Per una storia politica dell’emigrazione

Cittadini del mondo? Gli esuli italiani del 1820-1821

1. Premessa
È il 19 maggio del 1843 e nel cimitero fuori dalla porta di Ninove, a Bruxelles, una folla muta compresa di dolore dà l’addio ad un esule italiano che si è suicidato in un canale. La salma è quella di Carlo Bianco, la folla è composta da belgi, italiani, polacchi e esuli di altre nazionalità. Carlo Bianco1 è una figura ben conosciuta del nostro Risorgimento, note sono le sue opere ma sulla sua fine le opinioni sono diverse e le motivazioni del suicidio vengono fatte risalire al malessere per l’ingratitudine della famiglia (e in particolare ad un difficile rapporto con il figlio Alessandro poi ufficiale dell’esercito sabaudo2) o alla difficile situazione economica, al sentirsi sommerso dai debiti3.

Fatto sta che dalla sua vicenda possiamo partire per illustrare il valore polisemico che può avere il termine esilio se riferito alle vicende italiane della prima parte dell’Ottocento. Non a caso esule, proscritto, emigrato saranno usati quasi indifferentemente nella politica, nella storiografia, nelle memorie e nella produzione artistica4. E non a caso per questi uomini in movimento in “età prestatistica”5 forniscono informazioni lo stesso tipo di fonti, quelle documentarie6 così come quelle di altre discipline. Nell’analisi dell’esilio come emigrazione particolare Leon e Rebeca Grinberg, utilizzando sia le fonti letterarie (l’esilio viene ricondotto fino al bando che anticamente gli ateniesi imponevano per motivi politici ad alcuni concittadini) che la loro esperienza di terapeuti, pongono l’attenzione su alcuni nodi tematici, più che sugli eventi: chi rimane; l’arrivo; la comunità ospitante; il linguaggio. Riprendendo il lavoro di Bion7 sul rapporto contenitore-contenuto, identificano l’esiliato come “idea nuova” (il contenuto) e la comunità come “gruppo ricevente” (il contenitore), attribuiscono al commiato un senso dirimente: “la partenza è il confine che divide lo stato di unione dallo stato di separazione tra chi se ne va e chi rimane, tra la speranza e l’assenza” 8. Mancare il rito del saluto significa rompere quella protezione, aggiungere all’esperienza già dura una angoscia in più. Sostengono che “molti esiliati possono soffrire della ‘sindrome del sopravvissuto’, sentendosi oppressi dalla colpa provata nei confronti dei morti o dei prigionieri. Questo stato d’animo si trasforma in fertile terreno per lo scetticismo e la delusione” 9. Negli esuli la necessità di accettare una sconfitta, nella ricostruzione della vita quotidiana, non rende semplice il processo di integrazione, anche perché questa rottura della sacralità dell’esilio può generare la paura della perdita di identità. L’integrazione può essere sentita come un tradimento e questo può trasformarsi in un rifiuto della comunità ospitante. Il considerarsi di passaggio di alcuni esuli spiega “la mancanza di interesse a raggiungere il precedente livello sociale o professionale; allo stesso tempo la degradazione sociale di molti esiliati aumenta la loro insicurezza e il senso di persecuzione. Il bisogno di svolgere, per sopravvivere, i lavori più diversi che non hanno nulla in comune con il lavoro svolto in patria – in una situazione di eccessiva dipendenza dagli altri che contrasta con la precedente indipendenza – rischia di suscitare nell’esiliato sensazioni di depersonalizzazione, dal momento che gli è difficile assumere un’identità diversa da quella di ‘esiliato’” 10.
Queste osservazioni ci aiutano a capire l’importanza cha ha assunto l’insegnamento dell’italiano per molti degli esuli dei moti risorgimentali (compresi coloro che in origine non facevano questa professione), non solo per l’aspetto economico ma anche per rimanere in qualche modo ancorati al proprio mondo. Sul rapporto tra esilio e lingua hanno insistito in molti: per un grande poeta la condizione dell’esilio “è, prima di tutto, un evento linguistico: uno scrittore esule è scagliato, o si ritira, dentro la sua madrelingua. Quella che era, per così dire, la sua spada, diventa il suo scudo, la sua capsula” 11. Ma anche alcuni storici hanno sottolineato che “in alcuni tipi di migrazione la scrittura è insieme strumento per gestire il cambiamento culturale e arma per lasciare una traccia del proprio vissuto” 12. La lingua è così mediazione, arma, strumento di lavoro. Per rimanere al solo nostro soggetto, gli esuli italiani dopo i moti del 1820-1821 che hanno partecipato al Trienio liberal spagnolo e poi si sono dispersi per il mondo, hanno insegnato lingua a Londra13. Alcuni di loro erano in qualche modo del mestiere, ad esempio Francesco Oreglia, che era maestro – anche se di matematica – a Mondovì, o gli studenti Paolo Biglia, anche lui di Mondovì, Luigi Boneschi pavese14, Antonio Ronna, di Crema, Pietro Sola, torinese. Altri venivano da mestieri diversi, come Nicola Baracco, capitano genovese, Saverio De Cristofaro, sottotenente della provincia di Avellino, Giuseppe Fumel, sottotenente di Ivrea, Pietro Gillio, avvocato di Vico Canavese, Massimiliano Trabaud, sottufficiale a cavallo di Nizza, Salvatore Vecchiarelli, funzionario e proprietario di Rieti15.
Il tema della mediazione introduce l’indagine del processo di scambio che avviene con le comunità di accoglienza e del ruolo di questo impatto nella ridefinizione delle identità individuali e sociali di personalità spesso dimenticate16, indagine da compiere anche attraverso l’approccio biografico e prosopografico17. Ma prima di analizzare le vicende di questa popolazione particolare, torniamo al tema delle fonti dirette, per porre in evidenza alcuni problemi che spiegano in parte anche le “carenze degli studi sugli esuli” vista la fatica per il reperimento delle fonti e soprattutto visto che “la vera insidia nasce il più delle volte dalla valutazione del documento” 18: in questo campo la normale critica delle fonti va quindi esercitata sia rispetto al produttore (spesse volte uffici di polizia, che tendono ad uniformare nell’ottica del controllo sociale comportamenti e mobilità diversificate), sia rispetto al soggetto, portato, di fronte a interlocutori diversi, a presentare una visione degli eventi in grado di condizionare il raggiungimento dell’obbiettivo della testimonianza19. C’è poi il problema dell’oggetto materiale, della sua forma e scrittura che implica di per sé il tema della traduzione di termini e informazioni necessariamente da contestualizzare. Pensiamo non solo ai nomi propri o ai mestieri, ma anche al mascheramento a volte necessario per superare i confini nell’epoca dei passaporti contenenti descrizioni di massima dell’individuo20.

