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Il centenario di un cinquantenario: un’introduzione

 

Del resto, pensando alle due precedenti ricorrenze, il 1911 e il 1961, allo studioso di migrazioni italiane vengono subito in mente momenti importanti del fenomeno coincidenti con tali celebrazioni: nel primo caso la cosiddetta “grande emigrazione” italiana al suo culmine, contemporanea alla propaganda e allo sforzo bellico nazionalistico dell’imminente guerra di Libia, e, nel secondo caso, gli spostamenti dal sud al nord della penisola nel pieno del boom economico. Per non parlare dell’oggi, anno 2011, quando ormai da alcuni lustri vediamo che i flussi migratori hanno cambiato la loro direzione con l’arrivo nella penisola di immigrati da vari continenti, con i problemi sociali, le polemiche politiche, le difficoltà culturali che tale afflusso implica; oppure con la conferma di antichi percorsi dell’emigrazione qualificata temporanea, che si fa sempre più definitiva, di italiani all’estero, giovani in particolare, come si dirà in un altro dossier di questo fascicolo. Si tratta in entrambi i casi di fenomeni antichi. Da un lato, immigrati da paesi poveri che si riducono a praticare le attività rébutantes che gli italiani si rifiutano di fare: si trattava anche di schiavi nel tardo medioevo e di qualcosa di non molto diverso si tratta anche oggi nei lavori agricoli a bassissima qualificazione, nelle attività ai margini della legalità. Dall’altro lato, “cervelli” in fuga, emigrati qualificati che cercano la loro strada oltralpe e oltremare, lontano da un paese che ha preparato uomini e donne che non ha possibilità di impiegare: anche di questo tipo di persone si era formata la presenza italiana di tipo qualificato, in Europa e nel mondo, quando la penisola era il centro dell’economia, della finanza e della conoscenza dell’arte della politica dal XIII secolo in avanti, fenomeno che poi si è diversificato in seguito senza cessare mai del tutto.

L’attualità del problema migratorio è oggi fuori di discussione, così come dal punto di vista dello storico è indiscutibile il ruolo che tale questione ha giocato nella storia della penisola prima e dopo l’Unità fino a diventarne un elemento dell’identità, pur se nel modo composito della differenziazione di modelli regionali che proprio su questa rivista, fin dalla sua fondazione, si è cercato di evidenziare. Il collegamento tra storia dell’emigrazione italiana e identità nazionale ha avuto un momento di concretizzazione nella recente apertura (2009) del Museo nazionale dell’Emigrazione italiana (MEI) proprio all’interno del Vittoriano, l’Altare della Patria1, monumento simbolo dell’Italia unita, inaugurato proprio nel 1911 in occasione del primo cinquantenario2. La realizzazione di questo museo ha guardato esplicitamente all’occasione del 2011, alla data del 150° per “celebrare la storia, l’attualità ed il futuro dell’essere e del sentirsi italiani”3 e possiamo considerarla di fatto un’iniziativa culturale relativa all’emigrazione nell’ambito di tali celebrazioni. Come è noto, il problema del “fare gli italiani”, posto da Massimo D’Azeglio all’indomani dell’Unità, non si è avuto solo nel territorio peninsulare, ma anche nella rete della presenza italiana all’estero che affonda fin nel Medioevo le sue radici e che, proprio a partire dal periodo risorgimentale con la Storia d’Italia di Cesare Balbo (1846), si afferma con la fortunata formula “Gl’Italiani fuor d’Italia”. Il museo nazionale quindi si investe di questa funzione di comprendere all’interno dell’identità italiana il fenomeno migratorio, non senza discussioni su questo aspetto, proprio in una prospettiva unitaria, nazionale appunto. Viene fissato un punto fermo, nella consapevolezza dei mutamenti in corso (sono i fenomeni sopra accennati in entrata e in uscita dalla penisola) che ancora non sono se non in piccola parte rappresentati nel museo stesso. Tuttavia si certifica l’esigenza di rappresentare attraverso un’esposizione permanente, con tutta la forza espressiva che i documenti, gli oggetti, l’iconografia possono produrre, la questione dell’emigrazione nel senso della sua unitarietà con la storia nazionale. Nell’opposta dimensione dell’immigrazione, un’analoga esigenza è stata avvertita quasi contemporaneamente in Francia dove si è aperta (2007) la Cité nationale de l’histoire de l’immigration (Paris, Palais de la Porte Dorée) che nel Musée de l’histoire et des cultures de l’immigration ha posto al centro il problema della stratificazione della presenza straniera nel territorio dell’Esagono. Anche nel caso francese la collocazione ha un significato: porre l’esposizione nell’ex Museo delle Colonie riveste il significato di ripensare quanto l’esperienza coloniale abbia giocato nella formazione della “Mosaïque France”4, insieme all’arrivo di polacchi, italiani, spagnoli… Il museo parigino testimonia i problemi di integrazione che l’immigrazione ha comportato e che continua a porre nella società transalpina. Due prospettive, quella italiana e quella francese, di emigrazione la prima e di immigrazione la seconda, che sono diversissime, come le storie dei due stati, ma che culturalmente sono complementari e che trovano nei due musei l’occasione di rappresentare il fenomeno migratorio nel comune intento di inglobarlo nella storia nazionale.

