In effetti, le divisioni furono spesso il riflesso di antagonismi e ostilità reciproche tra gli appartenenti alle varie componenti geografiche degli insediamenti italiani negli Stati Uniti. Tale atteggiamento trovò facile espressione nei pregiudizi e negli stereotipi campanilistici. In proposito, lo scrittore Joseph Napoli ha ricordato nelle sue memorie che la madre, originaria della provincia di Messina, detestava i napoletani:
Li odiava apertamente. […] Con l’indice e il mignolo della mano sinistra, faceva le corna all’indirizzo delle loro case o quando li scorgeva da lontano. Attraversava la strada per evitare di passare accanto alle loro abitazioni o di incontrarli sul suo cammino, in modo da eludere i loro malefici e il malocchio. Si augurava che le corna avrebbero causato a quegli esseri maligni malattie indescrivibili, reso le loro figlie nubili gravide dei demoni e ridotto le loro famiglie in miseria7.
Queste fratture e contrapposizioni non soltanto minavano l’unità della comunità italo-americana, ma contribuivano anche a ridimensionare in misura considerevole la possibile influenza dei suoi esponenti. “Ciascun gruppo – scriveva Marie Di Mario – conduce una vita a sé e ha i suoi leader”8. La polverizzazione delle istituzioni degli immigrati riduceva così il numero di individui verso i quali i cosiddetti prominenti – i notabili del gruppo etnico – potevano esercitare le loro funzioni di guida e di indirizzo. Infatti, il moltiplicarsi delle associazioni e il pullulare dei loro dirigenti comportava che questi ultimi fossero in grado di svolgere il proprio ruolo nei confronti di un numero relativamente contenuto di individui, con una conseguente ricaduta negativa in termini di potere effettivo e di autorevolezza. A titolo meramente esemplificativo, la media delle poche centinaia di membri di ciascuna associazione italo-americana attiva a New York nel primo decennio del Novecento rappresentava non più di una scheggia degli oltre 340.000 immigrati italiani, senza contare i loro figli nati negli Stati Uniti, che vivevano in città secondo il censimento federale del 19109. Il rapporto tra la popolazione totale di ascendenza italiana e la media degli aderenti alle organizzazioni sorte in seno alla comunità era analogo in altre città come Boston. Pertanto, pur riuscendo ad appagare il desiderio di una piccola vanagloria nel microcosmo della propria minoranza etnica, i presidenti di ognuna di queste organizzazioni godevano nei fatti di un seguito e di un ascendente di gran lunga inferiori a quelli che il potenziale numerico complessivo della comunità italo-americana era in realtà capace di offrire10.
La riduzione della frammentazione delle Little Italies per linee di provenienza geografica attraverso il superamento del campanilismo e per mezzo della maturazione di una identità basata sulla comune origine nazionale dei loro membri rappresentava, quindi, uno strumento per cercare di rendere più coese le comunità ed accrescere il potere dei loro esponenti. Per raggiungere questo scopo, i prominenti si industriarono a richiamare simboli e a escogitare iniziative attorno a cui fosse possibile raccogliere le componenti sparse degli insediamenti italo-americani. La glorificazione delle grandi personalità della madrepatria sembrò contribuire ad assolvere a questa funzione11. In particolare, nella sola New York, tra il 1876 e il 1921, Carlo Barsotti promosse l’innalzamento di ben cinque monumenti in onore di figure di particolare rilievo della storia e della cultura italiana – Giuseppe Garibaldi nel 1888, Cristoforo Colombo nel 1892, Giuseppe Verdi nel 1906, Giovanni da Verrazzano nel 1909 e Dante Alighieri nel 1921 – finanziandoli in parte con fondi personali, in parte attraverso sottoscrizioni pubbliche12. Con l’aggiunta di una statua dedicata a Giuseppe Mazzini, inaugurata nel 1878, la minoranza italo-americana giunse così a presentare il più alto numero di opere pubbliche commemorative a carattere etnico tra tutti i gruppi di immigrati che vivevano in città. Editore e direttore del quotidiano “Il Progresso Italo-Americano”, il giornale in lingua italiana più diffuso e più influente della costa atlantica, procacciatore di manodopera italiana per imprese statunitensi, titolare di una piccola banca che prosperava sulla gestione delle rimesse degli immigrati nonché proprietario di un ampio numero di alloggi che affittava ai suoi connazionali, Barsotti rappresentava il candidato ideale per la leadership di una comunità etnica che avesse superato le proprie divisioni interne e, quindi, fu anche uno dei principali fautori di questo processo di unificazione13.
La ricorrenza del cinquantenario dell’unificazione italiana avrebbe potuto rappresentare un’ulteriore occasione per diffondere tra gli immigrati sentimenti patriottici e un’identità nazionale che potessero unire la comunità etnica. D’altra parte, proprio in Italia, i rituali festivi di celebrazione dello stato unitario costituivano da tempo uno strumento per far maturare una coscienza nazionale e alimentare una religione civile della patria tra la popolazione della penisola14.
Secondo Paolo S. Abbate, uno degli esponenti italo-americani della cittadina di Pittsfield nello stato di New York, l’unità politica della penisola avrebbe dovuto servire da esempio per procedere a porre fine alle fratture in seno alle Little Italies. Come affermò in apertura di un suo discorso celebrativo della proclamazione del regno d’Italia, “L’idea dei nostri padri fu quella di unire l’Italia: or la nostra idea dovrebbe esser quella di affratellarci sempre di più, e migliorare le nostre condizioni”15. Allo stesso modo, il prominente newyorkese Luigi Solari parlò dei festeggiamenti per la ricorrenza dell’Unità italiana come di un’occasione per promuovere “anche l’armonia coloniale, dalla quale anzitutto può provenire il comune benessere e l’altrui rispetto per la nostra colonia e per la nostra patria”16. Del resto, già alla fine dell’Ottocento il giornale “L’Italia” di Chicago aveva constatato la contraddizione tra il raggiungimento dell’unificazione politica dell’Italia e il permanere di spaccature all’interno delle comunità statunitensi: “È purtroppo doloroso il confessarlo, dopo 37 anni di unità della Patria ci troviamo ancora nella condizione che faceva dire a Massimo D’Azeglio: l’Italia è fatta, ed ora dobbiamo fare gli italiani”17. Non a caso, il commediografo Giuseppe Giacosa, che visitò Chicago nel 1899, rimase colpito dalla “fitta rete di vanità, di bizze, di intrigucci, di dispetti, di piccinerie” che manteneva la locale comunità italiana divisa in un numero abnorme di “minuscole società”18.
