Sicilians in Tampa: Unfolding the Journey, convegno 11 – 12 luglio 2008 e mostra 29 marzo – 31 dicembre 2008, Tampa, FL
Meta in particolare di siciliani originari soprattutto di una ristretta area incentrata sui villaggi di Santo Stefano Quisquina, Alessandria della Rocca, Bivona e Cianciana nella provincia di Agrigento, il distretto di Ybor City a Tampa in Florida è stato teatro di una delle esperienze più singolari dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti. Il radicalismo politico e sindacale – retaggio dei fasci siciliani, ai quali numerosi pionieri della comunità avevano aderito prima di essere costretti a lasciare l’isola a causa della repressione crispina – facilitò l’interazione con gli altrettanto battaglieri spagnoli e cubani, con cui gli italiani si trovarono a condividere il lavoro nelle manifatture di sigari, e agevolò la conseguente elaborazione di una comune identità e cultura “latina” nel corso del primo ventennio nel Novecento.
A queste vicende la Ybor City Museum Society ha dedicato un convegno, organizzato da Tomaro Taylor della University of South Florida, e una mostra temporanea, allestita da Lucy D. Jones. Nonostante siano state dettate dal medesimo intento celebrativo, le due iniziative si sono connotate per approcci e contenuti diversi.
La prolusione di Gary Ross Mormino ha ripercorso la storia della comunità siciliana di Ybor City, sulla falsariga delle conclusioni delle ricerche condotte con George E. Pozzetta e pubblicate nel volume The Immigrant World of Ybor City. Italians and Their Latin Neighbors in Tampa, 1885-1985 (Urbana, University of Illinois Press, 1987). Mormino si è soffermato su alcuni snodi significativi di tali vicende: la scelta delle piantagioni di canna da zucchero nella vicina St. Cloud dove i primi siciliani si insediarono negli anni Ottanta dell’Ottocento per poi cominciare a trasferirsi a Tampa alla fine del decennio; l’iniziale impiego degli immigrati nelle manifatture di sigari come addetti alle pulizie e il successivo apprendistato per essere inseriti nella lavorazione vera e propria del tabacco monopolizzata in origine da spagnoli e cubani; la forte presenza di donne nell’industria dei sigari e la loro stabilità in questa occupazione, a differenza della componente maschile della comunità che la considerò come un lavoro a tempo determinato per raccogliere i capitali necessari ad aprire negozi e costituire ditte di servizi per la propria collettività; l’intensa militanza sindacale che portò siciliani, spagnoli e cubani a unire le proprie forze per avanzare le loro rivendicazioni e resistere alla violenta risposta degli imprenditori fino al punto da superare le differenze nazionali per dare vita a una comunità “latina”; la decadenza di quest’ultima a partire dalla crisi dell’industria dei sigari durante la depressione economica degli anni Trenta e alla trasformazione di Ybor City in un ghetto afro-americano nel secondo dopoguerra.
La questione dell’identità è stata ripresa dalla relazione di Denise Scannell. A suo giudizio, i figli degli immigrati siciliani avrebbero denotato un duplice senso dell’appartenenza a seconda del diverso contesto in cui costoro si trovavano: un’identità siciliana nell’intimo dell’isolamento della famiglia e una “latina” – segnata dall’apprendimento dello spagnolo prima dell’inglese – in risposta alla discriminazione subita dai membri di ceppo anglo-sassone della società statunitense. Con la terza generazione, invece, si sarebbe manifestata una progressiva scomparsa di tale dualismo etnico a beneficio dell’emergere di una più generica coscienza di appartenenza alla razza bianca, sebbene per alcuni nipoti e bisnipoti degli immigrati della fine dell’Ottocento non si possa parlare di americanizzazione piena perché il permanere di stereotipi come quello dell’italiano mafioso provocherebbe una rivitalizzazione dell’identità siciliana e “latina”.
Il cibo e il mutare delle pratiche alimentari come manifestazione dell’identità etnica e del suo costante processo di rinegoziazione sono stati al centro degli interventi di Andrew Huse e Patrizia La Trecchia. Il primo si è soffermato sul lento affermarsi di ristoranti italiani a Tampa e sull’adozione di menù sincretici da parte loro come ulteriore riflesso della maturazione di una cultura “latina” a Ybor City. La seconda ha generalizzato le considerazioni di Huse sul cibo quale forma di autorappresentazione identitaria, utilizzando il cortometraggio Italianamerican (1974) del regista Martin Scorsese come caso studio. Infine, chi scrive ha ricostruito il linciaggio degli immigrati siciliani Angelo Albano e Castenzio (alias Costanzo) Ficarotta, avvenuto nel 1910 a Tampa nel corso di uno sciopero degli addetti delle manifatture di sigari, attraverso i resoconti della stampa italo-americana per analizzare quale significato ebbe questo episodio sanguinoso per la militanza sindacale e per la collocazione degli immigrati italiani nella gerarchia razziale degli Stati Uniti.
Rispetto al convegno, gli aspetti della combattività dei siciliani di Tampa nei rapporti di lavoro sono, invece, andati in parte perduti nella mostra. Collocata all’interno dello Ybor City State Museum, ricavato nell’edificio che nel 1896 era stato il panificio dell’immigrato siciliano Francesco Ferlita, l’esposizione si è articolata in sei pannelli illustrati, accompagnati da una serie di foto del primo Novecento e di certificati di nascita e di naturalizzazione. La didascalica rappresentazione dell’immigrazione dalla Sicilia in termini di fattori economici espulsivi e attrattivi, di condizioni lavorative a Tampa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e di odierna situazione di quanto resta della comunità non ha lasciato spazio adeguato alle tensioni sociali che hanno attraversato Ybor City. Per esempio, l’associazionismo è stato colto solo nella dimensione del mutuo soccorso e non nella sfera del sindacalismo. Anzi dal confronto con il caso dei rivoluzionari e degli indipendentisti cubani, mostrato nell’allestimento permanente del museo, è scaturita un’immagine pacificata e pacificatrice della comunità siciliana. Eppure, a solo pochi isolati dal museo, all’angolo della 7th Avenue con la 17th Street, una placca commemorativa ricorda il luogo dove, alla fine dell’Ottocento, l’esule garibaldino Orestes Ferrara arringava i profughi cubani affinché insorgessero per l’indipendenza della loro isola dalla Spagna prima di prendere parte egli stesso alla guerra ispano-americana del 1898 a fianco dei ribelli. La mostra ha così finito per offrire una dimostrazione tangibile di quella progressiva scomparsa del radicalismo italo-americano dalla memoria storica di cui alcuni studiosi hanno avuto in passato motivo di dolersi (cfr., ad esempio, The Lost World of Italian American Radicalism: Politics, Labor, and Culture, a cura di Philip V. Cannistraro e Gerald Meyer, Westport, CT, Praeger, 2003).