L’attualità del problema ci ha quindi convinto che era forse il caso di dare un’occhiata indietro alle manifestazioni che nelle due occasioni precedenti furono messe in piedi per rappresentare un’idea dell’Italia del tempo, cercando di vedere se e come il tema migratorio sia stato compreso in tale idea. Naturalmente lo spazio limitato di un dossier all’interno di un fascicolo di rivista richiedeva una scelta tra occuparsi del centenario di un cinquantenario (1911) e del cinquantenario di un centenario (1961). Si è scelta la prima delle due formule, cioè trattare del 1911, per una più lunga prospettiva storica consolidata da una lunga tradizione di studi che anche molti di coloro che hanno partecipato a questo dossier hanno contribuito in prima persona a formare. Come si vedrà dalla lettura dei saggi e dalla discussione e contestualizzazione finale di Emilio Franzina, al 1911 si arriva dopo un ampio dibattito sul fatto se l’emigrazione sia un fatto positivo o meno, ma l’interesse si focalizza soprattutto sul colonialismo nazionalista nell’imminenza della guerra italo-turca, con echi che raggiungono anche le comunità italiane nel mondo, pur provocando reazioni non univoche, in un contesto di esaltazione della giovane nazione che si afferma tra le grandi potenze. Ciò fa ombra al problema dell’emigrazione propriamente intesa, pur se dal punto di vista culturale vediamo come l’occasione non vada completamente perduta. Amy A. Bernardy pubblica testimonianze etnografiche sulle comunità italiane contribuendo, pur in un quadro mentale fortemente patriottico e nazionalistico, a definire quel carattere regionale che connota fino ad ora il fenomeno. Inoltre l’emigrazione entra nel libro-monumento sul cinquantenario dell’Accademia dei Lincei, i Cinquant’anni di vita italiana5, grazie a Francesco Coletti che, pur arrivando a redigere solo una parte del suo vasto piano di lavoro, fornisce “un’idea non del tutto inadeguata delle proporzioni, delle forme, delle cause e delle conseguenze più importanti del grandioso fenomeno che tende, per virtù della nostra gente più modesta, a trasformare la vita italiana”6. Anche per lui, che pure rivendica da scienziato l’utilizzo della fredda statistica e pone così una pietra di base fondamentale per gli studi successivi, non manca un richiamo al sentimento che ci ricorda l’occasione nella quale il suo studio gli è stato commissionato dai Lincei. Coletti conclude il suo studio con un fiero riconoscimento che spazza via il pietismo deamicisiano e vede l’emigrante come portatore di quello che la retorica successiva avrebbe chiamato il “genio italiano all’estero”. Certo, nell’atmosfera nazionalista del 1911, anche lo scienziato statistico Coletti si lascia prendere e accetta in definitiva, citando il Pascoli, “poeta mitissimo” morto proprio in quell’anno, che ci possa essere un’espansione della presenza italiana all’estero anche per via militare7. Ma ciò non toglie che, pur se motivata dalla retorica nazional-colonialista e profusa in uno slancio più emotivo che scientifico, il suo richiamo a una funzione civilizzatrice dell’emigrazione italiana nella misura in cui “portava ciò che ad altri [popoli] difettava”8 prefiguri, se deprivata dello spirito espansionista e considerata nella dimensione soggettiva della scelta migratoria, un’interpretazione moderna del fenomeno in cui l’emigrante è parte attiva, funzionale anche all’economia della patria, e l’emigrazione è un “flusso del lavoro verso il capitale, del talento verso le opportunità, un modello nel quale i confini nazionali hanno poco valore”, come scrisse nel 1989 lo studioso americano Robert F. Harney.9 Ma, come si è detto, nel 1911, quando pure siamo ai picchi più alti dei valori quantitativi degli espatri, il tema migratorio soggiace a questo influsso pesantemente nazionalista, legato alla politica governativa.