L’esigenza di superare le divisioni campanilistiche che continuavano a caratterizzare gli italo-americani restava una priorità ancora nel 1911. Proprio in quell’anno, infatti, dalle colonne del “Progresso Italo-Americano”, Francesco Tomaiuoli si scagliò contro il perdurare della frammentazione della vita associativa in un rivolo di organizzazioni che avrebbero potuto accrescere in maniera considerevole la loro influenza se solo si fossero fuse insieme:
Noi assistiamo allo spettacolo di centinaia e centinaia di Società italiane, tante quanti sono i paesi italiani che contribuiscono all’emigrazione, come se la mutualità, la federazione sotto qualsiasi forma e per qualsiasi scopo, valga di più e sia più forte così infinitesimamente frazionata; noi assistiamo allo spettacolo di centinaia e centinaia di Società puramente di nome, e che tutta la loro attività fanno consistere nello scegliere una divisa fiammeggiante per i soci e nell’organizzare trattenimenti e balli. Se con ciò si mira a tener desta la memoria della patria, oh! il sistema è sbagliato ed è semplicemente puerile. Poi che a tale intento, ad un apparato puramente coreografico potrebbe supplire con minore spesa e maggiore efficacia la mostra della bandiera italiana, di quella bandiera per la di cui conquista lottarono a fianco e marinai e artiglieri, garibaldini e bersaglieri con mirabile slancio patriottico e con un unico scopo nella mente, un’unica speranza nell’animo. […] Una grande Associazione italiana con unicità d’intenti e praticità di vedute occorre. Essa ci farebbe più forti, ci permetterebbe concorrere più largamente alla vita pubblica e avere un peso non indifferente e non ultimo nella bilancia ove si calcolano gl’interessi di tante comunità di popoli19.
Tuttavia i festeggiamenti dell’Unità da parte degli immigrati italiani si svolsero senza particolare enfasi e la stessa macchina organizzativa operò a rilento e da posizioni defilate rispetto al fulcro della vita e delle attività sociali delle comunità italo-americane. Il caso della città di New York, la sede della comunità italo-americana più numerosa nonché il contesto che era sotto gli occhi di Tomaiuoli, rappresenta un caso emblematico e significativo. L’unica manifestazione pubblica di rilievo consistette in una serie di discorsi commemorativi del console italiano e di altri notabili come Barsotti, seguiti da un ballo di gala, al Murray Hill Lyceum, il 26 marzo 1911, in occasione dell’anniversario della proclamazione di Roma come capitale d’Italia da parte del primo parlamento del regno, avvenuta il 27 marzo 186120. Da un lato, i preparativi per la celebrazione iniziarono a essere intrapresi con un marcato ritardo alla fine di gennaio del 1911, cioè ad appena due mesi dalla data prevista per la cerimonia. Dall’altro, l’iniziativa non partì né da Barsotti né da organizzazioni influenti e ramificate come l’Ordine Figli d’Italia in America, bensì dalla Società Petralia Soprana e Provincia di Palermo, una piccola associazione che contava così pochi membri da non risultare neppure inclusa nel censimento delle organizzazioni italo-americane che il Ministero degli Esteri aveva redatto l’anno precedente21. A darne l’annuncio fu solo un breve trafiletto, comparso in una pagina interna del “Progresso Italo-Americano”22. Di contro, a distanza di pochi giorni, sullo stesso quotidiano, il resoconto di una festa da ballo svoltasi per accrescere la pubblica sottoscrizione allo scopo di finanziare il monumento a Dante si guadagnò l’onore dell’intera prima pagina e di un’appendice nella seconda23. Quest’ultimo progetto era stato lanciato da Barsotti alla metà dell’anno precedente nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità, ma la sua attuazione aveva avuto una repentina accelerazione in autunno nel tentativo di sanare una lacerazione emersa nella comunità in occasione del Columbus Day del 191024. Quale ricorrenza della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, questo giorno – il 12 ottobre – costituiva da tempo la principale festa etnica italo-americana. In essa, attraverso il navigatore genovese era esaltato il contributo italiano alla formazione dell’America moderna e, quindi, veniva rivendicata la legittimità della presenza degli immigrati italiani nella società statunitense25. Tuttavia, anziché rappresentare un momento di unità, il Columbus Day del 1910 aveva prodotto una spaccatura e si erano tenute due parate distinte a causa di un contrasto su quale esponente italo-americano avrebbe dovuto svolgere le funzioni di grand marshall della manifestazione26.
L’appello di Calogero Marchese Caputo e Alberto Nastasi, rispettivamente presidente e segretario della Società Petralia Soprana e Provincia di Palermo, affinché il cinquantenario dell’Unità fosse degnamente festeggiato a New York non sembrò suscitare grande entusiasmo. A quasi due settimane di distanza, meno di una ventina di associazioni italo-americane avevano aderito al programma per le celebrazioni. “Il Progresso Italo-Americano” di Barsotti si sentì in dovere di rilanciare la proposta, formulando l’auspicio che “la Colonia unanime non può non rispondere all’invito che le viene rivolto con tanto fervore patriottico” dal momento che “questa volta l’iniziativa di commemorare una data patriottica o storica non proviene da questo o da quell’altro; ma proviene appunto da una società consorella, che non ha né scopi, né mire private da raggiungere; ma semplicemente quello di ricordarsi anco qui, oltre oceano, della terra lontana, delle sue glorie più fulgide, come un dovere di figli verso la madre”27.
Eppure ben altre manifestazioni sociali destarono l’interesse degli italo-americani di New York in questo periodo. Prima tra tutte fu l’allestimento del “Corteo della Nazione” che avrebbe accompagnato la parata del Columbus Day il 12 ottobre. Era previsto che sfilasse un carro allegorico in rappresentanza di ciascuna delle province italiane, con una reginetta originaria di quei luoghi che l’avrebbe impersonificata. L’ordine dei carri sarebbe stato determinato dai voti ricevuti dalle rispettive reginette, espressi dai lettori del “Progresso Italo-Americano” attraverso l’invio alla redazione di coupon pubblicati ogni giorno sul quotidiano28. La formula era stata escogitata da Barsotti per vendere più copie del giornale. Tuttavia l’attenzione della comunità per questa competizione di evidente sapore campanilistico o, in ogni caso, il risalto datogli dalla testata risultò di gran lunga superiore allo zelo per i preparativi delle celebrazioni del cinquantenario del regno d’Italia. Per tutto il mese di marzo e di aprile, infatti, non trascorse quasi giorno senza che “Il Progresso Italo-Americano” non pubblicasse un aggiornamento della classifica delle aspiranti reginette o non pubblicasse la notizia della formazione di un comitato a sostegno della candidatura di una qualche ragazza a rappresentare la sua provincia natale29.
