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Risorgimento in Exile. Italian Émigrés and the Liberal International in the Post-Napoleonic Era

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Salfi ha un suo spazio specifico, quale cerniera intellettuale fra i decenni rivoluzionari e quelli della restaurazione, anche nel volume di Isabella. Quest’ultimo infatti dedica il suo libro alle idee. Anzi, per essere più precisi e come è dichiarato sin dalla prima pagina, lo dedica ad esplorare l’esilio come esperienza intellettuale. Vuole infatti ricostruire come tale esperienza abbia suggerito a un certo numero di esuli l’elaborazione di una posizione moderata, ispirata cioè a dei criteri liberali e federalisti e quindi del tutto lontana dai fervori bonapartisti. Con questo obiettivo Isabella si muove in un modo a tratti molto irritante per lo storico dell’emigrazione. Basti pensare che laddove noi cercheremo dati sui movimenti e sui nuclei degli esuli, Isabella si limita ad annotare che dovevano essere alcune centinaia.

In realtà, come ricordato, per lui non esiste un problema numerico perché pochi o molti che fossero essi formavano comunque “a republic of letters” (p. 23) – curiosa citazione implicita del fortunato libro di Hans Bots e Françoise Waquet (La République de Lettres, Paris, Bélin-De Boeck, 1997), i quali vedevano, però, la fine di simili fenomeni proprio con la Rivoluzione francese. Più specificamente Isabella s’interessa all’elaborazione “transnazionale” di un’ideologia liberale, che nasce dalle ceneri delle precedenti esperienze illuministe e bonapartiste (di qui l’analisi di Salfi, già rammentata). Anche qui bisogna tener conto che i suoi scopi e il suo uso della terminologia non sono quelli di uno studioso di fenomeni migratori e quindi quanto chiama transnazionalismo non è quello per il quale ci si scontra sulle riviste della nostra area. Sostanzialmente è invece l’elaborazione in vari contesti e a causa di essi di una ideologia condivisa da una parte della leadership culturale primo risorgimentale.

L’andare e venire di alcuni fra le centinaia di emigrati, menzionati più sopra, è catturato dunque attraverso il loro commento ad alcune specifiche situazioni: la Spagna del 1820-1821, l’America latina e soprattutto il Messico nella fase delle guerre d’indipendenza, la Grecia in lotta contro l’impero turco, infine l’Inghilterra, cui è dedicata tutta la seconda parte del volume. Le reazioni dei singoli e i loro scambi epistolari, nonché tutta una più vasta produzione giornalistica e letteraria, servono allora a tarare i concetti che potevano innervare la lotta per l’indipendenza e l’unificazione delle varie realtà italiane. Le sconfitte e gli eccessi (i leader divenuti dittatori oltreoceano) servono allora a ridefinire i propri obiettivi e spingono a condividere al di là dei confini e degli oceani le proprie riflessioni. S’inventa allora un’immagine nuova di cosa è l’Italia e di cosa dovrà essere, inoltre si tenta d’imporla agli altri europei, iniziando a demolire i secolari pregiudizi anti italiani.

Il libro è molto compatto e, per quanto avulso da riflessioni sul background migratorio, piuttosto interessante. Rivela infatti come e perché cambiarono le proprie idee coloro che migrarono fra il 1815 e il 1821 per ragioni politiche. La narrazione s’interrompe, però, agli inizi degli anni 1830 e quindi prende in considerazione soltanto alcune esperienze e una sola fase delle migrazioni risorgimentali.