Garibaldi, i Garibaldi, i garibaldini e l’emigrazione1
1. Esilio ed emigrazione
Nei primi capitoli di Nostromo, pubblicato nel 1904, Joseph Conrad descrive non soltanto l’ambiente geografico, ma anche i personaggi principali. Tra questi si distingue l’anziano albergatore Giorgio Viola, che determinerà l’esito finale, ma che a noi qui interessa perché è un italiano, anzi un ligure, emigrato in Sud America. Di Viola Conrad sottolinea più volte che è stato un garibaldino e agli inizi del terzo capitolo specifica che era “often called simply the ‘Garibaldino’ (as Mohammendans are called after their prophet)”. Poche righe più sotto spiega il parallelo: “The old republican did not believe in saints, or in prayers, or in what he called ‘priests’ religion”. Liberty and Garibaldi were his divinities”2. Nel corso del romanzo l’autore riassume la biografia di Viola. Questi è stato in America Latina durante la sua gioventù, ma ha abbandonato la nave commerciale, sulla quale navigava, per seguire Garibaldi a Montevideo. In seguito è rimasto con il generale sino ai fatti dell’Aspromonte, quando gli è apparso evidente il tradimento del re italiano e dei suoi ministri. Viola è infatti convinto che questi ultimi abbiano rubato l’Italia “from us soldiers of liberty”3. Nella nota introduttiva anteposta all’edizione del 1917, Conrad spiega che ha scelto alcuni italiani come protagonisti del suo romanzo sull’America Latina, perché essi erano presenti in tutto il subcontinente. Inoltre ribadisce quanto gli sembri tipica la figura del vecchio garibaldino emigrato dopo essersi battuto per la patria4.
Lo stesso spunto è anticipato da Edmondo De Amicis nel reportage Sull’oceano (1889). Nel corso di un viaggio transoceanico del 1884, lo scrittore italiano incontra un uomo dai tratti molti simili a quelli dei Mille. Interrogatolo scopre che ha fatto veramente quella campagna e anche la successiva del 1866, ma poi ha avuto una reazione di rigetto nei riguardi della nazione che ha contribuito ad unificare5. In un breve incontro sul ponte l’ex garibaldino traccia un quadro amarissimo dell’Italia post-unitaria:
Egli scrollò le spalle. Poi, senza preamboli, col tuono di chi parla per liberarsi una volta per sempre da un importuno, più che per bisogno di confidarsi a lui, aperse l’animo suo con poche parole rapide e secche. Nemmeno lui rimpiangeva la patria, infine. Essa era riuscita troppo al di sotto dell’ideale per cui s’era battuto. Un’Italia di declamatori e d’intriganti, appestata ancora di tutta la cortigianeria antica, idropica di vanità, priva d’ogni grande ideale, non amata né temuta da alcuno, accarezzata e schiaffeggiata ora dall’uno or dall’altro, come una donna pubblica, non forte d’altro che della pazienza del giumento. Dall’alto al basso non vedeva che una putrefazione universale. Una politica disposta sempre a leccar la mano al più potente, chiunque fosse; uno scetticismo tormentato dal terrore segreto del prete; una filantropia non ispirata da sentimenti generosi degli individui, ma da interessi paurosi di classe. E nessuna salda fede, nemmeno monarchica. Dei milioni di monarchici, incapaci di difendere prodemente, a un bisogno, la loro bandiera, pronti a mettersi a pancia a terra davanti al berretto frigio, appena lo vedessero in alto. Una passione furiosa in tutti d’arrivare, non alla gloria, ma alla fortuna; l’educazione della gioventù non rivolta ad altro; ciascuna famiglia mutata in una ditta senza scrupoli, che batterebbe moneta falsa per far strada ai figliuoli6.
Quanto riporta De Amicis forse gli è stato effettivamente detto nel 1884 o forse è una chiosa aggiunta cinque anni più tardi; in ogni caso il discorso del suo garibaldino è un topos della memorialistica di quel decennio. Alessandro Gavazzi, cappellano di Garibaldi nel 1848 e nel 1860, specifica nel Diario autobiografico che dopo il 1870 si è occupato soltanto di religione e, per tal motivo, si è recato regolarmente in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Canada. Ha abbandonato invece la vita politica, perché deluso dagli antichi compagni che hanno rinnegato gli ideali giovanili e si sono interessati al compromesso e alla carriera7. Le fonti letterarie e autobiografiche di fine Ottocento ci spingono perciò a immaginare un’emigrazione, o comunque una tendenza a soggiornare all’estero, di ex-garibaldini delusi. Tuttavia bisogna ricordare che Gavazzi ha vissuto in esilio nei paesi di lingua inglese dal 1848 al 1860 e che molti protagonisti del Risorgimento sono restati a lungo fuori d’Italia, prima e/o dopo il 18488. Dunque l’emigrazione post-unitaria è stata anticipata dalle permanenze all’estero durante la fase risorgimentale9.
Il dibattito storiografico sul rapporto tra esilio ed emigrazione, sia in generale, sia nel particolare contesto del Risorgimento, non ha mai raggiunto conclusioni significative, come in genere tutta la discussione sui rapporti tra la cosiddetta emigrazione economica e quella politica10. È stato tuttavia giustamente sottolineato come le vicende degli esuli risorgimentali non appartengano strictu senso alla storia dell’emigrazione, ma che, ciononostante, essi vivano all’estero da “normali” emigranti11. Possiamo dunque ripartire da questa annotazione e saggiarla alla luce della biografia di Giuseppe Garibaldi e dei suoi compagni di esilio. Garibaldi (come d’altronde molti suoi familiari e compagni) ha infatti vissuto lungamente all’estero, conducendo non soltanto la vita del “rivoluzionario di professione”, ma anche quella dell’emigrante12, ed anzi facendo, come scrive in quella che è forse l’ultima e tra le più documentate delle biografie del Generale, “la tipica esistenza di un emigrato italiano”13.
La vasta, e spesso agiografica, letteratura sull’Eroe dei due Mondi è ricca di riferimenti alla sua lunga permanenza in America Latina14, che tra l’altro ha ispirato il romanzo di Conrad, nonché al cosiddetto secondo esilio, con le sue tappe nordafricana, inglese, statunitense, latino-americana e i viaggi commerciali nel Pacifico. Tuttavia in tutte le pubblicazioni si evidenzia come il nizzardo pensi sempre alla sorte della patria lontana e non si consideri un semplice emigrante15. Persino quando Garibaldi allude all’emigrazione, per esempio nella lettera sugli italiani “del Brasile” a Luigi Vanessa del 25 gennaio 1836, il discorso finisce sempre per cadere sulla sorte della patria lontana16. Inoltre, il 7 luglio 1847, l’esule dichiara a Eugenio Belluomini: “Io più che mai, siccome i compagni, non aneliamo ad altro, che al ritorno in patria comunque sia”; e lo stesso ripete a Felice Foresti il 7 settembre dello stesso anno17. Eppure la sua presenza in America Latina e quella di altri esiliati s’innesta in una situazione chiaramente migratoria. O meglio: alla percezione soggettiva di mantenersi pronti a rientrare in Italia corrisponde la costruzione di reti migratorie, soprattutto economiche, che rimangono funzionanti anche dopo il ritorno nella Penisola e che sono ripercorse dai garibaldini che abbandonano il paese, quando vedono fallire i loro ideali18.
Se prendiamo in considerazione la documentazione sul primo esilio di Garibaldi, notiamo facilmente quanto egli si appoggi ai contatti politico-commerciali, che prima gli fanno conoscere il verbo mazziniano, poi lo portano a Marsiglia e infine lo aiutano a varcare il mare. Tale rete nasce dall’incrocio di due filiere, una ligure e una mazziniana, che sono subito interconnesse data l’origine genovese di Mazzini e l’interesse politico di molti emigranti liguri19. La diaspora ligure affonda infatti le sue radici nel medioevo, ma dopo il 1815 conosce un forte incremento in seguito all’annessione sabauda: molti partono per protesta o perché non sopportano il clima instaurato dall’occupazione piemontese. Di conseguenza le comunità liguri all’estero si rivelano presto intrise di umori politici, particolarmente visibili negli insediamenti latino-americani dove gli immigrati hanno un ruolo politico significativo, sia nei riguardi dell’antica madrepatria, sia nei riguardi dei paesi d’accoglienza20. In molti casi poi queste reti politico-commerciali sono in continua evoluzione, perché i singoli si spostano: così Garibaldi è iniziato alla Giovane Italia sul mare d’Azov da Giovanni Battista Cuneo, nato a Oneglia, che poi rincontra in America Latina21.
Proprio questa politicità dell’emigrazione risalta nella biografia di Garibaldi: oltreoceano sono mantenuti i contatti con l’Italia; inoltre esuli noti ed emigranti anonimi s’impegnano nelle guerre e nelle rivoluzioni locali22. Tra questi combattenti risaltano i liguri, basti vedere quanti conterranei sono al fianco di Garibaldi in Brasile e in Uruguay: un dato facilmente deducibile dai ricordi dello stesso protagonista, in particolare dalle successive versioni de Le Memorie, e dalle informative dei rappresentanti della Santa Sede23. Senza poi dimenticare che le gesta latino-americane di Garibaldi sono molto seguite in Liguria24.
Come abbiamo già ricordato, l’Eroe dei due mondi anela a rientrare e nel 1847 contatta la diplomazia romana, offrendo di porre la Legione Italiana agli ordini di Pio IX, ma i rappresentanti pontifici prendono tempo ed evitano ogni accordo con i patrioti italiani in America Latina25. Molti di questi ultimi comunque tornano e si pongono sotto la guida di Garibaldi prima e durante la disperata difesa della Repubblica romana26. La sconfitta li obbliga, però, a riprendere la strada dell’esilio e a ristrutturare le vecchie reti migratorie.
Il cosiddetto secondo esilio di Garibaldi è più corto e soprattutto più variato del primo. Senza dilungarci nei dettagli, basti ricordare che egli trova prima rifugio a Tangeri, poi si reca in Gran Bretagna, da qui salpa infine alla volta degli Stati Uniti. Dopo alcuni mesi a New York, è raggiunto da Francesco Carpanetto, con il quale è in contatto sin dalla sosta africana, e inizia a veleggiare e commerciare in America Latina, Asia e Oceania, visitando i porti cinesi e australiani27.
La tappa nordamericana è particolarmente significativa, perché gli Stati Uniti attirano un rinnovato flusso di esuli e di emigranti italiani dopo il 184828 e a tale titolo suscitano le preoccupazioni della diplomazia vaticana29. Alcuni vi sono, però, già stati, basti pensare all’avventurosa biografia del chietino Giuseppe Avezzana. Questi presta servizio nell’esercito napoleonico, quando è ancora un adolescente, poi passa a quello sardo30. Coinvolto nei moti del 1821, diserta e fugge in Spagna, dove combatte fra i costituzionali, cade prigioniero e deve accettare la deportazione a New Orleans. In questa città arriva al termine del 1823 e si dedica al commercio, ma tre anni dopo è in Messico, dove risiede a lungo partecipando alla difesa contro le truppe spagnole (1827) e prestando servizio fra le forze rivoluzionarie del generale Antonio Lopez de Santa Anna (1832). Nel 1834 torna negli Stati Uniti, dove sposa Mary Morrogh, un’irlandese cattolica, e si dedica a vari traffici, aprendo una casa di commissioni a New York. Rientra in Italia nel 1848 e il 26 febbraio 1849 è nominato comandante generale della Guardia nazionale di Genova. Dopo la caduta di questa raggiunge Roma e diviene ministro della guerra della locale Repubblica. Sconfitta pure quest’ultima, ritorna a New York, dalla quale è mancato appena un anno, e riprende i soliti traffici.
Abbiamo un curioso ritratto dell’ambiente di Avezzana, quando nel 1851, morta la moglie l’anno prima, chiede l’autorizzazione a sposarsi in chiesa con la cognata Fanny: le autorità cattoliche della diocesi newyorchese scrivono a Roma, raccontando che l’esule vorrebbe un matrimonio religioso, e ottengono la dispensa31. Sembra il quadro di un uomo che ha abbandonato ogni speranza, mentre in realtà Avezzana non ha rinunciato a sostenere Garibaldi. Nel 1850 gli organizza l’accoglienza a New York e lo introduce nella locale consorteria mazziniana, nel 1853 lo rincontra assieme a Felice Foresti e altri mazziniani, nel 1859-1860 infine coordina la raccolta per il “milione di fucili”, contribuisce cioè all’acquisizione di fondi per l’impresa dei Mille32. Avezzana inoltre raggiunge Garibaldi in Italia e guadagna l’Ordine Militare di Savoia all’assedio di Capua. Nel 1862 è ammesso nell’esercito italiano con il grado di generale e collocato a riposo nel 1866. Proprio in questo anno si batte ancora a fianco di Garibaldi e nel 1867 è a Mentana, prima di intraprendere la carriera politica che lo vede cinque volte eletto al Parlamento.
