L’Hospedaria de Imigrantes di São Paulo è uno dei luoghi simbolo delle migrazioni nelle Americhe. Come Ellis Island per gli Stati Uniti, Pier 21 per il Canada, l’Hotel de Inmigrantes per l’Argentina – solo per citare i più noti punti di approdo dei piroscafi carichi di emigranti – l’Hospedaria ha rappresentato per chi arrivava in Brasile una delle principali porte d’ingresso, una delle porte per l’America. A volte solo per alcuni giorni, a volte per intere settimane, le sale dell’Hospedaria hanno ospitato nel corso di novant’anni quasi due milioni di persone – in maggioranza italiani – di oltre settanta nazionalità diverse dell’Europa, dell’Asia e del Medio Oriente. Se a questi si aggiungono i migranti interni, oltre un milione in gran parte in arrivo dagli stati del Nord–Est, arriviamo a più di tre milioni di persone, tre milioni di schegge di storia delle migrazioni in Brasile.
Costruita fra il 1886 e il 1887 nel quartiere Brás e inaugurata nel 1888, è rimasta attiva fino al 19781. Le sue funzioni erano quelle tipiche delle altre istituzioni simili presenti lungo le coste orientali delle Americhe o in altri stati brasiliani: ufficialmente si occupava della prima accoglienza e dell’espletamento delle formalità burocratiche e sanitarie, in pratica fungeva da primo filtro selettivo dei nuovi arrivati. Ma a differenza di tutte le altre, l’Hospedaria è l’unica che non sia stata costruita all’interno di un porto, anche se era collegata direttamente a Santos dalla ferrovia. I treni che risalivano dal porto di Santos sull’altipiano paulista trasportavano i migranti fino all’Hospedaria, dove avveniva lo smistamento della mano d’opera necessaria al lavoro nelle fazendas, le grandi aziende agricole dedite alla coltivazione del caffè. La particolarità dell’Hospedaria risiede nella sua relazione con il mondo della produzione del caffè: è stata infatti voluta e costruita per i nuovi “baroni del caffè” dello stato di São Paulo. L’Hospedaria è, in un certo senso, la rappresentazione concreta del potere economico e del peso politico che quella classe di proprietari terrieri – i fazendeiros –, di recente formazione, aveva acquisito nello stato di São Paulo e nell’intero paese. Anche a Santos esisteva un’Hospedaria ma, da quando vennero completati i lavori di costruzione della ferrovia, gli immigrati appena sbarcati venivano trasportati direttamente a São Paulo, al centro del crocevia dove, in direzione della costa, si smistava il caffè da imbarcare per l’Europa e, verso l’interno, si doveva indirizzare la mano d’opera in arrivo. Santos sarebbe stata troppo lontana e dispersiva rispetto agli interessi dei fazendeiros.
Lo sviluppo della regione era basato su di un sistema produttivo a dir poco primitivo: si lavorava con lo sfruttamento intensivo della terra che una volta rimasta improduttiva veniva abbandonata. L’intera struttura che ruotava attorno alla produzione del caffè era praticamente ferma nel tempo. Il fronte del caffè avanzava verso l’Ovest paulista all’inseguimento della terra roxa2 a colpi di fiammifero – per dirla con Warren Dean, non esisteva “miglior attrezzo che la scatola di fiammiferi per iniziare una piantagione di caffè” 3 – ma i simboli dello sviluppo di quel periodo erano i piroscafi e le ferrovie, ossia dei concentrati di modernità. Il paradosso del sistema che ruotava intorno all’universo del caffè è dato proprio da questa commistione fra un processo, un sistema di produzione e di relazioni sociali di tipo semi–feudale e l’uso di infrastrutture e mezzi per la distribuzione dei prodotti ed il reclutamento della manodopera che, in quanto prodigi della più avanzata tecnologia, rappresentavano simbolicamente il progresso e la modernizzazione che avanzavano in tutto il mondo. Transatlantici e strade di ferro: il caffè scendeva dalla Serra do Mar fino al porto di Santos per essere imbarcato e attraversare l’Oceano, le navi lasciavano gli ormeggi cariche di sacchi di caffè e ritornavano cariche di braccia per le fazendas. Le compagnie di navigazione accumulavano così profitti eccezionali, il caso italiano è ben noto: con i noli che hanno incassato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento secolo è stata finanziata la conversione dalla vela al vapore di gran parte della flotta nazionale4. Sull’altra sponda i fazendeiros si consolidavano come la nuova classe dirigente di un paese che vedeva definitivamente trasferito il proprio baricentro economico dal Nord e Nord–Est dello zucchero al Sud–Est del caffè, propiziando un boom economico che avrebbe innescato un’industrializzazione accelerata, le cui ripercussioni si sarebbero in poco tempo ampliate fino a trasformare la zona urbana di São Paulo nella principale metropoli del colosso do Sul.