“Il Progresso Italo-Americano” si sforzò di tenere vivo l’interesse dei suoi lettori sul cinquantenario dell’Unità con una serie di articoli dedicati alla rievocazione di alcuni avvenimenti storici come la convocazione del primo parlamento del regno oppure alla cronaca dei festeggiamenti che si stavano svolgendo in Italia30. Un’eco di questi ultimi era fruibile dagli italo-americani pure attraverso la lettura della stampa locale in lingua inglese31. Tuttavia, sebbene il giornale di Barsotti avesse più volte reiterato il monito che “nessuna società italiana può non sentire il dovere di dare appoggio alla iniziativa della Petralia Soprana, che risponde ad un dovere sacrosanto di patriottismo”, alla vigilia della cerimonia di New York appena una quarantina di associazioni avevano dato la propria adesione alla manifestazione32. “Il Progresso Italo-Americano” si prodigò pure a sottolineare che, in considerazione dei tempi sempre più ravvicinati che separavano dalla ricorrenza, una deliberazione formale da parte degli organismi dirigenti delle diverse società italo-americane non fosse indispensabile per consentire la partecipazione delle stesse in quanto “quando si tratta di compiere un atto patriottico e sempre decoroso per la propria associazione, può bene l’ufficio di presidenza del sodalizio assumersi la responsabilità di far partecipare la società ad una festa che lascerà bellissimo ricordo nella cronaca del patriottismo nostrano”33.
Le ripetute sollecitazioni del quotidiano non furono altro che uno specchio della resistenza che l’iniziativa incontrava nella comunità italo-americana. Tra gli immigrati perdurava un senso localistico dell’appartenenza in base al quale uno di loro poteva affermare che “per me, così come per altri, l’Italia è il piccolo villaggio dove sono cresciuto”34. Per infondere in loro un senso della grandezza della Madre Patria che li inducesse con più facilità a riconoscersi con la nazione d’origine nel suo complesso, giornali come il quotidiano di Barsotti dettero particolare risalto alle visite di capi di stato e di altri dignitari stranieri a Roma in occasione delle celebrazioni dell’Unità così come all’apprezzamento verso il governo di Roma che venne manifestato da giornali pubblicati all’estero in coincidenza con le celebrazioni del cinquantenario35.
Questi sforzi, però, non trovarono un riscontro significativo. Oltre allo spirito di campanile, tra gli immigrati italiani sopravviveva anche la difficoltà a identificarsi con le istituzioni che erano scaturite dallo stato unitario di cui ricorrevano i cinquant’anni dalla nascita. Tale atteggiamento connotò in modo particolare anarchici, socialisti, repubblicani e radicali in genere, che ideologicamente non si riconoscevano nella monarchia liberale. Per esempio, da Barre nel Vermont, il settimanale anarchico “Cronaca Sovversiva” contrappose i festeggiamenti della borghesia italiana alla miseria in cui versava la popolazione e con sarcasmo lanciò il seguente incitamento al proletariato: “Lavoratori, gioite, fate degna corona al tripudio nazionale. Che importano le vostre sofferenze ai ricchi in gaudio? Oggi, saltate, cantate, ballate. Domani balleremo il trescon, la ridda e poi … Poi falcerem la testa a lor signori”36. Per i sovversivi italo-americani, l’unica ricorrenza che meritasse di essere festeggiata nel 1911 era il quarantennale della Comune di Parigi37.
Tuttavia, anche senza raggiungere queste forme di estremismo, l’indifferenza per l’anniversario dell’Unità caratterizzò pure tutti quegli emigrati per ragioni economiche che si sentivano abbandonati da uno stato che, a prescindere dalla sua forma istituzionale, si era rivelato incapace di fornire ai suoi cittadini i mezzi di sostentamento fintanto che erano rimasti nella terra d’origine e si mostrava disinteressato alla loro tutela una volta che si erano trasferiti all’estero. Questa duplice ragione di ostilità era ben sintetizzata dalle parole di Antonio Margariti, per il quale la patria “non ha mai fatto niente per noi” perché “appartiene ai padroni! La patria della povera gente non esiste”38. Inoltre, come ha osservato la storica Anna Maria Martellone, per la maggior parte degli espatriati lo stato italiano era quasi esclusivamente il sinonimo di tasse e coscrizione obbligatoria39.
A ulteriore dimostrazione della estraneità degli immigrati dalle istituzioni dello stato unitario basterà citare il profondo rammarico del “Progresso Italo-Americano” di fronte alla constatazione che appena una trentina di rappresentanti di società italo-americane si erano recati a incontrare il nuovo ambasciatore del regno, il marchese Luigi Girolamo Cusani Confalonieri, al momento della sua prima visita ufficiale al consolato di New York nel novembre del 191040. Per il giornale di Barsotti, la ricorrenza del cinquantenario dell’Unità costituiva un’occasione per manifestare “riconoscenza” verso “le Istituzioni e gli uomini che ci diedero libera ed una la Patria”41. Tuttavia, in numerose altre circostanze, lo stesso quotidiano contribuì ad alimentare la sfiducia degli immigrati nei confronti dello stato italiano. Per esempio, in occasione dell’incendio che, proprio il giorno precedente ai festeggiamenti del 26 marzo, distrusse l’opificio della Triangle Waist Company di New York, provocando la morte di centoquarantacinque operaie, per la maggior parte di origine italiana, “Il Progresso Italo-Americano” si affrettò a denunciare l’assenteismo dei funzionari del consolato: “mentre i cadaveri si ammucchiavano sui marciapiedi insanguinati di Washington Place – quando le autorità italiane, che per le notizie avute dai giornali della sera, si sarebbero dovute trovare sul posto a raccogliere i primi elementi, i più preziosi dell’inchiesta che invochiamo – l’ispettore d’emigrazione che trae stipendio dalla massa raccolta con le tasse degli emigranti, e qui risiede a scopo di protezione, si recava ad un balletto di ‘Micareme’ nel travestimento di Arlecchino!”42. Allo stesso modo, nel ricordare il linciaggio di due siciliani, avvenuto l’anno prima a Tampa, in Florida, il quotidiano espresse il proprio scetticismo sulla possibilità che le famiglie delle vittime potessero alla fine ricevere un indennizzo in quanto “non contiamo sull’opera dei nostri diplomatici, sempre poco energici in casi analoghi”43. La presunta “apatia” del funzionario del consolato di New Orleans, il conte Gerolamo Moroni, incaricato di compiere le indagini sull’eccidio e il “buio” sull’esito della sua inchiesta erano state denunciate dal “Progresso Italo-Americano” fino dall’autunno del 191044. Le censure alle manchevolezze nell’operato degli addetti consolari italiani non restarono senza un’eco nella comunità. Lo attestarono, per esempio, le numerose lettere di protesta contro il funzionario newyorkese del Commissariato dell’Emigrazione che per giorni tempestarono le pagine del quotidiano di Barsotti dopo la denuncia della sua preferenza per il ballo in maschera la sera del 25 marzo45. Pertanto, è ragionevole ipotizzare un loro contributo nel rafforzare il discredito degli italo-americani nei confronti delle istituzioni dello stato unitario.