Avezzana, ma è soltanto un esempio, lega la sua vita a Garibaldi ed è da questi ammesso nel gruppo americano che deve smussare le tensioni fra i patrioti in esilio e tessere una nuova tela incentrata sulla Casa Savoia33. Garantisce inoltre per oltre un decennio i contatti fra l’America settentrionale e quella meridionale34. Non è comunque il solo “garibaldino” tra gli italiani a New York, né il solo a intrattenere una corrispondenza con Garibaldi. Tra i più famosi emigrati legati al generale possiamo ricordare ancora Felice Foresti, di cui torneremo a parlare più avanti; Giuseppe Barrilli, più noto come Quirico Filopanti, che resta, però, poco negli Stati Uniti preferendo spostarsi in Gran Bretagna; nonché l’avvocato romano Guglielmo Gajani, che nel 1860 raccoglie fondi per la spedizione in Sicilia35. Inoltre la raccolta non si basa sul solo impegno dell’esule chietino. Nelle Carte di Giuseppe Garibaldi del Museo Centrale del Risorgimento vediamo quanto tale colletta si ramifichi: all’East Coast americana si uniscono la California e l’America Latina36: Lima, ma anche Cuba, Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay37. Sempre a New York abbiamo inoltre Vincenzo Botta, emigrato liberamente nel 1853 e professore d’italiano nell’ateneo newyorchese, che si occupa del fund raising negli ambienti altolocalti38, mentre in California sono gli stessi emigrati a finanziare l’operazione39.
Quando studiamo la corrispondenza che accompagna la raccolta e l’invio di fondi, vediamo come in essa abbondino anche notizie relative alle attività commerciali degli esuli. Già nel giugno 1850, Avezzana illustra a Francesco Carpanetto la società che ha fondato assieme a Gregorio Dominguez, console della Nuova Granada40. Siamo nella piena fioritura delle iniziative navali e commerciali di molti esuli, in parte disperando di una rapida soluzione della questione italiana, in parte abbisognando di denaro. Sono note le lettere da Tangeri di Garibaldi a Carpanetto41, nonché quella in cui scrivendo da New York l’11 settembre 1850 a Giambattista Carpanetti, allora a Tangeri, chiede che si faccia il possibile “per accelerare la mia missione” e aggiunge che il compito spetta a Francesco Carpanetto42, ma tutta la successiva stagione garibaldina ha questo sottofondo commerciale strettamente connesso all’inquietudine politico-esistenziale. D’altronde proprio questo elemento è messo in evidenza da Garibaldi medesimo, quando nel romanzo Manlio, terminato poco prima di morire, descrive l’emigrazione di un gruppo di liguri scontenti dell’Uruguay lungo la rotta Lima-Sidney43.
Le offerte del 1860-1861 nascono da questa peculiare mescolanza di iniziativa patriottica e commerciale. Nel dicembre 1859 G. Negretti scrive da New York riferendo a Garibaldi che sta per partire alla volta di Cuba, dove si interesserà anche della sottoscrizione44. Nel dicembre 1861 Giuseppe Canevari invia da Lima una lettera a Federico Bellazzi, nella quale ringrazia per il ritratto di Garibaldi e si dichiara pronto a cooperare perché l’Italia sia libera dallo straniero e dal governo clericale45. Nel 1861-1862 Giacomo Antonini racconta lo stato dei propri affari a Montevideo e quello della causa italiana46. Sottolinea che gli emigrati sono disposti a fare sacrifici per la patria (e al proposito ricorda il Comitato per la raccolta dei fondi per il milione di fucili), ma sono anche preoccupati che le loro offerte siano sprecate. In ogni caso i contatti non si esauriscono con la spedizione dei Mille e molti patrioti, al di là degli ex volontari garibaldini di cui appresso diremo e che emigrano in America Latina in cerca d’impiego e di lavoro, seguono da oltre oceano le successive imprese del Generale. Dall’Uruguay si offre un possibile rifugio a Menotti Garibaldi nel 186247. L’anno successivo alcuni emigrati nel Perù mandano doni per i medici che hanno curato Garibaldi dopo lo scontro dell’Aspromonte e si raccolgono fondi per ulteriori imprese tra gli emigrati peruviani, cileni e argentini48.
Gli scritti dello stesso Garibaldi potrebbero offrire una fonte su queste reti. Tuttavia l’emigrazione vi è trattata soltanto di riflesso, anche quando tocca personalmente lo stesso Generale: così questi menziona agli inizi delle sue Memorie che il fratello Angelo è emigrato negli Stati Uniti, ma poi parla soltanto degli insegnamenti patriottici del congiunto e mai della sua carriera diplomatico-commerciale49. L’aspetto patriottico predomina anche nelle numerosissime citazioni di italiani trovati in America Latina durante il primo esilio50. Analogamente, trattando del secondo esilio, abbondano segnalazioni di questo tipo: “A Lima […] io ebbi splendida accoglienza dai nostri bravi ragazzi”; oppure si ricorda il sostegno degli stessi dopo lo scontro con due francesi che avevano insultato il coraggio italiano, ma non ci si dilunga più di tanto sulle comunità italiane nell’America meridionale51. Lo stesso avviene per quella settentrionale, pur se Garibaldi sottolinea quanto abbia goduto de “la cara compagnia de’ miei amici Pastacaldi, Foresti, Avezzana…”, una volta tornato a New York dopo i commerci nel Pacifico52.
Nell’edizione definitiva del 1872 le Memorie di Garibaldi si arricchiscono di alcune riflessioni. Così, dopo aver narrato lo scontro con i francesi a Lima, il generale commenta: “Quando io penso alle nostre colonie italiana dell’America meridionale, vi è veramente da andare superbi. Quei nostri conterranei sulla terra libera di quelle Repubbliche mi sembrano valere più assai che nelle nostre contrade”. La digressione prosegue citando l’onesta laboriosità di quegli emigranti, che nell’America Latina hanno finalmente trovato adeguate occasioni di lavoro. Infine chiosa: “La parte marina, poi, di codesta nostra emigrazione […] si compone della frazione più energica dell’immensa marina nazionale, massimo Ligure”53.
2. Dall’esilio all’emigrazione: il caso Cuneo
La vaghezza delle annotazioni di Garibaldi non deve stupire: Giuseppe Mazzini scrive anche lui in toni analoghi sulle comunità italiane nell’America Latina54 e forse il solo Cuneo è conscio che si discute di esuli e non di emigranti. Né sembra casuale che il rivoluzionario di Oneglia finisca per occuparsi, come vedremo meglio fra poco, della partenza dei propri conterranei verso il Plata in veste di plenipotenziario argentino in tale materia55. La figura di Cuneo, da quest’ultimo punto di vista, risulta piuttosto importante non tanto in conseguenza di ciò che all’uomo riesce effettivamente di fare, dopo l’unità, come “emissario” ufficiale della Repubblica Argentina in Italia per i problemi dell’emigrazione (e, però, anche del reclutamento di emigranti nella penisola), quanto in rapporto ai nessi che comunque si vanno stringendo tra una frazione del vecchio profugato politico risorgimentale in America e le “avanguardie”, per dir così, della nascente emigrazione di massa in quel continente. Si tratta di una circostanza già più volte accennata dagli storici e non ignota nemmeno ai biografi di Cuneo, ma forse un po’ troppo sottovalutata e sulla quale comunque vale la pena d’interrogarsi e, anzi, d’intrattenersi, sia pur di sfuggita, anche qui.
L’andamento dei flussi immigratori diretti al Plata durante le decadi 1860 e 1870, com’è stato osservato ancora di recente da Fernando Devoto56, continua senz’altro a dipendere da fattori che solo in piccola parte sarebbero potuti scaturire dall’opera di promozione e di propaganda emigrazionista cui si dedica Cuneo nell’ultima parte della sua vita. Primo biografo di Garibaldi e tramite frequente delle sue relazioni, non solo epistolari, con Mazzini, Cuneo gode di una certa considerazione negli ambienti di governo di Buenos Aires sin dal 1860 quando, già deputato del parlamento subalpino, riceve a varie riprese il mandato di rappresentare l’Uruguay a Oneglia e quindi l’Argentina a Genova in qualità di vice console e poi di console dietro impulso diretto di Bartolomé Mitre57. Ai primi compiti, mantenuti sino al 1865, che lo impegnano soprattutto a seguire gli interessi argentini in Liguria rispetto al movimento commerciale e marittimo portuale “della nazione platina”, si aggiunge, nel 1870, il mandato di coordinatore degli agenti d’emigrazione argentini attivi nel Regno. Come “Incaricato ufficiale per l’emigrazione alla Repubblica Argentina”, Cuneo non agevola, con ogni probabilità, le partenze per l’America di vecchi compagni di fede mazziniana o di garibaldini “delusi” dalla prosaicità del nuovo corso post-unitario, su alcuni dei quali ritorneremo fra poco e che ad ogni modo si muovono individualmente ed autonomamente nella loro scelta di raggiungere, emigrando, l’area platense (o altri luoghi d’immigrazione al nuovo mondo dal Brasile agli Stati Uniti). Tuttavia sembra di qualche rilievo che a gestire l’attività degli agenti, una dozzina, presenti nei primi anni settanta in Italia settentrionale58 sia un uomo/simbolo del connubio fra esilio ed emigrazione come lui che, al pari di tanti altri, a cominciare da Felice Foresti, secondo quanto si evince dal loro carteggio59, ha fatto sulla propria pelle la duplice esperienza di profugo e di emigrante, essendone pienamente consapevole.
È soprattutto sul piano dell’informazione e delle relazioni bilaterali tra Italia e Argentina che, ad ogni modo, il suo impegno ha modo di dispiegarsi a pieno come emerge dalla già citata Guida per l’emigrante italiano alla Repubblica Argentina, da lui redatta in forma di lettera nel 1871, pubblicata dapprima sulle pagine de “La Riforma”60 e solo successivamente in opuscolo.
In una congiuntura sfavorevole determinata dal dilagare a Buenos Aires di una epidemia di febbre gialla, molto enfatizzata dalla stampa antiemigrazionista italiana, Cuneo interviene per ridimensionare l’entità del pericolo e per sottolineare come semmai altri siano i problemi ai quali vanno incontro gli emigranti intenzionati sì a stabilirsi in America, ma quasi sempre ignoranti dei luoghi e delle loro caratteristiche e soliti a giungere senza vera preparazione e di norma senza attitudini specifiche ai lavori più richiesti nel paese d’arrivo. Assecondando una linea della politica immigratoria del paese da lui ora rappresentato, Cuneo mette in guardia contro l’idea che sia meglio fermarsi, come sempre di più accade, a Buenos Aires, schivando la ben più favorevole prospettiva di cercare e di trovare impiego nell’interno rurale o nelle già avviate colonie agricole pubbliche e private.
In Italia o meglio negli ambienti mazziniani e garibaldini non solo della capitale, dove a dirigere “La Riforma” si trova un “fratello” non ancora virato su posizioni conservatrici come Francesco Crispi, l’iniziativa trova più facile ascolto e comunque ottiene ospitalità sempre pronta intrecciandosi con i dialoghi privati dei due sulle prospettive politiche dell’emigrazione italiana in e in Brasile. Poco dopo l’invio della lettera divenuta poi la Guida per l’emigrante italiano è Crispi in persona a incoraggiare Cuneo, affinché continui a spedire al giornale le proprie corrispondenze “argentine”61.
3. Da Garibaldi ai Garibaldi e ai garibaldini
Nel frattempo, tornando al Generale, anche i contatti con le comunità emigrate sono rimasti in linea di massima solidi e frequenti. Se ricorriamo ancora alle Carte di Garibaldi del Museo Centrale del Risorgimento, vediamo come nel 1867 si raccolga danaro a Montevideo per erigere un monumento al generale e alla sua Legione62. Inoltre arrivano nuove conferme per il rapporto tra commerci ed emigrazione, politica o meno: nel 1875 scrive dal Nicaragua P. Peruzzini, rappresentante degli armatori di Livorno e dell’Elba, e spiega come e perché molti di loro devono partire esuli e accettare la nazionalità di potenze straniere63.
Nel complesso, dunque, i rapporti tra Garibaldi e il mondo dell’emigrazione sono molteplici e s’infittiscono ulteriormente se prendiamo in considerazione la sua cerchia, familiare e militare. Di quest’ultima abbiamo parlato più volte, ma occorre ricordare nuovamente la diaspora post-1860, quella tra l’altro citata da Conrad nel romanzo dal quale siamo partiti. Dopo l’annessione del Regno di Napoli e dopo i fatti dell’Aspromonte gli Stati Uniti, ad esempio, divengono ancora una volta una meta privilegiata per coloro che abbandonano l’Italia. Qui s’incontrano con l’ondata precedente e alcuni di loro partecipano alla guerra civile. Un gruppo di esuli guidati da Alessandro Repetti, già con Garibaldi nel 1848-1849, formano la Garibaldi Guard, che combatte nelle file unioniste64. Altri si battono tra i due mondi, così Pasquale Papiri è nelle fila della Repubblica Romana nel 1848-1849, nel 1850 è a New York, ma poi visita Cuba, rientra in Italia, è in Argentina nel 1856 con la Legione agricola-militare di Silvino Olivieri, si reca per un periodo in Uruguay e in Brasile, poi di nuovo in Argentina per insegnare matematica e fisica all’Università di Córdoba, è quindi con Garibaldi a Mentana, prima di tornare in America e poi definitivamente in Italia65.