2. La popolazione
Il soggetto di questo studio è rappresentato dall’insieme degli esuli che, fallite le esperienze costituzionali di Napoli e Piemonte, nel 1821 raggiunse la Spagna, in quel momento terra di rifugio e sogno per i liberali europei21. Sulla base di un lavoro di ricerca condotto negli archivi catalani, italiani, parigini e londinesi, incrociato con la pubblicistica e la memorialistica, ho ricostruito una base dati che comprende più di 800 nominativi. Che informazioni possiamo ricavarne per affrontare il tema della costruzione dell’identità nazionale così come si è venuta delineando in due delle sue regioni chiave? Quale è stato il ruolo svolto dall’esperienza napoleonica e dall’età della Restaurazione in questo processo, ma anche e soprattutto quale contributo ad esso hanno dato gli esuli di quel periodo? Si tratta in gran parte di militari, professionisti, intellettuali, giovani e meno: questo lavoro cerca di capire cosa portano nel mondo dove si recano in termini di cultura e valori della loro formazione e cosa restituiscono alla comunità di origine. L’ipotesi da verificare è se questa contaminazione abbia caratteri di apertura nel processo di costruzione della nazione, rappresentando così un potenziale antidoto alla deriva nazionalista che invece segnerà la fase finale dell’Ottocento europeo22.
I primi elementi interpretativi della popolazione degli esuli che vengono presentati, su composizione sociale (grafici 1-2), provenienza territoriale (cartina 1), distribuzione per età (grafico 3), saranno messi in relazione con le ricostruzioni storiografiche che hanno affrontato il nostro periodo. In 728 casi possiamo indicare, da dichiarazione o rilevazione da fonte esterna, la professione: il 54% (51% sul totale degli esuli) proviene dal mondo militare, con una composizione interna che praticamente vede egualmente rappresentati ufficiali (218) e l’insieme di sottufficiali e truppa (221). Va, però, notato che questa composizione può sovrastimare i gradi più alti sia a causa delle nomine fatte nel momento finale dell’esperienza costituzionale piemontese23, sia per quel fenomeno di miglioramento della propria immagine già citato, che nel caso aveva anche una motivazione molto materiale. Le Cortes si occupano della sorte dei rifugiati politici italiani già nella sessione dell’8 aprile 1821, la stessa nella quale è all’ordine del giorno l’informazione sulla sconfitta della rivoluzione napoletana. Si approvano sussidi ai generali e ai deputati che sono riusciti a fuggire. Ma, dato che i fuggitivi continuano ad arrivare dalle molte zone investite dalla repressione, le Cortes autorizzano (23 aprile) aiuti a tutti i profughi d’Italia, senza distinzione alcuna, e infine, il 6 maggio emettono una nuova normativa. Sono così previste due categorie di persone che possono ottenere benefici distinti: chi ha detenuto uffici di rilievo, e quindi non solamente responsabilità politiche durante i moti, può ottenere aiuti monetari senza limiti di tempo, mentre i profughi generici sono affidati alla discrezionalità di un aiuto temporaneo24. Per quello che riguarda i 289 civili, un forte nucleo è rappresentato da 90 studenti e da 80 che esercitano una professione liberale (47 tra avvocati, notai e procuratori, 24 medici, chirurghi e farmacisti, 9 tra architetti e ingegneri). Ci sono poi 26 commercianti, 27 artigiani, 15 lavoratori manuali, 23 proprietari, 18 funzionari civili, 6 intellettuali, 4 sacerdoti. Solo 4 si definiscono nobili (3 conti e 1 marchese). Poiché la scelta del luogo, dove dirigersi fuggendo, non è affidata solo al caso25, si può mettere in relazione questa pronunciata composizione borghese tra gli esuli in Spagna con quella propensione verso il modello costituzionale di Cadice affermata dai più radicali, che ha rappresentato uno strumento nella lotta politica nel movimento liberale italiano da parte di un “gruppo sociale formato da professionisti, medi proprietari terrieri, incipiente ceto imprenditoriale” 26. Tale divisione si sostanzia nel contrasto tra la Giunta di Alessandria, quasi tutta fuggita in Spagna, e il gruppo di Santarosa che invece gravita tra Francia, Svizzera ed Inghilterra27.
Se applichiamo il criterio definito da Grendi per studiare la Gran Bretagna della seconda metà dell’Ottocento28, otteniamo dati assai significativi, visto che nella categoria dello sviluppo ricadrebbe circa il 32% degli esuli e in quella della sussistenza il 68%. Questi valori si avvicinano a quelli ottenuti da Grendi e, considerato il gap tra i momenti ed i luoghi comparati, questo può essere letto come la dimostrazione che il movimento liberale italiano pre quarantottesco rappresentava fasce sociali emergenti, ma non era in grado di rappresentare la società nel suo complesso. Possiamo ipotizzare che questa élite, costretta in gran parte all’esilio, subisca così un pesante ridimensionamento che apre la strada, nel percorso di costruzione dell’unità nazionale, all’egemonia del fronte più moderato, agglutinatosi attorno all’opzione sabauda.
Veniamo ora alla distribuzione della origine territoriale dei nostri esuli. Abbiamo accertato in modo non ambiguo 677 luoghi di provenienza: 100 persone vengono dalle capitali (66 da Torino e 34 da Napoli), mentre forte è la provenienza da altri centri urbani (61 da Alessandria e 64 da Genova, ad esempio) e consistente anche quella delle piccole e medie località (a parte le quattro citate, la lista ne comprende altre 193). Anche in questo caso troverebbe conferma la tesi storiografica che descrive una egemonia delle periferie rispetto al centro nelle esperienze costituzionali del 1820 e 1821 espressa, tra gli altri anche da Candeloro29 e così riassunta da Talamo: “la prima caratteristica del moto del 1820, infatti, è proprio la funzione di guida assunta per la prima volta dalla provincia; tale caratteristica, colta inizialmente dal Blanch e poi adeguatamente sviluppata dal Cortese al Moscati, dal Villani al Lepre, conferma quanto prima si diceva circa il nuovo ruolo cui la borghesia agraria puntava nella direzione politica dello Stato” 30.
Rimane poi l’aspetto generazionale. Gioventù inquieta e ribelle che definisce una generazione del 1821 così come si è fatto per quella del 1848? L’analisi della nostra popolazione spinge per una articolazione non netta, e forse illustra il sovrapporsi di due generazioni, al tempo stesso politiche ed anagrafiche: coloro che rientrano nella generazione napoleonica (per formazione e/o per esperienza bellica) e coloro arrivati all’adolescenza con la Restaurazione. Possiamo illustrare dati anagrafici certi per 492 persone: il 69 % sono nati dopo il fatidico 1789 e quindi in possesso dei requisiti di età per una potenziale iscrizione alla Giovane Italia, ma sono ancora di più gli appartenenti alla cultura e alla esperienza post-rivoluzionaria (circa il 74 % appartengono a classi coinvolte nella leva napoleonica). Il più giovane esule ha 14 anni, il più anziano 56, l’età media è di 28 anni e 6 mesi.
È evidente quindi l’intersezione tra queste generazioni, e la mia ipotesi è che questa sia l’espressione di uno spazio sociale costruito su due gambe: le istituzioni educative e formative nel loro radicamento nella società civile e i luoghi in cui si è esercitata la trasmissione della cultura politica, il movimento settario primariamente. L’esame di alcune biografie di esuli aiuta a concretizzare questa ipotesi, così come è emerso nel case study su Pavia per il quale rimando all’articolo di “Cercles” citato. Ma c’è anche un altro elemento da considerare in questo dipanarsi di reti interpersonali, ed è quello del contesto economico: giustamente Polenghi ricorda che “per i proprietari terrieri pavesi l’abbattimento delle barriere doganali che ostacolavano il libero commercio era esigenza prioritaria, che interessava peraltro anche commercianti e libero professionisti quali avvocati e medici, desiderosi di ampliare la propria attività lavorativa” 31. L’intreccio tra radicamento nel territorio, economia e formazione costituisce così lo sfondo dove collocare le vicende biografiche di partenza dei nostri esuli e le loro reti, elemento che aiuta poi a capirne i percorsi dell’esilio e l’incontro con le nuove comunità.

