Caro Mario, Maria mia adorata. Argentina 1947

 

Il paese ne ha un disperato bisogno: le distruzioni operate dalla guerra hanno portato al dissesto dell’apparato produttivo e ad una conseguente disoccupazione valutata attorno ai due milioni di unità3. Anche per chi non è disoccupato ma si trova a sopravvivere con uno stipendio fisso che cede terreno al continuo aumento dei prezzi le condizioni di vita sono dure. Nel 1947 sono ancora in uso – e lo saranno fino al 1949 – le Carte Annonarie, entrate in vigore nel febbraio del 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Le «tessere» sono distribuite dalla SEPRAL (Sezione Provinciale per l’Alimentazione), istituita il 18 dicembre 1939 sia con lo scopo di sovraintendere al servizio di approvvigionamento nazionale in periodo di guerra che al servizio di distribuzione dei generi alimentari. Nel 1945 la SEPRAL è assorbita dal Ministero dell’Alimentazione, di nuova istituzione, e quindi dall’Alto Commissariato per l’Alimentazione. Le «tessere» consentono la prenotazione e l’acquisto a prezzo calmierato di quantità stabilite e limitate di alcuni beni di prima necessità. Ma questi beni spesso – o meglio, quasi sempre – non riescono ad arrivare sul mercato per vari motivi: disorganizzazione, disgregazione dell’apparato produttivo, distruzione delle infrastrutture che ne dovrebbero consentire la distribuzione (la guerra ha distrutto 2968 ponti e 5000 km di strade, ha decimato la flotta mercantile, ha prodotto incalcolabili danni alla rete ferroviaria4) ma soprattutto accaparramento e speculazione. La sopravvivenza delle famiglie viene così a dipendere dalla famosa e famigerata «borsa nera» alla quale si è costretti a rivolgersi per l’acquisto, a prezzi esorbitanti, di ogni genere di prima necessità, compresi i medicinali5.

Il fenomeno della «borsa nera» andrà ad esaurirsi nel corso del 1948, con la lenta e faticosa normalizzazione del mercato interno, ma nel 1947 gode ancora di ottima salute, con il corollario costituito dagli scontri fra le bande che la controllano e gli scontri fra le stesse bande e le forze dell’ordine che tentano di stroncarne la rete. E il traffico non si limita ai generi alimentari: alla «borsa nera» si possono comprare sigarette, valuta straniera (a Roma in vendita nella Galleria Colonna), droga, certificati penali, certificati di residenza, permessi di viaggio, titoli di studio, pensioni di guerra e di invalidità, carte annonarie contraffatte, medicinali.

Comprare al mercato nero, d’altronde, è in molti casi l’unica soluzione possibile: i generi acquistabili legalmente con la Carta Annonaria sono scarsissimi e la quantità cui ogni persona ha diritto è altrettanto scarsa6. I prezzi, fuori controllo sul mercato nero, sono in continuo aumento anche sul mercato legale. Il paese vive una delicatissima fase di violente tensioni sociali, nella quale trovano voce la fame di lavoro e l’esasperazione delle famiglie a basso reddito che a malapena riescono a tirare avanti. Il 19 gennaio, a Piazza del Popolo, si svolge una grande manifestazione popolare contro l’aumento dei prezzi, nella corso della quale prende la parola Giuseppe Di Vittorio, storico segretario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro e deputato all’Assemblea Costituente. Manifestazioni, scioperi ed altre forme di mobilitazione si susseguono nel corso dell’intero anno, spesso represse con violenza dalle forze dell’ordine7. Ministro dell’Interno, dal 2 febbraio (data di insediamento del III governo De Gasperi), è il democristiano Mario Scelba che riorganizza ed implementa le forse di polizia, soprattutto il reparto «Celere»8, in vista di una ipotetica e temuta guerra civile. La difficilissima situazione sociale dell’Italia viene tenuta costantemente sotto controllo dagli Stati Uniti che, ormai in piena Guerra Fredda, temono che il paese possa cadere nell’orbita sovietica. Restano tutt’oggi ancora oscuri responsabilità e mandanti della tristemente famosa strage di Portella della Ginestra (provincia di Palermo), del 1° maggio 1947, nella quale la banda di Salvatore Giuliano uccide 11 persone e ne ferisce circa 30 fra i manifestanti che si sono radunati, in occasione della Festa del Lavoro, per ascoltare il comizio sindacale, protestare contro il latifondismo e festeggiare la vittoria nelle elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana del Blocco del Popolo (una coalizione PSI-PCI) a spese della DC9. Il 13 maggio De Gasperi si dimette e il 31 dello stesso mese dà l’avvio al suo quarto mandato di governo, costituito da una coalizione dalla quale, per la prima volta dalla Liberazione, e su pressione degli Stati Uniti, è estromesso il PCI10.

