, p. 61.
4 Sull’attrice si segnala la monografia di Vittorio Martinelli, Il dolce sorriso di Maria Jacobini, Roma, Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema, 1994.
5 F.O. [Fritz Olimsky], Bohème; il ritaglio si presenta privo d’indicazione della data e della fonte; Filmmuseum Berlin – Stiftung Deutsche Kinemathek (Berlino), Sammlung Fritz Olimsky.
6 Ibidem.
7 m., Der Bastard, “Film-Kurier”, 1 dicembre 1925.
8 Ernst Jäger, Svengali, “Film-Kurier”, 8 settembre 1927.
9 Sul film si segnala Jochen Meyer-Wendt, Im Schatten von Dupont. Gennaro Righelli: Sensation im Wintergarten, „Filmblatt“, 5 (1997), pp. 13-15.
10 m., Der Bastard, cit.
11 D., Der Bastard, “Vorwärts”, 576 (1925).
12 Steuerlos, “Der Kinematograph”, 895 (1924), p. 12.
13 Orient, “Der Kinematograph”, 922 (1924), p. 17.
14 c-c., Heimweh, “Reichsfilmblatt”, 43 (1927), p. 42.
15 Sulla genesi della Phoebus-Film informa Matias Bleckman, Harry Piel. Ein Kino-Mythos und seine Zeit, Düsseldorf, Filminstitut der Landeshauptstadt Düsseldorf, 1992, p. 177.
16 -s-, Der König und die kleinen Mädchen, „Reichsfilmblatt“, 26 (1925), p. 24.
17 -y. [Fritz Olimsky], Die närrische Wette des Lord Aldini; si veda la nota 5.
18 -y. [Fritz Olimsky], Dreiklang der Nacht; si veda la nota 5.
19 Raca [Siegfried Kracauer], Siegfried Arno als Komiker, “Frankfurter Zeitung”, 12 dicembre 1929; sta in Gero Gandert (a cura di), Der Film der Weimarer Republik 1929, Berlino, De Gruyter, 1993, p. 304.
20 C. Fr., Der Mann ohne Kopf, “Reichsfilmblatt”, 47 (1927), p. 40.
21 Felix Henseleit, Anschluss um Mitternacht, “Reichsfilmblatt”, 18 (1929), p. 21.
22 Georg Herzberg, Das letzte Souper, “Film-Kurier”, 6 novembre 1928.
23 Inz., Der Schuß in der Großen Oper, “Neue Berliner (12 Uhr Mittags)”, 4 novembre 1928.
24 -y. [Fritz Olimsky], Das Spiel der Liebe; si veda la nota 5.
25 W., Das Geheimnis der alten Mamsell, “Der Film”, 48 (1925), p. 24.
26 Briefe, die ihn nicht erreichen, “Film-Kurier”, 10 ottobre 1925.
27 -y. [Fritz Olimsky], Das Geheimnis des Abbé X; si veda la nota 5. Sul film segnaliamo il contributo di Michael Esser, Kriminalfilm als Melodram, “Filmgeschichte”, 13 (1999), pp. 19-20.
28 F. H-t., Das Geheimnis des Abbé X, “Reichsfilmblatt”, 49 (1927), p. 28.
29 Hans Feld., Der goldene Abgrund, “Film-Kurier”; il ritaglio è privo di data; Filmmuseum Berlin – Stiftung Deutsche Kinemathek (Berlino), busta Der goldene Abgrund.
30 Ibidem.
31 Men. [Michael Mendelsohn], Der Ruf des Nordens, “Die Welt am Abend”, 14 settembre 1929; sta in G. Gandert, op. cit., p. 554.
32 Peter Suhrkamp, Der Ruf des Nordes, “Berliner Tageblatt”, 15 settembre 1929; si trova in G. Gandert, op. cit., p. 556.
33 Men., Der Ruf des Nordens, cit.
34 Oly. [Fritz Olimsky], Die heiligen drei Brunnen; si veda la nota 5.
35 D., Die heiligen drei Brunnen, “Der Abend”, 19 aprile 1930.
36 H. W-g., Die Stadt der tausend Freuden, “Licht-Bild-Bühne”; il ritaglio è privo di data; Filmmuseum Berlin – Stiftung Deutsche Kinemathek (Berlino), busta Die Stadt der tausend Freuden.