3. Luoghi, itinerari, figure
Vediamo dunque l’incontro concreto con alcune comunità di accoglienza, centrando il lavoro su quella di Tarragona, che dà indicazioni valide anche per altri casi. In quel periodo Tarragona è un centro che cerca di riprendersi dalla fortissima repressione subita durante il periodo francese, quando “els habitants de Tarragona no ultrapassaren els 2.000. Restablerta la pau, Tarragona experimenta un procés de creixement bastant rapid fins a 1822 – 6.649 habitants el 1816, 9.123 el 1824” 32. Possiamo pensare quindi che nel 1821, all’epoca dello sbarco degli esuli, la popolazione fosse attorno alle 8.000 unità. L’impatto dell’arrivo degli esuli (273 su tre imbarcazioni a partire dal 20 aprile), un numero superiore per esempio ai presidiarios (cioè ai 235 forzati addetti alla ristrutturazione del porto), deve dunque essere notevole, sia sul piano politico che economico, tanto da determinare comportamenti che fecero da contraltare alla solidarietà politica. Dei due approcci sono significativi rispettivamente i provvedimenti presi il 24 aprile dall’Alcalde per il soccorso agli esuli durante la quarantena e poi per poterli ospitare in conventi o accampamenti33, e quelli del giorno successivo, quando si conosce anche il numero delle persone a bordo dell’Apollo e del Mercurio. “Observandose algunos rumores de descontento en el pueblo por la venida de los piamonteses: se ha resuelto que se publique y fixe un manifiesto exortando al pueblo la union con estos desgraciados emigrados porque asi lo exige la umanidad y se encarga el S. Feliu de estenderlo” 34.
La decisione di concedere aiuto economico si inserisce nel solco della politica nazionale sul tema che abbiamo già ricordato. Evidentemente a questo fa riferimento la distinzione operata dalla Junta di Tarragona. Essa decide il 26 aprile di alloggiare gli esuli al Quartel de Agustinos (dietro la chiesa dei gesuiti situata sull’attuale Rambla Vella), di destinare per gli ufficiali la Casa de Saturnes e anche i cafes qualora abbiano stanze35: perciò si crea una commissione municipale36. Sennonché il problema della presenza nella comunità, e forse la stessa volontà degli esuli, comincia a far balenare l’ipotesi di distribuirli nel resto della regione. Il vice console sardo si dichiara disponibile “solo en al acto de firmarles sus pasaportes para el destino que quieran, siempre y quando lo pidan y los encuentre corriente” (per disposizione del console sardo a Barcellona). Viene così deliberato di iniziare a prendere le dichiarazioni degli esuli il giorno 28 aprile alle 7, con l’aiuto come interprete di Juan Ferrer y Torres37. Nel frattempo la Junta decide di destinare anche Casa de Muntaner e Casa Satorres ad alloggio per gli italiani e di autorizzare la fornitura di provviste e utensili38.
La mancanza di fondi adeguati è palese e la Junta deve rispondere negativamente a Vandoncourt (il generale si è assunto il ruolo di rappresentante degli esuli, ma non senza contrasti interni), che chiede un prestito per mancanza di fondi39. La condizione degli italiani deve essere grave, se Vandoncourt arriva a richiedere che siano considerati prigionieri e quindi assistiti40. Comunque il 6 maggio è approvata la sistemazione del convento de Agustinos41 e il 9 sono approvate spese per l’alloggiamento per un totale di “32 libras 15 sueldo y 10 dineros” 42. La situazione per la città si va facendo insostenibile e allora è inviata una lettera al Governo centrale per raccomandare la sorte dei piemontesi43, richiesta che evidentemente non ottiene i risultati sperati. Il giorno 10 si ha la sicurezza che siano finiti i fondi per il mantenimento e che al massimo ci sono nelle caserme risorse per altri 7 giorni. L’idea di una sottoscrizione non ha avuto esito e si decide di chiedere aiuto a Barcellona, perché forse si è saputo del gran successo della sottoscrizione nella capitale (40.000 reali), la cui Junta viene anche investita della denuncia di Vandoncourt contro due ufficiali piemontesi, Guglielmo Ansaldi e Michele Regis44. Quest’ultimo scontro può forse rientrare nella querelle tra i due filoni politici che abbiamo già segnalato: Vandoncourt infatti è un tipico ufficiale napoleonico, mentre Ansaldi e Regis hanno guidato la Giunta di Alessandria e si sono distinti per il loro radicalismo.
Il mese di maggio trascorre in questo forte clima di incertezza e tensione e cominciano le prime partenze. Ma ci sono anche episodi di ricostruzione di una propria identità da parte degli esuli: ad esempio, la richiesta di Stefano Ponti, “maestro di aritmetica”, di far alzare un Globo aereostatico dal patio del Colegio domenica 27 maggio, qualora il tempo lo permetta45.
Dopo la fine dei sussidi della Junta un gruppo di esuli nel giugno del 1821 cerca di rientrare in Italia. Il 16 del mese vengono segnalati 43 esuli nel passaggio della frontiera tra Spagna e Francia nel Dipartimento dei Pyrénées Orientales46, 22 di questi fanno parte del gruppo approdato a Tarragona. L’età media è inferiore ai 21 anni (due soli superano i 30), cinque di loro passano poi la frontiera con l’Italia47: Alpino, Comandano, Mussano, Rigo e Vigna (tutti giovanissimi). Alpino e Vigna erano entrambi tamburi e possiamo presumere che abbiano concordato la scelta. Di altri tre abbiamo notizia della loro presenza a Ginevra nel 1823 (Calza, Cerri e Trombetta), su Giuseppe Meardi, che sappiamo fermarsi in Francia, torneremo in seguito. Gli altri 13 del gruppo non lasciano traccia. Possiamo immaginare, vista l’età, che per questo gruppo la spinta all’esilio sia stata più esistenziale che politica e che, passata la paura della repressione e sperimentata l’avventura sia prevalsa la spinta al ritorno a casa?
Certo per tutti non sarà così e le vicende della guerra che si scatena contro il regime liberale spagnolo e con la nuova invasione dei francesi, forzerà le dinamiche di incontro-scontro tra le due comunità48. Naturalmente la presenza in Cataluña non si limita a Tarragona e, oltre che nella capitale49, la presenza di piccoli gruppi è segnalata in molte cittadine e non solo in conseguenza della guerra. Dopo la fine dell’esperienza costituzionale spagnola, inizia per i sopravvissuti agli eventi bellici una seconda disseminazione, che li porterà, ricongiungendoli con gli altri esuli, in diversi luoghi: oltre a quelli fermatisi in Francia, per scelta o costrizione, gruppi numerosi si recarono a Londra ed in Belgio50, mentre rivoli più piccoli si spargeranno in tutto il Mediterraneo e nelle Americhe.
