Il problema della tratta minorile in varie nazioni europee, soprattutto Francia e Inghilterra, era tristemente presente, nella seconda metà dell’ottocento, in varie zone d’Italia. Il territorio dell’attuale provincia di Frosinone, ad esempio, fu coinvolto nell’incetta di fanciulli da impiegare come garzoni nelle vetrerie francesi e non furono pochi i casi di coloro che, per i massacranti turni di lavoro e per la vita di stenti, morirono o si ammalarono gravemente, specialmente di tubercolosi1. La questione sollevò molti interventi, sia in Italia che in Francia, ma non servì a bloccare il fenomeno il quale proseguì anche per la mancanza, nei due Stati, di una efficace legislazione di protezione delle vittime.
Anche la Basilicata fu coinvolta, anche se in maniera diversa, nella tratta minorile verso le nazioni europee, ma si registrarono parecchi casi anche oltreoceano. A partire, infatti, dalla metà dell’Ottocento molte città inglesi e francesi vennero invase da un esercito di “fanciulli girovaghi”, provenienti dai comuni di Viggiano, Marsicovetere, Corleto Perticara, Laurenzana, Tramutola, Calvello, Picerno ed appartenenti, per lo più, a famiglie contadine, i quali andavano per strada a suonare l’arpa ed il violino2.
I fanciulli erano, dunque, dediti a “campare” suonando vari strumenti musicali, ma i relativi guadagni giornalieri erano subito ceduti al mercante che li aveva “affittati” con “regolari”contratti per un periodo di tempo variabile tra uno e tre anni. Uno dei primi documenti nel quale si trova traccia del triste fenomeno è il Rapporto sulla situazione dei piccoli italiani della Società Italiana di Beneficenza di Parigi, datato 18683. Tale organizzazione, infatti, preoccupata per la sorte di questi fanciulli, aveva formato, all’interno del proprio Consiglio d’Amministrazione, una commissione di cinque membri incaricata di studiare il problema e di interessare le autorità competenti italiane e francesi. I risultati dei lavori vennero, in seguito, inviati al governo francese, perché operasse per reprimere il traffico a Parigi e nelle altre città della Francia, alla Camera dei Deputati italiana, per sollecitare una discussione pubblica che risvegliasse “l’attenzione del governo e dei funzionari italiani”, allo stesso Ministro d’Italia in Francia, infine, perché lo trasmettesse al governo italiano.
Già nel 1861 la sorella della società francese, la costituenda Società Italiana di Beneficenza a Londra, aveva censito ben “600 organari da strada semivenduti dai loro parenti in Italia e qui condotti da otto o dieci padroni in Londra residenti e commercianti di professione in questo genere”. Essi rappresentavano quasi un terzo di tutti gli italiani presenti nella capitale inglese. I musicanti meridionali e lucani divennero, poi, più numerosi dopo il 1867 a seguito dell’espulsione di massa degli arpisti e pifferai lucani da Parigi4.
Dalla metà dell’Ottocento, dunque, centinaia di ragazzi lucani, di tutte le età e di ambedue i sessi, partivano dai paesi citati, a gruppi di tre o dieci, condotti da individui che si dicevano “loro parenti o loro padroni”, per raggiungere varie città europee. Erano proprio i genitori a “vendere” o “dare in affitto”i propri figli a gente priva di scrupoli, “veri padroni di schiavi”, in virtù di contratti sottoscritti da ambedue le parti e che le stesse reputavano regolari. Tali accordi prevedevano, generalmente, la “locazione”dei fanciulli per un periodo determinato, mediante il pagamento di una somma annua, oppure di una somma fissata e pagata precedentemente per tutta la durata dell’ingaggio. Era anche stabilito che, terminato l’ingaggio, il “padrone” dovesse pagare le spese di viaggio per il rimpatrio, ma spesso questo non accadeva e di molti ragazzi si perdevano le tracce.
Di “contratto di locazione d’opera” parla ad esempio il prefetto di Potenza, in una lettera inviata al Ministero degli Affari Esteri il 2 giugno 18705, a proposito di Francesco Antonio Rago, affidato, nel maggio 1866, dal padre Giuseppe Rago, contadino di Viggiano, con “scrittura privata” e per anni tre, a Giuliano Di Trani, suonatore ambulante dello stesso comune di Viggiano, e condotto addirittura nel Nebraska6. Inutilmente il padre, tramite intervento del console generale italiano a New York7, chiedeva il rimpatrio del figlio, “essendo spirato il termine” stabilito dalla “convenzione”, ma il Di Trani “asserisce di averlo perduto”8.