Di fronte ad una situazione di tale complessità, già all’indomani della Liberazione, nei primi mesi del governo di coalizione antifascista, l’emigrazione è inserita nei programmi politici dei partiti come il metodo più efficace e tempestivo per risolvere il problema della disoccupazione e disinnescare la paventata bomba ad orologeria della rivolta sociale che si teme fomentata dall’Unione Sovietica11. Per dare concretezza a questa strategia politico-sociale si abolisce il restrizionismo fascista in materia di emigrazione, introdotto nel 1930 (la libertà di emigrare sarà poi sancita dall’art. 35 della Costituzione12), e si ripristinano gli organi tecnici di emigrazione, eliminati dal fascismo nel 1927: il 10 marzo 1947 viene istituita la nuova Direzione Generale dell’Emigrazione e viene costituito un coordinamento ministeriale per l’emigrazione stessa13; si dà quindi il via alla firma di numerosi accordi e protocolli d’intesa in materia di emigrazione con diverse nazioni europee ed extraeuropee. Nell’ottica di pervenire ad un sempre maggior peso degli orgnismi statali nella gestione dell’emigrazione14, si apre la «stagione d’oro» degli accordi bilaterali15. La politica migratoria degli Stati Uniti, caratterizzata da un rigido sistema di quote annue16, fa sì che l’Italia si orienti a cercare gli sbocchi per la propria manodopera disoccupata nei paesi europei e negli altri paesi d’oltreoceano mete tradizionali di emigrazione, in particolare la Francia e l’Argentina17. In un’intervista alla Settimana Incom18 del 24 ottobre 1947, in presenza dell’ambasciatore argentino Ocampo Jimenez, il sottosegretario agli affari esteri Giuseppe Brusasca si esprime nei termini di una «dolorosa ma assoluta necessità dell’emigrazione» di fronte ad una massa di due milioni di disoccupati da assorbire e ad una popolazione in età lavorativa che cresce di 350.000 unità all’anno. A tale data già risultano emigrati all’estero, sotto il controllo dello stato ed in forza di accordi stipulati, circa 140.000 lavoratori19.

Il 21 febbraio 1947 viene stipulato a Roma un primo Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione20. Per l’Italia firmano il ministro per gli Affari Esteri Carlo Sforza e il sottosegretario per gli italiani all’estero Giuseppe Lupis; per l’Argentina il ministro plenipotenziario Adolfo Scilingo21 e il salesiano don José Silva22. La firma dell’accordo è preceduta da una fase preparatoria che vede anche la stampa italiana schierarsi a favore dell’apertura verso il mercato argentino, già a partire dall’immediato dopoguerra: L’Avanti del 3 agosto 1945 parlava della urgente necessità di emigrazione in Argentina, vista come grande paese di accoglimento e terra di fortuna di tanti emigrati italiani tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, l’epoca della grande ondata migratoria nel paese sudamericano23; Il Messaggero di Roma, nel maggio 1946, pubblica in prima pagina un articolo dal titolo «In Argentina c’è posto per gli italiani», nel quale si riportano le parole del presidente argentino Perón:

Abbiamo bisogno di uomini energici e spiritualmente sani. Non si tratta di aumentare la popolazione dei centri urbani già grandi, ma di coltivare e popolare l’immensità della Pampa o di provvedere i nostri centri industriali di manodopera specializzata24.

