Per una storia politica dell’emigrazione

L’associazionismo tra gli emigrati italiani nell’Europa del secondo dopoguerra1

1. Il contesto
Il fenomeno dell’associazionismo tra i migranti rappresenta uno dei terreni di ricerca più fertili per chi si vuole interrogare sulle relazioni tra le comunità di migranti e i territori in cui si insediano, sui rapporti tra queste comunità e i rispettivi luoghi di partenza e sulle stesse dinamiche interne ai gruppi di migranti2. Ripercorrere l’evoluzione dell’associazionismo emigratorio italiano in Europa negli ultimi sessant’anni significa confrontarsi con alcuni nodi fondamentali di questa emigrazione. Per poter iniziare un simile percorso occorre allora innanzitutto chiarire cosa si intende per emigrazione italiana in Europa nel secondo dopoguerra e quali sono le caratteristiche del fenomeno da mettere maggiormente in evidenza per inquadrare le linee di sviluppo dell’associazionismo.
Per emigrazione italiana in Europa nel secondo dopoguerra solitamente gli studiosi intendono il periodo compreso tra il 1945 e la metà degli anni Settanta3. Si tratta di un periodo molto lungo, durante il quale i flussi migratori provenienti dall’Italia sono stati molteplici e differenti tra loro. Se c’è una obiettiva convergenza di vedute sulla cesura iniziale (il 1945), legata alla fine della guerra e all’avvio della ricostruzione, il discorso cambia rispetto alla seconda cesura (la metà degli anni Settanta), legata alle conseguenze internazionali della crisi petrolifera. Tra il 1973 e il 1976 infatti il saldo migratorio tra l’Italia e i paesi europei maggiormente interessati dall’emigrazione italiana (Belgio, Francia, Germania occidentale, Svizzera, Lussemburgo, Gran Bretagna, Olanda, Austria, Svezia) diventa positivo da negativo: il numero dei rimpatri supera il numero degli espatri. Questa tendenza non è tuttavia sufficiente a determinare una cesura netta: l’emigrazione continua, in misura minore, anche negli anni successivi e vanno avanti i processi di trasformazione innescati dall’emigrazione. Anche quando si ridimensiona, quest’ultima resta uno spartiacque nella storia di intere comunità (basti pensare al tema del ritorno degli emigranti nelle zone di origine e a tutto ciò che comporta in termini sociali ed economici4).
Quasi tutti gli studiosi concordano sulla divisione del periodo da noi considerato in due blocchi: la fase 1945-1957 e il periodo compreso tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta5. Cosa giustifica questa cesura attorno e subito dopo il 1957? Innanzitutto la firma dei trattati di Roma, che ridefiniscono lo status giuridico dei lavoratori italiani nei paesi che aderiscono al Mercato comune. Più in generale, la fine della ricostruzione e l’avvio di un nuovo ciclo di sviluppo economico che comporta la trasformazione delle richieste di manodopera dei paesi europei. Da questo punto di vista, i cambiamenti sono non solo nella qualità dell’offerta di lavoro, ma anche nella geografia emigratoria. Ad esempio, è a partire dalla fine degli anni Cinquanta che la Germania – meta poco frequentata nel primo decennio postbellico – diventa il paese in testa agli espatri europei6.
Gettando uno sguardo ai dati statistici sui movimenti migratori europei negli ultimi sessant’anni emerge una prima caratteristica importante relativamente alla presenza italiana: nel secondo dopoguerra l’emigrazione italiana in Europa – rispetto ai decenni precedenti – è letteralmente esplosa, determinando l’insediamento anche in zone in cui non erano mai stati presenti gli italiani o erano stati presenti in modo marginale. Rispetto all’associazionismo questa caratteristica comporta una tendenza molto importante: le associazioni degli italiani nelle nuove zone di emigrazione non hanno la necessità di confrontarsi con associazioni nate dalle generazioni precedenti di emigranti, come è accaduto invece in America settentrionale e meridionale e in alcuni paesi europei (Francia, Svizzera e Gran Bretagna). L’assenza di una precedente tradizione associativa è quindi un dato importante, perché permette la ricerca di percorsi autonomi e comporta la mancanza di un conflitto tra associazioni di vecchi e nuovi emigranti. Tale conflitto è segnalato in maniera molto approfondita dagli studi su Brasile, Argentina e Stati Uniti7: in essi è infatti evidenziato come la questione dell’associazionismo sia indice della più ampia conflittualità tra diverse generazioni di migranti, pur se appartenenti allo stesso paese o alla stessa famiglia.
Un altro elemento che emerge, ripercorrendo la storia dell’emigrazione italiana nel periodo considerato, è la presenza di un forte movimento rotatorio tra le zone di partenza e di arrivo, di un’alta percentuale di ritorni nelle zone di origine e di una diffusa emigrazione temporanea. La dimensione temporanea dell’emigrazione ha influito molto sullo sviluppo dell’associazionismo, contribuendo a incentivarne le forme più legate alla prestazione di servizi sociali rispetto all’associazionismo ricreativo e culturale, ma su questo punto torneremo diffusamente più avanti8.
La dimensione temporanea dell’emigrazione è legata a un ulteriore dato da sottolineare: la composizione professionale delle partenze verso i paesi europei. Questa emigrazione è stata infatti a lungo diretta prevalentemente verso specifici settori dei mercati del lavoro di arrivo: edilizia, meccanica, miniere. Si è trattato quindi – soprattutto nel primo trentennio del periodo considerato – di una emigrazione a forte composizione operaia. Anche questa caratteristica ha pesato sulle dinamiche dell’associazionismo: quando ha iniziato a perdere d’importanza (quando, ad esempio, al lavoro operaio si è affiancato in modo più organico il lavoro autonomo) le associazioni ne hanno risentito notevolmente.
Infine è importante mettere in luce un aspetto essenziale dei flussi europei del secondo dopoguerra: il loro stretto rapporto con le politiche migratorie dei governi italiani e dei paesi di destinazione e il forte investimento politico fatto dalle classi dirigenti italiane nel promuovere e favorire la ripresa dell’emigrazione di massa, attraverso gli accordi bilaterali con gli altri paesi, le convenzioni internazionali e il dispiegamento sul territorio italiano di una ramificata macchina organizzativa e propagandistica. Questo aspetto è molto importante, perché le forme e i modi con cui sono nate e si sono consolidate le associazioni italiane hanno molto a che vedere con la dimensione politica dello sviluppo dell’emigrazione europea.