È stato segnalato che nel ricostruire gli itinerari che portano l’Italia di inizio Ottocento nelle Americhe si possono identificare varie fasi che coincidono con i momenti di tensione delle lotte risorgimentali: i moti del 1820-1821, del 1831, delle iniziative mazziniane, del 1848-1849, e le guerre d’indipendenza. Questa emigrazione, ad un tempo politica ed esistenziale, “trovava nello spirito risorgimentale uno speciale collante che si propone da subito come uno dei tratti più caratteristici e vistosi della vicenda italoamericana: una mistura di impeto rivoluzionario, sensibilità sociale, fiero anticlericalismo, che resisterà lungo tutto l’arco dell’esperienza coloniale e troverà uno sbocco originale nella partecipazione degli italoamericani alle vicende della sinistra americana” 51. Ma è stato anche sottolineato che questa prima emigrazione può essere vista come il segno del “contributo italiano alla civilizzazione della cultura materiale”, con la trasformazione delle attività e della conoscenza artistica in una produzione capace di riflettere “non tanto ciò che l’Italia aveva da offrire alla frontiera americana, quanto il modo in cui elementi appartenenti alla cultura delle élites vennero massificati e democratizzati nel corso del secolo” 52. I nostri emigrati di allora possono così essere considerati come gli artefici che mutavano i luoghi di frontiera in luoghi civilizzati. I percorsi biografici che seguono, articolati su diverse tipologie, possono servire da traccia per illustrare gli elementi caratteristici della generazione e delle vicende al centro della ricerca. Allo stesso tempo segnalano, con i loro vuoti, la necessità di approfondire le fonti e l’indagine53, per sfuggire all’agiografia ma anche per ridare un senso collettivo a vite altrimenti considerate come eccezioni esotiche. Il tema del progressivo spostamento della frontiera americana verso ovest è già presente nella pubblicistica milanese del primo Ottocento “e di riflesso viene introdotto il discorso su coloro che da questo spostamento vennero distrutti: gli indiani, il cui mondo, tutto sommato, venne quasi ignorato da quell’Italia della Restaurazione e del Risorgimento che, tutta presa dal processo di ricerca della sua identità nazionale, spesso escluse dal suo orizzonte culturale cose e problemi estranei al conseguimento della sua indipendenza dal dominio straniero” 54. A disposizione per conoscere quel mondo c’erano le traduzioni degli autori stranieri e pochissimi accenni nei lavori di prima mano italiani. Tra questi, gli sporadici cenni di Giacomo Sega55. Dottore in ambe le leggi all’Università di Pavia, partecipa da volontario ai moti del 1821: “gli uomini si risentono dei propri diritti e perciò che dalla Lombardia emigrarono tutti quelli che conoscevano bastantamente la Costituzione spagnuola per desiderarla e si portarono in Piemonte a favorirla per quanto valevano” 56. Passando per Francia e Inghilterra, è negli Stati Uniti dal 1824 al 1831, un soggiorno che ne influenza gli scritti57. Al suo ritorno in Italia (anche a Firenze, da dove è costretto a fuggire a causa delle richieste sabaude), scrive articoli per la “Rivista Europea” e per gli “Annali Universali di Statistica”.
Felice Argenti e Giuseppe Avezzana sono figure più famose nella storiografia non solo italiana. Qui possiamo citare il secondo, perché è stato preso a figura tipica del Risorgimento, quella “di un uomo che appartiene a due mondi separati, che non arrivano, come nel caso degli italoamericani propriamente detti, a costituire un nuovo insieme” 58. In America (Nord e Sud) mantiene sempre molto della sua formazione, in Italia riporta l’esperienza del fare pratico maturata nel Nuovo Mondo. Per schematizzare potremmo dire che in America ha il lavoro, la casa, la famiglia (si sposa e diviene padre), mentre l’Italia è il luogo delle sue passioni civili, dell’impegno. Meno noto è Prospero Bernardi che pure ha l’onore di avere un busto nella Hall of State di Dallas, per aver combattuto, nel febbraio del 1836, nell’esercito texano. Bernardi, che nelle biografie americane è definito notaio, a Torino è studente: partecipa come velita ai moti del 1821 ed è costretto poi all’esilio a Tarragona. Fatto prigioniero dai francesi, viene autorizzato a seguire corsi di medicina e nel 1827 ad esercitare come medico59. Altre professioni e strade intraprese sono quelle di Pietro Carta e Carlo Giuseppe Ferraris. Il primo, nato a Biella nel 1796, è condannato con Avezzana per la partecipazione ai moti; si imbarca da Genova per la Spagna il 13 aprile 1821. Nel 1825 ottiene una cattedra di fisica sperimentale all’università di Buenos Aires, dove muore nel 1849.
Amico di Carta, anche lui condannato dopo i moti, Carlo Giuseppe Ferraris è speziale e studente di chimica. Lo abbiamo incontrato tra i debitori di una signora di Tarragona: dopo la Spagna va in America Latina, dove sarà conservatore del Museo di Storia Naturale. Amnistiato nel 1842, la sua vicenda offre spunti interessanti per ricostruire l’ambiente professionale piemontese nel periodo a cavallo tra epoca napoleonica e Restaurazione. Tra le sue carte infatti è conservata la piazza, cioè la licenza ufficiale concessagli per l’esercizio dell’attività professionale, licenza che, però, gli arrivò quando già era esule. Queste concessioni sono al centro di lunghe rivendicazioni perché, dopo il periodo napoleonico che ha portato ad una espansione delle botteghe di speziali e droghieri, la Restaurazione blocca la concessione delle licenze e solo dopo anni di contenzioso istituisce un riscatto a prezzi esosi60. All’inizio dell’Ottocento, sull’onda delle riforme introdotte dai francesi, muta anche il mondo della farmacia. “Lo speziale prima e il farmacista poi, per la funzione sociale della professione, appaiono come i tipici rappresentanti della media borghesia propensi ad accettare insieme alle innovazioni scientifiche anche le nuove istanze politiche ‘rivoluzionarie’, fornendo in tal modo un contributo al movimento risorgimentale” 61. Quella figura di farmacista che Verga descrive nei Malavoglia come lettore di gazzette e diffusore della storia delle rivoluzione francese nella Sicilia ottocentesca, nella persona di Ferraris condensa lotta per l’indipendenza nazionale e trasformazione della frontiera, rappresentando così uno spazio in bilico tra due mondi e immerso in un processo di contaminazione feconda.