Oltreoceano scompaiono anche i fratelli Michele e Antonio Perrone di Trivigno che vengono ricercati, ma invano, nella città di Montevideo9. Anche di due ragazzi di Corleto Perticara si perdono le tracce. Leonardo De Bona, di anni 11, e Rocco Matarese, di anni 10, sono stati consegnati dai genitori ad un suonatore ambulante che, giunto in Francia, li trasferisce ad altro individuo originario di Laurenzana. I padri interessano, tramite l’amministrazione comunale10, il prefetto che, a sua volta, informa il Ministero degli Affari esteri. Le ultime notizie fornite dai genitori ci riportano a Bordeaux ma in quella città i ragazzi non si trovano, mentre il loro “padrone” riferisce che lo hanno abbandonato “senza alcun motivo” e che, per questo, qualora li ritrovasse, si sente sciolto dall’obbligo di pagare le spese di rimpatrio11. Le cose, in realtà, erano andate diversamente e la paura del padre di De Bona, il contadino Gaetano, che il proprio figlio fosse stato abbandonato “non si sa in qual’epoca” era tutt’altro che campata in aria. Il Ministero degli Affari Esteri, infatti, informava la Prefettura di Basilicata che il ragazzo era partito, anni or sono, alla volta del Belgio “col suo padrone”, ma che, purtroppo, non si era riusciti a sapere “il nome della città di quel Regno”12.
I gruppi di emigranti, formati dai ragazzi ed i loro padroni, attraversavano tutta la penisola, seguendo il litorale del Mediterraneo, ed approdavano a Nizza ed a Marsiglia; pochissimi sceglievano la via marittima, poiché a Marsiglia lo sbarco dei mendicanti era attentamente sorvegliato. Alle frontiere incominciava la “tratta”. I conduttori, infatti, rivendevano i ragazzi ad altri loschi individui che dimoravano a Parigi o in altre città francesi o anche in altre nazioni. Così, dopo aver provveduto a consegnare la “merce”, i trafficanti ritornavano in Basilicata per altri “acquisti”.
La situazione, in cui si trovavano a vivere i ragazzi lucani, era difficilissima. Giunti nelle città, venivano installati in una promiscuità, che spesso non teneva conto nemmeno della differenza dei sessi, presso albergatori compiacenti, interessati solo al guadagno ad ogni costo13. Ogni mattina si dovevano poi riversare per strada a mendicare o a suonare. Di solito i padroni li seguivano per sorvegliare i guadagni che provvedevano, immediatamente, a strappare loro di mano. Altre volte il ricavo della giornata era affidato al più grande dei ragazzi che, poi, provvedeva a consegnarlo al padrone il quale aveva trascorso l’intera giornata nelle taverne.
Così il rapporto parigino:
Il vagabondaggio dura da mattina a sera. Questi ragazzi vivono di ciò che la pubblica carità dona loro in natura; il numerario debbono renderlo per intero. Giunta la sera, tornano nel loro ricovero sull’imperiale di un omnibus, che serve talvolta di teatro alle loro imprese. Chi può resistere alle smorfie, alle contorsioni, al riso, alle lagrime di questi poveri diseredati!
Ma spesso quanto guadagnato non era abbastanza ed allora il timore dei cattivi trattamenti costringeva questi poveri diseredati a prolungare il vagabondaggio sino a notte avanzata:
Chi è che non ha incontrato, uscendo dallo spettacolo e tornando la sera in propria casa, questi poveri esseri estenuati, carichi di strumenti più pesanti di loro stessi, trascinando a stento i passi dietro un passeggero in ritardo? Quella volta la giornata è stata laboriosa, e gl’infelici, sfiniti dalla stanchezza, non avendo più la risorsa degli omnibus, privi della forza e del coraggio necessari per camminare fino al loro tugurio, soccombono sovente dalla fame e dal sonno sopra un banco dei boulevards, accanto ad un pilastro, sotto un portone, dovunque sia. Nelle serate d’inverno, per ripararsi dal freddo, si gettano due o tre gli uni sugli altri con a fianco i loro strumenti. Ma il sonno non è mai di lunga durata; gli agenti di polizia s’incaricano quasi sempre di svegliarli e di procurar loro un asilo per la notte.