2. I dati
In occasione della Prima conferenza degli italiani nel mondo, tenutasi a Roma nel dicembre 2000, il Ministero degli Affari Esteri ha presentato i dati relativi al monitoraggio delle associazioni italiane all’estero9. Rispetto all’Europa sono offerti i dati da me rielaborati nella tabella II. Secondo tali cifre la Svizzera ha il maggior numero di associazioni registrate (1438), seguita dalla Germania (645), dalla Francia (492) e dal Belgio (357). Suddividendo invece i dati in base al numero di soci il primo paese è il Belgio (140.987 iscritti alle associazioni italiane), seguito dalla Germania (77.731), dalla Svizzera (60.138) e dalla Francia (36.621). Naturalmente si tratta di indicazioni che vanno considerate con molta cautela, soprattutto per quanto riguarda il numero dei soci, perché per alcune circoscrizioni consolari (come quelle di Francoforte e di Berlino in Germania) manca la cifra complessiva degli iscritti alle associazioni. I dati comunque rivelano la vivacità e l’articolazione del tessuto associativo, inoltre se li confrontiamo con i dati relativi agli italiani residenti nei paesi considerati emergono tendenze sorprendenti.
In Belgio, ad esempio, al marzo 2002 sono segnalati 281.027 italiani residenti10. I 140.987 soci delle associazioni italiane nel 2000 costituiscono dunque una cifra molta alta, anche se non sappiamo quanti iscritti siano italiani residenti all’estero. Tra loro potrebbe esserci una quota significativa di cittadini non italiani. In Germania, Svizzera e Francia il rapporto tra le due cifre è significativo, ma non così eclatante: 698.799 residenti contro 77.731 iscritti alle associazioni italiane in Germania, 379.749 residenti contro 36.621 soci in Francia, 525.383 residenti contro 60.138 soci in Svizzera.
Restando ai dati, la circoscrizione consolare in Europa con il maggior numero di associazioni registrate nel 2000 è quella di Basilea in Svizzera (421 associazioni), seguita da Stoccarda in Germania (332 associazioni registrate).
L’ulteriore suddivisione dei dati per finalità statutarie in ognuno dei tre paesi maggiormente interessati dal fenomeno ci fornisce il quadro più dettagliato sulle specificità degli interessi del mondo dell’associazionismo (tabelle, III, IV e V). Ragionando sulle finalità, mi sembra che all’interno dell’articolazione delle diverse finalità indicate dai rilevamenti si configurano cinque tipi di associazioni predominanti: quelle assistenziali, quelle culturali, quelle ricreative, quelle sportive, quelle regionali11. Le cinque finalità più presenti nel monitoraggio ministeriale corrispondono ai sentieri più battuti dall’associazionismo emigratorio in Europa. Con associazioni di tipo assistenziale dobbiamo intendere l’universo dei segretariati, dei patronati, delle strutture sociali e sanitarie, delle associazioni dedicate all’assistenza della terza età, dei gruppi legati ai sindacati e al mondo del lavoro e della previdenza sociale e alla scuola. Gli interventi delle associazioni culturali spaziano invece dalle biblioteche alla promozione della lingua e della cultura italiane fino alla semplice aggregazione da dopolavoro. Le associazioni ricreative sono i punti di riferimento delle comunità per passare il tempo libero e incontrarsi, mantenendo spesso usi e costumi dei luoghi di origine: il cibo italiano, le partite del campionato italiano di calcio, il ballo liscio, le partite a carte e a bocce. Le associazioni sportive hanno avuto un grande successo in Europa e hanno costituito uno spazio di relazione con la popolazione locale: l’esempio più importante è costituito dalle scuole di calcio per bambini e ragazzi. Le associazioni regionali, di cui si parlerà più avanti, sono quelle che si ispirano alle regioni, ai paesi e alle città di provenienza.