Il Corriere della Sera del 27 ottobre 1946 riporta, ancora in prima pagina, un resoconto di viaggio di Guido de Ruggiero dal titolo «Conoscersi e volersi bene fra Italiani e Argentini», seguito da un altro, dell’8 novembre dello stesso anno, dal titolo «Argentina terra promessa. Gli oriundi del nostro Paese fanno prevalere le ragioni di sentimento e le tradizioni spirituali anche nei rapporti economici»25. Si delinea così, nell’opinione pubblica italiana, un’immagine dell’Argentina che assume i caratteri di una sorta di paese di cuccagna26 popolato da «fratelli» pronti ad accogliere i nuovi arrivati a braccia aperte, tanto che fra 1946 e 1960 sono circa 380.000 gli italiani che vi emigrano27. Queste cifre ingentissime sono però solo marginalmente l’effetto degli accordi stipulati fra i due paesi e quindi della emigrazione «sovvenzionata»: esse sono soprattutto il risultato di un fenomeno migratorio spontaneo – più rapido e meno burocratico – riattivato dalle catene paesane o familiari risalenti agli anni della grande ondata migratoria nel paese sudamericano28. Nonostante gli apparenti vantaggi, l’emigrazione spontanea resta preferita a quella «sovvenzionata» perché più rapida e meno burocratica, e perché l’assistenza ufficiale comporta alcune restrizioni in merito all’obbligo del mantenimento dell’occupazione dichiarata e del luogo di insediamento29; non è da sottovalutare, inoltre, una certa diffidenza nei confronti della rigida, quasi militaresca struttura organizzativa dell’emigrazione «sovvenzionata», modellata su precedenti prebellici30. Già prima della firma dell’accordo italo-argentino si contano infatti oltre 100.000 domande di entrata tramite gli «atti di chiamata» nominativi, le richieste cioè di ricongiungimento familiare inoltrate da lavoratori già residenti in Argentina31.

In effetti l’Argentina sta vivendo una fase di grande espansione economica, grazie alla posizione di neutralità, tenuta fin quasi alla fine del conflitto, che aveva consentito al paese di incrementare fortemente le esportazioni32: nel 1947 Juan Domingo Perón, al suo primo mandato presidenziale (è eletto il 24 febbraio 194633), vara il primo piano quinquennale che comprende una ambiziosa politica di incremento dell’immigrazione (si prevede di ricevere 4 milioni di immigrati tra 1947 e 195134), nell’intento di dare sviluppo all’agricoltura e soprattutto all’industria in un paese che ha ancora un forte bisogno di manodopera. A differenza, però, di quanto era avvenuto durante la grande ondata migratoria tra fine Ottocento e inizio Novecento, che rispondeva ad una necessità indiscriminata di mero popolamento, il governo peronista preferisce operare una selezione dei flussi migratori attraverso l’attivazione di organismi ufficiali, in modo da accogliere nel paese una immigrazione qualificata che si radichi stabilmente sul territorio35. Una selezione da effettuarsi non solo sulle competenze, ma, in via preventiva, anche sull’origine e l’orientamento ideologico degli immigrati stessi, che si vorrebbero «mediterranei, cattolici, di sicura affiliazione anticomunista […] agricoltori o tecnici». La politica immigratoria argentina sceglie infatti di privilegiare i paesi più affini dal punto di vista culturale, più facilmente assimilabili alla società locale, vale a dire Spagna e Italia. Già nel 1946 l’ambasciatore argentino in Italia, Carlos Brebbia, è incaricato di studiare i problemi migratori europei e prendere contatto con imprenditori e tecnici italiani interessati a trasferirsi in Argentina. In un rapporto del maggio 1946 Brebbia raccomanda facilitazioni per gli emigranti italiani e l’opportunità di favorire

[…] quelli che hanno una formazione simile alla nostra, che non comprometta la nostra comune eredità razziale e un grado di civiltà capaci di migliorare il nucleo etnografico e il carattere peculiare della nostra nazionalità36.

