Vittorio Cappelli, Nelle altre Americhe. Calabresi in Colombia, Panamá, Costa Rica e Guatemala, Doria di Cassano Jonio (CS), La mongolfiera, 2004, 255 pp.
Il bel libro di Vittorio Cappelli ci introduce ad una storia poco frequentata, e cioè quella dell’emigrazione italiana verso, appunto, le “altre Americhe” del titolo che, forse sopraffatti dai fiumi di inchiostro versato sui flussi verso il Brasile e l’Argentina, veri paradigmi dell’emigrazione italiana in America latina, abbiamo a torto tralasciato di approfondire.
Dopo una panoramica, a mo’ di premessa, sulla storia della presenza italiana nei paesi latinoamericani meno interessati dai flussi migratori italiani (sostanzialmente già pubblicata in Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli Editore, 2002, pp. 97-109), l’autore analizza l’emigrazione dalla Calabria, e in particolare da Morano Calabro e dal circondario del Pollino, verso la Colombia, il Costa Rica, il Guatemala e Panamá (e, brevemente, anche verso il Brasile, con il caso di Porto Alegre nel Rio Grande do Sul). Il risultato è sorprendente e rivela da una parte una precocità dell’emigrazione (ultimo ventennio dell’Ottocento) che sfata, almeno per l’area presa in esame, il luogo comune storiografico che vuole le partenze dal Sud iniziare tardivamente rispetto a quelle dal Nord, e dall’altra una spiccata predilezione dei calabresi per mete “alternative” rispetto agli approdi tradizionali delle correnti migratorie nostrane. Tali flussi mostrano inoltre tratti del tutto peculiari, quali la “consistenza di sbocchi sociali medio-alti, il prevalente carattere definitivo dell’emigrazione [anche se non mancano i percorsi circolari che confermano la limitatezza della visione dell’emigrazione come un percorso a senso unico] e la connessa e larga presenza femminile, una particolare vivacità associativa degli immigrati e la presenza, in qualche caso, di una componente politica socialista e antifascista, intrecciata alle catene parentali e paesane” (p. 15).
È la ricerca di regioni e realtà urbane dove sia “più facile farsi strada”, a far scegliere agli emigranti calabresi piste poco battute dagli altri italiani. In Colombia, ad esempio, alcune centinaia di calabresi (Morano, Scalea) si insediano verso la fine dell’Ottocento a Barranquilla, dinamica cittadina costiera in forte espansione. Troviamo gruppi di calabresi anche nei maggiori centri del Panamá, del Costa Rica e del Guatemala. Dappertutto le comunità italiane, pur numericamente contenute (ma sempre percentualmente significative rispetto alla popolazione totale), ricoprono nel volgere di pochi anni ruoli economici e sociali rilevanti dando un importante contributo alla modernizzazione delle loro patrie d’adozione. Sono diversi i calabresi che operano nei commerci, nelle costruzioni e nei trasporti. Molti sono anche quelli che aprono fabbriche, alberghi e ristoranti. Esempi lampanti della falsità degli stereotipi negativi che circolano sulla figura dell’emigrante meridionale, considerato scarsamente intraprendente.
Tra i flussi calabresi studiati, il caso dell’emigrazione moranese si segnala per il fortissimo legame sentimentale e soprattutto politico che molti moranesi intrattengono con il paese d’origine. Strettissimi sono infatti i rapporti con il circolo socialista di Morano (fondato nel 1894). Gli emigranti sostengono, anche finanziariamente, le sue campagne (amministrative del 1914), e il suo periodico “Vita Nuova” (pubblicato a partire dal 1913) viene letto avidamente oltreoceano. Negli anni del Fascismo non si assiste a smottamenti verso la nuova ideologia, ma, al contrario, ad una tenuta dell’imprinting socialista (con declinazioni diverse a seconda dei contesti d’inserimento). Cappelli individua la causa di questo legame nella funzione emancipatoria del circolo socialista, che, in un momento di congiuntura protezionista (dazi sui cereali che aumentano il costo della vita) e di crescita demografica a cui non corrisponde un adeguato sviluppo dell’economia locale, accompagna, soprattutto nel vivace ceto artigiano moranese, una trasformazione della mentalità individuale e collettiva, che mette in discussione l’opprimente status quo sociale e i ruoli tradizionali (ma non quello della donna), e si traduce in entusiasmo per l’emigrazione e per le sue opportunità. “L’originalità dell’emigrazione transoceanica moranese” nasce, per l’autore, proprio da questo “intreccio tra artigianato migrante e iniziativa socialista”. Altrove infatti, è spesso la comunità religiosa a fare da ponte tra le realtà di partenza e quelle di arrivo.
Il libro termina con un corposo dizionario storico-biografico di emigranti calabresi stabilitisi nelle “altre Americhe” del titolo. Oltre a far luce dunque su storie ingiustamente poco note, l’autore, con la sua attenzione per i percorsi di piccoli gruppi e a volte di singoli individui, dischiude al lettore aspetti e sfaccettature dell’emigrazione italiana che la macrostoria non sempre riesce a registrare o che comunque non riescono mai a raggiungere il lettore con quella nitidezza che ritroviamo nella presente opera.