3. Lo sviluppo storico
La ripresa dell’emigrazione dopo la seconda guerra mondiale genera, come abbiamo notato, nuovi insediamenti di emigranti italiani nei paesi europei e contribuisce a ingrandire le comunità già esistenti. Occorre, però, chiarire che l’utilizzo di questo linguaggio “classico” ci aiuta a comprendere soltanto parzialmente i modi e le forme con cui la ripresa dell’emigrazione e lo sviluppo dell’associazionismo hanno preso piede in parallelo. Ad esempio, parlare di “comunità” italiane nei paesi europei nei primi quindici anni del dopoguerra può essere fuorviante, perché emerge con chiarezza dalla letteratura sull’argomento la dimensione frammentaria della presenza italiana. L’emigrazione italiana si presenta come fenomeno frammentario nella prima fase della sua ripresa postbellica, almeno da quattro punti di vista:

–  pluralità dei luoghi di partenza degli emigranti, difficilmente “ricomponibile” nei luoghi di arrivo. I gruppi di migranti tendevano a riconoscersi e organizzarsi non tanto sulla base della loro provenienza nazionale quanto in base alla loro provenienza locale, provinciale, regionale o addirittura comunale: il periodo storico compreso tra il 1945 e il 2000 vede crescere progressivamente il numero e l’importanza delle associazioni nate su base locale.
–  frattura con i gruppi di italiani o di origine italiana già residenti nei paesi interessati prima della guerra. I “nuovi” immigrati hanno poco in comune con le vecchie generazioni, che tra l’altro non li vedono di buon occhio, perché sono convinte che possano incrinare quella condizione di “rispetto” conquistata nei decenni precedenti dai lavoratori italiani.
–  le politiche migratorie dei paesi europei tendono a non favorire l’insediamento prolungato dei gruppi di migranti italiani, privilegiando l’emigrazione temporanea e stagionale e scongiurando allo stesso tempo la formazione di grandi agglomerati di immigrati, tentativo che riesce solo in parte, ma che influisce profondamente nell’insediamento sul territorio degli emigranti;
–  il sistema di assistenza elaborato e realizzato dalle istituzioni italiane si dimostra lacunoso e inefficiente: questa situazione provoca, da un lato, lo sviluppo eccezionale delle reti di associazionismo sociale e di assistenza e, dall’altro, l’assenza di punti di riferimento istituzionali condivisi.

Prima di ripercorrere lo sviluppo storico dell’associazionismo nel secondo dopoguerra è fondamentale inquadrare sinteticamente un problema con cui hanno a che fare tutti coloro che si vogliono occupare del fenomeno: l’eredità lasciata dal fascismo. La ricerca storica negli ultimi anni ha lavorato in profondità sul tema dei rapporti tra regime fascista e comunità italiane all’estero. In particolare è stato messo in evidenza il ruolo strategico che rivestì l’associazionismo nel progetto di costruzione del consenso presso le comunità italiane all’estero. L’orientamento generale degli studi è che il tentativo fascista di penetrare e influenzare le comunità fu sostanzialmente fallimentare. Tuttavia, la costruzione di una fitta rete di strutture ricreative, assistenziali e culturali (dopolavoro, scuole, gruppi giovanili) resta nella memoria delle comunità come una novità importante per quanto strumentale agli obiettivi politici del regime e non sempre particolarmente efficiente12. Il peso di questa memoria ha un ruolo non secondario nel dopoguerra, quando la macchina assistenziale dello stato repubblicano si attiva con ritardo nei confronti delle comunità emigrate.
Rispetto allo sviluppo vero e proprio del fenomeno associazionistico nel secondo dopoguerra, possiamo individuare tre fasi distinte: 1945-1957; 1957-1970; 1970-2000.

1945-1957: la rinascita del tessuto associativo
Questa fase è caratterizzata dalla riattivazione delle strutture associative già esistenti nel periodo precedente la seconda guerra mondiale, dalla nascita di associazioni di nuova formazione, dall’articolazione a livello europeo di enti sindacali e assistenziali italiani. I primi dodici anni dell’emigrazione post-bellica sono molto difficili e la ricostruzione europea attira soprattutto lavoratori non qualificati o scarsamente qualificati. I paesi più investiti sono Belgio, Svizzera e Francia13.
Spesso la ricostruzione del tessuto associativo precedente comporta l’estensione geografica delle reti associative e l’assunzione di nuove competenze. Due casi sono in questo senso molto interessanti: le missioni cattoliche italiane e le organizzazioni di emigrazione già legate all’esilio antifascista. La rete delle missioni cattoliche promuove la nascita di asili, scuole di formazione al lavoro, sportelli di assistenza, strutture dalle quali nascono in un secondo tempo associazioni culturali e ricreative, che generalmente utilizzano gli spazi parrocchiali per riunirsi e svolgere le proprie attività. L’assistenza agli emigrati è potenziata nell’ambito della Chiesa cattolica attraverso la nascita di nuove strutture centrali e la crescita di ordini religiosi dedicati esplicitamente a questo compito, come i missionari scalabriniani14. Più complesso è il rilancio dell’universo associativo che tra le due guerre mondiali aveva accompagnato i gruppi di esuli antifascisti, per poi comunque entrare in contatto con le comunità nel loro insieme. Da questo punto di vista è molto interessante il caso della Svizzera, dove al contrario di altri paesi si può rintracciare una linea di continuità piuttosto marcata tra le strutture associative post-belliche e la tradizione mutualistica che aveva le sue radici non soltanto nei gruppi antifascisti, ma addirittura nei decenni precedenti alla Grande guerra. Una fonte molto valida per ricostruire le attività e gli obiettivi delle associazioni cattoliche, ma anche di quelle laiche del periodo è costituita dalla stampa, che resta nei primi anni del secondo dopoguerra un canale di comunicazione ancora fondamentale. In tale campo queste possono anzi giovarsi del maggiore livello di alfabetizzazione degli emigranti.
In questo periodo iniziano a manifestarsi segnali nuovi. Si diffondono infatti associazioni che si rifanno alle origini regionali, provinciali o comunali anziché alla comune provenienza nazionale o che basano la loro attività soltanto sulla fornitura di servizi di utilità sociale. In questo periodo si radicano in tutta Europa i patronati sociali e sindacali dipendenti dalle differenti confederazioni e organizzazioni, come le Acli o i sindacati confederali.

