La comunità italiana in Brasile tra gli anni trenta e gli anni quaranta
Negli anni trenta giungono dall’Italia tra i 1.000 e i 1.700 immigrati, cifre che non bastano a sopravanzare i rientri, cosicché gli effettivi della comunità italiana scendono da 435.000 nel 1930 a 325.000 nel 1940. Nel decennio successivo poi la guerra e il secondo doloroso dopoguerra impediscono un’immediata ripresa dei flussi migratori. D’altra parte la crisi dell’economia brasiliana è accompagnata da quella politica e il paese non sembra offrire speranze di un facile inserimento.
Al termine degli anni venti la vecchia oligarchia è infatti in difficoltà, mentre si accentuano gli scontri tra il personale politico, amministrativo e militare e s’inaspriscono i contrasti tra i singoli stati. Nel 1930 Julio Prestes, candidato della previa amministrazione, vince le elezioni presidenziali contro Getulio Vargas, governatore dello stato del Rio Grande do Sul e rappresentante di un nuovo movimento politico, Alliança Liberal. La vittoria è, però, frutto di brogli elettorali e i seguaci di Vargas depongono il presidente, sostituendolo con il loro leader. Si tratta di una sorta di seconda rivoluzione che viene confermata dalle elezioni del 1934. A questo punto Vargas promulga una nuova costituzione, che rafforza il potere del governo federale e che gli permette di eliminare l’opposizione e di riorganizzare il paese come uno stato corporativo, simpatizzante con Italia e Germania.
Alla fine il regime di Vargas è costretto a schierarsi a fianco degli Stati Uniti contro l’Asse, come del resto avviene anche in altri paesi dell’America Latina, ma non muta le proprie caratteristiche nonostante che i tempi non gli siano più così favorevoli. Nel 1945 una forte mobilitazione spinge i militari ad indurre Vargas a dimettersi e a sostituirlo con il generale Enrico Gaspar Dutra, già suo ministro della guerra. L’ex presidente resta tuttavia nell’arena politica come senatore. Due anni dopo il governo sopprime il partito comunista, ma non riesce a pacificare il paese.
Le convulsioni politiche brasiliane, unite al restringimento delle entrate, pesano sulla comunità italiana. Questa, per esempio, paga la politica estera di Vargas, che nel 1942 proibisce l’uso, persino a casa, delle lingue dell’Asse. Inoltre negli anni trenta esplodono le divisioni generate dalla questione fascista.
Nel decennio precedente gli italiani in Brasile si erano sostanzialmente disinteressati di quanto accadeva nella Penisola, nonostante la creazione sin dal 1923 di fasci brasiliani. Dopo il 1930 il regime di Mussolini penetra invece tra gli strati superiori della comunità emigrata e ottiene progressivamente il controllo della stampa italiana. Tuttavia la scelta stessa del personale dei fasci e di quello dei consolati, spesso volta a premiare l’impegno propagandistico senza alcun criterio qualitativo, non permette alla propaganda fascista di avere un’ampia adesione di massa: al sedicesimo anniversario della fondazione del fascio di San Paolo partecipano meno di duemila persone. Inoltre il tentativo dei consoli fascisti di impadronirsi delle associazioni italiane provoca, almeno inizialmente, un moto di ripulsa, in particolare da parte di quelle a base regionale che vogliono mantenere le proprie caratteristiche, anche contro una generica italianità.
In ogni caso la presenza dei fasci e il nuovo orientamento della stampa italiana moltiplica le divisioni all’interno della comunità e la espone alla critica della società ospite. Gli scontri tra italiani e la loro divisione per linee politiche e sociali violentemente contrapposte sono infatti biasimati dai giornali brasiliani. Questi inoltre, pur essendo genericamente favorevoli al regime fascista in Italia, temono che i suoi rappresentanti moltiplichino in Brasile i richiami all’italianità degli emigrati, contrastando così la politica di Vargas tendente ad amalgamare la popolazione brasiliana.
In effetti, al di là delle divisioni politiche, la comunità italiana in Brasile ha un forte senso delle proprie origini: nel 1940 pochissimi, soltanto un decimo, sono naturalizzati. In compenso molti parlano ormai correntemente il brasiliano e si sono adattati alla cultura locale, tranne che in alcune aree della frontiera agricola. L’omogeneità e il mantenimento delle radici italiane in queste situazioni sono probabilmente dovuti al forte invecchiamento della comunità. Questa infatti è composta per oltre i due terzi da immigrati di prima generazione, che hanno più di cinquanta anni. I più giovani, in particolare se maschi, iniziano invece negli anni trenta a sposarsi con brasiliane o con donne di altri gruppi immigrati, rinunciando a un’endogamia d’altra parte ormai difficile da conservare, anche se la comunità è abbastanza equilibrata nel rapporto tra i sessi (91 donne per ogni 100 maschi).