37 -n-, Die Stadt der tausend Freuden, “Reichsfilmblatt”, 52 (1927), p. 36.
38 Ernst Jäger, Die Stadt der tausend Freuden, “Film-Kurier”; il ritaglio è privo di data; Filmmuseum Berlin – Stiftung Deutsche Kinemathek (Berlino), busta Die Stadt der tausend Freuden.
39 “Cinéa-Ciné”, 8 luglio 1928; cit. in Pasquale Iaccio, Non solo Scipione. Il cinema di Carmine Gallone, Napoli, Liguori, 2003, p. 156.
40 “Cinémonde”, 30 maggio 1929; cit. in Pasquale Iaccio, op. cit., p. 156.
41 “Cinéa-Ciné pour tous”, 97 (1927); cit. in S. Grmek Germani, V. Martinelli, op. cit., p. 192.
42 C. Fr., Die weiße Sklavin, “Reichsfilmblatt”, 38 (1927), p. 34.
43 Augusto Genina, Ora so che il cinema era il mio mondo, cit., p. 62.
44 Ernst Jäger, Der Sprung ins Glück, “Film-Kurier”, 27 gennaio 1928.
45 Das Mädchen der Strasse, “Filmtechnik”, 10 (1928), p. 191.
46 Ernst Jäger, Das Mädchen der Strasse, “Film-Kurier”, 18 aprile 1928.
47 Ibidem.
48 Georg Herzberg, Liebeskarneval, “Film-Kurier”, 25 luglio 1928.
49 E. Jäger, Der Sprung ins Glück, cit.
50 E. Jäger, Das Mädchen der Strasse, cit.
51 -net., Das Mädchen der Strasse, “Die Filmwoche“, 18 (1928), p. 491.
52 E. Jäger, Das Mädchen der Strasse, cit.
53 Ibidem.
54 G. Herzberg, Liebeskarneval, cit.
55 Per una storia della Nero-Film si rinvia a M wie Nebenzahl. Nero-Filmproduktion zwischen Europa und Hollywood, a cura di Erika Wottrich, Monaco, CineGraph / Text + Kritik, 2002.
56 In proposito si veda Francesco Bono, Benvenuto a Berlin. Italiener bei der Nero-Film, in M wie Nebenzahl, cit., pp. 41-53.
57 Augusto Genina, Ora so che il cinema era il mio mondo, cit., p. 61.
58 “Il Tevere”, 10 marzo 1925; cit. in Riccardo Redi, Ti parlerò… d’amor. Cinema italiano fra muto e sonoro, Torino, Nuova Eri, 1986, p. 36.
59 Si vedano S. Grmek Germani, V. Martinelli, op. cit., p. 186; e Riccardo Redi, Cinema muto italiano (1896-1930), Roma, Scuola Nazionale di Cinema, 1999, p. 201.
60 Enrico IV, “La Rivista Cinematografica”, 20 (1927), p. 35.
61 Enrico IV, “Rassegna del Teatro e del Cinematografo”, 4 (1927), p. 59.
62 Per un elenco si rinvia a Vittorio Martinelli, Dal dott. Calligari a Lola-Lola. Il cinema tedesco degli anni Venti e la critica italiana, Gemona del Friuli, La Cineteca del Friuli, 2001; è un catalogo della produzione tedesca che giunge in Italia nel corso del decennio.
63 Enrico IV, “La Rivista Cinematografica”, cit.
64 Ne dà informazione Gerhard Lamprecht, Deutsche Stummfilme, IX, 1927-1931, Berlino, Deutsche Kinemathek, 1967, p. 379.
65 E. Jäger, Das Mädchen der Strasse, cit.
66 Raul Quattrocchi, La storia di una piccola parigina, “Kines”, 12 (1928), p. 4.
67 La storia di una piccola parigina, “La Rivista Cinematografica”, 7 (1928), p. 15.
68 Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, I, Il cinema muto 1895-1929, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 237.
69 Ivi, pag. 236.