1957-1970: la fase del consolidamento
Nella seconda fase le associazioni italiane si moltiplicano, poiché l’emigrazione diventa un fenomeno meno precario e più stabile e le comunità formatesi nella fase post-bellica hanno la possibilità di mettere radici e sviluppare le rispettive reti associative. In questo periodo è molto importante guardare con attenzione alla Germania occidentale, perché è il paese che accoglie il maggior numero di italiani a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Anche in Germania iniziano a moltiplicarsi le associazioni italiane, nonostante che le politiche migratorie tedesche impediscano l’insediamento duraturo dei migranti e ne favoriscano il turn-over. Negli anni Sessanta si realizzano – soprattutto in Svizzera – saldature importanti tra le battaglie del movimento operaio e le rivendicazioni delle associazioni italiane, che affiancano alle battaglie per i diritti sociali la richiesta di diritti politici. In questi anni matura invece, soprattutto in Francia, la crisi dell’associazionismo risalente alla fase precedente la seconda guerra mondiale, legato a una stagione ormai superata.
Penso che il caso svizzero sia quello più interessante. Negli anni Sessanta prendono piede in Svizzera movimenti xenofobi ben organizzati. Le associazioni italiane riescono allora a far procedere di pari passo la risposta a questi movimenti e la tutela sindacale e sociale dei lavoratori italiani. Si sviluppa così un associazionismo molto legato al territorio di insediamento e orientato alla soluzione di problemi concreti della vita quotidiana:

Chi arriverà in Svizzera tra gli anni cinquanta e sessanta avrà poche speranze di poter cambiare nell’immediato qualcosa nel paese d’origine, ma cercherà di migliorare almeno la propria situazione individuale e familiare. Avrà un progetto migratorio ben preciso e cercherà di realizzarlo in modo consapevole e anche con l’aiuto degli altri in un intreccio di solidarietà familiare, regionale o ideologica. Si svilupperanno infatti contatti, intese, movimenti, organizzazioni, strutture di autodifesa (comitati di genitori, consultori familiari), enti di formazione, strutture previdenziali e assistenziali, organi di stampa, associazioni e federazioni regionali, gruppi folk, centri culturali, formazioni politiche, circoli sportivi15.

Questa fase centrale è caratterizzata anche dal progressivo passaggio a una composizione professionale più articolata nelle comunità italiane: non più soltanto manodopera scarsamente qualificata, ma anche operai specializzati e lavoratori autonomi: nascono quindi le prime associazioni “di categoria” tra gli emigranti.
Nella fase di consolidamento si strutturano associazioni italiane che nel corso degli anni attireranno anche numerosi soci stranieri: è il caso delle associazioni sportive, soprattutto calcistiche.

1970-2000: nuovi modelli
L’ultima fase da prendere in esame è caratterizzata da una serie di trasformazioni del fenomeno emigratorio e delle comunità, che determina la complessiva ridefinizione dell’intero tessuto associativo.
La prima questione che occorre affrontare è quella dell’emergenza sociale che accompagna la crisi economica della metà degli anni Settanta e provoca – soprattutto in Germania e in Svizzera – licenziamenti, rimpatri, migrazioni di ritorno. Le associazioni affrontano in modi diversi le difficoltà venutesi a creare nelle comunità, ma subiscono inevitabilmente la crisi, riuscendo solo in parte a promuovere la tutela dei lavoratori.
Un anno molto importante nella storia dell’associazionismo emigratorio è proprio il 1970, poiché con la nascita, in Italia, delle istituzionali regionali e con la regionalizzazione delle amministrazioni anche le competenze in materia di emigrazione vengono decentrate. Le nuove competenze regionali accelerano un processo in atto da alcuni decenni, cui abbiamo già accennato: la regionalizzazione e la provincializzazione delle associazioni di emigrazione. Negli anni Settanta e Ottanta il tessuto associativo dei paesi europei si riempie infatti di gruppi, comitati, organizzazioni che puntano all’aggregazione dei soci sulla base della provenienza geografica. Queste associazioni si muovono soprattutto nel settore culturale e economico, promuovendo gli scambi anche commerciali tra zone di partenza e zone di arrivo, i gemellaggi, la riscoperta delle identità locali attraverso iniziative pubbliche e la promozione della cultura di origine16.
In questi anni si articola ulteriormente la presenza economica dell’emigrazione italiana, ormai dilatata in molti settori. Ecco quindi che emerge un tessuto associativo nuovo, che organizza i propri aderenti sulla base della loro collocazione professionale: i ristoratori, i lavoratori autonomi, gli imprenditori piccoli e grandi.
La caratteristica più interessante di questa fase è la tendenza dell’associazionismo a voler mettere in discussione il passato emigratorio delle comunità, chiamate tra l’altro nei documenti ufficiali sempre più spesso business communities a testimonianza delle loro potenzialità commerciali17. Le associazioni diventano in questo nuovo contesto non più semplici luoghi in cui organizzare iniziative ricreative o culturali, ma punti di riferimento indispensabili per la costruzione di nicchie di mercato tra zone di origine e zone di destinazione.