Una visione razziale – per non dire razzista – che rispecchia il pensiero del nuovo direttore della Dirección de Migraciones, Santiago Peralta, formatosi in Germania, e che però viene successivamente attenuata per dare spazio, almeno ufficialmente, al criterio della competenza tecnica e professionale degli emigranti37. A causa dei legami etnici, religiosi e culturali, d’altronde, l’Argentina era stata l’unico paese del mondo occidentale a mantenere rapporti diplomatici con l’Italia durante il periodo bellico, ed era stata ugualmente l’unica a sostenerla nella richiesta di entrare a far parte delle Nazioni Unite38. Una solidarietà nei confronti dell’Italia che non è scevra da motivazioni filo-fasciste. Il console italiano di Mendoza, Barattieri, in un rapporto al Ministero degli Affari Esteri del 24 ottobre 1946 così sintetizza le motivazioni di questo atteggiamento:

[…] una diffusa, generica e sentimentale simpatia verso l’Italia, considerata vittima di un iniquo trattamento da parte dei vincitori; il fenomeno sociale del peronismo che […] significa, da un punto di vista storico, l’avvento al potere di una nuova classe sociale, nella quale assai più numeroso è l’elemento di origine italiana che non nei vecchi ceti politici conservatori e radicali; il fatto che molti peronisti hanno un passato di aperte tendenze filo-fasciste, sono dei neofiti della democrazia (a parole soltanto) e desiderano quindi marcare con zelo la loro simpatia verso la nuova Italia39.

La via verso la realizzazione degli accordi italo-argentini in materia di emigrazione viene quindi spianata da questa solidarietà culturale e anche dall’atteggiamento favorevole della chiesa cattolica argentina, il cui corpo clericale è in maggior parte di origine italiana40. La decisione – da parte di Perón – di nominare nella delegazione incaricata di stipulare l’accordo con l’Italia il salesiano don José Silva quale ministro plenipotenziario, accanto ad Adolfo Scilingo, sembra d’altronde manifestare una chiara intenzione di rafforzare i legami con la chiesa cattolica stessa41. L’incoraggiamento viene anche dal Vaticano: già nel dicembre 1946 l’Ambasciata d’Italia presso la S. Sede informa che il Vaticano, nella persona di mons. Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) si esprime positivamente in merito al programma di Perón42. Una opinione favorevole condivisa anche dalla Democrazia Cristiana e in generale dalla destra, che vedono l’Argentina peronista più adatta a preservate i «valori» degli italiani piuttosto che la la Francia, elettivamente più affine alla sinistra43. Ed in effetti fra 1947 e 1960 gli italiani rappresentano di gran lunga la maggioranza degli immigrati nel paese sudamericano44.

Nell’ottobre del 1946 il governo peronista crea due organismi ufficiali, alle dirette dipendenze della Presidenza della Repubblica: la Delegazione Argentina di Immigrazione in Europa (Delegación Argentina de Inmigración en Europa – DAIE), con sede a Roma (dove si installa all’inizio di dicembre), e la Comisión de Recepción y Encauzamiento de Inmigrantes (CREI), con sede in Argentina. Compito della DAIE è quello di ricevere – nei paesi di origine dei lavoratori – le richieste di potenziali emigranti, effettuare una selezione e concedere i relativi permessi. Compito della CREI è la collocazione degli immigranti così selezionati nel mercato del lavoro argentino45.