Se – come ha scritto Maurizio Ridolfi – in Italia, all’inizio del Novecento, “commemorazioni e feste civili divennero l’occasione per la costruzione di universi simbolici intesi a misurare il grado di legittimazione politica delle nuove istituzioni”, il livello di quest’ultimo si dimostrò particolarmente basso nelle comunità degli Stati Uniti46. Del resto, nonostante fossero state potenzialmente rese ancor più solenni che in passato dalla coincidenza con il cinquantenario dell’unificazione, nel 1911 suscitarono scarse adesioni anche altre celebrazioni legate allo stato italiano. Ne fornì un esempio la festa dello Statuto, indetta la prima domenica di giugno in ricordo della concessione della carta costituzionale nel 1848 da parte dell’allora re di Sardegna Carlo Alberto. Organizzata ancora una volta dai dirigenti di un’associazione minore della comunità, la Società Reduci delle Patrie Battaglie e Militari in Congedo, la festa dello Statuto vide una partecipazione così limitata che, per cercare in qualche modo di stimolarla, i promotori della manifestazione decisero all’ultimo momento di istituire un premio per le cinque società che avessero portato il maggior numero di iscritti a presenziare all’evento. Inoltre, sul “Progresso Italo-Americano” il resoconto dell’avvenimento ricevette meno spazio della cronaca di un banchetto svolto a sostegno di una delle aspiranti reginette del “Corteo della Nazione” in rappresentanza della provincia di Reggio Calabria47.
La disaffezione verso le iniziative per il cinquantenario dell’unificazione non caratterizzò la sola comunità di New York. A Boston, per esempio, l’anniversario dell’annessione di Roma fornì l’occasione per chiassose manifestazioni di intemperanza verso il regno d’Italia e il suo sovrano, provocate da anarchici e socialisti. In altre parole, la strategia di trasformare la monarchia sabauda in un simbolo dell’unità nazionale, attuata dai governi liberali a partire da Francesco Crispi48, si rivelò controproducente perché contribuì a far riversare sullo stato l’astio delle forze repubblicane. Come riferì il principale giornale italo-americano di Boston, la “Gazzetta del Massachusetts”, di fronte ai “pochi italiani presenti di fede monarchica” e con una adesione alle celebrazioni limitata ad appena una dozzina di società etniche delle circa centoventi che avevano sede in città,
mentre a Roma il popolo, senza distinzione di partito, deponeva sull’altare della patria, quale omaggio pietoso, un fiore di riconoscenza alle vittime dell’idealità, ai Duci valorosi che […] seppero condurre vittoriose le truppe italiane attraverso la breccia di Porta Pia, in Boston si faceva l’apoteosi delle vittime quotidiane della lotta tra capitale e lavoro, dimenticando ad arte la storia, offendendo la Monarchia, fischiando la Marcia Reale e il nome di Vittorio Emanuele49.
La scelta di far coincidere i festeggiamenti di New York per l’Unità, non con la ricorrenza della data della proclamazione del regno, bensì con l’anniversario del giorno in cui la prima legislatura del parlamento italiano da Torino aveva designato Roma quale capitale d’Italia, può aver fornito un ulteriore contributo a frenare le adesioni alla celebrazione. Infatti, nonostante parte della storiografia abbia attribuito agli immigrati italiani una scarsa religiosità e una disaffezione verso le gerarchie ecclesiastiche50, la “questione romana” restava ancora un motivo di divisione e contrapposizione profonda all’interno della comunità italo-americana e del cattolicesimo statunitense51. Non a caso, nelle settimane precedenti la manifestazione del 26 marzo, “Il Progresso Italo-Americano” si sforzò di ridimensionare tutte quelle notizie e prese di posizione del Vaticano che avrebbero potuto essere interpretate come una espressione dell’ostilità della Chiesa cattolica nei confronti della ricorrenza del cinquantenario. In particolare, dopo che l’arcivescovo di New York John Farley si era scagliato contro una celebrazione nella quale leggeva l’esaltazione del “sacrilegio della presa di Roma”, il quotidiano si affrettò a precisare che “nel 1911 l’Italia non intende di fare feste ‘anticlericali’; non intende di recare onta al Pontefice”. Aggiunse anche che “la proclamazione del Regno d’Italia non ebbe carattere fazioso, non significò oltraggio alla fede cattolica, che il popolo nostro professa e venera”, ma costituì invece il “suggello d’una rivoluzione epica che tradusse in realtà il magnifico vaticino dantesco dell’Unità nazionale”52. Per tranquillizzare la componente cattolica praticante della comunità italo-americana, Barsotti mandò addirittura un redattore a Baltimore per intervistare il cardinale James Gibbons, il primate indiscusso della Chiesa statunitense. Il resoconto della conversazione, pubblicato con grande risalto sulla prima pagina del “Progresso Italo-Americano”, era tutto incentrato sul significato che Gibbons attribuiva al cinquantenario dell’Unità italiana ed era inteso come un’implicita autorizzazione a partecipare alle celebrazioni per la ricorrenza. Secondo la trascrizione del quotidiano, infatti, il cardinale avrebbe dichiarato che “primo dovere di ogni buon cattolico è di amare la Patria. […] gl’italiani, popolo di antica civiltà, non possono avere in animo di offendere il Pontefice […]. Ditelo pure a tutti gl’italiani che amino e siano orgogliosi della loro Patria d’origine”53.