4. Conclusioni
Il primo tema che vale la pena evidenziare è il legame molto stretto tra lo sviluppo dell’associazionismo e l’Italia, intesa come luogo di partenza degli emigranti, ma anche come luogo di decisioni e di scelte politiche e istituzionali. La questione del rapporto tra le associazioni di emigrazione e la Penisola si può declinare in due modi. È chiaro innanzitutto il movimento centro-periferia che sta alla base della nascita, del radicamento e dell’attivismo di una parte rilevante del mondo dell’associazionismo. Mi riferisco all’associazionismo che nasce da strutture sociali e sindacali nazionali, che hanno rappresentato il punto di riferimento diretto e indiretto di una miriade di gruppi, comitati, patronati, segretariati, nonché all’associazionismo di tipo politico o religioso. Tutti questi gruppi – diffusi e radicati nei luoghi di emigrazione, che in questo caso si configurano come periferie – hanno in comune il rapporto di dipendenza da un centro, collocato in Italia, che ne segue le attività, ne coordina il finanziamento, ne stabilisce le priorità di intervento. Questi centri non sono altro che le sedi centrali dei sindacati, degli ordini religiosi, dei gruppi politici da cui sono nate le rispettive associazioni. Lo stretto rapporto stabilito negli ultimi trent’anni tra le regioni italiane e le associazioni ha inoltre riproposto questa dinamica anche nella relazione tra le associazioni regionali e le istituzioni cui fanno riferimento. Il movimento centro-periferia può dunque rappresentare una chiave di lettura calzante persino nel caso dell’associazionismo nato dalle istituzioni regionali18.
Il secondo tema da affrontare è relativo al ruolo che le associazioni di emigrazione hanno avuto nei processi di insediamento delle comunità italiane. Naturalmente la questione è impossibile da risolvere con giudizi definitivi e assoluti, perché in ogni paese e in ogni città ha seguito percorsi differenti e indipendenti. Mi preme, però, di sottolineare l’impressione che le associazioni di emigrazione siano servite più per mantenere un rapporto tra gli emigranti e l’Italia che per costruire relazioni tra gli emigranti e i territori dove si sono trasferiti. Si tratta di un’impressione frutto della lettura dei documenti pubblicati dalle associazioni, della rassegna delle loro attività, della stessa organizzazione delle sedi. L’insistenza sulle tradizioni e le culture di origine, la dimensione ricreativa confinata nel gioco delle bocce o delle carte, il richiamo continuo all’Italia in termini di nostalgia e di malinconia sono indice di un percorso orientato a mantenere un’immagine cristallizzata e immutata nel tempo del paese di origine.
Per comprendere il ruolo dell’associazionismo tra gli emigranti italiani occorre operare una netta distinzione tra le finalità delle associazioni e quindi tra i ruoli che esse hanno avuto nella storia delle comunità italiane in Europa. Dal punto di vista dell’assistenza sociale le associazioni hanno svolto un ruolo fondamentale, ponendosi a fianco e spesso sostituendosi alle istituzioni italiane che avevano sulla carta il compito di affiancare il percorso di emigrazione. Laddove il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e il Ministero degli esteri non svolgevano l’attività di monitoraggio e di sostegno, che dal punto di vista legislativo avrebbero avuto la responsabilità di esercitare, le associazioni intervenivano per seguire le cause di lavoro, per tutelare i diritti alla previdenza, per monitorare l’inserimento scolastico delle generazioni più giovani. I lavoratori espatriati in molti casi vennero assistiti proprio dalle reti associative sviluppatesi nei paesi di emigrazione.
Andando oltre la dimensione dell’assistenza sociale in senso stretto, le associazioni hanno svolto un ruolo molto importante anche dal punto di vista delle attività ricreative e culturali. Ragionando sulla lunga durata dei fenomeni migratori, occorre, però, interrogarsi sul modo con cui l’associazionismo ha svolto questo ruolo, sui modelli culturali che ha veicolato, sulle immagini dell’Italia che ha contribuito a diffondere, sui modelli aggregativi che ha scelto di investire.
Lo studio dell’associazionismo di emigrazione rappresenta insomma uno spazio di ricerca molto fecondo, soprattutto se scegliamo di guardare ai migranti come soggetti attivi, che non si limitano ad adattarsi al contesto sociale, politico ed economico dei territori dove si trovano a vivere, ma che tendono a trasformarlo, come ha descritto in modo molto calzante Franco Ramella nella conclusione di un suo recente saggio:

Un’idea molto diffusa negli studi è che gli immigrati devono adattarsi alla società che li accoglie, che è quindi pensata come qualcosa di strutturato indipendentemente dagli individui che la compongono. L’ottica qui adottata rovescia questa impostazione: il problema che nasce è come gli immigrati rimodellano la società in cui arrivano19.

Mi sembra poi altrettanto importante ricordare che i migranti sono soggetti su cui viene effettuato un investimento politico da parte di differenti agenti istituzionali, sia nei luoghi di partenza sia nei luoghi di arrivo. Nel caso dell’associazionismo la questione diventa particolarmente importante e non facile da analizzare, perché ci troviamo di fronte a una evidente contraddizione: le associazioni, pur sostituendosi in molti casi all’apparato istituzionale e coprendone le carenze, restano ad esso legate, per motivi politici o di finanziamento. La questione degli intrecci politici diventa poi determinante, quando le associazioni sono utilizzate come spazi per intercettare consensi elettorali, sia nei paesi di emigrazione da parte dei gruppi politici locali – una volta che gli immigrati hanno ottenuto il diritto di voto alle elezioni amministrative e politiche – sia, più recentemente, in Italia dopo che il parlamento con la legge n. 459/2001 ha disposto il voto alle elezioni politiche italiane per i cittadini residenti all’estero.
Mancano ancora sull’associazionismo italiano in Europa ricerche di taglio locale, che invece hanno potuto fornire alcune risposte a questi interrogativi rispetto all’emigrazione italiana in altri luoghi (i paesi d’oltreoceano) e in altri periodi (gli anni precedenti alla seconda guerra mondiale). L’auspicio a incentivare le ricerche in questo senso è quindi il modo migliore per concludere questo intervento.