L’altro legame con l’emigrazione della cerchia di Garibaldi passa attraverso la famiglia. Ricciotti Garibaldi studia al New Brighton College di Liverpool, emigra in Australia dal 1875 al 1881, quindi nel 1899 promuove un progetto di colonizzazione agricola che prevede di trasferire in Patagonia gli emigrati italiani in Argentina66. Nel frattempo e in seguito prosegue quella che considera la missione della famiglia e combatte nella guerra greco-turca del 1897 e nella guerra balcanica del 191267.
La generazione successiva, in particolare i figli di Ricciotti, si trasferisce più volte fuori d’Italia. Alcuni spostamenti sono nella scia della mobilità militare. Così Giuseppe (Peppino) si batte nel 1897 in Grecia con il padre, quindi in Sud Africa contro i Boeri nel 1901-1902, in Venezuela nel 1904 e in Epiro nel 1912-1913 prima di approdare in Francia con la Grande Guerra68. Tuttavia lo stesso Peppino combina le imprese militari con i tentativi di fare fortuna. Dopo il 1897 emigra in Argentina e quindi negli Stati Uniti; dopo il Sud Africa cerca la Valle degli Elefanti in Rodesia e quindi ri-emigra a New York, ma da qui si sposta a Caracas, dove si trova coinvolto nella rivoluzione, poi combatte nella Guyana e in Messico, dove torna a più riprese, sempre al fianco di Francisco Madero. Dopo la guerra balcanica del 1912, tenta un’ultima emigrazione a New York, prima di recarsi a combattere in Francia. Dopo la Grande guerra fonda alcune imprese commerciali a Londra e New York, poi entra in politica e infine si rifugia nuovamente a New York (1924-1940).
Lo stesso intreccio di emigrazione militare ed economica caratterizza il destino di altri figli di Ricciotti. Sante lavora nove anni tra Egitto e Sudan, è nei Balcani nel 1912-1913 e nelle Argonne tra il 1914 e il 1915, poi raggiunge l’esercito italiano e resta in patria sino al 1924, quando, disgustato dal fascismo, emigra definitivamente in Francia, dove fa il costruttore edile e promuove la tradizione democratica garibaldina, tentando persino di formare una nuova Legione garibaldina69. Ricciotti jr lavora in Egitto (1899) e in Tripolitania, combatte nella prima guerra balcanica e in Francia nel 1914, ma nell’intermezzo si reca a New York con Peppino e un altro fratello, Bruno. Dopo la guerra cerca di affiancare e al contempo di contestare Mussolini; è coinvolto in curiose trame in Francia, da dove è espulso nel 1926; in seguito vaga tra varie mete e ripara persino per un periodo a Costantinopoli. Bruno studia in Inghilterra, emigra a Cuba nel 1907, si reca a New York, poi passa per Londra e infine arriva in Francia, dove muore assieme a Costante. Menotti jr lavora in Egitto con Sante e quindi parte per il Sudan; nel 1906 è in Cina e in seguito anche in Giappone; ritorna in Cina dopo la guerra, ma poi rientra in Italia e dal 1925 entra nella compagine governativa, rivestendo incarichi militari in Eritrea e diplomatici a Ceylon, dove muore nel 1934. Anche Ezio, il penultimo figlio di Ricciotti, si sposta dopo la prima guerra mondiale negli Stati Uniti, dove si sposa, e in Messico, prima di aderire al regime e stabilirsi in Italia definitivamente70.
Le mogli e sorelle dei Garibaldi conoscono le stesse oscillazioni fra viaggi, esili e migrazioni71. Annita Italia Garibaldi, terza figlia di Ricciotti, nasce a Brighton in Australia. Segue il padre nelle sue imprese e chiede quindi di far parte della Croce Rossa durante la guerra greco-turca del 1912-1913. Partecipa alla Grande guerra sempre come crocerossina e dopo il fronte italiano visita anche quello francese72. Non si trova a suo agio negli anni del regime fascista, pur inizialmente aderendovi, e si sposta spesso all’estero come conferenziera. Visita l’America del Nord tra il 1923 e il 1926: in Canada ripropone l’idea di fondare colonie agricole (in Manitoba) e cerca di fondare un fascio a Toronto73. Crea assieme ai fratelli una società per operare nel Delaware e apre due uffici a Parigi e Brooklyn74. Ripercorre in America meridionale il cammino del nonno e pubblica un volume nel quale estratti e sunti delle Memorie di Garibaldi sono interpolati con annotazioni personali75.
Le generazioni successive, in particolare i membri nati in Francia, si mischiano sempre più al mondo della diaspora italiana e al suo associazionismo. Frattanto anche i rapporti tra movimento garibaldino ed emigrazione sono mantenuti da molteplici rivoli non sempre facili da risalire. In primo luogo, abbiamo la già più volte citata diaspora garibaldina post-1870, cui si collegano per vie traverse altre esperienze. È, per esempio, ancora da sondare l’esperienza di coloro che restano in Francia dopo la partecipazione alla guerra franco-prussiana del 187076, nonché quella dei combattenti nella Legione del 1914. Tra l’altro dopo lo scioglimento di quest’ultima una parte degli effettivi italiani rimane su quel fronte e combatte nella Legione Straniera77. Inoltre gli uomini che partecipano alle avventure di Ricciotti si trovano a loro volta ad esperire l’esilio politico e fanno da tramite tra più anziani garibaldini e nuovi esuli socialisti e anarchici. Sappiamo, per esempio, che militanti anarchici partecipano alla guerra greco-turca del 1897 e successivamente si disperdono in varie situazioni, anche migratorie78.
In particolare Amilcare Cipriani traghetta il primo garibaldinismo verso le nuove esperienze. Giovanissimo parte volontario nel 1859 e poi segue il generale in Sicilia. Combatte anche sull’Aspromonte e poi scappa in Grecia, quindi si reca a Londra e in Egitto. Rientra per la terza Guerra d’indipendenza italiana, poi combatte i turchi a Candia e infine è di nuovo in Egitto, dove nel settembre 1867 è aggredito ad Alessandria e, nella rissa che ne segue, uccide un connazionale e due poliziotti. Allora torna clandestinamente a Londra, dove lavora come fotografo, incontra Mazzini e conosce Marx ed Engels. Nel 1870 combatte per la Francia contro la Prussia, poi è nelle fila della Comune e perciò è condannato a morte, ma la pena è commutata nell’esilio in Nuova Caledonia. Rientra in Francia grazie all’amnistia del 1880, ma è espulso nel 1881. Si reca dunque in Svizzera e in Italia; qui giunge nel 1882 ed è subito arrestato per l’omicidio di Alessandria d’Egitto. È condannato a venticinque anni di lavori forzati e viene liberato nel 1888, dopo essere stato eletto più volte al Parlamento e ogni volta essersi visto annullare l’elezione. Torna di nuovo in Francia, ma nel 1897 ascolta il richiamo di Ricciotti Garibaldi e si precipita in Grecia, dove comanda una propria formazione e viene ferito. L’anno successivo è in Italia ed è arrestato e condannato a tre anni. Infine torna in Francia, dove resta sino alla morte nel 1918, sempre interagendo con una vasta rete di contatti internazionali79.
In secondo luogo il legame tra Garibaldi, garibaldini ed emigrazione è garantito dalle celebrazioni iniziate con la morte dell’Eroe dei due mondi. Gli emigrati in Argentina organizzano una imponente cerimonia funebre nel 1882, quindi partecipano alla campagna per l’erezione di una statua dell’eroe che viene effettivamente realizzata nel 1904 e infine celebrano con enfasi nel 1907 il primo centenario della morte. Lo stesso fanno anche quelli trapiantatisi in Uruguay80, dove è addirittura il Parlamento a deliberare gli onori pubblici da tributare all’antico eroe del Plata81. Monumenti a Garibaldi sono eretti anche negli Stati Uniti: in particolare la statua di Washington Square Park a Manhattan, forgiata da Giovanni Turini nel 1888 dopo una lunga campagna del quotidiano locale “Il Progresso Italo-Americano”82. Il culto di Garibaldi innerva anche le attività della Società Reduci delle Patrie Battaglie e Militari in Congedo sempre di New York: questa associazione di mutuo soccorso fonde tre istituzioni precedenti e, in occasione del 20 settembre, porta ogni anno una corona di fiori ai piedi della statua dell’Eroe83.
La figura di Garibaldi ha un grande ruolo nell’associazionismo italiano degli Stati Uniti, possiamo ricordare al proposito come agli inizi del Novecento la Legione Giuseppe Garibaldi abbia lo scopo di riunire le varie società di immigrati84. L’Eroe dei due mondi entra inoltre nelle case e nei luoghi di lavoro italo-statunitensi. Al proposito Giuseppe Giacosa annota quanto gli faccia stringere il cuore la vista delle bandiere italiane e dei ritratti di Garibaldi e di altri protagonisti del Risorgimento: da una parte, perché quei poveretti ancora ricordano la patria che li ha scacciati; dall’altra, perché i ritratti abbelliscono anche le “banche” degli strozzini “che invescano quei disgraziati e li dissanguano”85. In ogni caso, quasi un secolo dopo, Jerre Mangione e Ben Morreale dichiarano che alla fine Giuseppe Garibaldi è stato “l’unico dei quattro [Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele] il cui nome rimase vivo nella memoria di tanti emigranti molto tempo dopo che si erano stabiliti in America”86.
Il successo di Garibaldi è anche legato ai suoi personali rapporti con tanti di questi partenti. Nel 1870 arriva a New York da Genova Luigi Fugazzi (che diviene Louis V. Fugazy). Questi dichiara di aver prestato servizio sotto l’Eroe, o, più pudicamente, di aver combattuto nelle “campagne nazionali del 1859-1860”, nonché di aver fatto parte dei Reali Carabinieri dal 1861 al 1868. Nel 1869 Fugazzi si imbarca per New York, dove apre un ufficio di cambio che si rivela la base per fondare una banca privata. Divenuto anche notaio pubblico, registra e spesso presiede numerose società di mutuo soccorso o di beneficenza87. Nel 1896 Fugazy è ormai un piccolo leader politico e secondo il “New York Times” presiede o influenza almeno 132 organizzazioni di mutua assistenza italo-americane88. Il suo ruolo è perpetuato dalla famiglia, tanto che il nipote William Denis Fugazy, uomo d’affari, fonda la National Ethnic Coalition of Organizations e la Coalition of Italo-American Associations89.
4. La memorialistica garibaldina in Sud America
Talvolta i contatti personali consentono a Garibaldi di avere un ruolo specifico anche sul luogo di emigrazione. In Brasile, per esempio, accetta nel 1878 la presidenza onoraria della Società di Mutuo Soccorso e Beneficenza di Porto Alegre90. In Argentina la sua figura diviene il simbolo della pacificazione post-1870 tra i repubblicani (mazziniani) e i monarchici, che sino allora si sono contesi aspramente la leadership della comunità91.
Prima che ciò accada o, meglio, mentre viene faticosamente succedendo per vie complicate anche dai bisogni del nuovo contesto e dall’incedere stesso del tempo (o dell’età dei protagonisti) è già possibile, tuttavia, intravedere in fieri un processo discreto d’inserimento di molti effettivi ex garibaldini, e di un numero imprecisato, ma certo non esiguo di simpatizzanti del Generale, nella vita delle maggiori comunità immigratorie soprattutto dell’America Latina, dove dal Brasile all’Uruguay all’Argentina appunto, una tale circostanza dà luogo non soltanto alla continua reviviscenza del mito, alla sua deliberata “manutenzione” e al suo frequente solidificarsi in ambito simbolico ed associazionistico (dov’è stato forse meglio studiato anche se soltanto dagli storici dell’emigrazione), bensì pure a concrete storie di vita individuali le quali sottraggono il fenomeno al rischio postumo di una generica idealizzazione in sede storiografica. Ci soccorrono qui, per il momento, solo alcune piste di ricerca, magari appena sbozzate ma meritevoli di essere riprese per accenni e comunque ulteriormente approfondite sulla scorta di quanto emerge da tutta una memorialistica minore, soprattutto italo-sudamericana, e da repertori sufficientemente affidabili quali i primi dizionari biografici dedicati a fine ottocento in Argentina agli immigrati di successo.
Ne scaturiscono parabole esistenziali e profili di personaggi per lo più né centrali né legati ai piani alti della vita pubblica o dell’alta politica dei paesi d’accoglienza, ma sovente d’un certo peso all’interno, fin che esso durò, del microcosmo “coloniale” italiano esistito tra otto e novecento (e quindi inerzialmente “sopravissuto”, specie in Argentina e in Uruguay), sino alla chiusura degli sbocchi immigratori.
Proprio questa caratteristica, però, assieme al fatto che si tratta visibilmente, e stavolta incontestabilmente, di emigranti venuti in America (poco importa se disillusi o no dall’Italia post-unitaria come da schema deamicisiano) per cercarvi prima di tutto impiego e fortuna, rende interessante il sondaggio che ci sforzeremo di abbozzare qui appresso.
Prima di volgerci alle elencazioni biografiche sommarie o a quei luoghi, in particolare l’Uruguay e l’Argentina, dove gli ex garibaldini sembrano essere stati più numerosi e meglio inseriti, vale la pena di dare un po’ più di consistenza ai discorsi intorno all’esistenza alquanto rigogliosa del mito di Garibaldi in America meridionale.