Nel 1961 tutto è cambiato. L’Italia è ormai una repubblica democratica. Sono passate due guerre mondiali e il regime fascista e la dimensione nazionale si è rafforzata. I conti con la Chiesa cattolica sono ormai regolati in un contrasto stridente con il 1911 quando la “questione romana” era ancora apertissima10. Diversamente dall’occasione precedente nella quale la commemorazione giubilare si era svolta soprattutto tra Torino e Roma (ed anche Firenze, terza effimera capitale), nel 1961 essa ha la sede più importante a Torino, non certo solo come prima capitale, legata alla decaduta dinastia dei Savoia, quanto per costituire il polo avanzato dell’industrializzazione italiana radicata nel nord ovest. Il boom economico, di cui l’automobile è il segno più tangibile (Gianni Agnelli è il presidente dell’Esposizione internazionale del lavoro, una delle due mostre più importanti), è quindi il tema centrale della ricorrenza e delle mostre sulle regioni e sul lavoro che esaltano i vari aspetti della conseguita modernità italiana: l’istruzione, il benessere, la tecnologia (un’avveniristica monorotaia trasportava i visitatori delle esposizioni). Il paese è in un momento di passaggio: la cultura conservatrice e cattolica degli anni cinquanta resta dominante, ma sta per conoscere importanti evoluzioni: l’accesso dei socialisti al governo è alle porte. Le difficili fasi storiche del Novecento sopra ricordate erano state incanalate nell’interpretazione risorgimentale della Grande Guerra come completamento territoriale delle Guerre d’Indipendenza e della Resistenza come guerra di liberazione popolare, come secondo Risorgimento rigeneratore della nazione. I fenomeni migratori non possono rompere questo quadro idilliaco e infatti vengono presentati in modo molto favorevole evidenziando soprattutto le mete europee (Svizzera, Belgio, Germania, Francia) nel contesto di un altro elemento di novità e di progresso rispetto al passato: il Mercato Comune Europeo. L’emigrazione è in tal caso un fenomeno preparato nel quale lo spostamento della forza lavoro avviene dopo un addestramento e un inserimento del migrante e eventualmente della famiglia nella società d’accoglienza. Il tutto si svolge in base ad accordi internazionali, cercando di ottenere le migliori condizioni per i lavoratori (ma non erano certo mancate tragedie come quella di Marcinelle del 1956) e di massimizzare l’utile degli emigranti, come avviene anche per mete più lontane come il Canada e l’Australia. Questo quadro di positivo controllo sugli spostamenti da parte governativa rappresenta un’immagine che in quell’epoca già sta mutando con un aumento delle migrazioni dal sud al nord. La stessa Torino riceve una rilevante quota immigratoria dal sud aumentando la popolazione di mezzo milione di abitanti tra il 1951 e proprio il 1961 che rappresenta l’anno di massimo afflusso (più di 75.000 arrivi). La condizione di vita di questi immigrati dal meridione è talvolta assai degradata e disperata: ad esempio, vivono in alloggi improvvisati lungo gli argini del Po che vengono ripuliti in occasione del centenario11. Ma, diversamente da oggi, allora ci si muoveva in una fase di grande crescita economica e certamente nel racconto delle celebrazioni prevale l’elemento elogiativo per l’azione del governo, anche perché si deve segnalare un ulteriore, fondamentale elemento di novità: è nata la televisione che, come risulta dalla monografia di Marilisa Merolla12, costituisce uno strumento di diffusione straordinario dell’evento e di coinvolgimento negli avvenimenti celebrativi dell’intera popolazione italiana. Quanto agli italiani all’estero la televisione consente di trasmettere documentari, anche nelle lingue straniere, facendo conoscere la realtà delle comunità italiane, oppure mostrando il lavoro italiano all’estero in occasione di grandi commesse che portavano per mesi manodopera specializzata a trasferirsi con le famiglie al seguito nei paesi più lontani. Insomma, come afferma Marilisa Merolla, paragonando le esposizioni torinesi del 1911 e del 1961 dedicate al lavoro, la vera differenza stava nel coinvolgimento del pubblico nelle cerimonie e nelle mostre, nella creazione di una pubblica opinione nello spirito di progresso del boom economico13.

Nel 1961 un manifesto salutava i visitatori delle mostre torinesi dando appuntamento al 201114, una distanza cronologica siderale all’epoca (in fondo Stanley Kubrick nel 1968 prometteva la Space Odyssey, a suo modo una migrazione/colonizzazione intergalattica del genere umano, già nel 2001). Eccoci qua dunque, il momento è giunto in presenza di una fase storica ancora diversa come si è già accennato, in cui i movimenti migratori di varia tipologia e direzione sono ancora al centro delle problematiche sociali e del dibattito politico oltreché della riflessione storica. Dopo l’esperienza del 2011, si potrà pensare a riconsiderare insieme le varie tappe della cronologia dell’Italia unitaria, marcate dalle tre ricorrenze cinquantennali e segnate da marcatissime differenze congiunturali rispetto al fenomeno migratorio, questa componente di lunghissima durata della storia della Penisola. Per ora ci si limita più modestamente alla prima tappa presentando alcuni studi di specialisti che hanno risposto al nostro call for papers (e di questo sinceramente li ringraziamo15) su singoli aspetti, figure, istituzioni e eventi tra l’Italia e le due Americhe significativamente collegati con il primo cinquantenario del 1911 quando la massiccia emigrazione italiana era l’attualità del momento presente in coincidenza con il processo ideologico in corso di “costruzione” della nazione-patria che portò a guardare al di fuori dei confini della penisola soprattutto, ma non soltanto, in una prospettiva espansionistica coloniale e di diffusione dello spirito nazionalista anche tra gli italiani all’estero.