Grafico 1 distribuzione per lavoro


Grafico 2 distribuzione tra i professionisti


Grafico 3 distribuzione per età, serie scura: Iscrivibili Giovine Italia serie chiara: Classi napoleoniche


Cartina 1 Provenienza esuli in Spagna 1821-1823

Note

1 Nato a Barge nel 1795, ufficiale dei Dragoni nell’esercito piemontese, dopo i moti (a seguito dei quali gli sono confiscati i beni con sentenza contumaciale del 19 luglio 1821), combatte in Spagna comandando un battaglione lancieri nelle truppe costituzionali. Si reca poi in Grecia e a Malta. Scrive nel 1830 Della guerra d’insurrezione per bande applicata all’Italia, la prima esposizione organica della guerra partigiana, sulla quale le vicende spagnole hanno non poca influenza. Aderisce alla Giovine Italia partecipando anche alla spedizione in Savoia del 1834.

2 Alessandro, dopo gli studi a Bruxelles, torna in Piemonte dove si arruola come soldato il 3 gennaio 1840. Segue tutti i gradi della carriera fino a divenire Luogotenente nel 1851, aiutante di campo di Bava nel 1949. Nel frattempo riesce a far togliere la tutela sui beni confiscati al padre. Partecipa alle campagne per l’Indipendenza; dopo l’Unità è trasferito nel Mezzogiorno (esperienza che lo porta a scrivere Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863: studio storico, politico, statistico, morale, militare, Milano, G. Daelli e C., 1864).

3 Le due scuole di pensiero possono essere sintetizzate rispettivamente nei lavori di Atto Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Livorno, Poligrafia italiana, 1849e di Virginio Orsino, Frammenti della vita del conte Carlo Angelo Bianco di S. Jorioz esule illustre del 1821, Torino, Fory e Dalmazzo, 1853.

4 Anche Franzina sottolinea, parlando dell’emigrazione nella prima metà dell’Ottocento, “l’avvio di un esodo massivo che interseca e talora confonde le sue strade con le piste dei profughi e dei fuoriusciti dell’emigrazione politica risorgimentale” (Emilio Franzina, Conclusione a mo’ di premessa, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, pp. 601-637, p. 612).

5 Per la contestualizzazione della periodizzazione Marco Porcella, Premesse dell’emigrazione di massa in età prestatistica (1800-1850), in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 17-44.

6 Nell’archivio di Vilanova i la Geltru, ad esempio, il fondo “expatriados forasteros” contiene cartelle che danno notizia sia degli esiliati presenti nel 1822, ma anche degli arrivati dal Piemonte o “milanesi” presenti nella cittadina a fine Settecento (i piemontesi calzolai e barbieri, gli altri stagnari) e nel 1872 (13 italiani di cui 3 cappellai della provincia di Lucca), che magari seguono le rotte segnalate da Porcella (Arxiu Municipal, cartelle 2625 e 2631).

7 In particolare Wilfred R. Bion, Attention and interpretation, pubblicato in italiano con il titolo Attenzione e interpretazione: una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi, Roma, Armando, 1973.

8 Leon Grinberg e Rebeca Grinberg, Psicoanalisis de la migracion y del esilio, nella edizione italiana Psicoanalisi dell’emigrazione e dell’esilio, Milano, Angeli, 1990,p. 160.

9 Ibid., p. 161.

10 Ibid., p. 163.

11 Iosif Brodskij, Dall’esilio, Milano, Adelphi, 1988, p. 32.

12 Camillo Brezzi e Anna Iuso, Introduzione al fascicolo monografico Esuli pensieri, “Storia e problemi contemporanei”, 38 (2005), pp. 5-10, p. 8.

13 Robert Slade, Italian refugees, conservato presso la British Library di Londra, e che contiene anche una lista di membri inglesi di un comitato di assistenza agli italiani. La stessa fonte dà conto anche di altri esiliati che insegnano, ma che qui non abbiamo citato perché la loro precedente presenza in Spagna non è accertata. Sono note anche le figure di Santorre di Santarosa e Carlo Beolchi.