Tale mito, infatti, se finisce a buon punto per monumentalizzarsi e per fondersi, e confondersi in qualche caso, nelle vertenze politiche di alcuni paesi di accoglienza dell’emigrazione italiana, proprio tra le file di quest’ultima continua a lungo a reclutare adepti estemporanei e molto interessati come quelli di cui ci dice la memorialistica popolare persino del Brasile neo-coloniale dei tardi anni Settanta (quando cioè il Generale è ancor vivo e l’emigrazione agricola di massa muove i primi passi in America del Sud).
In un episodio, da lui raccontato come lo ha vissuto nel 1878 sugli altipiani della serra gaúcha raggiunti da alcuni emigranti agordini, Giuseppe Dall’Acqua (detto Seppo Dall’Ega “Moleche”) narra l’incontro fra i nuovi arrivati, di cui egli fa parte, e il gruppo dei previous migrants probabilmente lombardo-veneti stabiliti nei dintorni della futura Caxias do Sul. È una sorta di aneddoto, già raccontato92, ma non molto noto che, stante l’estrazione geopolitica e culturale dei protagonisti (veneti di montagna per dir così e assai religiosi), rende più di tanti altri l’idea della popolarità conseguita dal Generale anche in ambienti poco predisposti a valorizzarne a scatola chiusa il mito. Il che succede qui, ma forse anche altrove, per vie canore nel momento in cui i nuovi arrivati s’imbattono nei propri connazionali stabiliti da un paio d’anni nella serra gaúcha, ma neanche loro immemori dell’Inno per antonomasia:
Oh! Quanto l’animo si commosse e si rallegrò a sentire da quei primi coloni a pronunziare il dolce saluto del Buon giorno, venivano sulle porte, sulle finestre, e domandavano notizie della lontana e nostalgica Patria! Poverini, dopo la loro partenza non avevano più avuto notizie! Pel momento la malinconia dei nostri esuli sparì a sentire parlare l’idioma gentile. Gli uomini per quanto stanchi si misero a cantarelare un versetto (alcun poco, forse, incorretto) dell’Inno di Garibaldi.
Si scopron le tombe
Si levano i morti
I Martiri nostri,
Son tutti risortiLe spade nel pugno,
Gli allori alle chiome,
La Fiamma ed il nome
d’Italia nel cor(Andrà bene così?) Non lo ricordo bene…..93
Nella produzione autobiografica di matrice italiana del Brasile fra Otto e Novecento non mancano del resto neanche i riferimenti espliciti, quantunque sovente sporadici e confusi, alle figure dei garibaldini in carne ed ossa giunti laggiù, ancora vivo il Generale, lungo le decadi 1870 e 1880 e rimasti poi a finirvi i propri giorni incarnando ruoli intesi (o fraintesi) dagli scriventi come obbligati e, non di rado, addirittura pittoreschi. Alle esperienze di volontariato compiute in Italia seguendo Garibaldi si addebita qui la scelta fatta in controtendenza da qualcuno di parteggiare in determinate congiunture rivoluzionarie per fazioni o per gruppi di ascendenza laica, repubblicana o positivista (come succede durante la rivolta federalista del 1893 in Rio Grande do Sul94), mentre alle sante memorie del Risorgimento in camicia rossa si attribuisce là una collocazione bizzarra in seno alle comunità immigratorie di uomini divenuti contro ogni loro voglia o intenzione un po’ personaggi patetici e un poco anche commoventi macchiette dell’italianità espatriata. È quel che succede in un caso rievocato da Rosa Provedel Caetano per un angolo remoto del già periferico Espírito Santo. Nel riandare con i ricordi alla propria infanzia coloniale la Provedel tratteggia, e sia pure con grande e postumo affetto, il profilo di un garibaldino, Luigi Caversam (recte, probabilmente, Caversan) “que foi um dos voluntários que formavam o batalhão de Garibaldi”
Come é sabido, Garibaldi não usava farda, apenas calça beige e camisa vermelha […] […] Caversam morava no alto […], em frente a nossa casa […] quando descia para fazer compras […] meu pai tinha uma bodega que vendia de tudo, do lapis e papel até aguardente. Caversam tomava umas e outras e ficava bebado. Mas a bebedeira dele levava-o ao passado, ao tempo de garibaldino na Italia. Aliás, os trajes dele era sempre a calça cáqui, camisa vermelha, lenço e chapéau com penas de rabo de galo, tal como no tempo em que lutava pela unificação da Italia. Para chegar a casa onde morava, era obrigada a passar em frente à escola. lá vinha ele cambaleando e cantando o hino de Garibaldi: “Scopram le tombe. Si levano imorte, i martiri nostre são tuter de sorte” e sempre cantando, entrava na escola, ia direito á bandeira italiana, beijava-a enrolava-se nela, sempre chorando, beijava-a mais uma vez e ia embora consolado da sua grande saudade da terra natal. Diante do espectáculo marcante, patético, representado po Dito Caversan, professores e alunos ficavam quietos e clados, respeitando aquele sentimento de amor á terra natal distante. Isso aconteceu muitas vezes, até quando a escola italiana foi substituida pela brasileira. A comunidade, entretanto, continuava a respeitar aquele sentimento de amor pátrio do velho Dito. E quem pode entender aquela alma saudosa de seu torrão natal? Quem lutou por ela e agora está longe….95
Al di là della conferma della nascita precoce e della tenuta nel tempo (quanto meno sino all’avvio dei processi irreversibili d’integrazione nel paese di accoglienza) del mito di Garibaldi in Brasile, e per giunta in un Brasile periferico come quello delle regioni agricole di colonizzazione italiana dal sud gaúcho al centro-nord capixaba, c’è da considerare il problema dell’arrivo effettivo e del radicamento in loco di molti garibaldini giunti in America Latina dopo il 1870 o ancora negli anni successivi.
Se nel Rio Grande do Sul, teatro delle gesta giovanili del “corsaro Garibaldi”, sono probabilmente pochi quelli di loro che scelgono di andare a stabilirsi in via definitiva e a far quindi fruttare l’eredità delle memorie etniche e ideologiche legate al ruolo storico avuto qui del Generale (per il versante laico ed anticlericale o massonico anche abbastanza comprensibilmente a causa delle origini “lombardo-venete” del grosso degli immigrati), altrove, come in Uruguay, è quella stessa eredità a dar vita a un rapporto positivo e durevole, nella cultura e nella lotta politica locale, fra italiani e “orientali” di una delle due fazioni o parti rimaste in lizza fra loro lungo più di un secolo.
Sin dai primi anni Sessanta, mentre era intento a realizzare in Italia le sue maggiori imprese, Garibaldi diviene di fatto il nume tutelare del partito colorado, cui guarda con costante simpatia ogni leva d’immigranti in arrivo dalla penisola. La situazione descritta nel 1863 dall’incaricato d’affari del Regno a Montevideo, Raffaele Ulisse Barbolani (“Le simpatie della maggioranza dei nostri connazionali […] propendono per il partito colorato, sia per le reminiscenze del passato, sia anche perchè lo considerano meno ostile dell’altro agli interessi stranieri in genere”) lungi dall’affievolirsi, s’irrobustisce col passare del tempo culminando, come nota persino Carlos Zubillaga, studioso assai poco sospettabile di simpatie radicali, nelle manifestazioni in favore dello Stato laico del 1911, quando un altro diplomatico italiano, l’italopaulista Carlo Umiltà, riferisce un po’ sgomento a Roma che “una fittissima folla di persone, uomini, donne bianchi e di colore, attraversò le strade della città accompagnata dagli accordi della Marsigliese e dell’Inno di Garibaldi…”96.
Garibaldi peraltro, se non come campione di spiccate idealità cosmopolite e progressiste, almeno come protagonista della decennale difesa di Montevideo durante la “guerra grande”, non è solo intravisto, in Uruguay, quale nume tutelare dei colorados o degli italiani, bensì pure quale eroe nazionale sino alle soglie dei giorni nostri. E poco conta che su di lui le opinioni siano discordi per altri versi (specie in punto di laicismo e di anticlericalismo) o che a sdrammatizzare l’aura quasi sacrale che ne avvolge la figura e che si proietta in positivo su quelle dei suoi compagni d’arme e volontari in camicia rossa intervenga qua e là una sana vena ironica97, perché ad onta di ogni riserva il suo carisma di rivoluzionario vincente (o meglio, in Uruguay, vittorioso) lo mette al riparo delle critiche più dure e dal rischio stesso di un precoce oblio. Altri semmai sono stati, anche in Uruguay, i problemi suscitati dall’ascrizione al garibaldinismo, stavolta non solo vantata o spacciata per vera, di un certo numero di immigrati entrati nel paese in condizioni e in momenti particolari come sono quelli seguiti alla disfatta di Mentana, quando è non a caso l’Ambasciatore francese in Uruguay, de Maillefer, a dolersene e a segnalarne le possibili e negativissime, a suo giudizio implicazioni, al governo di Parigi. Per gli “animi previdenti”, era la sua idea, avrebbe costituito fonte di serissime preoccupazioni il rapido incremento al Plata della “mala pianta dell’immigrazione italiana”, la quale, è sempre la sua opinione, rappresenta il peggio del peggio del paese d’origine ovvero il frutto degli “scarti” della società peninsulare trasformando così l’Uruguay (ma anche l’Argentina) nella “pattumiera” del Regno d’Italia. “Dopo la disfatta di Garibaldi – continua de Maillefer – millesettecento soldati di ventura, senza calcolare le donne e i bambini, ci sono giunti precipitosamente da Genova. Fra loro vi è un buon numero di napoletani i quali, fedeli alle pratiche della camorra o del banditismo, si ammassano in tuguri infetti e tengono testa [armati] alla polizia98”.
Accanto alla notazione a sfondo razzista, che riproduce, però, un cliché nei giudizi in circolo non da ora – e come poi molto spesso anche in futuro – in seno alla stessa società uruguayana, colpisce ovviamente la quantificazione senz’altro esagerata riguardante i garibaldini che avrebbero raggiunto dopo Mentana con mogli e figli al seguito, i lidi platensi99, dove, sia nella Banda Oriental che nella Repubblica Argentina, con maggiore approssimazione che altrove, è possibile forse recuperarne oggi alcune tracce concrete. Il discorso, una semplice prima campionatura, va rigorosamente circoscritto a quello che le fonti privilegiate permettono di registrare ed esteso da un lato e dall’altro a tutti coloro che militano nelle file garibaldine tra il 1859 e il 1870.
Prendendo come base, anche se con non troppa fiducia, il primo e più antico dei dizionari biografici redatti sugli italiani (di successo) recatisi e rimasti a vivere sino alla fine dell’Ottocento in Argentina e in Uruguay, ma per lo più, a voler essere precisi, a Buenos Aires e Rosario o a Montevideo)100 si ottengono interessanti informazioni di tipo intanto qualitativo. Su oltre 200 biografati gli ex garibaldini costituiscono, nell’opera di Barozzi & Baldissini data alle stampe giusto allo spirare dell’Ottocento, circa un quinto del totale censito (ed elogiato). Con il limite evidente di essere stati scelti fra coloro che possono vantare posizioni, soprattutto economiche, di riguardo (oppure più semplicemente buoni rapporti con gli editori) i 42 soggetti che abbiamo tentato di analizzare, tolti appena quattro di loro – tre perché in relazioni strette di parentela col Generale come nel caso familiare dei Canzio (Brown, Leo e Mameli) e l’altro, Camillo Bertola di Castellamonte, perché venuto in America in veste di diplomatico – prospettano un quadro che sommariamente si potrebbe riassumere così. Su 37, 23 sono originari dell’Italia settentrionale (con alcune province come Como e Genova in evidenza o più rappresentate in seguito al fatto che di lì proveniva sin da prima della metà del secolo la corrente più cospicua di emigrazione norditaliana al Plata), 9 dell’Italia centrale (6 toscani e 3 romani) e solo 3 dall’Italia meridionale (di uno manca la provenienza). Si tratta poi di uomini (manca naturalmente, ma era quasi scontato, ogni menzione delle loro possibili compagne) tutti nati fra il 1836 e il 1850 ed emigrati fra il 1859 e il 1896 (con punte notevoli per le classi 1845, 1846 e 1848). Da un punto di vista anagrafico combattente a seconda, com’è ovvio, delle età a far data dalla adolescenza, siamo di fronte a volontari arruolatisi sotto le bandiere di Garibaldi in netta prevalenza durante le campagne del 1866 e del 1867, anche se non mancano alcuni aggiuntisi a Capua e sul Volturno ai fatidici Mille o postisi al comando del Generale già durante la seconda guerra d’Indipendenza oppure, in extremis, nella guerra franco prussiana del 1870.