Tabelle20

Tabella I. Emigrazione italiana in Belgio, Francia, Regno Unito, Svizzera, 1946-1975
 

Belgio

Francia

Germania federale

Regno Unito

Svizzera

1946

24.653

28.135

   

48.808

1947

29.881

53.245

 

365

105.112

1948

46.365

40.231

 

2.679

102.241

1949

5.311

52.345

 

6.592

29.726

1950

4.226

18.083

74

3.451

27.144

1951

33.308

35.099

431

9.967

66.040

1952

22.441

53.810

270

3.522

61.593

1953

8.832

36.687

242

5.502

57.236

1954

3.278

28.305

361

7.787

65.671

1955

17.073

40.713

1.200

10.400

71.735

1956

10.395

87.552

10.907

11.520

75.632

1957

10.552

114.974

7.653

10.595

78.882

1958

10.445

72.469

10.511

6.464

57.453

1959

9.738

64.259

28.394

7.360

82.532

1960

11.412

58.624

100.544

10.118

128.257

1961

12.066

49.188

114.012

11.003

142.114

1962

10.083

34.911

117.427

8.907

143.054

1963

6.053

20.264

81.261

4.681

122.018

1964

7.115

15.782

75.210

4.979

111.863

1965

8.996

20.050

90.853

7.098

103.159

1966

7.724

18.370

78.343

7.346

104.899

1967

6.811

15.517

47.178

4.392

89.407

1968

6.253

13.100

51.152

3.777

81.206

1969

5.665

10.741

47.563

2.971

69.655

1970

5.141

8.764

42.849

2.476

53.658

1971

5.555

8.987

54.141

2.453

59.398

1972

4.560

8.103

43.891

2.229

51.036

1973

3.985

6.435

41.386

1.856

43.359

1974

4.645

6.257

33.485

2.075

38.226

1975

3.613

6.026

48.233

1.876

30.424

 

Tabella II. Associazioni italiane nei paesi europei al dicembre 2000

Stato

Circoscrizione consolare

Numero associazioni registrate

Numero complessivo
 soci

Albania Tirana

1

102

Austria Vienna

6

144

Belgio Bruxelles

78

13045

   

85

11914

  Genk

51

3928

  Liegi

115

112100

  Mons

28

 
Bosnia-Erzegovina Sarajevo

2

135

Croazia Fiume

5

34166

  Spalato

4

763

  Zagabria

8

 
Danimarca Copenaghen

10

564

Estonia Tallinn

1

65

Finlandia Helsinki

15

1827

Francia Bastia

8

422

  Chambery

35

2748

  Lilla

49

3529

  Lione

71

11248

  Marsiglia

42

3255

  Metz

106

1343

  Mulhouse

23

2211

  Nizza

20

 
  Parigi

101

6447

  Tolosa

37

5418

Germania Amburgo

28

824

  Berlino

12

 
  Colonia

32

3956

  Dortmund

21

1506

  Francoforte

57

 
  Hannover

2

220

  Losanna

37

1932

  Monaco di Baviera

48

3037

  Norimberga

23

1345

  Saarbrücken

32

2992

  Stoccarda

332

59369

  Wolfsburg

21

2550

Grecia Atene

12

941

  Salonicco

2

150

Irlanda Dublino

1

500

Jugoslavia Belgrado

1

5

Liechtenstein San Gallo

14

300

Lussemburgo Esch sur Alzette

32

7837

Malta La Valletta

3

280

Norvegia Oslo

3

450

Paesi Bassi Amsterdam

66

1517

Polonia Varsavia

5

191

Regno Unito Bedford

12

3779

  Edimburgo

14

3960

  Londra

64

12812

  Manchester

32

2614

Romania Bucarest

18

5660

Russia Mosca

8

314

Slovacchia Bratislava

1

70

Slovenia Capodistria

9

5570

Spagna Barcellona

8

995

  Madrid

6

1123

Svezia Stoccolma

14

2989

Svizzera Basilea

421

21099

  Berna

233

9265

  Ginevra

64

3793

  Losanna

121

2611

  Lugano

74

9074

  San Gallo

235

5014

  Zurigo

290

9282

 

Tabella III. Associazioni italiane nelle circoscrizioni consolari in Germania per finalità dichiarate al dicembre 200021
 

Amburgo

Berlino

Colonia

Dortmund

Francoforte

Hannover

Assistenziali

1

1

18

16

 

2

Commerciali

2

         
Culturali

19

5

32

17

 

2

Form. Prof.            
Istr. Media    

1

1

   
Istr. Primaria            
Ling.-cult.

2

 

1

     
Patriottiche            
Politiche     6      
Professionali 1   1      
Religiose 1 1        
Ricreative 14 5 24 20   2
Sanitarie            
Sindacali 2          
Sociali 5   10 7   2
Sportive            
Turistiche 1          

 

 

Losanna

Monaco

Norimberga

Saarbrucken

Stoccarda

Wolfsburg

Tot.

Assistenziali

6

19

3

6

73

4

150

Commerciali            

2

Culturali

26

25

10

23

120

15

294

Form. Prof.

1

   

2

 

1

4

Istr. Media            

2

Istr. Primaria      

1

105

 

106

Ling.-cult.

