Angelo Trento
LA COSTRUZIONE
DI UN’IDENTITÀ COLLETTIVA
Storia del giornalismo in lingua italiana in Brasile ISBN 978-88-7853-244-1
CAPITOLO 1
Dalle origini alla prima guerra mondiale
1.1. La dimensione del fenomeno
Pur avendo l’emigrazione italiana all’estero suscitato l’interesse degli studiosi (benché spesso, in ambito accademico, solo come gabbia specialistica), gli storici si sono quasi sempre serviti della sua stampa semplicemente come fonte piuttosto che analizzarne orientamenti, contenuti e funzioni1. Considerazioni, queste, che valgono anche per il Brasile dove le poche incursioni su tale terreno sono inserite marginalmente in tematiche più generali o abbordano un unico giornale o si limitano a un’elencazione incompleta delle pubblicazioni di cui si è a conoscenza. Eppure, il fenomeno si manifestò con largo anticipo, precedendo di gran lunga la nascita del primo foglio in portoghese – che vide la luce solo agli inizi del XIX secolo – grazie alla comparsa a Rio de Janeiro nel 1765, per iniziativa di due frati cappuccini (Giovan Francesco da Gubbio e Anselmo da Castelvetrano), del periodico a cadenza mensile “La Croce del Sud”, che ospitava al suo interno anche una piccola sezione nella lingua del paese.
Di tale organo cattolico, di vita presumibilmente assai breve, non rimangono tracce materiali, ma la sua esistenza è testimoniata da riferimenti sparsi e diffusi, come d’altronde quella della seconda testata, che uscì, anch’essa a Rio, nel 1836 ad opera di Giovan Battista Cuneo, “La Giovine Italia”, altro tassello della straordinaria mobilità territoriale del giornalismo sovversivo mazziniano di cui parla Deschamps2. L’esilio politico garantì, peraltro, alcuni animatori alla stampa brasiliana del periodo: nel 1829 il medico Libero Badarò fondò “O Observador Constitucional”, il terzo giornale di São Paulo in ordine cronologico (ma il primo, che aveva visto la luce nel 1823, era ancora manoscritto3), e nel 1833 Luigi Rossetti diresse “O Povo”, organo ufficioso della rivolta secessionista del Rio Grande do Sul. In entrambe le circostanze ci troviamo di fronte a un’anomalia, poiché se è vero che anche altrove, difendendo gli stessi ideali per i quali avevano combattuto in Italia, gli esuli non si estraniavano mai dalla lotta politica dei paesi di ricezione, normalmente i loro periodici si occupavano solo delle vicende della madrepatria.