Salvatore Palidda e Matteo Sanfilippo
Emigrazione italiana, criminalità e criminalizzazione:
alcune note introduttive
Da qualche tempo la nostra rivista è criticata
per l’approccio esclusivamente storico alle
migrazioni italiane e per lo scarso spazio offerto
alle altre discipline interessate al fenomeno. Ora
la chiave storica è inscritta nel nome stesso del nostro
Archivio e tuttavia non era giusto trasformarla
in una barriera capace di escludere qualsiasi altra
prospettiva. I due curatori di questo numero, uno
sociologo e l’altro storico, hanno così proceduto a
una sorta di negoziata collaborazione che non hanno
voluto legare a dibattiti teorici, quanto piuttosto
alla discussione di un caso specifico: soltanto
un vero caso di studio ci sembrava poter offrire un
terreno d’incontro effettivo. Nella nostra ricerca di
quest’ultimo e nella scelta del tema ha giocato la
pressione combinata delle notizie sempre più numerose
su interessi e manovre di gruppi criminali
organizzati, attivi fra o dietro lo schermo dei gruppi
di emigrati italiani, e della coeva (e non sempre
condivisa) riflessione storiografica sul passato e sul
presente dei rapporti fra criminalità ed espatrio1.
Come mostrano le note dei contributi che seguono,
il tema oggi alla moda, permette una triplice
riflessione: a) storica, sui rapporti fra criminalità e
migrazioni; b) sociologica, sulla criminalizzazione
del gruppo migrante da parte delle società di arrivo
a prescindere dalla concreta realtà; c) culturale, su
come le collettività italiane all’estero stesse abbiano
rielaborato tali accuse per giustificarsi o per costruirsi
un autoritratto “bigger than life”.