Dal punto di vista dell’istruzione e delle attività svolte al Plata la grande maggioranza esibisce livelli alti o medio alti di cultura e modalità di inserzione nella società ospite che se non smentiscono la regola prevalente delle parabole da self made man, tradiscono anche esordi e punti di partenza, in Italia, abbastanza privilegiati. Dodici di loro risultano in possesso di un diploma, come oggi diremmo, di scuola media superiore, mentre un’altra dozzina sono i laureati fra cui 4 medici, 2 ingegneri civili, 4 avvocati e 2 professori di materie umanistiche. A fronte di 2 giornalisti, dediti alla scrittura per antonomasia, e a un altro paio di militari di carriera, sembrano davvero pochi (7 in totale) quelli sprovvisti di buoni titoli di studio o fermatisi addirittura ai primi anni di scuola elementare. Ciò non toglie che tutti assieme, escluso il caso dei professionisti già citati o degli stessi artisti (4 fra musicisti e pittori o scultori: ma neanche qui sempre), la quasi totalità risulti poi impiegata nel commercio e in attività imprenditoriali disponendosi in modo non dissimile da quello esibito, nel corso del periodo 1870-1899 e nelle stesse città, dagli altri immigranti dotati di caratteristiche, di background e di livelli di preparazione pregressi non dissimili. Va da sé che, per un lato, questa quarantina di persone non esaurisce certo l’insieme, che fu senz’altro assai più ampio, degli ex garibaldini espatriati dall’Italia e fissatisi a fine Ottocento a Buenos Aires (o a Rosario) e a Montevideo per scelta di vita o per motivi di lavoro e che, per un altro, l’elenco da esse costituito taglia fuori e alla fin fine esclude un buon numero di soggetti trapiantatisi in Argentina e in Uruguay lontano dalle capitali (o dalle capitali virtuali dell’immigrazione agricola italiana come era Rosario nella Pampa Gringa santafesina). Basti qui un rinvio a figure come quella del magnate del vino nativo di Valdagno, Antonio Tomba, che proprio nel 1899 muore in circostanze che non sarebbero dovute sfuggire ai compilatori, ma che hanno grande risonanza sulla stampa di mezzo mondo. Tomba, inoltre, ha fatto centro del suo “regno” (è noto infatti come “re del vino”) una località della provincia mendozina – Belgrano oggi Godoy Cruz – alquanto remota e la sua milizia garibaldina è stata esigua e, seppur reiterata nelle prove, soprattutto tentativa101.
Ciò nondimeno le storie di vita che, grazie a Barozzi e Baldissini, scorrono dinanzi ai nostri occhi, allorché ci si metta appena a leggere tra le righe degli encomi e dei profili ossequiosi che le compongono, raccontano tutte (o quasi tutte) cose di ordinaria operosità mai disgiunte dalla fede serbata agli ideali patriottico risorgimentali. Non potremo, qui, nemmeno approfittando dalle dimensioni raccolte della nostra campionatura argentino/uruguayana, soffermarci per esteso sui percorsi esistenziali, politico-militari e lavorativi di questi garibaldini quasi tutti accorsi giovani e giovanissimi all’appello dell’eroe dei due mondi, ma vale la pena di notare, seppure in forma impressionistica, che quasi ciascuno di loro arriva in America Latina indossando i panni normali del normale emigrante. Su quelli che non fanno fortuna o che non hanno la (relativa) fortuna di essere ricordati, nel 1899 e ancora più tardi, dai dizionari biografici dell’“italianità al Plata” bisognerebbe avviare infatti una ricerca, come suggerito per il Brasile. Di altri, però, si può sin d’ora annotare che si trovano ai vertici o alla guida per molti anni delle principali associazioni etniche fiorite al Nuovo Mondo e non solo, s’intende, di quelle che rimandano in modo esplicito ai loro trascorsi patriottici e garibaldini: come le società dei Reduci appunto garibaldini o dei veterani delle “patrie battaglie” fiorite anche all’estero, che hanno alla propria testa uomini sul tipo di Augusto Berghinz, nato a Udine, laureato in legge a Bologna, volontario con Garibaldi nel 1866-1867, emigrato a Montevideo nel 1884 e poi, sul finire del secolo, avvocato di grido a Buenos Aires, che nella capitale argentina ha messo a profitto tra i propri corregionali le precedenti (e rischiose) esperienze compiute presiedendo la Società Veterani e Reduci della sua città natale102.
Dipinti spesso come lavoratori indefessi, nel solco di una lettura post-unitaria tesa ad affiancare come benemerenze patriottiche il “lavorismo” e la fedeltà prestata alla bandiera (“Nazione e Lavoro”, insomma), la maggior parte di loro, come vien detto esplicitamente per Francesco Bellini, calabrese di Acri, classe 1848, espatriato nella decade 1880 a Buenos Aires affermandosi quale commerciante e decorato con due medaglie al valore per la sua partecipazione dodicenne nel 1860 alla spedizione nel Sud, “venne in America per migliorare la sua posizione economica”.
E questo è ciò che s’intravede, neanche tanto in filigrana, dietro alle parabole e alle carriere professionali o imprenditoriali di tanti altri dalle più modeste come quella del veronese Alessandro Barbesi classe 1844, che, vent’anni dopo aver preso parte alla “campagna in Tirolo”, emigra a Buenos Aires nel 1887 e vi diventa, in virtù degli studi fatti in patria, ragioniere in una ditta di commercio e cassiere della società La Italo Argentina, al fiorentino Leopoldo Ardinghi, classe 1846, liceale e combattente anche lui a Bezzecca, divenuto dopo il suo arrivo a Montevideo nel 1878 proprietario di una grande sartoria e vicepresidente della associazione mutualistica Unione Operai Italiani.
In certi casi sono evidenti la trafila e la scalata economica e sociale compiute partendo da poco o addirittura dal nulla, com’è per Stefano Brusaferri di Piacenza, classe 1848, che dopo gli studi commerciali compiuti in Italia e dopo la campagna del Trentino al seguito di Garibaldi emigra in Argentina occupandosi dapprima come semplice impiegato contabile, ma diventando via via socio e comproprietario di una grande azienda d’importazione di materiali per l’edilizia e la falegnameria a Rosario di Santa Fé dove a fine Ottocento è anche presidente della locale Camera di Commercio Italiana e consigliere del potente Banco de Italia y Rio de La Plata. Il milanese Alessandro Canetta, classe 1846, dopo essere stato ferito a Monte Suello in Trentino, è di quelli che combattono (e vengono decorati) a Mentana: quando si reca a Buenos Aires, non segue però la via tracciatagli dagli studi umanistici della giovinezza ed apre, dopo vari tentativi, un’attività commerciale nel campo della oreficeria e della gioielleria, ma soprattutto si distingue, dicono i compilatori, in tutti i sodalizi patriottici e reducistici di cui è socio e membro influente nella capitale. Due comaschi, i fratelli Casartelli, classe 1838 l’uno e 1846 l’altro, fanno esperienze parallele ma poi divergenti sia nel campo del volontariato garibaldino che in quello dell’emigrazione. Il primo, Angelo, definito “patriota ardente”, combatte con Garibaldi nel 1859-1860 e, già ragioniere contabile al Comune di Como, diventa commerciante al minuto a Rosario, mentre il secondo, indossa la camicia rossa in Trentino nel 1866 ed, emigrato in Argentina nel 1870, diventa il motore (e il principale azionista) del più importante giornale, prima della “Patria” di Basilio Cittadini, in lingua italiana ossia “L’Operaio Italiano” di Buenos Aires città in cui, oltre ad essere socio e dirigente di varie associazioni etniche, è proprietario di una grande vetreria e comproprietario di una fabbrica di fiammiferi. Gaetano Giordano, di Salerno, classe 1841, fa invece carriera in Uruguay dopo una formazione tecnica (studi di chimica e farmaceutica) abbandonata a metà per seguire il Generale nel 1860 a Capua e a Maddaloni: emigrato nel 1870 a Montevideo, mette a frutto le sue conoscenze scientifiche approdando come ufficiale farmacista nelle file dell’esercito orientale e raggiungendo il grado di colonnello.
Diverse sono le parabole di Napoleone Melloni, nativo di Brescello, che appena quindicenne veste la camicia rossa nel 1860 continua come volontario a seguire Garibaldi sino al 1866 ed emigra pochi anni più tardi a Buenos Aires dove non fa fortuna ma, si nota, “è molto stimato dai connazionali”; o di Sebastiano Miani, friulano di Palmanova, classe 1841, che combatte anche lui nel 1860 e nel 1866, ma che lasciando interrotti gli studi di matematica avviati presso l’Università di Padova asseconda una sua intensa passione per il teatro e arriva in Sud America nel 1871 con la compagnia all’epoca assai rinomata di Ernesto Rossi. Dopo altre esperienze a fianco di attori e stelle della drammaturgia del tempo, come la celebre Pezzana, si mette in proprio a Buenos Aires e in qualità di direttore e di impresario, oltre che di artista, si afferma nel ramo a Buenos Aires e a Rosario.
Giornalista e scrittore nonché direttore e proprietario (1877-1890) de “La Nazione Italiana” e quindi redattore capo de “L’Operaio Italiano”, il milanese Luigi Perelli, ragioniere diplomato, ha ottenuto una medaglia al valore per il suo comportamento nei fatti di Monte Suello (1866). È di quelli venuti in America Latina dopo Mentana: a fine secolo, oltre che da giornalista, figura attivo come gerente della Società del Tiro a Segno (naturalmente italiana). Il genovese Cesare Luigi Carbone giunto in Uruguay all’età ormai per il tempo provetta di 35 anni nel 1880, da giovane ha esordito con i Cacciatori delle Alpi nel 1859 facendosi poi per intero il periodo 1860-1867 dalla Sicilia a Mentana. Dotato d’intraprendenza e di genio meccanico, a Montevideo apre un negozio di orologeria e accumula quel tanto che basta per mettersi, nel 1888, in società con un connazionale per costruire e tenere in funzione un moderno “Politeama” che sventuratamente per i due va a fuoco nel 1895 gettandoli sul lastrico. Sfruttando le aderenze e le amicizie frattanto conquistate nel mondo associazionistico e in genere nella “colonia” proprio per il suo patriottismo, riesce a risollevarsi dalla rovina nel volgere di pochi anni e come negoziante prima e titolare di redditizi brevetti poi ricomincia la propria ascesa nella vita economica locale.
E da Filippo Negroni scultore romano, classe 1837, con Garibaldi nel 1859 e proprietario di una scuola d’arte e di un atelier a Buenos Aires, a Scipione Panizza di Moglia gonzaghese (nato nel 1859 e laureato ingegnere al Politecnico di Milano prima di arruolarsi nelle file garibaldine in “Tirolo” nel 1866) è tutto un susseguirsi di vite nelle quali si riscontra pressoché invariata e quasi sempre forte la tenuta degli antichi ideali, persino quando il successo raggiunto in campo sociale ed economico autorizzerebbe o meglio consentirebbe una attenuazione dell’impegno ideale e politico, che si manifesta di solito in seno alle società e ai sodalizi i quali si rifanno al nome del “Leone di Caprera”, come avviene appunto al Panizza, in America dal 1873 e dal 1879, notabile della colonia e professionista assai stimato a Rosario, dove vive ed opera e dove diventa proprietario di “moltissimi beni immobili sia nella campagne che nella città”. Una società che formalmente prende il nome di “Leone di Caprera” viene fondata a Buenos Aires per impulso del piemontese Carlo Gatti costretto ad abbandonare l’Italia nel 1869 all’età di trent’anni, pare, per le sue accese vedute anticlericali. Egli sino ai primi del nuovo secolo è nella capitale uno dei maggiori propagandisti del garibaldinismo e ovviamente del mito di Garibaldi che in forma vistosa ha propugnato in concreto sia nelle molte scuole che, da professore, dirige (o di cui, come a La Plata, è proprietario) sia facendosi iniziatore a suo tempo della costruzione del primo monumento eretto al Generale in Argentina.
5. Conclusioni
Sulla questione memoriale e monumentale, abbandonando infine lo spazio dedicato pour cause agli ex garibaldini in Uruguay e Argentina, è naturale che il discorso si prolunghi e arrivi sin quasi a noi103. Ancora oggi l’effigie di Garibaldi mantiene un forte valore simbolico in molte situazioni generate dalla diaspora emigratoria, tanto che un comitato italo-statunitense si è battuto contro lo spostamento del busto di Garibaldi nel quadro della ristrutturazione di Washington Square Park a New York104. Inoltre all’interno dell’Order Sons of Italy canadese è stata fondata a Winnipeg nel 1986 una loggia Giuseppe Garibaldi, attorno alla quale ruota parte della locale comunità di origine italiana105.
In effetti Garibaldi e in misura minore Mazzini e altri protagonisti del Risorgimento continuano a lungo ad essere figure politiche altamente simboliche per gli emigranti, nelle due Americhe come in Oceania106. A Wellington, in Nuova Zelanda, è fondato nel 1882 un Club Garibaldi che rimane uno dei luoghi della socialità degli italiani ivi residenti107. In Argentina, a Rosario, e a Tunisi l’ospedale italiano è dedicato al generale108. Gli italiani del Paraguay e gli allievi delle scuole italiane in Brasile ricordano il primo centenario della nascita dell’eroe inviando a Roma album di firme109. A questo tipo di iniziative, in genere promosse dalle elite immigrate, si affiancano altre forme di omaggio, come quella di dare il nome dell’eroe o della moglie Anita ad insediamenti di immigrati in aree ancora vergini del Brasile110.