La costruzione dell’Hospedaria è stata finanziata dallo stato di São Paulo con i fondi raccolti grazie a una legge del 1884. Questa aveva istituito una tassa che i proprietari dovevano pagare per ogni schiavo impiegato nel lavoro dei campi. In sostanza il denaro pagato per ogni schiavo ha reso possibile la costruzione della struttura adibita all’accoglienza di coloro i quali li avrebbero sostituiti. Ciò che più appare significativo è che l’Hospedaria funzionava non solo come centro di smistamento ma come un mercato della forza lavoro, in cui i fazendeiros potevano andare a scegliere il lavoratore che preferivano contrattandolo direttamente: in buona misura i fazendeiros avevano riprodotto qualcosa di terribilmente simile ai mercati in cui abitualmente, fino a poco tempo prima, andavano a comprare gli schiavi, mettendo a nudo quanto poco si fossero modificati l’approccio e le modalità di reclutamento della mano d’opera5. Non è un caso che fin dai primi anni di funzionamento si siano verificati episodi di disordini e tumulti – seguiti, non di rado, a provvedimenti di espulsione – dovuti alle pessime condizioni delle sistemazioni e ai metodi di coercizione e controllo che facevano dell’Hospedaria qualcosa che assomigliava più ad una prigione dalla quale si poteva scappare solo firmando un contratto di lavoro per una fazenda. Nel 1906, anche in seguito a lamentele e rimostranze delle rappresentanze diplomatiche dei paesi di provenienza e a provvedimenti tendenti a proibire l’emigrazione sussidiata adottati dai rispettivi governi, venne fatta una prima ristrutturazione che, fra l’altro, finalmente dotò l’Hospedaria di un dormitorio con brande di tela, evitando che i migranti fossero costretti a dormire per terra. E moltissimi dei migranti che sono passati per l’Hospedaria erano ovviamente italiani perché, come scriveva il “Fanfulla”, – il più diffuso giornale in lingua italiana pubblicato a São Paulo – “chi non sa, ormai, che nei limiti dello Stato di São Paulo vivono circa un milione di figli d’Italia? Basta enunciare questa cifra perché anche colui che non conosce affatto la nostra storia coloniale intuisca subito l’enorme importanza di una simile folla in mezzo ad una popolazione che non oltrepassa i tre milioni e mezzo” 6.
Nel 1982 l’edificio dell’Hospedaria è stato catalogato come patrimonio storico della città e dal 1986 ha iniziato a funzionare al suo interno un Centro Histórico do Imigrante che, dopo successive modificazioni, viene istituzionalizzato come Memorial do Imigrante nel 19987.
Frutto di oltre novant’anni di attività, la documentazione conservata presso il Memorial riveste, per mole e varietà, un notevole interesse storico. Le attività svolte quotidianamente presso l’Hospedaria erano rivolte alla redazione dei Registri degli immigranti che venivano ospitati. Nazionalità, professione, origine, destinazione, religione, sesso, grado d’istruzione, stato civile, composizione familiare, ecc. sono le informazioni che venivano raccolte durante la permanenza dei migranti. Oggi, attraverso il sito del Memorial (www.memorialdoimigrante.sp.gov.br) è possibile accedere a una banca dati contenente nome, data d’arrivo e nazionalità di tutti i migranti registrati in entrata, per un totale di circa un milione di records.