È probabile che, proprio per evitare contrapposizioni tra cattolici e anticlericali, Barsotti avesse preferito associare le celebrazioni per l’Unità a un’iniziativa molto meno controversa quale l’erezione del monumento a Dante, una figura nella quale tutta la comunità poteva identificarsi a prescindere dagli orientamenti confessionali e ideologici dei suoi membri. Oltre ad aver auspicato la riunificazione politica della penisola fino dal Trecento, Dante risultava gradito tanto ai cattolici, come autore della Divina Commedia, quanto ai laici, come guelfo antagonista del pontefice Bonifacio VIII. Infine, la sua condizione di esule poteva in qualche modo indurre gli emigranti a immedesimarsi nella sua figura. L’inaugurazione del monumento avrebbe dovuto fare da riscontro a quello dell’Altare della Patria a Roma54. La tempistica – con la posa della prima pietra in occasione del Columbus Day del 1910 e l’inaugurazione nel maggio del 1911 perché in questo mese era presumibilmente nato il poeta fiorentino – avrebbe inoltre distanziato la cerimonia dalle date fatidiche, ma non altrettanto consensuali, delle ricorrenze di marzo55. Nelle parole del “Progresso Italo-Americano” la figura di Dante costituiva l’immagine della “nostra concordia” nel “mostrare alla Madre Patria di saperla onorare”56. Per sublimarne il ruolo quale pacificatore di contrasti interni alla comunità la data della prevista inaugurazione venne in seguito spostata al 12 ottobre 1911, il giorno del Columbus Day57. La fiducia di Barsotti nella capacità di Dante quale simbolo di italianità nel riuscire a conciliare gli opposti orientamenti della Little Italy di New York fu tale che, quasi all’ultimo momento, la commemorazione del 26 marzo venne presentata come la manifestazione iniziale del ciclo di cerimonie che si sarebbero concluse con l’inaugurazione del monumento al poeta fiorentino58.
Per quanto sottotono, la celebrazione newyorkese risultò più coinvolgente per la comunità italo-americana delle cerimonie svoltesi in altre città. Le cronache locali di Chicago, Detroit e Utica nello stato di New York, per esempio, non registrarono dimostrazioni di particolare entusiasmo per le commemorazioni di marzo, a differenza del grande e unanime successo che fu riscontrato per le parate e le sfilate del successivo 12 ottobre per onorare il Columbus Day59. Come scrisse la “Gazzetta del Massachusetts” anche alla luce delle intemperanze verificatesi a Boston in occasione del 20 settembre, era proprio il Columbus Day, anziché qualsiasi ricorrenza legata alla nascita dello stato unitario, a rappresentare agli occhi della maggior parte degli italo-americani il “giorno che segna la vera gloria della patria nostra, gloria non turbata da visioni settarie, non avvelenata da virulenti odi di classe o di fedi, ma gloria pura, alta, serena”60.
D’altro canto, il campanilismo sembrava ancora dilagante, nonostante i richiami all’unità nazionale che caratterizzavano i richiami al cinquantenario del regno. Ad esempio, nella sola Utica, il 1911 vide la creazione di altre due associazioni su base locale: la Società Sicignanese, fondata da immigrati campani del paese di Sicignano degli Alburni, e la Società Pugliese61.
In centri come Boston, Cleveland in Ohio oppure Jersey City nel New Jersey a occuparsi della preparazione dei festeggiamenti per l’Unità non fu neppure un’associazione etnica, bensì la sezione locale della Società Dante Alighieri62. Tale organizzazione non era espressione dei prominenti italo-americani, sebbene usufruisse della loro collaborazione. Aveva, infatti, sede in Italia, dove era stata costituita nel 1889 dalla confluenza di due gruppi irredentisti preesistenti, e operava d’intesa con la rete consolare del regno – ancorché in piena autonomia dal Ministero degli Affari Esteri – per promuovere la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo63. In tal modo, nel 1911, fu riprodotta una formula che era già stata adottata un quindicennio prima in occasione del venticinquesimo anniversario della liberazione di Roma, quando all’inadeguato interesse dei prominenti e alla gestione da parte della Società Dante Alighieri aveva corrisposto una scarsa presenza alle celebrazioni da parte di rappresentanti e delegati delle società italo-americane64.
In altri luoghi, come Hartford nel Connecticut e Springfield nel Massachusetts, un raffronto tra la lista delle società italo-americane che aderirono ai festeggiamenti per la ricorrenza dell’Unità e il loro numero complessivo come elencato dal censimento del 1910 rivela una partecipazione inferiore a quella già di per sé modesta del caso di New York65. In maniera analoga, a St. Louis nel Missouri, la principale associazione italo-americana – la Società Unione e Fratellanza Italiana – riuscì a spendere poco più della metà dei centocinquanta dollari che i suoi dirigenti avevano inizialmente stanziato per la commemorazione del cinquantenario, segno probabile di una scarsa partecipazione da parte della comunità locale66. Perfino al primo congresso degli italiani degli Stati Uniti – svoltosi a Filadelfia alla fine di marzo del 1911 in coincidenza con le celebrazioni della nascita dello stato unitario – i richiami alla “ricorrenza cinquantenaria dell’Unità d’Italia” vennero dai rappresentanti delle autorità italiane piuttosto che dai delegati delle associazioni italo-americane che erano là convenuti67.
Studi precedenti hanno posto in luce sia il ruolo rilevante delle élite delle minoranze nazionali presenti negli Stati Uniti nel forgiare l’identità delle rispettive comunità sia l’importanza delle feste etniche quale strumento di edificazione del senso di appartenenza dei gruppi di immigrati68. La ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’Unità tra gli italo-americani mostrò i propri limiti in entrambi gli ambiti. Tuttavia l’impegno limitato dei prominenti nel rendere le celebrazioni un momento importante per la costruzione dell’identità nazionale degli immigrati italiani, ben evidenziato dall’esperienza newyorkese e dal caso specifico di Barsotti, più che motivo di tale insuccesso si configurò come una sua conseguenza. L’atteggiamento di estraneità, se non addirittura di ostilità, che numerosi italo-americani nutrivano nei confronti del loro stato di origine ridimensionò in misura considerevole la possibilità di sfruttare la ricorrenza della proclamazione del regno per potenziare sentimenti di appartenenza che apparivano pochissimo diffusi. A Detroit il campanilismo era ancora così influente che alcune società che raggruppavano immigrati siciliani decisero addirittura di festeggiare non la ricorrenza dell’Unità italiana, bensì il 27 maggio, il giorno dell’ingresso di Garibaldi a Palermo durante la spedizione dei Mille69.