La DAIE, composta da Adolfo Scilingo e don José Silva (firmatari poi dell’accordo) e da alcuni esperti46, dà subito inizio al lavoro di negoziazione con le autorità italiane, i rappresentanti degli organismi ministeriali (specialmente Ministero degli Esteri e del Lavoro) e i sindacati, per giungere alla definizione dei termini del trattato. Il lavoro di negoziazione procede con una certa difficoltà: agli italiani interessa soprattutto che i datori di lavoro argentini offrano agli emigranti garanzie adeguate, agli argentini preme invece attirare manodopera specializzata per sostenere lo sviluppo economico con il minor costo possibile47. La contrattazione si arena più volte su alcuni punti controversi, fra i quali l’onere del viaggio, che la delegazione argentina vorrebbe interamente a carico dell’emigrante ed eseguito solo da navi argentine, e la selezione e reclutamento degli emigranti, da effettuarsi congiuntamente secondo gli argentini (che vorrebbero solo celibi provenienti dal Centro e dal Nord Italia48), a cura, invece, dei soli organi italiani competenti per la controparte. Anche sul contratto di lavoro le posizioni sono in disaccordo: per gli argentini gli emigranti, alla partenza, avrebbero avuto ampie informazioni sulle condizioni di lavoro e sul costo della vita, ma il contratto tra datore di lavoro e lavoratore sarebbe stato stipulato nel porto di sbarco; per le autorità della nuova Italia repubblicana – fondata sul lavoro e sulla protezione dei lavoratori – l’emigrante sarebbe dovuto partire con un accordo preliminare di ingaggio, che assicurasse il massimo possibile dei diritti, da firmare prima della partenza nel centro di raccolta. In seguito alle pressioni dell’opinione pubblica e della chiesa cattolica, e dopo una manifestazione di protesta degli aspiranti all’espatrio per le lungaggini della trattativa, si giunge ad un compromesso che lascia nel vago i temi più controversi, fra cui quello fondamentale della regolamentazione delle rimesse, ed alla firma il 21 febbraio 194749. Negli auspici di Arpesani, ambasciatore italiano a Buenos Aires, si sarebbe dovuto trattare di un accomodamento provvisorio, utile a far partire un primo contingente di cinquemila o diecimila operai e dare sfogo alle pressioni della popolazione, una sorta di ‘prova tecnica’ suscettibile però di futuri miglioramenti50.

L’accordo si ispira al principio generale della parità di trattamento tra italiani e argentini e da ciò deriva programmaticamente la repressione di ogni tipo di sfruttamento degli emigranti (art. 2 e 3); il reclutamento si sarebbe effettuato «sopra la base delle liste complete provenienti dagli uffici italiani competenti e le richieste e specificazioni che saranno comunicate periodicamente dalla Delegazione argentina di immigrazione in Europa» (art. 6); le Autorità italiane si sarebbero occupate di «avviare gli aspiranti ad emigrare compresi nelle liste presentate, ai centri di reclutamento» che sarebbero stati fissati di comune accordo (art. 7); nei centri di reclutamento gli emigranti sarebbero stati sottoposti ad un «esame sanitario e tecnico da parte degli organi competenti italiani e argentini» (art. 8); il Governo italiano si sarebbe fatto carico dell’«avviamento e il trasporto degli aspiranti riconosciuti idonei verso i centri di reclutamento e i porti di imbarco, alle date stabilite» (art. 9); il costo del trasporto marittimo sarebbe stato anticipato, in toto o in parte, dall’Istituto argentino per l’incremento dell’intersambio (Instituto de Promoción del Intercambio) e gli immigrati si sarebbero dovuti impegnare a rimborsarlo entro 40 mesi dalla data dell’imbarco, tramite trattenuta sui salari o sulle rimesse in Italia (art. 10, art. 4 e 5 dell’Annesso 1); i contratti di lavoro fra imprenditori e lavoratori si sarebbero dovuti stipulare nell’Hotel de Inmigrantes di Buenos Aires o di qualsiasi altro porto (art. 11), sotto la vigilanza della Commissione di ricevimento e avviamento (Comisión de Recepción y Encauzamiento), il cui compito è di aver cura «con la massima diligenza che i lavoratori, artigiani e tecnici vengano instradati a seconda della loro professione o del loro mestiere o della loro capacità» (art. 12). Organi autorizzati a raccogliere le domande degli aspiranti (pare che ad aprile siano già più di 200.000) sono la CGIL e le associazioni e i patronati cattolici che possano dare garanzie di serietà51.

Solo il 16 aprile 1947 viene sottoscritto l’annesso sanitario all’accordo, in forza del quale si prevede che l’esame medico preventivo sia effettuato dal servizio sanitario italiano (dal medico del comune), mentre la DAIE avrebbe effettuato un ulteriore esame sanitario nei luoghi di imbarco subito prima della partenza. Sono considerati atti all’espatrio gli aspiranti «di sana e robusta costituzione, esenti da malattie infettive contagiose, da malattie trasmissibili, da affezioni neuropsichiche»; vengono altresì stabiliti i limiti di età per accedere alle liste di emigrazione: 37 anni per i celibi, 40 per i coniugati, 30 per le donne sole, 55 per il personale tecnico direttivo52.