3

         

3

Patriottiche

2

4

1

   

1

8

Politiche

1

3

   

35

1

46

Professionali            

2

Religiose

2

         

4

Ricreative

15

48

21

 

77

15

242

Sanitarie              
Sindacali          

1

3

Sociali          

2

26

Sportive

7

4

1

8

116

5

141

Turistiche  

3

       

4

Regionali              

 

Tabella IV. Associazioni italiane nelle circoscrizioni consolari in Svizzera per finalità dichiarate al dicembre 2000
 

Basilea

Berna

Ginevra

Losanna

Lugano

San Gallo

Zurigo

Totale

Assistenziali

28

23

4

13

20

15

8

111

Commerciali                
Culturali

35

26

4

13

13

27

6

124

Form. Prof.

2

1

           
Istr. Media                
Istr. Primaria                
Ling.-cult.

2

1

1

1

 

2

3

10

Patriottiche

10

9

2

2

5

6

2

36

Politiche

15

6

 

1

1

 

2

25

Professionali                
Religiose

28

7

1

1

1

12

1

51

Ricreative

14

13

7

19

2

21

9

85

Sanitarie                
Sindacali

8

3

 

1

 

1

4

17

Sociali                
Sportive

63

38

9

11

2

29

5

157

Turistiche                
Regionali

57

38

26

26

25

44

16

232

 

Tabella V. Associazioni italiane nelle circoscrizioni consolari in Belgio per finalità dichiarate al dicembre 2000
 

Bruxelles

Charleroi

Genk

Liegi

Mons

Totale

Assistenziali

36

74

20

69

30

229

Commerciali

3

       

3

Culturali

50

45

17

59

 

171

Form. Prof.

6

 

1

1

 

8

Istr. Media            
Istr. Primaria            
Ling.-cult.

1

1

1

1

 

4

Patriottiche

5

8

4

1

 

18

Politiche

1

 

2

 

1

4

Professionali            
Religiose

1

6

3

3

 

13

Ricreative

11

43

18

41

 

113

Sanitarie

1

         
Sindacali      

1

 

1

Sociali            
Sportive

1

6

 

14

 

21

Turistiche      

1

 

1

Regionali

16

27

12

12

 

67

 

Note

1

Questo testo è stato presentato il 24 novembre 2005 a Torino nell’ambito del ciclo di seminari Crocevia. Emigrazione, immigrazione, migrazione interna, organizzati da Fieri, Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione. Ringrazio gli organizzatori dell’iniziativa per avermi consentito di approfondire nell’occasione il tema del rapporto tra associazionismo e migrazioni.

2

Per un tentativo di classificazione cfr. Michael Hechter, Debra Friedman, Malka Appelbaum, A theory of ethnic collective action, “International Migration Review”, 16 (1983), pp. 412-34.

3

Sull’emigrazione italiana in Europa e per un esame dei suoi legami con il processo di integrazione europea cfr. Federico Romero, Emigrazione e integrazione europea, 1945-73, Roma, Edizioni Lavoro, 1991.

4

Sull’emigrazione di ritorno cfr. Amalia Signorelli, Maria Clara Tiriticco, Sara Rossi, Scelte senza potere. Il ritorno degli emigranti nelle zone di esodo, Milano, Officina, 1977 e Francesco Paolo Cerase, L’onda di ritorno: i rimpatri, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 113-125.

5

È importante ricordare che l’emigrazione nei paesi europei non è affatto terminata con la metà degli anni Settanta, anzi è continuata e continua ancora oggi, con caratteristiche nuove rispetto al passato, ma anche con alcune costanti che sembrano immutabili nel tempo.

6

Per la nuova emigrazione italiana in Germania, cfr. Maximiliane Rieder, Migrazione ed economia. L’immigrazione italiana verso la Germania occidentale dopo la seconda guerra mondiale, “Studi Emigrazione”, 155 (2004), pp. 633-654. Sulle dinamiche relative all’associazionismo si vedano: Ulrike Schoeneberg, Partecipation in ethnic associations: the case of immigrants in West Germany, “International Migration Review”, 19 (1985), pp. 416-437; Paolo Borruso, Le organizzazioni per l’assistenza sociale e religiosa degli degli emigrati italiani in Germania negli anni cinquanta e sessanta, in L’emigrazione tra Italia e Germania, a cura di Jens Petersen, Manduria, Lacaita, 1993, pp. 180-197.

7

Cfr. Angelo Trento, Le associazioni italiane a Sao Paulo, 1878-1960, in Asociacionismo, trabajo e identidad etnica, a cura di Fernando Devoto ed Eduardo J. Míguez, Buenos Aires, Cemla-Cser-Iehs 1992; Alicia Bernasconi, Le associazioni italiane nel secondo dopoguerra. Nuove funzioni per nuovi immigrati?, in Identità degli italiani in Argentina, a cura di Gianfausto Rosoli, Roma, Studium, 1993.

8

La presenza di un movimento rotatorio così costante e rilevante ha introdotto nel dibattito scientifico l’ipotesi che, per i flussi europei del secondo dopoguerra, occorra parlare di intensa mobilità di manodopera piuttosto che di vera e propria emigrazione.