14 Luigi Boneschi, figlio del giacobino Pasquale, ha frequentato il Collegio militare diretto da Giacomo Filippo De Meester. All’Università studia ingegneria. Boneschi, dopo la presenza nell’esperienza costituzionale piemontese e spagnola, è poi anche in Belgio prima di arrivare a Londra dove, nel 1824, prende a credito dal libraio Rolandi, dietro garanzia di Santarosa, “i libri necessarii all’insegnamento della lingua italiana” (Santorre di Santarosa a Pietro Rolandi, in Lettere dall’esilio, a cura di Antonino Olmo, Roma, ISRI, 1969, p. 408). Una nota autografa di Boneschi ci fa conoscere l’importo del credito (3 sterline 6 soldi e 9 denari) e i titoli dei libri: Polidori, Grammatica e novelle, 3 volumi; Alfieri, Scelta, 2 voll.; Cormons-Manni, Dictionnaire, 2 voll.; Veneroni, Grammaire italienne (ibidem, p. 409).

15 Vecchiarelli, per problemi di salute dovute al clima inglese (come scrive lui stesso), si sposta a Parigi nel 1825 e qui continua ad insegnare almeno fino al 1830, redigendo grammatiche italo-spagnole ed un dizionario. Notizie su di lui con le richieste di sorveglianza del Castelcicala (che lo definiva nemico inconciliabile del Governo legittimo) e con i relativi rapporti della polizia parigina, che invece non rilevano condotta riprovevole, sono contenute in Archives Nationales (Paris), fondo Police Générale, serie F7 (d’ora in poi ANP, PG, F7), busta 6638, f. 23.

16 Per un uso proficuo di questo metodo di indagine cfr. Maurizio Gribaudi, Percorsi individuali ed evoluzione storica: quattro percorsi operai attraverso la Francia dell’Ottocento, “Quaderni Storici”, 106, 1 (2001), pp. 115-152.

17 Mi permetto di rimandare, per l’illustrazione dell’utilità dell’uso della prosopografia per questo tipo di soggetti, ad Agostino Bistarelli, La tela e il quadro. Per una biografia collettiva degli esuli italiani del 1821, “Cercles. Revista d’història cultural”, 10 (2007), pp. 201-220.

18 Romano Ugolini, Gli esuli italiani in Belgio nel Risorgimento, “Archivio Trimestrale”, 6, 3 (1980), pp. 471-477, p. 471.

19 Prova evidente di questa strategia di adattamento è data dalla lettura delle dichiarazioni personali contenute in due diversi archivi. In quello di Tarragona l’accento è messo soprattutto sulla motivazione esplicitamente politica della partecipazione alle vicende che hanno portato all’esilio. Per tutti valga la carta del 24 maggio 1821 firmata inflamados jovenes, Archivo Municipal de Tarragona (d’ora in poi AMT), Legajo 1, f. 6. In quello di Parigi, dopo la sconfitta del Trienio prevale l’accento esistenziale: vedi la dichiarazione di Filippo Gattino, avvocato di Torino e capitano nella Legione composta dagli esiliati italiani nelle truppe costituzionali spagnole, che sottolinea il fatto di essersi compromesso anche perché non aveva molte opportunità nella capitale piemontese per esercitare la professione (ANP, PG, F7, busta 6652, f.133/16).

20 Vedi ad esempio Marco Meriggi, Sui confini nell’Italia preunitaria, in Confini. Costruzioni, attraversamenti, rappresentazioni, a cura di Silvia Salvatici, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 37-53.

21 Per l’impatto della Spagna sulla cultura europea di quel periodo vedi Raymond Carr, Storia della Spagna 1808-1839, Firenze, La Nuova Italia, 1978, e Giorgio Spini, Il mito e realtà della Spagna nelle rivoluzioni italiane del 1820-1821, Roma, Perrella, 1950.

22 Cfr. Donna R. Gabaccia, Class, Exile, and Nationalism at Home and Abroad: The Italian Risorgimento, in Italian Workers of the World: Labor, Migration, and the Making of Multi-Ethnic Nations, a cura di Ead. e Fraser Ottanelli, Urbana, University of Illinois Press, 2001, pp. 21-40.

23 Vedi Giuseppe Marsenego e Giuseppe Parlato, Dizionario dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821, 2 voll., Torino, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Comitato di Torino, 1982-1986.

24 L’articolo 6 del decreto raccomanda una vigilanza attiva sopra quelli “que puedan inspirar justos motivos de recelo”. Era anche prevista una disseminazione sul territorio e un invito alle autorità locali ad aiutare gli esuli. Per il decreto e il relativo dibattito, vedi Manuel Moran, La cuestión de los refugiados exstranjeros. Política española en el trienio Liberal, “Hispania”, 173 (1989), pp. 985-1016, pp. 990-991.

25 L’esame degli imbarchi da Genova degli esuli, dei passaporti ricevuti e dell’itinerario delle navi dimostra la volontà di raggiungere la Spagna (solo pochi scendono nella tappa francese del viaggio) e solo la casualità separa il gruppo di coloro che raggiungono Barcelona da quelli che sbarcano a Tarragona per via di una tempesta (cfr. Agostino Bistarelli, El Fondo Piamonteses en el Archivo Municipal de Tarragona. Fuentes para el estudio de los exiliados italianos en el Trienio Liberal, Barcelona, UAB, 2002). Caso limite è poi quello del viaggio di Lorenzo De Concilis che il 21 marzo 1821 firma un contratto di noleggio per allontanarsi dal Regno di Napoli. Il colonnello avellinese, per novecento ducati “di moneta effettiva sonante d’argento fuori Banco a scasso, o in tanti pezzi duri ragguagliati alla ragione di grana centoventiquattro ognuno”, affitta il brigantino Nostra Signora delle Grazie del capitano Giuseppe Antonio Allegro, battente bandiera sarda, e su di esso si reca, insieme alla moglie, a Barcellona dove sbarca i primi giorni di aprile. Cfr. Vincenzo Cannaviello, Gli Irpini della rivoluzione del 1820 in esilio (III), “Rassegna storia del Risorgimento”, 27, 2 (1940), pp. 115-155, pp. 143-144.