La lentezza e la complessità delle operazioni organizzative fa sì che solo il 4 giugno del 1947 un primo contingente di emigranti riesca a partire da Genova verso il porto di Buenos Aires sulla nave Santa Fe, alla presenza di numerose autorità, fra le quali l’ambasciatore argentino Ocampo Jimenez53. Le istituzioni italiane, che ancora non sono preparate, devono allestire in tutta fretta un albergo per accogliere gli emigranti in sosta a Genova per il laborioso disbrigo delle formalità54. La nave arriva a destinazione il 19 giugno, accolta personalmente da Perón e da «decine di migliaia di italiani [che] hanno affollato banchine e moli [] per fare una commovente dimostrazione ai conterranei in arrivo [] Campeggia una grande scritta “Benvenuti fratelli italiani”»55. Il giorno successivo, il 20, gli immigrati assistono ad una solenne funzione religiosa che si conclude con una dichiarazione di Perón:

Ricordatevi – egli ha detto – che quattro milioni di italiani vivono felicemente in Argentina. Voi oggi avrete quindi la vostra casa dove uomini italiani sono e saranno sempre cittadini argentini. Perciò voi, immigrati, non siete gente straniera, ma nostri fratelli56.

A conferma del clima idilliaco fra i due paesi, il contemporaneo viaggio in Italia di Evita Perón: la presidentessa, accompagnata dal fratello Juan Duarte, segretario di Perón, atterra a Ciampino il 26 giugno, attesa dal ministro degli Esteri Carlo Sforza, l’ambasciatore argentino Ocampo Jimenez e Francesca De Gasperi, moglie del capo del Governo. Evita attraversa Roma accolta da «el entusiastico, calido y agradecido saludo del pueblo romano» e si trattiene in Italia fino al 7 luglio. A Roma segue una fitta agenda di incontri: si reca in visita dal papa, Pio XII, porge omaggio alla tomba del Milite Ignoto, in Campidoglio incontra De Gasperi, fa visita all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, assiste ad una serata di gala a Villa Aldobrandini con De Gasperi e Sforza e parte per Bordighera, dove si trattiene qualche giorno; di nuovo a Roma, il 2 luglio incontra De Nicola, il 3 visita De Gasperis e riparte il 7 da Ciampino, salutata con un enfatico «Vuelvas aun entre nosotros, gentil mensajera de paz y de trabajo!»57. Poche settimane prima, il 5 giugno, l’ambasciata argentina aveva distribuito agli enti assistenziali di Roma dei buoni per il ritiro di pacchi commestibili destinati alle famiglie più bisognose, un dono di Perón e della moglie «come tangibile espressione del sentimento di amicizia che lega il popolo argentino e quello italiano»58.

Subito dopo le prime partenze scoppia però una polemica sulle condizioni lavorative degli emigrati e sui criteri non troppo selettivi – per non dire di favore – applicati dalla delegazione argentina nella composizione delle prime liste d’imbarco. All’atto del suo insediamento, i membri della delegazione avevano dichiarato che non avrebbero operato nessuna selezione sulla base di principi etnici, politici e religiosi, esprimendo la volontà di «[…] accettare i lavoratori ex fascisti non responsabili di gravi colpe nella certezza che si trasferissero in Argentina spinti dal proposito di ricostruire la propria vita e non da una particolare influenza di un’ideologia ormai del tutto sconfitta».