9

Il monitoraggio è stato effettuato attraverso la somministrazione di un questionario a cura degli uffici consolari di ogni circoscrizione. Ogni associazione era invitata a segnalare, oltre i dati essenziali, anche il giorno di fondazione, il numero dei soci iscritti, le finalità statutarie, le specifiche attività svolte, le pubblicazioni curate. Per seguire il monitoraggio costante del Ministero degli Affari Esteri si vedano: Ministero degli Affari Esteri, Comunità italiane nel mondo, Roma, Fratelli Palombi, 1988; Ministero degli Affari Esteri-Direzione Generale Emigrazione e Affari Sociali, Associazioni italiane nel mondo, Roma, MAE, 1972; Ministero degli Affari Esteri-Direzione Generale Emigrazione e Affari Sociali, Associazioni italiane nel mondo, Roma, MAE, 1973; Ministero degli Affari Esteri-Direzione Generale Emigrazione e Affari Sociali, Associazioni italiane nel mondo, Roma, MAE, 1980; Ministero degli affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1964, Roma, MAE, 1965; Ministero degli affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1971, Roma, MAE, 1972; Ministero degli affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1974, Roma, MAE, 1975.

10

I dati sugli italiani residenti rielaborano quelli dell’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e delle anagrafi consolari. Sui flussi più recenti di emigrazione italiana e l’effettiva consistenza delle comunità italiane nel mondo cfr. Alberto Colaiacomo e Franco Pittau, Gli italiani nel mondo: consistenza e flussi, “Studi emigrazione “, 146 (2002), pp. 478-488.

11

Ogni associazione nel rispondere ai quesiti del Ministero può indicare più finalità di riferimento.

12

Sui rapporti tra il fascismo e le comunità italiane all’estero cfr. Il fascismo e gli emigrati, a cura di Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Roma-Bari, Laterza, 2003. Più in generale sulla propaganda all’estero del regime, cfr. Benedetta Garzarelli, Parleremo al mondo intero. La propaganda fascista all’estero, Alessandria, Edizioni dell’orso, 2004.

13

Sui primi dieci anni di emigrazione post-bellica, per un quadro complessivo, cfr. Andreina De Clementi, Curare il mal di testa con le decapitazioni? L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. I primi dieci anni, “‘900. Per una storia del tempo presente”, 8-9 (2003), pp. 11-28.

14

Sulla riorganizzazione delle missioni cattoliche in Europa dopo la seconda guerra mondiale, cfr. Paolo Borruso, Missioni cattoliche ed emigrazione italiana in Europa (1922-58), Roma, Istituto storico scalabriniano, 1994.

15

Giovanna Meyer Sabino, In Svizzera, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, II Arrivi, Roma, Donzelli, 2002, p. 153. Si veda anche Delia Frigessi Castelnuovo, Elvezia, il tuo governo. Operai italiani emigrati in Svizzera, Torino, Einaudi, 1977.

16

Cfr. su un caso specifico, I campani e gli italiani nel mondo. Il lavoro, le associazioni, la doppia appartenenza, a cura di Francesco Carchedi, Roma, Ediesse, 2004, che dedica molto spazio all’associazionismo tra gli emigrati campani. Sulla ridefinizione complessiva del tessuto associativo: L’emigrazione italiana nelle prospettive degli anni ottanta, atti della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione (Roma, 24 febbraio-1 marzo 1975), Roma, Tip. Rinascimento, 1975; Regione Lazio, Giunta Regionale (1980), 1ª Conferenza Regionale dell’emigrazione e dell’immigrazione. Atti del convegno. 20-21-22 marzo 1980, Roma – Palazzo dei Congressi, Roma 1980; Gianfausto Rosoli (a cura di), L’associazionismo degli emigrati e la promozione delle istanze sociali e culturali, a cura di Gianfausto Rosoli, “Dossier Europa Emigrazione”, 20, 3 (1995); Associazione Nazionale Emigrati ed ex-Emigrati in Australia e Paesi Transoceanici, Migranti e Regioni, atti del convegno per la settima giornata dei migranti, Castelfranco Veneto, 2 settembre 1984, Rubano, ANEA, 1984; 1981-1984. Le idee, le iniziative, le lotte della Filef dal 6º al 7º congresso. Raccolta di articoli, saggi, documenti tratti dalla rivista mensile “Emigrazione Filef”, a cura di Vittorio Bigiaretti, Roma, FILEF, 1984; Antonio Denisi, (a cura di), L’emigrazione calabrese negli anni ’80. Contributo alla I Conferenza Calabrese dell’emigrazione, a cura di Antonio Denisi, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 1983; Graziano Tassello, Direttorio dell’associazionismo religioso in emigrazione, Roma, Fondazione Migrantes, 1999; Calogero Di Gesù, Le maggiori tematiche dell’emigrazione italiana dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, “Affari Sociali Internazionali”, 28, 4 (2000), pp. 11-39; Elio Pastorino, Incontro sui problemi attuali dell’emigrazione italiana, “Affari Sociali Internazionali”, 20, 2 (1992), pp. 77-95.

17

Sui nuovi approcci verso le comunità italiane cfr. Mariella Guidotti, La risorsa emigrazione, “Studi Emigrazione”, 146 (2002), pp. 489-502.

18

Al riguardo si rimanda a Michele Colucci, L’associazionismo di emigrazione nell’Italia repubblicana, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, cit., pp. 415-429.

19

Franco Ramella, Immigrazione e traiettorie sociali in città: Salvatore e gli altri negli anni sessanta, in L’Italia delle migrazioni interne. Donne, uomini, mobilità in età moderna e contemporanea, a cura di Angiolina Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli, 2003, p. 385.

20

Fonte delle tabelle: rielaborazione dati contenuti in Ministero per gli Affari Esteri, Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, Associazioni italiane nel mondo, cd-rom distribuito in occasione della Prima conferenza degli italiani nel mondo, Roma, 2000.

21

In occasione del rilevamento dei dati ogni associazione poteva dichiarare diverse finalità, per questo la somma del totale delle associazioni divise per finalità è superiore alla somma delle associazioni.