Né la loro attività si limitava alle sole città, dovendo spesso raggranellare un magro guadagno anche nelle contrade di campagne, particolarmente nei giorni di festa, e rischiando di sovente gli “atti di brutalità” dei contadini.
La situazione sembrava sfuggire di mano alle stesse autorità francesi che non riuscivano ad arginare il fenomeno, nonostante la conoscenza dei nominativi dei principali trafficanti e l’esistenza di alcuni strumenti normativi come, ad esempio, il Decreto del prefetto di Polizia del 28 febbraio 1863 il quale, all’art. 10, recitava: “È espressamente proibito ai saltimbanchi, suonatori d’organi, musici e cantatori ambulanti, di farsi accompagnare da fanciulli di età minore di sedici anni”. In realtà ben poco poteva fare la polizia francese poiché, subito dopo l’arresto e la comunicazione al consolato italiano, sopraggiungeva il “padrone” che, reclamando il ragazzo, ne otteneva il rilascio, mentre lo sfortunato doveva poi ripagarlo dell’esborso monetario con aumento di lavoro.
Si legge nella relazione della società parigina:
Il momento dell’arresto è il più penoso per questi ragazzi. Noi abbiamo assistito sovente a vere lotte fra l’astuzia dei ragazzi e la forza degli agenti, i quali ciò non pertanto li trattano con dolcezza. Essi cercano tutt’i mezzi possibili per scappare, perché il loro arresto produce al padrone una perdita materiale che bisogna più tardi riguadagnare con aumento di lavoro, salvo ad essere severamente puniti.
Soltanto dopo tre arresti veniva ordinata l’espulsione dal territorio francese, con avviso di rimpatrio dato al consolato italiano che provvedeva a rilasciare alla Prefettura una ricevuta per ciascun fanciullo, ma anche tale provvedimento risultava inefficace perché gli espulsi tornavano tranquillamente, utilizzando un altro posto di frontiera e con una diversa identità14.
Altre volte, nonostante i tentativi dell’autorità consolare di procedere al rimpatrio, erano gli stessi ragazzi che rifiutavano, dichiarando, non si sa con quale convinzione, di essere “soddisfatti” del proprio padrone. È il caso dei fratelli Nicola e Rocco Zito di Calvello, il primo di 13 anni ed il secondo di 10, condotti come suonatori ambulanti in Francia da un losco individuo di Laurenzana, i quali, “eccitati a rimpatriare” per opera del Console italiano a Nantes, lo pregavano di “lasciarli ancora col loro padrone” di cui si mostravano “del tutto soddisfatti”, chiedendo di restare con questi nella città di Reims15. Lo stesso “padrone” aveva, però, condotto ad Avignone altri due ragazzi di Calvello, Colasurdo Rocco di anni 13 e Cutro Donato di anni 14, ma questi ultimi non potevano rifiutare il rimpatrio, perché di essi non si trovò alcuna traccia e lo sfruttatore poté tranquillamente dichiarare la loro sparizione sin dal 186816.
A dimostrazione della poca efficacia delle misure contro i colpevoli di tale mercimonio ed anche della “indulgenza” con cui venivano trattati vi è la testimonianza di un singolare documento. Quando, infatti, a seguito di continue pressioni del Ministro d’Italia a Parigi, la Prefettura di Polizia mostrò maggiore severità verso i “padroni”, questi ultimi ebbero la sfrontatezza di protestare energicamente, indirizzando al Console d’Italia la seguente lettera, corredata da ben 50 firme17:
Illustrissimo Signor Console Generale, Una determinazione del governo francese, provocata da codesto R. Consolato Generale italiano obbliga i suonatori ambulanti ad abbandonare loro malgrado il suolo ospitale di questa Francia, ove per molti anni essi ebbero e pane e tetto. Lungi dal fare opposizione ai decreti del governo imperiale da codesto R. Consolato Generale Italiano provocati, essi prima di partire credono di compiere loro stretto dovere tutta esternando la loro profonda riconoscenza alla generosa ospitalità parigina, e protestando ad un tempo contro l’autorità consolare italiana, che invece di provvedere agl’interessi dei numerosi suonatori ambulanti italiani ha provocato una tale determinazione in un’epoca, in cui ragazzi, che sono i più fra questi suonatori, avranno a soffrire assai durante un tragitto troppo lungo, un viaggio troppo disagevole, trattandosi specialmente d’individui privi di mezzi, che nella più incomoda stagione dell’anno per la severità dell’atmosfera, per la difficile viabilità si vedono abbandonati da quell’autorità consolare, il cui primo dovere è di proteggere i propri connazionali.