Secondo un celeberrimo giudizio di Giuseppe Prezzolini, i connazionali che trovò negli Stati Uniti quando vi si trasferì nel 1929 “non sono italiani perché non lo sono mai stati. […] nel fondo sono rimasti dei contadini meridionali, senza cultura, senza scuola, senza lingua, per cui, insomma, il momento della ‘italianità’ non è mai arrivato”70. Può essere opinabile sostenere che gli immigrati avessero mantenuto questa connotazione fino all’inizio degli anni Trenta, quando Prezzolini annotò la sua osservazione nel suo diario. Tuttavia un senso diffuso di orgoglio per la propria ascendenza nazionale non si manifestò tra gli italo-americani antecedentemente all’emergere di orientamenti marcatamente nazionalistici durante il primo quindicennio del regime fascista o, al più presto, nel corso della prima guerra mondiale. Nel primo caso, l’identificazione nella madrepatria fu incentivato dal fatto che Benito Mussolini parve aver trasformato l’Italia in una grande potenza in grado di incutere timore alle altre nazioni e di ottenerne comunque il rispetto, contribuendo così a riscattare decenni di umiliazioni e pregiudizi subiti dagli italo-americani71. Nel secondo, la partecipazione degli Stati Uniti al primo conflitto mondiale a fianco dell’Italia rese gli immigrati provenienti da questo paese più accettabili all’interno di una società americana che li aveva fino ad allora discriminati e tenuti ai margini72. Ad ogni buon conto, il ritardo nella comparsa di tali sentimenti frenò tanto le adesioni alle celebrazioni del cinquantenario dell’Unità d’Italia quanto la possibilità di sfruttare la ricorrenza per stimolare l’identità nazionale degli immigrati italiani.
1 Luigi Manconi, Campanilismo, in Bianco, rosso e verde. L’identità degli italiani, a cura di Giorgio Calcagno, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 36-42; Frances M. Malpezzi e William M. Clements, Italian-American Folklore, Little Rock AK, Augustus House, 1992, pp. 27-35.
2 Jennifer M. Guglielmo e John Andreozzi, The Order Sons of Italy in America. Historical Summary, in Guide to the Records of the Order Sons of Italy in America, a cura di Jennifer M. Guglielmo e John Andreozzi, Minneapolis MN, Immigration History Research Center, 2004, pp. xix-xxx.
3 Silvano M. Tomasi, Militantism and Italian-American Unity, in Power and Class. The Italian American Experience Today, a cura di Francis X. Femminella, Staten Island NY, American Italian Historical Association, 1973, pp. 20-27; Samuel L. Baily, Immigrants in the Lands of Promise. Italians in Buenos Aires and New York City, 1870 to 1914, Ithaca NY, Cornell University Press, 1999, pp. 204-205; Sergio Bugiardini, La socialità controllata. Associazionismo e classi dirigenti italo-americane negli Usa dal Risorgimento al fascismo, in Appunti di viaggio. L’emigrazione italiana tra attualità e memoria, a cura di Ornella De Rosa e Danilo Verrastro, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 386-397.
4 Elenco delle società italiane esistenti negli Stati Uniti alla fine del 1910, “Bollettino dell’Emigrazione”, 11, 4 (1912), ora in The Italian Emigration to the United States, 1880-1930. A Bibliographical Register of Italian Views, a cura di Francesco Cordasco e Michael Vaughn Cordasco, Fairview NJ, Junius-Vaughn Press, 1990, pp. 136-141.
5 Gino Carlo Speranza, Many Societies of Italian Colony, “New York Times”, 8 marzo 1903, p. 34.
6 Carlo Andrea Dondero, L’Italia agli Stati Uniti ed in California (1901), ora in Francesco Durante, Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti, 1776-1880, Milano, Mondadori, 2001, p. 500.
7 Joseph Napoli, A Dying Cadence. Memoirs of a Sicilian Childhood, W. Bethesda MD, Marna Press, 1986, pp. 58-59.
8 Marie Di Mario, Little Italys, “Common Ground”, 2, 2 (1942), p. 19.
9 S. L. Baily, Immigrants in the Lands of Promise, cit., pp. 58, 203.
10 Anna Maria Martellone, Una Little Italy nell’Atene d’America. La comunità italiana di Boston dal 1880 al 1920, Napoli, Guida, 1973, pp. 579-580, 308-312.
11 Howard Ralph Weisz, Irish-American and Italian-American Educational Views and Activities, 1870-1900, New York, Arno Press, 1976, p. 373.
12 “Decoration Day”, “Il Progresso Italo-Americano”, 29 maggio 1910, pp. 7-8; Carol Bradley, Towards a Celebration: The Columbus Monument in New York, in Italian Americans Celebrate Life. The Arts and Popular Culture, a cura di Paola A. Sensi-Isolani e Anthony Julian Tamburri, Staten Island NY, American Italian Historical Association, 1990, pp. 81-94; Emelise Aleandri, Little Italy, Charleston SC, Arcadia, 2002, pp. 23, 29-30; Michele H. Bogart, The Politics of Urban Beauty. New York and Its Art Commission, Chicago, University of Chicago Press, 2006, pp. 22-24, 108-114.
13 Howard D. Marraro, Barsotti, Carlo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 6, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1964, pp. 541-542; George E. Pozzetta, The Italians of New York City, 1890-1914, tesi di dottorato inedita, University of North Carolina at Chapel Hill, 1971, pp. 238-242; Bénédicte Deschamps, De la presse “coloniale” à la presse italo-américaine. Le parcours de six périodiques italiens aux États-Unis (1910-1935), tesi di dottorato inedita, Université Paris VII – Denis Diderot, 1996, pp. 66-68, 103-113; S. L. Baily, Immigrants in the Lands of Promise, cit., pp. 182-184; Francesco Durante, Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti, 1880-1943, Milano, Mondadori, 2005, pp. 81-83. All’esaltazione acritica e agiografica dell’opera di Barsotti e del “Progresso Italo-Americano”, soprattutto in relazione all’edificazione dei monumenti a Garibaldi, Colombo, Verdi, Verrazzano e Dante, è integralmente dedicata la pubblicazione anonima Per la mostra del lavoro degl’Italiani all’estero, New York, “Il Progresso Italo-Americano”, 1911.
14 Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 16-44.
15 Paolo S. Abbate, Pel 50° Anniversario della Unità d’Italia, Pittsfield, 1911 (pamphlet conservato alla New York Public Library, New York).
16 La conferenza del marchese Di Bugnano sul Cinquantenario, “Il Progresso Italo-Americano”, 6 aprile 1911, p. 2.
17 La scoperta d’America, “L’Italia”, 16-17 ottobre 1897, p. 1.
18 Giuseppe Giacosa, Impressioni d’America, Napoli, Muzzi, 1994 (I ed. 1899), pp. 132-133.
19 Francesco Tomaiuoli, Per una grande associazione di italiani, “Il Progresso Italo-Americano”, 17 febbraio 1911, p. 3.
20 La commemorazione ufficiale del 27 Marzo con l’intervento del Console d’Italia, “Il Progresso Italo-Americano”, 4 marzo 1911, p. 2.
21 Elenco delle società italiane esistenti negli Stati Uniti alla fine del 1910, cit., pp. 136-141.
22 Il 27 marzo sarà commemorato in colonia, “Il Progresso Italo-Americano”, 29 gennaio 1911, p. 2.
23 La coscienza coloniale si pronunzia ancora una volta pel monumento a Dante, “Il Progresso Italo-Americano”, 7 febbraio 1911, pp. 1-2.