La pretesa imparzialità si configura ben presto in una serie di facilitazioni e vantaggi nei confronti di ‘emigranti’ di riguardo: fascisti e collaborazionisti troppo compromessi con il passato regime, rifugiati di altri paesi in transito per l’Italia, soprattutto croati59. L’opposizione politica, sia in Italia che in Argentina, dà il via ad una campagna scandalistica che porta alle dimissioni di don José Silva e – in luglio – all’esonero di Adolfo Scilingo, accusato, quest’ultimo, di mancanza di etica amministrativa: viene accertata infatti la falsità delle dichiarazioni della professione di operaio di un buon numero emigranti che operai non sono e che, oltre tutto, portano con se’ ingenti capitali60. La Delegazione è accusata di concedere indubbi favori a «pezzi grossi fascisti» e a personaggi che hanno «smobilitato i loro patrimoni in Italia» e che cercano dall’altra parte del mondo una nuova verginità politica. Il 29 luglio la CGIL inoltra al Ministero degli Affari Esteri una protesta formale per lo «scandalo» delle irregolarità nel reclutamento dei lavoratori61. Su don Silva, e sul Vaticano, si accentrano le critiche degli anticlericali che avevano temuto fin dal principio possibili discriminazioni confessionali. La rivista satirica Don Basilio già nel febbraio del 1947 aveva accusato il Vaticano di proteggere collaborazionisti e fascisti in attesa di espatriare in Argentina62. Un articolo pubblicato su La Voz del Interior del 7 agosto (riportato in La Nuova Stampa di Torino) denuncia il fatto che alcuni emigranti fossero in realtà esponenti del passato regime in fuga, reclutati con la complicità della DAIE e, una volta arrivati in Argentina, scomparsi dall’Hotel de Inmigrantes senza lasciare traccia, forse con la collaborazione della polizia locale63.

Dopo le dimissioni di Scilingo e Silva il governo italiano decide di rinviare a tempo indeterminato la partenza prevista per il 24 luglio e l’emigrazione governativa viene temporaneamente sospesa (restano possibili solo gli «atti di chiamata»)64. Si apre un nuovo periodo di studio per trovare una soluzione alle lacune organizzative che il primo accordo aveva portato alla luce, in particolare il problema del ricongiungimento delle famiglie degli emigranti già trasferiti in Argentina e i criteri di compilazione delle liste. Nel dicembre 1947 l’on. Stefano Jacini viene nominato Ambasciatore straordinario in Argentina quale plenipotenziario per la contrattazione e la firma di un nuovo accordo che viene sottoscritto a Buenos Aires il 26 gennaio 1948.

Il nuovo accordo vuole rappresentare – sulla carta – un miglioramento della posizione degli emigranti soprattutto per quel che riguarda il diritto dell’emigrante stesso all’informazione circa le condizioni economiche in cui si sarebbe venuto a trovare al momento dell’espatrio: il governo italiano, sulla base delle segnalazioni ricevute dal governo argentino, avrebbe infatti comunicato all’emigrante «notizie circa retribuzione minima, regione di destinazione, modalità trasferimento famiglia, possibilità alloggio, rimesse denaro ecc.». Informazioni strategiche di cui i primi emigranti ‘battistrada’, evidentemente, non avevano potuto disporre. Il governo argentino si propone inoltre di facilitare il ricongiungimento familiare accordando la gratuità del trasporto navale anche ai familiari e tramite i regolari «atti di chiamata»65. Problema, quello del ricongiungimento familiare, particolarmente spinoso, che però resta irrisolto anche dopo la firma del secondo trattato, al punto che la S.Sede nel giugno del 1948 si sente in dovere di segnalare al ministero degli esteri che

[…] il risentimento dei nostri emigranti che, all’atto dell’ingaggio avevano avuto assicurazioni di potersi fare al più presto raggiungere dalle famiglie, ha raggiunto, in taluni casi, forme di vera esasperazione66.

Nella realtà dei fatti la macchina della emigrazione «sovvenzionata» si rivela incapace di attuare le sue ambiziose premesse per svariati fattori, quali la confusione e la disorganizzazione del progetto peronista, l’inadeguatezza delle strutture amministrative argentine di fronte all’enorme massa di espatriati (nell’ufficio consolare di Roma, dove confluiscono migliaia di domande di aspiranti, ci sono solo 3 o 4 funzionari), la corruzione67.

A partire dal 1948 la politica argentina in materia di immigrazione si fa via via sempre più restrittiva soprattutto nell’impedire l’arrivo di emigranti sospettati di simpatie comuniste68. Il clima dei rapporti in materia migratoria si deteriora per le reazioni nella pubblica opinione italiana e soprattutto in Parlamento e nella stampa di sinistra. A queste si aggiungono le recriminazioni degli emigranti a carico del paese ‘fratello’ per i salari inadeguati, la mancanza delle case, la scarsa tutela giuridica e i problemi delle rimesse in patria. La rivista Operare dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti pubblica nel luglio del 1949 un articolo in cui la situazione degli emigrati italiani in Argentina è descritta in termini inequivocabili, in balia della disoccupazione e in condizioni abitative degradanti69.