Oltre ai registri dell’Hospedaria – 109 libri dal 1882 (sono compresi anche i Registri dell’Hospedaria di Bom Retiroche veniva usata prima dell’avvio di quella del Brás ben più capiente; fino a 4.000 ufficialmente, che spesso diventavano anche 10.000) al 1930 – quasi tutti digitalizzati, l’archivio si compone di serie documentali di grande interesse quali: le liste di bordo con i dati di coloro i quali arrivavano (1888-1978) o partivano (dagli inizi del Novecento fino agli anni Cinquanta) da Santos; le pratiche amministrative della Secretaria de Agricoltura concernenti la politica e gli atti per il reclutamento della mano d’opera, per la colonizzazione delle terre dello stato, la fondazione di nuove colonie agricole, gli atti finalizzati al loro supporto, fiscalizzazione e controllo.
Sono state conservate anche circa 3.000 schede individuali del Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (CIME), un istituto che nel secondo dopoguerra si è incaricato del reclutamento di mano d’opera qualificata per l’industria e le manifatture. Si tratta di un fondo che documenta una fase delle migrazioni transoceaniche ad oggi ancor poco studiata. Dal 1947 agli inizi del decennio successivo si è verificata una netta prevalenza di rifugiati di guerra; in seguito e fino agli anni Settanta sono stati reclutati lavoratori specializzati di diverse nazionalità, ma prevalentemente italiani, spagnoli, tedeschi e giapponesi. È appena stata conclusa l’informatizzazione dei dati delle schede individuali del CIME che saranno disponibili in CD–Rom entro la fine dell’anno.
Un’altra serie significativa è quella dei Documenti Personali nella quale si trovano passaporti, lasciapassare, libretti di lavoro, liste di bagagli e lettere di chiamata. Solo quest’ultime – che oggi verrebbero chiamate “ricongiungimenti familiari” – sono costituite da cinque scatole (suscettibili di aumenti in quanto la catalogazione è tutt’ora in corso) per un totale di oltre mille carte (dal 1911 al 1927) che comprendono sia atti di chiamata o documenti sostitutivi rilasciati da consolati, comuni ed altri enti preposti, sia lettere private che venivano usate come certificazione della presenza di familiari disposti a mantenere i nuovi arrivati8. Questa serie di documenti offre la possibilità di una lettura dal basso del processo migratorio, gettando luce sui meccanismi di funzionamento e sulle strategie messe in atto dai migranti attraverso quelle che appaiono come delle reti transnazionali che possono in questo caso essere studiate in un’ottica non vincolata a un solo gruppo etnico e nelle loro interazioni con il tessuto della società paulista.
Opera di fotografi anonimi, è disponibile anche un cospicuo fondo fotografico che copre un arco cronologico che va dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta, offrendo un registro iconografico delle diverse fasi del processo migratorio: l’imbarco nel paese d’origine, la traversata ma soprattutto gli sbarchi a Rio de Janeiro, Santos, la vita all’interno dell’Hospedaria e foto del lavoro nelle fazendas e in ambito urbano, dal commercio ambulante al lavoro di fabbrica. Si tratta di serie iconografiche che risentono fortemente della committenza, ma meriterebbero uno studio approfondito. Potrebbero infatti offrire non pochi spunti di riflessione sulle politiche migratorie messe in atto nello stato di São Paulo. Inoltre, un gruppo di ricercatori ha dato vita ad un settore del Memorial dedicato alla storia orale: tale settore ormai dispone non solo di storie di vita e interviste orali (le cui trascrizioni sono consultabili presso la biblioteca) ma anche di una sezione di documentari e testimonianze su supporti audiovisivi, che si sta arricchendo con il contributo dei materiali raccolti per organizzare esposizioni tematiche. In ultimo è consultabile una sezione cartografica che comprende mappe e carte dei nuclei coloniali, delle fazendas, della stessa Hospedaria, carte topografiche dello stato, ecc. In appoggio all’archivio, è stata organizzata e messa a disposizione dei ricercatori una biblioteca specializzata sulle migrazioni interne e internazionali che al momento non può ancora offrire un catalogo abbastanza completo, ma è in corso di ampliamento.
Note