26 Narciso Nada, La Restaurazione in Europa, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea, diretta da Nicola Tranfaglia e Massimo Firpo, VIII, L’età contemporanea 3. Dalla Restaurazione alla prima guerra mondiale, Torino, UTET, 1986, p. 17. Sono chiare anche le conclusioni cui arriva il Dizionario nel capitolo su I ceti borghesi e i moti: “ciò che a tale gruppo maggiormente premeva, ed in questo si incontravano con i costituzionali più radicali, quelli cioè che propugnavano la Costituzione di Spagna, era un maggiore peso politico-economico del loro ceto” (G. Marsenego e G. Parlato, Dizionario dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821, cit., p. 181). Sul rapporto tra componenti interne al movimento liberale e modello costituzionale preferito vedi anche le osservazioni in Agostino Bistarelli, Vivere il Mito spagnolo. Gli esiliati italiani in Cataloña durante il Trienio Liberal, “Trienio” (Madrid), 32 (1998), pp. 5-14, e 33 (1999), pp. 65-90.

27 Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna. 2. Dalla Restaurazione alla Rivoluzione Nazionale 1815-1846, Milano, Feltrinelli, 1978 (prima edizione 1958), p. 146.

28 Edoardo Grendi, L’avvento del laburismo. Il movimento operaio inglese dal 1880 al 1920, Milano, Feltrinelli, 1964. Grendi divide i dati sull’occupazione in due gruppi: quello dello sviluppo, che comprende i settori connessi con la crescita economica, amministrativa e culturale del paese, e quello della sussistenza, che comprende i settori tradizionali. I dati nel 1861 dei due gruppi danno rispettivamente il 33.1% e il 66.9%.

29 G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, cit., p. 80. Candeloro ricorda anche la comparsa di una tendenza federalista nelle prime settimane della rivoluzione che, pur se soffocata quasi subito, influenzò comunque una legge sulle funzioni dei consigli provinciali e comunali.

30 Giuseppe Talamo, Napoli da Giuseppe Bonaparte a Ferdinando II, in Storia di Napoli, IX-2, [Napoli], Società Editrice Storia di Napoli, pp. 31-130, p. 79.

31 Simonetta Polenghi, Studenti e politica nell’Università di Pavia durante il Risorgimento (1814-1860), “Storia in Lombardia”, 3 (2001), pp. 5-38, p. 5.

32 Joan Alemany, Jordi Blay, Santiago Roquer, Port de Tarragona. Historia i Actualitat, Barcelona, Junta del Port, 1986, p. 78.

33 10 reali giornalieri per la prima classe, 4 per l’altra da mettere a carico dell’Hacienda (fa riferimento a un totale di 260 persone, AMT, Acuerdos, n. 83).

34 AMT, Acuerdos, n.85, 25 aprile.

35 AMT, Acuerdos, n. 89, 26 aprile. Nel registro degli atti municipali è anche presente una nota riservata sulla condotta di alcuni esuli.

36 AMT, Acuerdos, n. 90, 26 aprile.

37 AMT, Acuerdos, cit., n. 91, 27 aprile.

38 AMT, Acuerdos, cit., n. 93, 29 aprile.

39 AMT, Acuerdos, cit., n. 99, 4 maggio.

40 AMT, Acuerdos, cit., n. 101, 5 maggio.

41 AMT, Acuerdos, cit., n. 102, 6 maggio (preventivo al segnal 272).

42 AMT, Acuerdos, cit., n. 105, 9 maggio.

43 AMT, Acuerdos, cit., n. 104, 8 maggio (segnal 274).

44 AMT, Acuerdos, cit., n. 108, 10 maggio.

45 AMT, Legajo Piamontes, B. 1, Documenti sciolti. Ponti proviene da Alessandria e ha 30 anni. Questo tentativo non è del tutto eccentrico: c’è da ricordare infatti che nel “1803, en las fiestas del puerto, desde el fuerte de la reina se elevó un globo, con el nombre de Carlos IV en su panza. Su vuelo terminó cerca de El Catllar con asombro y desconcierto de sus habitantes que no esperaban ver bajar del cielo unos viajeros, hecho que les alarmó y que solo la intervención del señor cura consiguió tranquilizar” (José Sanchez Real, Puerto de Tarragona: acontecimientos notables en su construcción (1802-1829), Tarragona, Autoridad Portuària de Tarragona, 1995, p. 167).

46 ANP, PG., F7 . busta 6656, f. 133/20. Per l’elenco vedi tab. PO in A. Bistarelli, El Fondo Piamonteses, cit.

47 ANP., PG, F7, busta 6656, f. 113/15. Stato dei piemontesi che si erano rifugiati in Spagna via mare e che erano rientrati nella loro patria passando per la frontiera del dipartimento delle Hautes Alpes tra l’11 e il 25 giugno 1821. Per l’elenco completo vedi tab. HA in A. Bistarelli, El Fondo Piamonteses, cit.

48 Non sappiamo, ad esempio, se Teresa Pedro riesce a farsi restituire il prestito fatto a Paolo Aguisti, Giovan Battista Ferraris e Vittorio Valerio. E rimane sospesa anche la storia di Francesco Antonio Sales, doratore di metalli e maestro di scherma, “cattivo soggetto, dimostratosi nel 1821 a Genova favorevole alla Costituzione” (Rubriche della Polizia Piemontese (1821-1848), a cura del R. Archivio di Stato di Torino, Roma, Vittoriano, 1938, p. 80). Sales sollecita un passaporto per recarsi da Tarragona a Barcellona e una nota del 31 maggio lo definisce di “mucha habilidad y perizia”: forse queste sue competenze risultano utili alla comunità, visto che nel 1822 è ancora a Tarragona.

49 Qui la presenza degli italiani è più numerosa e trova, oltre la guerra, anche un altro elemento di distorsione delle dinamiche di integrazione: parliamo della peste che segna in maniera drammatiche le condizioni di vita a Barcellona ed è presente nella memorialistica quasi al pari delle vicende belliche.