24 Nuova York avrà il monumento a Dante Alighieri, “Il Progresso Italo-Americano”, 26 maggio 1910, p. 1; Italians Offer City a Monument to Dante, “New York World”, 29 maggio 1910, p. 21; Dante e Colombo, “Il Progresso Italo-Americano”, 16 ottobre 1910, p. 5.
25 Bénédicte Deschamps, Italian Americans and Columbus Day. A Quest for Consensus between National and Group Identities, 1840-1910, in American Festive Culture from the Revolution to the Early 20th Century, a cura di Jurgen Heideking, Geneviève Fabre e Kai Dreisbach, New York, Berghahn, 2001, pp. 124-139. Cfr. anche Ead., La scoperta dell’America narrata dai giornali italo-americani, 1880-2000, in Comunicare il passato. Cinema, giornali e libri di testo nella narrazione storica, a cura di Simone Cinotto e Marco Mariano, Torino, L’Harmattan Italia, 2004, pp. 409-438; Anna Maria Martellone, La “rappresentazione” dell’identità italo-americana: teatro e feste nelle Little Italy statunitensi, in La chioma della vittoria. Scritti sull’identità degli italiani dall’Unità alla seconda Repubblica, a cura di Sergio Bertelli, Firenze, Ponte alle Grazie, 1997, p. 388.
26 Italian Quarrels over Columbus Day, “New York Times”, 13 ottobre 1910, p. 18.
27 La commemorazione Cinquantenaria del 27 marzo, “Il Progresso Italo-Americano”, 11 febbraio 1911, p. 2.
28 L’elezione delle Stelle, “Il Progresso Italo-Americano”, 22 febbraio 1911, p. 1.
29 Cfr., per esempio, L’omaggio delle provincie d’Italia al Monumento di Dante in New York, “Il Progresso Italo-Americano”, 15 marzo 1911, p. 5; Per la Stella di Reggio, ibid., 28 marzo 1911, p. 2; L’omaggio delle provincie d’Italia al Monumento di Dante in New York, ibid., 7 aprile 1911, p. 5; Il monumento a Dante, ibid., 9 aprile 1911, p. 2.
30 Il Cinquantenario, “Il Progresso Italo-Americano”, 18 febbraio 1911, p. 1; L’inizio del periodo ufficiale delle feste del cinquantenario, ibid., 7 marzo 1911, p. 1; Il Parlamento italiano ricorda solennemente gli albori del Risorgimento, ibid., 18 marzo 1911, p. 1; L’apoteosi dell’Unità d’Italia in Roma capitale, ibid., 26 marzo 1911, p. 1.
31 Cfr., per esempio, Italy Is Absorbed in Jubilee Fetes, “New York Times”, 25 marzo 1911, p. C2.
32 La grande commemorazione ufficiale del 27 marzo 1861, “Il Progresso Italo-Americano”, 12 marzo 1911, p. 2 (a cui si riferisce la citazione); La grande commemorazione del 27 marzo 1861, ibid., 23 marzo 1911, p. 2.
33 La grande commemorazione del 27 marzo 1861, “Il Progresso Italo-Americano”, 25 marzo 1911, p. 2.
34 Cit. in Phyllis Williams, South Italian Folkways in Europe and America. A Handbook for Social Workers, Visiting Nurses, School Teachers, and Physicians, New Haven CT, Yale University Press, 1938, p. 17.
35 Cinquantenario dell’Unità all’Estero, “Il Progresso Italo-Americano”, 31 marzo 1911, p. 8; Caldi telegrammi inviati al Re da Sovrani e Capi di Stato, ibid., 6 aprile 1911, p. 1; L’arrivo dei Principi imperiali di Germania, ibid.
36 Liane, L’Italia è in festa, “Cronaca Sovversiva”, 25 marzo 1911, p. 1.
37 Liane, La rivoluzione del 18 marzo, “Cronaca Sovversiva”, 18 marzo 1911, p. 1.
38 Antonio Margariti, America! America!, Casalvelino Scalo, Galzerano, 1980, pp. 40, 55.
39 Anna Maria Martellone, Italian Immigrants, Party Machines, Ethnic Brokers in City Politics, from the 1880s to the 1930s, in The European Emigrant Experience in the U.S.A., a cura di Walter Hölbling e Reinhold Wagnleitner, Tübingen, Gunther Narr Verlag, 1992, p. 173.
40 L’Ambasciatore e la Colonia, “Il Progresso Italo-Americano”, 5 novembre 1910, p. 2.
41 Il Cinquantenario, “Il Progresso Italo-Americano”, 17 marzo 1911, p. 1.
42 Centoquarantacinque vite periscono nell’incendio di Washington Place, “Il Progresso Italo-Americano”, 28 marzo 1911, p. 1. Per una ricostruzione della vicenda, cfr. Leon Stein, The Triangle Fire, Philadelphia, Lippincott, 1962; Dave von Drehle, Triangle. The Fire That Changed America, New York, Atlantic Monthly Press, 2003.
43 Albano e Ficarotta, “Il Progresso Italo-Americano”, 30 marzo 1911, p. 7. Sul linciaggio e i complessi problemi del risarcimento, cfr. Patrizia Salvetti, Corda e sapone. Storie di linciaggi italiani negli Stati Uniti, Roma, Donzelli, 2003, pp. 101-119.
44 C. Pugliesi, L’inchiesta sul linciaggio di Tampa, “Il Progresso Italo-Americano”, 7 ottobre 1910, p. 2.
45 L’epistolario d’Arlecchino, “Il Progresso Italo-Americano”, 5 aprile 1911, p. 1; Proteggiamo l’emigrato!, ibid., 6 aprile 1911, p. 2; Proteggiamo l’emigrato!, ibid., 7 aprile 1911, p. 2; Proteggiamo l’emigrato!, ibid., 8 aprile 1911, p. 2 Arlecchino sgambetta ancora, ibid., 11 aprile 1911, p. 2.
46 M. Ridolfi, Le feste nazionali, cit., p. 23.
47 La festa dello Statuto nella Colonia, “Il Progresso Italo-Americano”, 3 giugno 1911, p. 2; Il grande banchetto in onore della candidata di Reggio Calabria; ibid., 7 giugno 1911, p. 3; La Festa dello Statuto e la Società “Reduci e Militari in Congedo”, ibid.