Così, a causa dell’impotenza delle autorità, questi poveri derelitti continuavano ad essere in balìa dei propri sfruttatori ed a pagare spesso con la morte una vita piena di stenti. L’indice di mortalità di questi piccoli emigranti doveva essere molto alta se si deve credere alla testimonianza di un medico napoletano, riportata nel rapporto citato della Società Italiana di Beneficenza di Parigi, secondo la quale, su 100 fanciulli che abbandonavano i loro paesi, 20 soltanto ritornavano alle loro case, 30 si stabilivano nelle diverse parti del mondo, e 50 “soccombevano alle malattie, alle privazioni di ogni sorta ed ai cattivi trattamenti!”.
A proposito di “cattivi trattamenti” in una nota allegata sempre al suddetto rapporto vi è notizia di un ragazzo di Laurenzana, tal Domenico Damasco, musicante girovago, che, nel maggio 1866, venne trovato “da una persona caritatevole nel più deplorabile stato”, in quanto, già da qualche giorno, “legato sotto il cielo dal suo padrone in preda alle più vive sofferenze”. Il fanciullo, infatti, presentava il braccio e le altre parti del corpo interessate dai legamenti completamente tumefatte e solo dopo essere stato ricoverato nella casa del Console Generale d’Italia venne rimpatriato. A nulla servirono le ricerche della Polizia Correzionale per arrestare il colpevole delle sevizie il quale venne condannato, in contumacia, a soli quattro mesi di carcere.
A volte i fanciulli, dopo essere stati sfruttati per anni, venivano abbandonati in condizioni penosissime. Giuseppe Milone, un bambino di Tramutola venduto dai genitori ad un individuo che, dopo averlo utilizzato come suonatore ambulante, lo lasciò cieco su un marciapiede di Rio de Janeiro nel 186918. Lo stesso François Lenormant, famoso archeologo francese che fu in Basilicata varie volte tra il 1879 ed il 1882, racconta che alcuni “di questi infami trafficanti di carne umana arrivavano sino al crimine” quando si imbattevano in un fanciullo la cui voce preannunciava qualità eccezionali, poiché erano pronti a privarli della virilità pur di farne dei soprani, “prodotto artificiale ancora molto ricercato da certi maestri di cappella da cui essi traevano profitto”. Per evitare di essere perseguiti dalla Legge, facevano constatare da funzionari di polizia compiacenti che il fanciullo “era stato mutilato dal morso di un porco mentre dormiva nei campi”19.
Non sempre, però, le ricerche ed i tentativi di rimpatrio erano un insuccesso. Così, ad esempio, si conclude positivamente la vicenda di Allegretti Michele, un dodicenne di Trivigno, condotto come suonatore di violino sulle strade di Montevideo, che il Console italiano riesce a rimandare in patria proprio “per sottrarlo ai continui mali trattamenti che riceveva”20. Interessante la motivazione che accompagna il provvedimento consolare: “… nella speranza pure che servisse questo d’esempio a quei tanti che speculano su questi poveri ragazzi anche in questo paese”21. Spesso, però, coloro che ritornavano nel proprio paese risultavano incapaci di applicarsi ad un lavoro regolare in quanto “corrotti sino alle midolle dall’abitudine alla mendicità vagabonda”22.
Alcune volte gli sfruttatori venivano finalmente colpiti ed espulsi dalla Francia, quantomeno per “vagabondaggio”. È il caso di Nicola Lasco, di anni 33, che aveva condotto in Francia alcuni fanciulli23 e di Francesco Larecca, di anni 52, ambedue di Marsicovetere, i quali vengono condannati dalla magistratura francese a mesi 3 di carcere per “complicità in mendicità”24.
Il fenomeno dei piccoli italiani non era sconosciuto allo stesso Parlamento italiano. Nella sessione 1867-1868 del Senato un progetto legislativo era stato elaborato da una commissione, presieduta dall’Ispettore consolare generale Costantino Nigra, e presentato nel 1868 dal Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri Luigi Federico Menabrea25.