50 Come ricorda Ugolini nel saggio citato, il Belgio rappresenta una felice eccezione nel panorama degli studi storici sull’esilio risorgimentale, grazie anche ai lavori di Mario Battistini, tra i quali Esuli italiani in Belgio (1815-1861), Firenze, Brunetti, 1968. A parte i Bianco con i quali abbiamo iniziato, nel paese ci sono figure assai note della storia risorgimentale a cominciare dagli Arconati Visconti e da Gioberti. “Se, nei secoli precedenti, la presenza italiana in Belgio, che si costituiva soprattutto di soldati, avventurieri, artisti, attori di teatro, decoratori e mercanti, non aveva destato grande scalpore, innanzitutto perché molto ridotta e nella maggior parte di passaggio, l’arrivo in Belgio, a partire dal 1821, dei patrioti del Risorgimento, umiliati e espropriati, contribuisce senz’altro a creare dei legami culturali profondi tra i due paesi” (Sabina Gola, Scrittura e immagini. L’Italia e gli italiani nella cultura belga dal 1820 al 1880, “Rassegna storica del Risorgimento”, 89, suppl. al fasc. 3 (2002), pp. 93-108, p. 97). La stessa autrice ricorda che “nonostante le difficoltà ad abituarsi a vivere in una società non sempre disposta a un’accoglienza calorosa, gli esuli tutt’altro che ospiti passivi, offrono al Belgio l’immagine di un’Italia dinamica e intellettualmente molto fervida. Essi si integrano presto nel tessuto sociale belga, mettendo il loro sapere a servizio del paese che li accoglie – pubblicando, insegnando o assumendo mansioni amministrative di rilievo – e, indirettamente, anche a beneficio della madre patria, attraverso la diffusione degli ideali del Risorgimento, della lingua e della cultura italiana” (ibid., pp. 97-98). L’Istituto Gaggia, dove insieme con Gioberti, insegna anche Giuseppe Ignazio Rossi di Grugliasco, uno degli esuli provenienti dalla Spagna, ha avuto certamente un ruolo rilevante.

51 Francesco Durante, ItaloAmericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti 1776-1880, I, Milano, Mondadori, 2001, p. 201.

52 Robert F. Harney, Dalla frontiera alle Little Italy. Gli italiani in Canada 1800-1945, Roma, Bonacci, 1984, p. 51.

53 Ad esempio, su Giuseppe Rocchietti, uno degli autori inclusi nell’antologia di Durante, c’è incertezza riguardo agli anni precedenti l’esilio. Ma possiamo anche citare il caso di Giuseppe Menardi piemontese, definito “il papà dei pionieri” da Francesca Loverci, Italiani in California negli anni del risorgimento, “Clio”, 15, 4 (1979), pp. 469-547, p. 476. Nel Dizionario di Marsenego e Parlato non risulta questo nome, che peraltro corrisponde al patriota fucilato dopo la repressione antimazzianiana del 1833. Abbiamo invece traccia di quel Giuseppe Leardi, che abbiamo segnalato nel gruppo che lascia la Spagna dopo pochi mesi, il quale, però, stando al web avrebbe intrapreso un altro percorso, lontano dall’America: “Cintano annovera fra i suoi cittadini migliori il patriota Giuseppe Meardi. Partecipò al moto rivoluzionario del 1821, quand’era ancora studente di medicina. Appena laureato si trasferì in Algeri, ove divenne medico capo dell’Ospedale Militare e di tutta l’armata Francese; fu insignito della legion d’onore” (http://cintano.info/cennistorici.htm).

54 Gilberto Scuderi, Indiani d’America nelle riviste milanesi della restaurazione e del Risorgimento, “Archivio trimestrale”, 9, 1 (1983), pp. 159-174, p. 160. Il riferimento finale è all’introduzione di Raimondo Luraghi alla seconda parte di Italia e America dal Settecento all’età dell’imperialismo, a cura di Tiziano Bonazzi et al., Venezia, Marsilio, 1976, pp. 159-167.

55 Nato a Mantova nel 1794, muore a Novara nel 1859, alla vigilia quindi dell’Unità nazionale.

56 AMT, Fondo Piamonteses, Legajo 1, f.7. Oltre a quanto detto per Gattino e alla annotazione della Polenghi, nell’evidenziare la presenza ricorrente di avvocati e studenti in Legge, ci sembra interessante segnalare una possibile saldatura tra l’aspetto ideale (il sentimento nazionale) e quello materiale (l’interesse) in questa sociabilità politica del liberalismo dovuta ai ruoli introdotti dal codice francese. Rileva Rath che l’introduzione dei codici germanici con la Restaurazione nel Lombardo Veneto aveva coinvolto corposi interessi e che “gli avvocati, ad esempio, che avevano perso molti dei loro affari per essere stati esclusi dal foro erano particolarmente furiosi contro gli austriaci”: R. John Rath, L’amministrazione austriaca nel Lombardo-Veneto (1814-1821), “Archivio economico dell’unificazione italiana”, 9, 1 (1959), p. 22. Stesse osservazioni anche per il Piemonte: “la cultura di origine francese degli avvocati e dei medici, la situazione favorevole goduta da queste categorie durante il periodo napoleonico furono gli elementi determinanti che spinsero questi professionisti all’insurrezione” (G. Marsenego e G. Parlato, Dizionario dei Piemontesi, cit., p. 186).

57 Si possono ricordare del periodo americano Componimenti poetici d’un Italiano profugo in America, Filadelfia, Dai torchi di C. Alexander, 1829; Inno di libertà alla Francia, Cambridge, H.E. Brown, 1830; What is true civilization; or, Means to suppress the practice of duelling, to prevent, or to punish, crimes, and to abolish the punishment of death, Boston, W. Smith, 1830. Tra le altre opere Lafayette, o Il trionfo della virtù, Parigi, P. Delaforest, 1835 e poi quelle italiane: Mondo civile e mondo morale, ossia Ricerche intorno alle cause dei delitti alla fondazione e tendenza della società e al metodo d’istituirsi il diritto penale considerato ne’ rapporti dei sistemi speculativi e filantropici colle sanzioni sociali e di queste colla morale universale, Firenze, nella Stamperia Granducale, 1846; Della pace e della guerra: lettera a Cesare Correnti deputato per Stradella, Torino, Stamp. sociale degli artisti tipografi, 1849; Protestantismo e prestito pubblico: saggio sull’origine e la causa remota dei debiti nazionali e del prestito pubblico: appoggiato sulla storia religiosa, civile, politica ed economica delle nazioni incivilite, Torino, G. Pomba, 1850; L’Italia possibile, lettera al Sig. Daniele Manin ed osservazioni sulle di lui lettere e sulle condizioni dei popoli e dei partiti in Italia, Nizza, soc. Tipografica, 1857; L’Italia possibile, secondo opuscolo ossia La conciliazione dei partiti nel campo dell’azione, Bellinzona, Tip. C. Colombo, 1857.

58 F. Durante, ItaloAmericana, cit., p. 275.

59 ANP, PG, F7, busta 6748, f. 4/7.

60 Cristoforo Masino, Notizie sparse sugli speziali piemontesi dei secoli XVII-XIX, “Minerva farmaceutica”, VII, 12 (1958), pp. 237-241.

61 Raimondo Villano, Cenni di arte e storia della farmacia, [sl.], Nicola Longobardi Editore, 2004, p. 103.