48 Christopher Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 510-539.
49 Gli arlecchini del patriottismo, “Gazzetta del Massachusetts”, 30 settembre 1911, p. 1.
50 Humbert S. Nelli, Italians in Urban America. A Study in Ethnic Adjustment, “International Migration Review”, 1, 3 (1967), pp. 47-49; Rudolph J. Vecoli, Cult and Occult in Italian American Culture, in Immigrants and Religion in Urban America, a cura di Randall Miller e Thomas Marzik, Philadelphia, Temple University Press, 1977, pp. 25-47.
51 Peter R. D’Agostino, Rome in America. Transnational Catholic Ideology from the Risorgimento to Fascism, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 2004, pp. 89-91.
52 L’equivoco d’una pastorale, “Il Progresso Italo-Americano”, 14 febbraio 1911, p. 1. Stralci della lettera pastorale di Farley sono riportati in Methodists Champion Italy, “New York Times”, 13 marzo 1911, p. 4.
53 Giovanni Almagià, S.E. il Cardinale Gibbons parla agl’italiani negli Stati Uniti per mezzo del “Progresso”, “Il Progresso Italo-Americano”, 25 marzo 1911, p. 1. Per il ruolo di Gibbons, cfr. James Hennesey, I cattolici degli Stati Uniti. Dalla scoperta dell’America ai nostri giorni, Milano, Jaca Book, 1984, p. 304.
54 Il monumento a Dante Alighieri in Nuova York, “Il Progresso Italo-Americano”, 27 maggio 1910, p. 1.
55 L’iniziativa del “Progresso”, “Il Progresso Italo-Americano”, 29 maggio 1910, p. 1. A causa di una controversia con l’amministrazione municipale di New York circa l’ubicazione e le caratteristiche della statua nonché del ritardo dello scultore incaricato di eseguirla, Ettore Ximenes, a cui si aggiunse successivamente lo scoppio della prima guerra mondiale, il monumento fu installato e inaugurato soltanto nel 1921, con ben dieci anni di ritardo rispetto alla data prevista in origine. Cfr. M. H. Bogart, The Politics of Urban Beauty, cit., pp. 114-117.
56 Ventata di entusiasmo, “Il Progresso Italo-Americano”, 28 maggio 1910, p. 1.
57 Want Dante Statue in Times Square, “New York Times”, 9 agosto 1911, p. 5.
58 La colonia di New York apre il ciclo delle feste dantesche, “Il Progresso Italo-Americano”, 28 marzo 1911, p. 2.
59 L’Italia in festa commemorando l’indipendenza, “L’Italia”, 1 aprile 1911, p. 1; Le feste di Roma, “La Tribuna Italiana d’America”, 1 aprile 1911, p. 1; Il cinquantenario dell’Unità d’Italia, “La Luce”, 1 aprile 1911, p. 1; Entusiastica manifestazione d’italianità nel Columbus Day, “L’Italia”, 14 ottobre 1911, p. 1; La festa del “Columbus Day” a Detroit, “La Tribuna Italiana d’America”, 14 ottobre 1911, p. 1; Echi Colombiani, “La Luce”, 14 ottobre 1911, p. 1.
60 La data s’approssima, “Gazzetta del Massachusetts”, 30 settembre 1911, p. 1.
61 Philip A. Bean, The Urban Colonists. Italian American Identity and Politics in Utica, New York, Syracuse, Syracuse University Press, in corso di stampa, cap. I.
62 Italians Celebrate, “Boston Globe”, 28 marzo 1911, p. 2; Il Cinquantenario dell’acclamazione di Roma capitale, “Il Progresso Italo-Americano”, 24 marzo 1911, p. 2.
63 Beatrice Pisa, Nazione e politica nella Società “Dante Alighieri”, Roma, Bonacci, 1995; Patrizia Salvetti, Immagine nazionale e emigrazione nella Società “Dante Alighieri”, Roma, Bonacci, 1995; Matteo Pretelli, Società Dante Alighieri, in Dizionario del fascismo, a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, Torino, Einaudi, 2003, vol. II, pp. 642-643; Mark I. Choate, Emigrant Nation. The Making of Italy Abroad, Cambridge MA, Harvard University Press, 2008, pp. 54, 108-119.
64 P. Salvetti, Immagine nazionale e emigrazione, cit., pp. 26, 29.
65 Il cinquantenario dell’Unità nazionale nelle Colonie, “Il Progresso Italo-Americano”, 2 aprile 1911, p. 8; Elenco delle società italiane esistenti negli Stati Uniti alla fine del 1910, cit., pp. 127, 131 (per Hartford e Springfield).
66 Seventy-Fifth Anniversary (Diamond Jubilee) of the Società Unione e Fratellanza Italiana. Historical Review, St. Louis, Boggiano, 1941, pp. 68-69. Sulla Società Unione e Fratellanza Italiana, cfr. Giovanni Schiavo, The Italians in Missouri, Chicago, Italian American Publishing Company, 1929, pp. 66-68; Gary Ross Mormino, Immigrants on the Hill. Italian Americans in St. Louis, 1882-1982, Urbana, University of Illinois Press, 1986, p. 75.
67 Relazione del Primo e Secondo Congresso degli Italiani degli Stati Uniti, Philadelphia, Nardello Press, 1913, p. 4.
68 Paul R. Brass, Ethnicity and Nationalism. Theory and Comparison, Newbury Park CA, Sage Publications, 1991, pp. 14-16; April R. Schultz, Ethnicity on Parade. Inventing the Norvegian American Through Celebration, Amherst, University of Massachusetts Press, 1994; Feasts and Celebrations in North American Ethnic Communities, a cura di Ramón A. Gutiérrez e Geneviève Fabre, Albuquerque, University of New Mexico Press, 1995; American Festive Culture from the Revolution to the Early 20th Century, cit.
69 Festa siciliana per la commemorazione del 27 maggio 1860, “La Tribuna Italiana d’America”, 25 marzo 1911, p. 2; Banchetto commemorativo, ivi, 3 giugno 1911, p. 2.
70 Giuseppe Prezzolini, Diario, 1900-1941, Milano, Rusconi, 1978, p. 470 (annotazione del 21 febbraio 1931).
71 Caroline F. Ware, Cultural Groups in the United States, in The Cultural Approach to History, a cura di Ead., New York, Columbia University Press, 1940, p. 63; Gaetano Salvemini, Memorie di un fuoruscito, a cura di Gaetano Arfè, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 110.
72 Humbert S. Nelli, Chicago’s Italian-Language Press and World War I, in Studies in Italian American Social History. Essays in Honor of Leonard Covello, a cura di Francesco Cordasco, Totowa NJ, Rowan and Littlefield, 1975, pp. 66-80; Christopher M. Sterba, Good Americans. Italian and Jewish Immigrants during the First World War, New York, Oxford University Press, 2003, pp. 133-152.