Quando alla Canera, sempre nel 1868, venne discussa l’interprellanza di Ercole Lualdi sull’emigrazione, intervenne il deputato Giovanni Arrivabene che denunciò il turpe fenomeno il quale provocaca grande “disonore” a tutta la Nazione. Così precisò: “Intendo parlare della tratta dei bianchi: così appellato dalla stampa estera il commercio che si fa in America e in Inghilterra di quei poveri e infelici fanciulli”. Proseguendo il suo discorso egli fece riferimento alla meraviglia dei magistrati di quei Paesi verso l’Italia che, pur governata con un sistema liberale, non prendeva alcuna misura “onde svellere dalle readici questo male”. Addirittura, constatavano questi ultimi, “la compra di quegl’infelici” si concludeva proprio sul suolo italiano26.
Sempre i deputati, nella sessione del 1871-73 della XI Legislatura, si occuparono del problema, dando l’incarico ad una apposita giunta di presentare un progetto di legge sul divieto di impiegare fanciulli italiani nelle professioni girovaghe27. Ma, nonostante l’approvazione di tutta una serie di disposizioni come la Legge 21 dicembre 1873, il traffico non venne affatto stroncato e proseguì anche successivamente. Del resto la normativa approvata, anche per le pene tutt’altro che severe, non riusciva ad impedire che gli stessi genitori venissero coinvolti nella “vendita” dei propri figli28. L’unica misura che risultava di una qualche efficacia era il rifiuto della concessione dei passaporti. quando si sospettava che l’emigrazione dei genitori fosse rivolta a tale traffico.
Sull’“affetto” di questi genitori vi è da citare il caso di una madre di Marsicovetere che, dopo aver “affittato” nel maggio del 1866 il proprio figlio ad un proprio compaesano, il quale poi aveva provveduto ad abbandonarlo in Francia, avendo saputo che il ragazzo si trovava a Marsiglia, affidato dal Console ad un francese “per fargli apprendere un arte”, si affretta a richiedere l’intervento del sindaco del paese perché vengano compiute opportune ricerche, richiedendo il rimpatrio solo qualora il fanciullo fosse dedito al vagabondaggio. Nel caso invece egli stesse veramente “per apprendere un arte qualunque”, ella consentiva tranquillamente che restasse dov’era29. Ma lo scarso attaccamento materno era destinato ad essere miseramente punito dalla sorte. Il Ministero degli Affari Esteri, infatti, di lì a poco, avrebbe comunicato che il Consolato di Marsiglia non aveva trovato “traccia alcuna” di quel ragazzo che la madre “supponeva” essere stato affidato ad un francese30.
Anche le autorità della Provincia di Basilicata si erano da tempo attivate per bloccare l’infame traffico. Così relazionava al Consiglio Provinciale il prefetto di Potenza Tiberio Berardi, nella seduta di apertura della sessione ordinaria del 13 settembre 1868:
…la Basilicata dà un largo contingente di emigrazione. Fra questa si distingue quella dei fanciulli, che una crudele e vituperevole speculazione conduce in contrade straniere, a vagabondare fra l’immoralità e gli stenti, esercitando l’abbietto mestiere di suonatori ambulanti. Troppo lungo e arduo sarebbe l’investigare le cause, che inducono i genitori a vendere i propri figli pel miserabile prezzo di qualche centinaio di lire: l’abitudine è antica, e trova radice nello stato di degradazione, nella quale un Governo immorale gittava le popolazioni per dominarle ed opprimerle. Si è detto da taluno, che in Basilicata i figli si vendono perché manca il pane da sostentarli. Questa asserzione, che è un onta al paese, se non fosse un artificio meschino per far effetto, sarebbe una indegna menzogna31.
Concludeva affermando che, grazie alle disposizioni del Governo, alla Società di Beneficenza di Parigi, allo zelo dei rappresentanti italiani all’estero e alla vigilanza delle Autorità politiche del Regno, le frodi che prima si commettevano su larga scala, stavano “grandemente scemando”, ed i fanciulli andavano man mano rientrando in patria, “richiesti talvolta da quegli stessi genitori, che con snaturato consiglio gli avevan venduti”.