Note al testo:

1 Cfr. Museo nazionale Emigrazione Italiana, a cura di Alessandro Nicosia e Lorenzo Prencipe, Roma, Ministero degli Affari esteri, 2009; sulla questione museale rispetto al generale tema migratorio cfr. Museo nazionale delle migrazioni. L’Italia nel Mondo. Il Mondo in Italia, a cura di Norberto Lombardi e Lorenzo Principe, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 2008.

2 Catherine Brice, Monumentalité publique et politique à Rome: le Vittoriano, Rome, École Française de Rome, 1998 («Bibliothèque des écoles françaises d’Athénes et de Rome, École Française de Rome», n. 301); ed. ital.: Il Vittoriano. Monumentalità pubblica e politica a Roma, trad. di Luisa Collodi, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Archivio Guido Izzi, 2005 (“Biblioteca Scientifica, Prospettive/Perspectives”, 1).

3 Lorenzo Prencepe e Matteo Sanfilippo, Per una storia dell’emigrazione italiana: prospettiva nazionale e regionale, in Museo nazionale Emigrazione Italiana, cit., p. 45.

4 Un quadro di lunga durata: La Mosaïque France. Histoire des étrangers et de l’immigration, a cura di Yves Lequin, Paris, Larousse, 1988.

5 Francesco Coletti, Dell’emigrazione italiana in Cinquanta anni di vita italiana, a cura della R. Accademia dei Lincei, Milano, Hoepli, 1911; cfr. più avanti il saggio di Andreina De Clementi.

6 Ibid., p. 1.

7 Ibid., p. 278.

8 Ibid., p. 277.

9 “[F]low of labour to capital, talent to opportunity, a pattern in which national boundaries counted for little”, Robert F. Harney, Caboto and Other Parentela: The Uses of Italian-Canadian Past, in Arrangiarsi. The Italian Immigration Experience in Canada, a cura di Robert Perin e Franc Sturino, Montréal, Guernica, 1989, pp. 37-62, citazione p. 58. Il concetto di transnazionalismo, che soggiace all’interpretazione di Harney, è stato sviluppato e applicato alla storia delle migrazioni in Italia in seguito soprattutto nella sintesi di Donna R. Gabaccia, Italy’s Many Diasporas, Seattle, University of Washington, Press, 2000, ed. ital. Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, trad. di Isabella Negri, Torino, Einaudi, 2003.

10 Per un confronto tra i “giubilei della patria” del 1911 e 1961, cfr. Emilio Gentile, La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, Mondadori, 1997 e 19992 che pone i due eventi come prologo ed epilogo della sua trattazione riportando il dibattito coevo.

11 Cfr. l’inchiesta sociologica di Goffredo Fofi, L’immigrazione meridionale a Torino, Milano, Feltrinelli, 1964 e la sintesi storica di Fabio Levi, L’immigrazione, in Storia di Torino, 9, Gli anni della Repubblica, a cura di Nicola Tranfaglia, Torino, Einaudi, 1999, pp. 157-187.

12 Marilisa Merolla, Italia 1961. I media celebrano il centenario della nazione, Milano, Franco Angeli, 2004, in particolare sugli italiani nel mondo, pp. 154-159; non ho invece potuto consultare il recentissimo articolo di Samantha Owen, Continuing National History: the 1961 Italian Centennial of Unification Commemoration, “Australian Journal of Politics and History”, 56, 3 (2010), pp. 393-409.

13 M. Merolla, Italia 1961, cit., p. 159.

14 Riprodotto in ibid., p. 225.

15 Oltre agli autori dei testi, il fervido ringraziamento di chi scrive va anche a Marco Pizzo, vice-direttore del Museo del Risorgimento di Roma, che aveva accettato di partecipare al dossier dovendo alla fine a malincuore rinunciare, e a Matteo Sanfilippo per il suo appoggio a questa iniziativa e per il suo contributo di idee e di aiuto materiale alla fabbricazione di questo dossier. Un grazie anche a Patrizia Audenino e a Maddalena Tirabassi per aver gentilmente fornito alcune fotografie.