In certi casi la memoria garibaldina è mantenuta viva dal processo di musealizzazione. La casa di Meucci a Staten Island, nella quale Garibaldi ha abitato, diviene un mausoleo nel quadro delle celebrazioni del primo centenario e sei anni dopo è affidata all’Order Sons of Italy in America (OSIA), la più grande organizzazione italo-statunitense. Quest’ultima è d’altronde fondata dal dottor Vincenzo Sellaro, chirurgo italiano emigrato a New York, già grande maestro della Garibaldi Masonic Lodge. L’OSIA si preoccupa di rilanciare il Garibaldi-Meucci Museum 1950, in occasione dei cento anni dell’arrivo a New York dell’eroe, e organizza pubblicazioni e “pellegrinaggi”111. La sua iniziativa a favore dell’abitazione di Meucci a Staten Island è inoltre appoggiata dalla Società Tiro a Segno Nazionale Italiana di New York, che conferma così l’afflato garibaldino di questo tipo di associazioni112.
Si capisce quindi come sin dagli anni successivi alla morte l’influenza di Garibaldi sia vituperata dalla Chiesa cattolica nei luoghi di emigrazione. Nel 1887 Agostino Morini, vicario generale dell’ordine dei Servi di Maria per l’America settentrionale, scrive a Propaganda Fide che i suoi connazionali “Vengono dall’Italia sudici, ignoranti che non sanno neppure i misteri principali della S. Fede, oppure garibaldini che non parlano che oscenità, e roba d’inferno contro i Preti e contro il Papa, e bestemmiano da fare oscurare il Sole”113. Di conseguenza i vescovi locali cercano di stroncare il culto di Garibaldi, come tenta l’arcivescovo Bruchési di Montréal114, e i leader delle associazioni cattoliche italiane si prodigano per mettere la sordina alle celebrazioni “garibaldine”115. Con il procedere del tempo, però, lo stesso clero è educato al mito garibaldino, come ricorda dopo la seconda guerra mondiale Giacomo Sartori, missionario in Francia e in Belgio116.
Nel frattempo il mito di Garibaldi ha saturato tutto lo spettro politico, dalle antifasciste Brigate Garibaldi attive in Italia, Francia e in Spagna, grazie anche al sacrificio di tanti immigrati, ai Circoli del Littorio intitolati all’Eroe dei due mondi117. In un certo senso tutta l’emigrazione ne viene permeata e non è casuale che nel 1951 John Dos Passos decida d’imperniare su un lontano discendente di garibaldini una sua ennesima rivisitazione del proprio paese. Così Jay Pignatelli, nipote di un patriota genovese, mazziniano e garibaldino, fuggito nel 1849, attraversa la storia statunitense della prima metà del Novecento, dalla grande guerra alla grande crisi passando per l’affare Sacco e Vanzetti, e alla fine riesce a fare pace con il paese che ha ospitato tre generazioni della sua famiglia118.
4 Ibid., p. 32. Su Conrad e l’emigrazione italiana, cfr. Emilio Franzina, Dall’Arcadia in America. Attività letteraria ed emigrazione transoceanica in Italia (1850-1940), Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, pp. 15-17.
5 Edmondo De Amicis, Sull’oceano, Como-Pavia, Ibis, 1991, pp. 31-33.
6 Ibid., pp. 61-63, la citazione alle pp. 61-62.
7 Diario autobiografico di Alessandro Gavazzi, Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma, Mss. 504, ff. 1014 e 1015.
8 Luigi Santini, Alessandro Gavazzi e l’emigrazione politico-religiosa in Inghilterra e negli Stati Uniti nel decennio 1849-1859, “Rassegna storica del Risorgimento”, XLI (1954), pp. 587-594; Robert [Philippe] Sylvain, Clerc, garibaldien, prédicant des Deux Mondes. Alessandro Gavazzi (1809-1889), Québec, PUL, 1962; Giuseppe Monsagrati, Gavazzi, Antonio (in religione Alessandro), in Dizionario Biografico degli Italiani, 52, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 719-722; Matteo Sanfilippo, Gaetano Bedini e Alessandro Gavazzi (1853-1854), in Gli Americani e la Repubblica Romana nel 1849, a cura di Sara Antonelli, Daniele Fiorentino e Giuseppe Monsagrati, Roma, Gangemi, 2001, pp. 159-187.
9 Donna R. Gabaccia, Class, Exile, and Nationalism at Home and Abroad: The Italian Risorgimento, in Italian Workers of the World. Labor Migration and the Formation of the Multiethnic States, a cura di Ead. e Fraser Ottanelli, Urbana – Chicago, University of Illinois Press, 2001, pp. 21-40; Zeffiro Ciuffoletti, L’esilio nel Risorgimento, in L’esilio nella storia del movimento operaio e l’emigrazione economica, a cura di Maurizio Degl’Innocenti, Manduria, Lacaita, 1992, pp. 53-59.
10 Matteo Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 20052, cap. V; Paola Corti, Emigranti, esuli, profughi. Origini e sviluppi dei movimenti migratori nel Novecento, Torino, Paravia Bruno Mondatori, 2001, e Storia delle migrazioni internazionali, Roma-Bari, Laterza, 2003.
11 Emilio Franzina, Partenze e arrivi, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, p. 613.
12 Vedi da ultimo Giuseppe Monsagrati, Garibaldi, Giuseppe, Dizionario Biografico degli Italiani, 52, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 315-331, e Alfonso Scirocco, Garibaldi, Roma-Bari, Laterza, 2001.
13 Lucy Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Roma-Bari Laterza 2007, p. 29.
14 Da Salvatore Candido, Giuseppe Garibaldi nel Rio della Plata: 1841-1848, Firenze, Valmartina, 1972, al divulgativo Lucio Lami, Garibaldi e Anita corsari, Milano, TEA, 2002, passando per Erika Garibaldi, Gaetano Massa, Phillip K. Cowie e Salvatore Candido, Garibaldi nell’America meridionale, Roma, Istituto internazionale di studi Giuseppe Garibaldi, 1987.
15 Joanne Pellegrino, In Search of Freedom. Italian Political Refugees in America 1831-1860, tesi di MA, Richmond College, CUNY, 1971, pp. 38-46. Per una versione sintetica: Ead., An Effective School of Patriotism, in Studies in Italian American Social History: Essays in Honor of Leonard Covello, a cura di Francesco Cordasco, Totowa NJ, Rowman and Littlefield, 1975, pp. 84-104.
16 Giuseppe Garibaldi, Edizione Nazionale degli Scritti, VII, Epistolario, I, 1834-1848, a cura di Giuseppe Fonterossi, Salvatore Candido ed Emilia Morelli, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, 1973, pp. 7-10.
17 Ibid., pp. 296-297 e 244.
18 D’altronde la stessa emigrazione politica nelle Americhe è fatta di ondate successive e di reti che si formano, si disfano, si riannodano: Salvatore Candido, La emigración política italiana a la America Latina (1820-1870), “Jahrbuch für Geschichte Lateinamerikas”, 13 (1978), pp. 216-238, e L’emigrazione politica e di elite nelle Americhe (1810-1860), in Il movimento migratorio italiano dall’Unità nazionale ai nostri giorni, a cura di Franca Assante, Napoli, Droz, 1978, pp. 113-150.
19 Gustavo Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi, Milano, Rizzoli, 1933, pp. 118-121.
20 Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal basso medioevo al secondo dopoguerra, “Bollettino di Demografia Storica”, 13 (1990), pp. 132-144: Fernando Devoto, Liguri nell’America australe: reti sociali, immagini, identità, in La Liguria (Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità a oggi), a cura di Antonio Gibelli e Paride Rugafiori, 1994, pp. 651-688; Emilio Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Milano, Mondadori, 1995, pp. 103-106; Ferdinando Fasce, Genova, La Liguria e i processi migratori. Un bilancio della ricerca, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 2, 1 (2006), pp. 19-24; Francesco Surdich, La Liguria e Genova, territorio di emigrazione e porto degli emigranti: un ventennio di studi e di ricerche, in Genova una “porta” del Mediterraneo, a cura di Luciano Gallinari, Genova, CNR, 2006, pp. 951-1008.
21 Salvatore Candido, Cuneo, Giovanni Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, 31, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1985, pp. 360-363.
22 Salvatore Candido, L’azione mazziniana in Brasile ed il giornale “La Giovine Italia” di Rio de Janeiro (1836) attraverso documenti inediti o poco noti, “Bollettino della Domus Mazziniana”, 14, 2 (1968), pp. 3-66, e La pubblicistica mazziniana in Brasile e nei paesi rioplatensi nel primo Ottocento, ibid., 41, 1 (1995), pp. 11-54; Grazia Dore, La democrazia e l’emigrazione in America, Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 111-127.
23 Cfr. gli elenchi degli aderenti alla Giovane Italia di Rio de Janeiro nelle relazioni oggi presso l’Archivio di Stato di Latina, Governo di Cori, serie VII, Atti di polizia, busta 222, nr. 6/2, e presso l’Archivio di Stato di Roma, Direzione Generale di Polizia – protocollo riservato, busta 118, titolo 8, rubrica 1 (anno 1838). Vedi inoltre il Diario della Legione Italiana di Montevideo e i nominativi degli ufficiali e dei soldati caduti, in Biblioteca Corsiniana (Roma), Carte Cuneo, busta 1, fascc. 12-14. Sui rapporti relativi alla Giovane Italia da parte dei rappresentanti pontifici, cfr. G. Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi, cit., pp. 324-335.
24 Cfr. Omaggio dei Genovesi al generale Garibaldi e sue vittorie in Montevideo, Genova, Tip. Arc. Di Luca Carniglia, [1847?], citato in Museo del Risorgimento, catalogo compilato da Achille Neri, Milano, Alfieri & Delacroix, 1915, p. 355.
25 Vedi le considerazioni di Gaetano Bedini, internunzio pontificio di Rio de Janeiro, in Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, busta 1, fasc. 13. Garibaldi e Francesco Anzani hanno scritto a Bedini da Montevideo il 12 ottobre 1847: G. Garibaldi, Edizione Nazionale degli Scritti, VII, Epistolario, I, 1834-1848, cit., pp. 245-247. Sull’episodio: Salvatore Candido, Giuseppe Garibaldi sulla via del ritorno in Italia (aprile 1848), “Rassegna Storica del Risorgimento”, 55 (1968), pp. 548-572.
26 Archivio di Stato di Roma, Repubblica Romana e volontari del 1848-1849, busta 181, fasc. 2, nonché i tre volumi di Ermanno Loevinson, Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato Romano, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1902-1907.
27 Henry Nelson Gay, Il secondo esilio di Garibaldi (1849-1854), in Scritti sul Risorgimento, Roma, La Rassegna Italiana, 1937, pp. 193-213, e I contatti americani di Garibaldi e le sue rivendicazioni del diritto di cittadinanza americana, ibid., pp. 215-232; Howard R. Marrano, Il soggiorno di Garibaldi a New York, in Id., Relazioni fra l’Italia e gli Stati Uniti, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1954, pp. 155-172. Vedi inoltre i ricordi di Henry Tirrel, Garibaldi in New York, “The Century Magazine”, giugno 1897, pp. 174-184.
28 Howard Marraro, Italians in New York in the Eighteen Fifties, “New York History”, 25, April-July 1949, pp. 1-47, annota che nel 1850 gli italiani negli Stati Uniti sono 3.645, mentre dieci anni dopo sono quasi triplicati (10.518). La maggior parte, riporta lo storico italo-statunitense, risiedono in California, ma New York ospita 833 italiani nel 1850 e 1.862 nel 1860. Sulla componente politico-risorgimentale di tale emigrazione, cfr. Id., American Opinion on the Unification of Italy 1846-1861, New York, Columbia University Press, 1932, pp. 165-185.
29 Nel settembre del 1853, il già citato Bedini, nel frattempo recatosi negli Stati Uniti, si rifugia nel Canada spaventato dall’arrivo di così tanti quarantottardi italiani: fra gli altri segnala l’arrivo a Boston proprio di Garibaldi (Archivio Segreto Vaticano, Segr. Stato, rubrica 251, fasc. 2, ff. 86-91). Su Bedini negli Stati Uniti e i quarantottardi italiani (e tedeschi), cfr. Matteo Sanfilippo, L’affermazione del cattolicesimo nel Nord America. Elite, emigranti e Chiesa cattolica negli Stati Uniti e in Canada, 1750-1920, Viterbo, Sette Città, 2003, pp. 55-76.
30 Luigi Lerro, Avezzana, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, 4, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1962, pp. 674-677.
31 Archivio di Propaganda Fide, Congressi, America Centrale, vol. 15, ff. 205-208; Udienze, vol. 114 (1851), ff. 1278-1286; Lettere, vol. 340 (1851), ff. 809rv e 873rv. Sulla fama romana di Avezzana si legga quanto segue: “In giugno non vi fu incasso di sorte alcuna, giacché la Segreteria si tenne sempre chiusa, per il fuoco continuato che si faceva dai Francesi, che aprivano la breccia alle Mura della Città, in difesa della quale ricambiavano il fuoco i Demagoghi. Questo mese fu per i buoni Romani tremendo. Nel periodo di esso si commisero nequizie di ogni sorta. Le più belle delizie suburbane furono distrutte: la città deformata dalle barricate ed ingombra di ogni sorte d’immondezze fattevi gettare dal celebre [per nefandità] Avezzana Ministro in allora delle Armi. Ecco a che ci avevano condotto il progresso, e le Riforme dal 1846 in poi. Voi, che ci succedete, mettetevi subito in guardia se sentirete parlare di progresso, e Nazionalità. Sono speciosi termini dei quali si servono per procedere innanzi nelle loro infernali mene i nemici di Pio, del Trono e dell’Ordine pubblico che appellansi socialisti, e communisti. Iddio li disperda per sempre. Amen. Luigi Picchioni Archivista, e testimone oculare a quanto sopra ho narrato manu propria” (Archivio Segreto Vaticano, Sala indici, Registro di Cassa della Segreteria dei Brevi, per l’anno 1849, a cura di Luigi Picchioni).
