Partendo dall’analisi di Claudia Cucchiarato nel volume Vivo altrove e nel blog www.vivoaltrove.it l’iniziativa ha fatto appello a chiunque si sentisse parte di questa nuova comunità d’italiani all’estero in divenire. È iniziata così un’immensa raccolta di schede contenenti dati e storie personali che fino ad oggi ha coinvolto ben 24.831 persone. La comoda scheda online permette di inserire dati personali, in rispetto delle norme sulla privacy, così come una breve descrizione delle proprie vicende personali.
La banca dati disponibile on-line permette di effettuare ricerche per sesso, per età, per paese di residenza attuale, per impiego e per motivi di partenza. Da una breve analisi delle schede si percepisce una tendenza ben definita. Descrivendo una popolazione in movimento per lo più giovane (quasi 13.000 schede appartengono a giovani che hanno tra i 25 e i 34 anni), di sesso maschile (16.600 schede maschili contro le 8.375 femminili) che ha deciso di partire per scelta (oltre 10.000 schede) o per lavoro (9.600 schede) la banca dati mette in evidenza i problemi e le carenze professionali del nostro paese.
Se la maggioranza di schede non contiene che una scarna descrizione di dati, altre invece permettono di leggere alcune note personali particolarmente eloquenti. I cervelli in fuga, spesso iniziano a viaggiare durante il periodo universitario e dottorale. In contatto con realtà che permettono una piena e consapevole “meritocrazia accademica” ricevono un entusiasmante stimolo alla ricerca essendo coinvolti in progetti retribuiti e personalmente avvincenti. Il fattore economico non è infatti la prima molla che fa scattare il desiderio di “evadere” dall’Italia, ma quello della piena realizzazione dei propri desideri di ricerca scientifica e di crescita personale. Molti descrivono il periodo pre-partenza come un momento particolarmente difficile della propria vita accademica e lavorativa, fatto di molte ore di lavoro, di umiliazioni costanti e di poca o nessuna retribuzione. Avviene poi il contatto con l’estero, inaspettato e immediato, saltando i classici tempi burocratici italiani e comunque sempre realizzato in piena autonomia rispetto ai legami universitari. I giovani che partono lo fanno per pura iniziativa propria. Nessuno “li manda”… un fattore di onore e di conquista che molti riportano nelle proprie schede.
L’esempio di questa donna (35/45 anni, residente ora in Germania) può essere considerata come la “scheda tipo” riscontrabile in molte altre pagine della banca dati:
Sono laureata in ingegneria per l’ambiente e il territorio luglio 2002. Ricordo ancora quando i professori di fisica e matematica dei primi due anni raccontavano le leggendarie storie che già sei mesi prima della laurea venivi chiamato dalle compagnie dell’Italia del nord per lavorare. Tutte bugie!! Sono siciliana e sapevo che per come sono io sarei dovuta andare via comunque, ma speravo di poterlo scegliere. Ho finito la laurea ed il prof della tesi mi ha proposto di continuare a lavorare nell’ambito della ricerca. Ho lavorato gratis per un anno poi ho vinto il dottorato. Ho finito il dottorato a febbraio 2007 e già 1 anno prima era chiaro che non c’era posto per me. Dopo il dott ho lavorato un altro anno in un centro di educazione ambientale, mentre mandavo CV ovunque. Quando pensavo che non ce l’avrei fatta ho ricevuto una telefonata da un prof tedesco a cui avevo mandato il CV. Mi ha pagato tutte le spese per andare a presentare il mio lavoro e una settimana dopo la presentazione, mi ha scritto “dottoressa quando vuole la aspettiamo, lei è al TOP delle nostre priorità!”. Sono da più di due anni ricercatrice alla università tecnica di Berlino e non penso tornerò mai più in Italia!!
O di questo uomo (25/35 anni, residente ora in Francia):
Ho ottenuto una risposta quasi immediata e dopo un paio di interviste telefoniche e una di persona mi hanno fatto una proposta di lavoro a tempo indeterminato con uno stipendio di tutto rispetto. Ed eccomi finalmente giunto a Parigi dove potrò realizzare un duplice sogno: potermi esprimere ed essere veramente valorizzato per quello che sono. Addio Italia!
La banca dati elenca anche una serie di esperienze imprenditoriali di tutto rispetto. La riuscita nell’intento di una certa realizzazione economica non è, anche in questo caso, l’unica meta dell’italiano all’estero. Resta fondamentale in ogni resoconto la possibilità di accedere al diritto di sognare e di realizzare una “follia” professionale. In questo caso è particolarmente evidente:
Dopo la laurea in lingue orientali (110 e lode…), ho tentato in tutti i modi di lavorare in Italia. Tre anni di lavori temporanei, inutili stage non retribuiti, e colloqui in tutta Italia, per trovarmi alla fine ad ammettere che l’impiego migliore era il mio lavoro di commessa (in nero) che mi aveva permesso di mantenermi gli ultimi 2 anni di studio. Ho deciso quindi di partire per la Cina, ora dopo 7 anni di varie esperienze lavorative, da 3 anni io e il mio socio abbiamo creato dal “niente” 2 uffici, uno in Cina e uno in Bangladesh e abbiamo più di 30 dipendenti….
È da notare come la maggioranza dei partecipanti non si definisca “emigrante”. Questa parola quasi tabù e desueta rimane nell’immaginario collettivo incredibilmente legata ad un passato di miseria e di bassa manovalanza industriale. La maggioranza delle storie personali utilizza invece il termine “espatriato” o addirittura “esule”, a sottolineare la scelta politica che rimane alla base della partenza. La questione economica è certo importante, ma in tutte le schede è evidente il dissenso aperto con le politiche economiche del governo, per questo motivo spesso definito “Italietta”. L’Italia perde, in ogni contributo, il suo valore unificatore e la sua forza in quanto Stato. La delusione nelle istituzioni è pressoché totale.
Rimane allora il fattore umano e famigliare. L’Italia viene descritta come buona solo per le vacanze e per ritrovare parenti e amici. L’unica note dolente è dunque il distacco dei sentimenti più profondi, per questo ritorna spesso la parola “malinconia”. Per molti partecipanti al Censimento de “La Repubblica” il ritorno professionale in Italia non è neanche contemplato. La via del rientro è assolutamente chiusa a qualsiasi forma di compromesso professionale o economico. La qualità della vita riscontrata all’estero è unanimemente riconosciuta. Più i partecipanti si fanno maturi e meno sono disposti a tornare. I fattori che legano i nuovi migranti e le loro nuove famiglie “meticciate” al paese di accoglienza rendono un eventuale ritorno impossibile.
La raccolta “La Repubblica” continua a raccogliere adesioni e spera di potere in questo modo, prevenire ad una mappatura “generale” dei nuovi “espatriati” italiani. Il web permette in questo modo non solo di tenere traccia dei motivi della partenza ma anche di “contare” i numerosi lavoratori italiani dimenticati non solo dalle statistiche ufficiali ma soprattutto dalle politiche di sviluppo nazionale.