Nel 1874 intervenne lo stesso governo francese, il quale varò un provvedimento che vietava l’impiego di fanciulli nelle professioni girovaghe, mentre anche in Inghilterra erano prese iniziative simili. Solo con tale concertazione legislativa, dunque, il traffico subì un duro colpo testimoniato dai dati ufficiali32. Secondo i calcoli del conte Tornello, ambasciatore italiano a Parigi, nel 1870 i musicisti ambulanti italiani presenti sul suolo francese erano oltre 3.000, mentre nel 1875 non risultavano più di 800 ed alla fine del secolo erano stimati in 200-250, di cui 2 o 3 dozzine a Parigi33. Anche in Inghilterra gli “organgrinders” italiani nel 1891 erano stimati in 2.600, mentre alla fine del secolo ne erano rimasti solo un quarto. In tale nazione si era anche ridimensionato un altro turpe fenomeno, quello di giovani fanciulle che, iniziando come “dancing girls” al suono degli strumenti musicali, venivano poi avviate alla prostituzione34.
Alla fine dell’Ottocento Francesco Nitti accennava al problema nel suo L’emigrazione e i suoi avversari (1888), quando parlava dei padri che, “con regolari contratti, cedevano a persone ignote i bambini che non potevano mantenere, e che andavano a Parigi, a Vienna o in America a disonorare il nome italiano”. Sempre lo statista lucano riferiva, poi, che New York era piena di piccoli girovaghi, lustrascarpe, spazzacamini e strilloni di giornali, ceduti giornalmente ad un prezzo compreso tra i 100 e 200 dollari per i maschi, mentre le femmine, specialmente se graziose, dai 100 ai 500 dollari35.
In Parlamento, intanto, il problema veniva risollevato dalla interrogazione del deputato Socci, presentata il 30 novembre 1897 ed esaurita il 27 gennaio 189836, nonché da altri successivi interventi ed interpellanze, mentre in Francia è da segnalare l’efficace azione di Raniero Paulucci di Calboli, segretario dell’ambasciata italiana a Parigi, il quale, in vari articoli di stampa, denunciava la questione all’opinione pubblica francese, dando inizio ad una vera e propria campagna contro la “tratta dei piccoli vetrai”, ripresa dalla stampa francese e italiana37.
Alla fine dell’Ottocento, dunque, in Basilicata il fenomeno era ancora tristemente presente. Così, infatti, l’8 gennaio 1898 relazionava il procuratore del re in merito ad minori abbandonati, costretti a lasciare la madrepatria e a recarsi nelle lontane Americhe
con persone mercenarie che lì li trasportano per farne turpe, inverecondo mercato o almeno mezzo di speculazione e di guadagno. La formula in tali riscontri usata, anche quando si tratti di ragazzi sui 4 o 5 anni è la seguente: ‘Poiché il minorenne mostra una intelligenza non comune e potrebbe svolgersi con profitto nelle Americhe, esprime parere favorevole perché emigri’. E così col mezzo di cotali sconclusionate ed antipatriottiche deliberazioni tanti e tanti minorenni abbandonano la patria, alla quale niun affetto li lega e li attrae, ed essi, a differenza di altri che pure emigrando colla patria nel cuore, alla patria mandano dalle regioni transoceaniche il loro sospiro, danno il contingente maggiore della emigrazione permanente, ch’è la piaga più sanguinante di questa provincia38.
L’impegno legislativo contro i traffici dei minori all’estero sarebbe proseguito anche con l’inizio del nuovo secolo. Venne, infatti, approvata una legge organica sull’emigrazione, la n. 23 del 31 gennaio 1901, il cui articolo 2 vietava di arruolare, condurre o mandare all’estero, a scopo di lavoro, i fanciulli di età inferiore ai 15 anni che non risultassero provvisti del libretto di lavoro, rilasciato previa visita medica dalle autorità municipali competenti. Ma l’intervento si dimostrò alquanto inefficace: le pene erano esigue e i minori, pur giungendo al confine sprovvisti di libretto di lavoro, riuscivano facilmente ad ottenerlo dalle autorità municipali di confino. Inoltre i gruppi di fanciulli, poi, riuscivano spesso ad eludere ogni sorveglianza, espatriando senza passaporti e senza libretti di lavoro.
Comunque, agli inizi del ‘900 il fenomeno non era stato ancora debellato in Basilicata. Nella seduta del Consiglio Provinciale del 23 aprile 1902, infatti, il consigliere Francesco Dagosto di Moliterno, futuro deputato, denunciò la “tratta di piccoli bianchi”, in virtù della quale molti genitori letteralmente vendevano i propri bambini39.
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