32 Giuseppe Avezzana a Luigi Paris (Providence), lettere da New York del 5 maggio 1860 e dell’11, 21 e 23 giugno 1860, Istituto Mazziniano di Genova, Archivio, cart. 18, n. 2287. Nella stessa cartella seguono altre lettere di e a Paris (ancora di Avezzana, di Garibaldi e di altri), che mostrano come quei contatti non siano occasionali e si mantengano nel tempo. Nello stesso archivio è inoltre disponibile Luigi Paris, Vita del Generale Giuseppe Garibaldi nel Nord America, in inglese e tradotto in italiano, cartella 18, nr. 2287 (precede le lettere di Avezzana di cui sopra), un manoscritto di 32 facciate nel quale si raccontano i due soggiorni newyorchesi.
33 Cfr. ancora J. Pellegrino, In Search of Freedom, cit., pp. 47-52. Del gruppo fanno subito parte Foresti e Gavazzi, cui Garibaldi scrive al proposito nel settembre 1853 da Boston, preannunciando una nuova permanenza newyorchese: Giuseppe Garibaldi, Edizione Nazionale degli Scritti, IX, Epistolario, II, 1850-1858, a cura di Giancarlo Giordano, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento, 1972, pp. 51 e 54.
34 Vedi le sue lettere a Giacomo Medici (Montevideo) e G. B. Cuneo (Buenos Aires) in Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, b. 5, nn. 73-74.
35 J. Pellegrino, In Search of Freedom, cit., p. 52; Luigi Lotti, Barilli, Giuseppe (Quirico Filopanti), in Dizionario Biografico degli Italiani, 6, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1964, pp. 373-376; Giuseppe Monsagrati, Foresti, Felice Eleuterio, ibid., 48, 1997, pp. 797-801.
36 Howard Marraro, Documenti italiani e americani sulla spedizione garibaldina in Sicilia, “Rassegna storica del Risorgimento”, 46 (1957), pp. 12-58.
37 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 45, fasc. 27 (Lima), busta 46, fasc. 48 (Cuba), busta 51, fascc. 1-2 (Argentina), busta 53, fasc. 10 (Uruguay) e busta 54, fasc. 2 (Argentina, Brasile, Cuba e Paraguay). Sulle somme raccolte da G. B. Cuneo in Argentina, vedi i ringraziamenti rivoltigli in Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, busta 5, fasc. 3, nn. 226-228.
38 J. Pellegrino, In Search of Freedom, cit., p. 61; Maria Teresa Zagrelbesky Prat, Botta, Vincenzo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 13, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1971, pp. 379-380.
39 Francesca Loverci, Italiani in California negli anni del Risorgimento, “Clio”, 15 (1979), pp. 469-547, e Giuseppe Garibaldi e la comunità italiana in California, in Garibaldi generale della libertà, a cura di Aldo A. Mola, Roma, Ufficio storico dell’Esercito, 1984, pp. 645-654, nonché Le idee di Mazzini in California. Iniziative politiche e giornalistiche dei repubblicani italiani a San Francisco dagli anni del”Gold Rush” al 1905, in Il Mazzinianesimo nel mondo, a cura di Giuliana Limiti, Pisa, Istituto Domus Mazziniana, 1996, pp. 83-151.
40 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 45, fasc. 23.
41 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 46, fasc. 20 (marzo-maggio 1850).
42 Istituto Mazziniano di Genova, Archivio, cart. 4, nr. 703.
43 Giuseppe Garibaldi, Manlio. Romanzo storico-politico contemporaneo, a cura di Anthony P. Campanella, Sarasota FL, International Institute of Garibaldian Studies, 1982; Manlio. Romanzo contemporaneo, a cura di Maria Grazia Miotto, Napoli, Guida, 1982.
44 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 46, fasc. 48.
45 Museo Centrale del Risorgimento, Autografi vari, b. 268, fasc. 46.
46 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 53, fasc. 10. Antonini descrive la situazione commerciale sua e di altri italiani in Argentina e in Uruguay durante nel 1858-1862 in altre lettere dello stesso fondo: ibid., busta, 43, fasc. 26.
47 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 43, fasc. 26.
48 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 43, fasc. 32; busta 47, fasc. 15, e busta 48, fasc. 3.
49 Giuseppe Garibaldi, Le memorie in una delle redazioni anteriori alla definitiva del 1872, a cura della Reale Comissione, Bologna, Cappelli, 1932, p. 7.
50 Ibid., pp. 13-150, passim.
51 Ibid., pp. 223 e 224. L’attesa di Garibaldi da parte della comunità italiana è testimoniata nel rapporto del console sardo del 23 dicembre 1852 in Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche, Consolati nazionali: Lima, mazzo unico.
52 G. Garibaldi, Le memorie in una delle redazioni, cit., p. 227. Sulle persone incontrate da Garibaldi a New York, cfr. Salvatore Candido, L’azione mazziniana nelle Americhe e la Congrega di New York della “Giovine Italia” (1842-1852). Attraverso lettere inedite di E.F. Foresti e G. Albinola a G. Garibaldi e G.B. Cuneo, “Bollettino della Domus Mazziniana”, XVIII, 2 (1972), pp. 123-174, e Francesco Durante, Italoamericana, I, Milano, Mondadori, 2001, pp. 216-218.
53 Giuseppe Garibaldi, Le Memorie nella redazione definitiva del 1872, a cura della Reale Comissione, Bologna, Cappelli, 1932, p. 335. Sugli italiani incontrati a Lima, cfr. Nino Barazzoni, Garibaldi a Lima, in AA.VV., Presencia italiana en el Perù, a cura di Bruno Bellone, Lima, Instituto Italiano de Cultura, 1984, riassunto in “Chasqui”, 2, 2 (2002), bollettino del consolato generale del Perù a Roma, pp. 8-9 (www.conperroma.com/chasquis/).
54 Vedi la lettera a G. Lamberti dell’8 marzo 1841 in Giuseppe Mazzini, Scritti politici editi ed inediti, XX, Imola, Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1931, p. 98.
55 Vedi la lettera di Cuneo a Mazzini del 24 aprile 1841 sugli emigrati in Uruguay (ibid., pp. 274-277); nonché Giovanni Battista Cuneo, Guida per l’emigrante italiano nella Repubblica Argentina, Firenze, Bettini, 1870.
56 Fernando J. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, Roma, Donzelli, 2007.
57 Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, busta 5, n. 123 (Circular del Ministerio de Relaciones Esteriores, Montevideo 15 de 1863, inviata a Cuneo come Vice Consul de la Republica a Oneglia) e n. 116 (Comunicazioni a stampa per il Sr Consul de la Republica Argentina Don Juan Bautista Cuneo, Buenos Aires 25 de Abril de 1862). La nomina ufficiale a Console argentino a firma del ministro Emilio de Alvear risaliva al 1860 (si veda a firma del medesimo, 23 octubre 1860, ivi, n. 229, Paraná, 5 novembre 1860, ivi, n. 231 e il coevo decreto del Presidente della Repubblica, ivi, n. 225). Un’ulteriore conferma che la nomina scaturiva per impulso di Mitre in un lettera di A. Gelly y Obez – da Paraná, il 9 Octubre de 1860 – ivi, busta 2, “Lettere di Vari” .
58 Emilio Franzina, Stranieri d’Italia. Studi sull’emigrazione italiana dal Risorgimento al Fascismo, Vicenza, OdeonUp, 1994, pp. 131-137.
59 Tra i molti scambiati fra i due, si legga il passo eloquente di un messaggio a Cuneo del Foresti (“da NovaYork, li 2 decembre 1852”, in Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, busta 6, n. 146) che gli ha scritto per caldeggiare presso gli italiani di Buenos Aires e di Montevideo sottoscrizioni e abbonamenti all’“Eco d’Italia”, il giornale newyorkese di Secchi de’ Casali. Questi, pur non essendo “totalmente di nostra opinione”, è presentato come un “bravo italiano” unito a entrambi “nel aborrire (sic) gli oppressori d’Italia e volerla unita ed indipendente”: “Eccoci tutti due di nuovo in terra straniera! Eppure pochi mesi son scorsi dall’ultima volta che ci siamo abbracciati nel suol natio. Le miserie della vita – e chi più di noi può dire misera vita?- […] Chi ci avrebbe mai detto che due anni dopo tutti e due saressimo separati, e lungi dall’Italia mille e mille miglia!”.
60 Notizie di Buenos Aires, 15 maggio 1871 – Documento Ufficiale, “La Riforma”, 22 giugno 1871.
61 A testimonianza di una collaborazione quindi non occasionale: “Manda la corrispondenza argentina per la Riforma al sottoscritto – raccomanda Crispi a Cuneo (da Roma il 14 luglio 1871, in Biblioteca Corsiniana, Carte Cuneo, busta 5, n. 135) – Potrai anche mandarmi il promesso articolo, il quale scritto da te meriterà di prender posto al Giornale. Ti abbraccio cordialmente…”.
62 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 45, fasc. 27.
63 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 50, fasc. 2, nr. 3.
64 F. Durante, Italoamericana, I, cit., pp. 226-227; Marco Sioli, Se non c’è il conquibus si muore come cani: Luigi Tinelli a New York (1851-1873), in Gli Stati Uniti e l’Unità d’Italia, a cura di Daniele Fiorentino e Matteo Sanfilippo, Roma, Gangemi, 2004, pp. 141-150. Sulla Garibaldi Guard, si vedano le pagine web http://www.ecs.gannon.edu/~frezza/39NYSV/.
65 Enrico Liburdi, Le memorie autobiografiche di Pasquale Papiri e i suoi viaggi in America, “Rassegna Storica del Risorgimento”, 46 (1954), pp. 391-397. Su Papiri e altri vagabondi campioni della libertà dei popoli, cfr. Salvatore Candido, Esuli italiani negli Stati Uniti d’America fra guerre e rivoluzioni (1829-1861). La Congrega della “Giovine Italia” in New York, in Atti del I Congresso Internazionale di Storia Americana. Italia e Stati Uniti dall’indipendenza americana a oggi (1776-1976), Genova, Tilgher, 1978, pp. 281-293.
66 Ricciotti Garibaldi, Progetto di colonizzazione della Patagonia, Roma, Tipografia Cooperativa Sociale, 1899; Giuseppe Monsagrati, Garibaldi, Ricciotti, in Dizionario Biografico degli Italiani, 52, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 337-341, e Ricciotti Garibaldi e la fedeltà alla tradizione garibaldina, in I Garibaldi dopo Garibaldi. La tradizione famigliare e l’eredità politica, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Arturo Colombo e Annita Garibaldi di Jallet, Manduria, Lacaita Editore, 2005, pp. 81-124.
67 Ricciotti Garibaldi, La Camicia Rossa nella guerra greco-turca. 1897, Roma, Tipografia Cooperativa Sociale, 1899, e La camicia rossa nella guerra balcanica: campagna in Epiro: 1912, Como, Tip. Antonio Cavalleri, 1915.
68 Per Peppino e gli altri volontari in Francia: Pierre Milza, La Légion des volontaires italiens dans l’armée française, une antichambre du fascisme, in Les Italiens en France de 1914 à 1940, a cura di Pierre Milza, Roma, École Française de Rome, 1994, pp. 143-154; Marziano Brignoli, Bruno, Costante e la presenza garibaldina nella grande guerra, in I Garibaldi dopo Garibaldi, cit., pp. 155-164; Hubert Heyriès, Les Garibaldi en terre de France, ibid., pp. 191-205, e Les Garibaldiens de 14. Splendeurs et misères des Chemises Rouges en France de la Grande Guerre à la Seconde Guerre mondiale, Nice, Serre, 2005; Stefano Viaggio, A combattere per la Francia, “Millenovecento”, 22 (2004), pp. 40-52. Vedi inoltre: Giuseppe Garibaldi (Peppino), A Toast to Rebellion, Indianapolis-New York, The Bobbs Merill Company Publishers, 1935; Ricciotti Garibaldi jr., De la carcel de la Santé al tribunal de la conciencia humana, Habana, Imprenta e papeleria de Rambla, Bouza y Ca., 1927, e La tradizione garibaldina e i cacciatori delle Alpi nella grande guerra 1915-1918, Roma, Centro Culturale di Storia Garibaldina, 1936.
69 Arturo Colombo, Sante Garibaldi in tre tempi, in I Garibaldi dopo Garibaldi, cit., pp. 165-176; Sante Garibaldi e la tradizione democratica garibaldina, a cura di Id., Roma, Edizioni Archivio Trimestrale, 1986; Archivio Centrale di Roma, Casellario politico centrale: Sante Garibaldi, busta 2288.
70 Si veda il sito web L’eredità di Garibaldi, curato da Giuseppe Sante Garibaldi con interventi di Annita Garibaldi Jallet: http://www.ereditadigaribaldi.net/base.php. Per Ezio Garibaldi, cfr. il suo Fascismo garibaldino, Roma, Edizione di “Camicia Rosa”, 1928.
71 Per un quadro generale: Anita Garibaldi, Nate dal mare. Le donne dei Garibaldi: Anita, Costanza e Speranza, Milano, Il Saggiatore, 2003.
72 Annita Italia Garibaldi, Una infermiera italiana al fronte francese, Roma, per l’autrice, 1939.
73 Canadà: Una colonia agricola italiana (Lorette, Manitoba), “Bollettino dell’Emigrazione”, 1925, nr. 7, pp. 704-705; Robert F. Harney, The Canadian Prairies as a Target of Italian Immigration, in Le società in transizione: Italiani e Italo-Canadesi negli anni ottanta, a cura di Raimondo Cagiano de Azevedo, Milano, Franco Angeli, 1991, pp. 189-203; Angelo Principe, I Fasci in Canada, in Il fascismo e gli emigrati, a cura di Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 104.
74 R. F. Harney, The Canadian Prairies, cit. p. 203.
75 Annita Italia Garibaldi, Garibaldi in America, Roma, per l’autrice, 1932.
76 Jesse White Mario, I garibaldini in Francia, Roma, Polizzi, 1871,
77 H. Heyriès, Les Garibaldiens de 14, cit., p. 269.
78 Maurizio Antonioli, La compagnia della morte. Gli anarchici garibaldini nella guerra greco-turca del 1897. Ritratto di gruppo, in Saggi storici. In onore di Romani H. Romero, a cura di Id. e Angelo Moioli, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 301-319.
79 Per la biografia di Cipriani, cfr. Vittorio Emiliani, Libertari di Romagna. Vite di Costa, Cipriani, Borghi, Ravenna, Longo, 1995. Vedi inoltre Luigi Campolonghi, Amilcare Cipriani: una vita di avventure eroiche, Milano, Società Editoriale Italiana, 1912, recentemente riedito come Amilcare Cipriani. Memorie, Pescara, Samizdat, 1996; Biografia, processo, difesa, e condanna di Amilcare Cipriani, Firenze, Tip. Eduardo Ducci, 1886. Consulta infine Archivio Centrale di Stato, Casellario politico centrale, busta 1361: Cipriani, Amilcare. Grazie a mediatori quali Cipriani il mito di Garibaldi si conserva nelle fila anarchiche, persino fuori d’Italia: Teresa Abelló Güell, El mito de Garibaldi en el Anarquismo español, “Spagna contemporanea”, 25 (2004), pp. 21-38.
80 Andrea Carnicci, Garibaldi nell’associazionismo dell’emigrazione italiana, in I Garibaldi dopo Garibaldi, cit., pp. 215-241. Per la campagna mirata all’erezione della statua a Buenos Aires: Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Gabinetto, 1897, fasc. 200: Buenos Aires. Monumento a Garibaldi.
81 Museo Centrale del Risorgimento, Carte di Giuseppe Garibaldi, busta 52, fasc. 3, nr. 22.
82 Rudolph J. Vecoli, Negli Stati Uniti, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, II, Arrivi, Roma, Donzelli, 2002, p. 66.
83 Gli Italiani negli Stati Uniti, cit., pp. 435-436.
84 J. Andreozzi, Guide to the Records of the Order Sons of Italy, cit., p. 7.
85 Giuseppe Giacosa, Impressioni d’America, Padova, Franco Muzzio Editore, 1994, pp. 107-108.
86 Jerre Mangione e Ben Morreale, La Storia. Cinque secoli di esperienze italo-americane (1992), Torino, SEI. 1996, p. 55.
87 Gli Italiani negli Stati Uniti, cit., p. 291.
88 J. Mangione e B. Morreale, La Storia, cit., p. 142.
89 Vedi il Notiziario NIP – News ITALIA PRESS, anno X, nr. 98, 22 maggio 2003: http://www.newsitaliapress.it/interna.asp?sez=267&info=54491.
90 L’evento è ricordato e magnificato nella pubblicazione per il Cinquantenario della “colonizzazione” italiana nel Rio Grande do Sud (Porto Alegre, Globo, 1925, p. 365. Cfr. Núncia Santoro de Constantino, Gli emigranti dall’Italia del sud a Porto Alegre: studio di storia sociale, in La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile, a cura di Rovílio Costa, Luis Alberto De Boni e Angelo Trento, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, pp. 263-273.
91 Fernando J. Devoto, Elementi per un’analisi delle ideologie e dei conflitti nella comunità italiana d’Argentina (1860-1910), “Storia Contemporanea”, 17, 2 (1986), pp. 279-291, e La primera élite política italiana de Buenos Aires (1852-1880), “Studi Emigrazione”, 94 (1989), pp. 168-193.
92 Emilio Franzina, L’immaginario degli emigranti. Miti e raffigurazioni dell’esperienza italiana all’estero fra due secoli, Paese-Treviso, Pagus Edizioni 1992, pp. 234-235.
93 Giuseppe Dall’Acqua, Gli emigranti. Appunti di viaggio, Bento Gonçalves, Rio Gr.de do Sul Brasile 1901, ms. riprodotto fotograficamente in Arlindo Itacir Battistel e Rovilio Costa, Assime vivem os italianos. Vida, história comidas e estorias, Porto Alegre – Caxias do Sul, Est Educs, 1982, pp. 1166-1167.
94 Claudino Antonio Boscatto, Memórias de um neto de imigrantes italianos, Alfredo Chaves, s.a., 1984, p. 105) riferisce per esteso la scelta inusuale di un Rodolfo Fortunatti (recte, forse, Fortunati) “um imigrante aqui radicado [cioè a Nova Trento]” il quale, “sentindo ainda os anseios de libertade trazidos das lutas garibaldinas para a unificação da Italia que o contagiaram, não teve dúvidas de pegar em armas e combater o autoritarismo….Foi o único revolucionário de Nova Trento”.
95 Rosa Provedel Caetano, Memórias de Vovó Cláudia. Saga de imigrantes italianos. Região Matilde/Carolina, 1860, Rio de Janeiro, s.a., 1988, p. 100.
96 Cfr., anche per le citazioni testuali, Carlos Zubillaga, Religiosità, devozione popolare e immigrazione italiana in Uruguay, in L’emigrazione italiana e la formazione dell’Uruguay moderno, a cura di Fernando J. Devoto, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1993, pp. 129-133.
97 C.M. Maeso, sotto lo pseudonimo di M. Torres, mette in rilievo (e un poco anche alla berlina) l’attitudine assai diffusa fra molti esponenti della “colonia” italiana di Montevideo a enfatizzare la partecipazione assai presunta di tanti connazionali immigrati all’Impresa dei Mille: “al giorno d’oggi [costoro] devono essere centomila dal momento che non c’è angolo del mondo dove non viva un uomo dabbene che avrebbe preso parte a quella memorabile iniziativa se fosse nato anzitempo o se si fosse sognato di accompagnarsi al Generale Garibaldi” (M. Torres, Divagando…., Montevideo, Imprenta y Tipografia La Razón, 1895, p. 198).
98 Rapporto di M. de Maillefer, Montevideo, 14 gennaio 1868, in Informes Diplomáticos de los representantes de Francia en el Uruguay, “Revista Historica”, 76-78 (1956), p. 294.
99 Vale la pena di ricordare tuttavia, en passant, che il numero dei garibaldini combattenti è stato in realtà molto elevato se nel solo prosieguo della spedizione dei Mille l’esercito in camicia rossa – “ufficialmente denominato Esercito meridionale garibaldino” – “arrivò a raccogliere circa 50.000 uomini, tra ex sudditi borbonici e volontari provenienti da altre zone della penisola” (Eva Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Roma-Bari Editori Laterza 2007, p. X).
100 Dizionario biografico degli Italiani al Plata, compilato per cura degli Editori-Proprietari Barozzi, Baldissini & Cia, Buenos Aires, “Argos” Imprenta y Encuadernación, 1899 (di qui tutte le notizie biografiche e le citazioni poi nel testo).
101 Su Tomba imprenditore e in gioventù rivoluzionario e garibaldino si vedano Emilio Franzina, L’avventura argentina del valdagnese Antonio Tomba, “Industria Vicentina”, (1990), 3, 6 (2006), pp. 64-70, e Giorgio Trivelli, Antonio Tomba. Un emigrante italiano alla conquista dell’Argentina, “Mediterranea”, pp. 547-562, ma soprattutto, di quest’ultimo autore, la prima parte del recente volume Antonio Tomba. Un emigrante valdagnese alla conquista dell’Argentina, Valdagno, Edizioni del Comune, 2007. Non per caso, all’interno della produzione paraletteraria e romanzesca di emigrazione imperniata, nelle sue premesse, sul patriottismo e sul nazionalismo di stampo risorgimentale, un’autrice italo-argentina come Nella Pasini trasse ispirazione dalla vita di Tomba per realizzare il primo volume della propria trilogia sui “Roscaldi” (cfr. Nella Pasini, I Roscaldi. Il pioniere. Romanzo, Buenos Aires-Firenze, Alfredo E. Mele – Vallecchi, 1924). Si veda E. Franzina, Dall’Arcadia in America, cit., pp. 202-204.
102 Si veda Marco Fincardi, I reduci risorgimentali veneti e friulani, “Italia Contemporanea”, 222 (2001), pp. 79-83, e un accenno in E. Cecchinato, Camicie rosse, cit., p. 223.
103 Seppure estenuato e sempre più indebolito, anche nella storiografia, come nota e spiega opportunamente Lucy Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, cit., pp. XX-XXXIV.
104 Riccardo Chioni, Garibaldi non si tocca, “America oggi”, 7 febbraio 2006: http://www.americaoggi.info/site/it-IT/AO/Dalla_Comunit%C3%A0/La_Comunit%C3%A0/ Comunit%C3%A0/070220063.html.
105 Gabriele P. Scardellato, Within Our Temple. A History of the Order Sons of Italy of Ontario, Toronto, Order Sons of Italy of Canada, 1995, pp. 22 e 215-216.
106 Arnd Schneider, Mazzini und Garibaldi: Die Bedeutung politischer Symbole bei Italienern in Buenos Aires, in Festschrift für Rüdiger Schott zum 65. Geburtstag, a cura di Werner Krawietz, Berlin, Duncker und Humblot, 1993, pp. 127-139.
107 Riccardo Ponti, La presenza italiana in Nuova Zelanda (1875-1950), “Studi Emigrazione”, 159 (2005), p. 644.
108 ASMAE, Carteggio della serie politica A, 1888-1892, Ospedale italiano “Garibaldi” in Rosario, 1890, fasc. 1441; Lucia Capuzzi e Giuseppe Maria Continiello, Le origini del “Corriere di Tunisi” e la ridefinizione della collettività italiana: una necessità storica, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 1, 1 (2005), pp. 75-101.
109 Museo Centrale del Risorgimento, Volumi manoscritti, 760 (Paraguay) e 790 (Brasile).
110 Emilio Franzina, Italiani del Brasile ed italobrasiliani durante il primo conflitto mondiale (1914-1918), “História Debates e Tendências”, 2004, pp. 225-267.
111 Vincent A. Caso, Il centenario dello sbarco di Giuseppe Garibaldi a New York in esilio dal 1850-1853, New York, New American Publishing Co., 1950; Frances Winnar, The Monument in Staten Island: Meucci, Garibaldi and the Telephone, Chicago, E. Clemente and Sons, 1957; John Andreozzi, Guide to the Records of the Order Sons of Italy in America, Minneapolis, Immigration Research Center – University of Minnesota, 1989, pp. II e 27-28.
112 Gli Italiani negli Stati Uniti, New York, Italian American Directory, 1906, pp. 437-439. Sulle società di tiro a segno, cfr. Gilles Pécout, Les sociétés de tir dans l’Italie unifiée de la seconde moitié du XIXe siècle. La difficile mise en place d’une sociabilité institutionnelle entre volontariat, loisir et apprentissage civique, “Mélanges de l’École Française de rome: Italie, Méditérranée”, 102 (1990), pp. 533-676, e La nascita delle società di tiro nell’Italia del Risorgimento: 1861-1865: fra volontariato e apprendistato civico, “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1 (1992), pp. 89-115.
113 Archivio di Propaganda Fide, Congressi, Collegi Vari, vol. 43: dossier nr. 5, Collegio di Piacenza per gli Emigrati Italiani in America dal 1887 al 1892, f. 1451rv.
114 Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura del Canada, scatola 29, fasc. 27 (1907).
115 Archivio Segreto Vaticano, Segr. Stato, 1914, rubrica 18, fasc. 9: Patronato S. Michele per gli emigranti. Riconoscimento giuridico. Relazione di lavori personali di Merlino, f. 30 (Brooklyn 29 giugno 1912).
116 Giacomo Sartori, La lanterna magica di Astarotte. Fatti di emigrazione ed altro visti da un arguto osservatore e giornalista, a cura di Abramo Seghetto, Piacenza, L’immigrato, 2001.
117 Per le Brigate Garibaldi e gli emigrati, cfr., per esempio, L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana in Francia tra le due guerre, a cura di Javier Grossutti e Francesco Micelli, Tavagnacco, Comune di Tavagnacco, 2003. Per i circoli del Littorio, vedi ad esempio, Claudia Baldoli, I Fasci in Gran Bretagna, in Il fascismo e gli emigrati, cit., p. 64.
118 John Dos Passos, La riscoperta dell’America, Milano, Baldini Castaldi Dalai, 2006.