Che la situazione in Argentina non sia delle migliori è confermato anche dall’atteggiamento dei ‘vecchi’ immigrati nei confronti dei nuovi arrivati che, a loro dire, si considerano tutti «ingegnieri»70:

 

I vecchi immigrati erano risentiti per le pretese della nuova immigrazione […] I più vecchi, quelli della generazione di prima della guerra, accusavano i nuovi arrivati di essere arroganti, pieni di pretese e con poca voglia di lavorare. Questi ultimi rispondevano di non essere più una massa di analfabeti, sbarcati con il sacco in spalla e disponibili per qualsiasi lavoro. Al di là delle polemiche era evidente che i tempi erano cambiati, che il nuovo immigrante era generalmente più colto, meno passivo nei confronti dei paesi di approdo di quelli generazioni precedenti71.

La nuova generazione di immigrati, inoltre, sembra disinteressarsi di quelle istituzioni italiane in terra argentina – società di mutuo soccorso e associazioni a base nazionale o regionale – che avevano costituito la rete di sostegno degli immigrati delle generazioni precedenti72. Nel marzo del 1947 – ancor prima, quindi, degli arrivi «sovvenzionati» – L’Italia del Popolo, una delle testate in lingua italiana più diffuse in Argentina, si sente in dovere di richiamare i nuovi arrivati ad un maggior senso di appartenenza nazionale:

Coloro che fin qui sono arrivati dall’Italia hanno una naturale tendenza a tenersi in disparte dalla nostra collettività. Sono arrivati migliaia di italiani in questi ultimi mesi e sono pochi coloro che hanno preso contatto con la collettività già residente […] I nuovi arrivati ignorano che qui esistono associazioni mutualistiche e ricreative, non sanno che c’è un Ospedale italiano, non hanno notizia che nella sola Buenos Aires si muovono circa 300.000 italiani73.

Il 1949 è l’anno in cui l’emigrazione italiana in Argentina nel secondo dopoguerra tocca il suo picco massimo. La spinta propulsiva del 1947 e 1948 va poi velocemente esaurendosi ed aumentano in modo esponenziale i rientri in patria, soprattutto per coloro che hanno lasciato le famiglie in Italia e nell’invio delle rimesse si trovano penalizzati dal cambio sfavorevole74. Quello dei rientri è un fenomeno che riguarda soprattutto gli emigrati italiani: uno studio del 1950 della Dirección General de Immigración riferisce che «L’immigrante italiano […] non si sente definitivamente incorporato nel nostro ambiente finché non ha portato al suo fianco l’intero gruppo familiare e se non ci riesce in tempi brevi ritorna in patria75».

In via di esaurimento i flussi migratori verso l’Argentina – anche a causa della crisi del peronismo ed il peggioramento della situazione economica del paese sudamericano, che già alla fine degli anni ’40 comincia a manifestare i limiti del modello di sviluppo industriale prospettato da Perón76 – la politica dell’emigrazione italiana trova nel decennio successivo altre direzioni di sviluppo.

1 Il II Governo De Gasperi entra in carica dopo il referendum del 2 giugno, il 13 luglio 1946: è il primo governo della neonata Repubblica Italiana, seppure ancora nell’ambito dell’Ordinamento provvisorio, in attesa della conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituente che porteranno alla promulgazione della Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1°gennaio 1948.

2 Sulla situazione politica italiana dell’immediato dopoguerra, cfr. Piero Craveri, De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2006

3 cfr. Rolf Petri, Storia economica d’Italia. Dalla Grande Guerra al miracolo economico (1918-1963), Il Mulino, Bologna 2002, pp. 182-83; Gianfausto Rosoli, «La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra (1946-1949)», in Gianfausto Rosoli, a cura di, Identità degli italiani in Argentina. Reti sociali/Famiglia/Lavoro, Studium, Roma 1993, p.343

4 Queste sono le cifre fornite nel documentario del 1952 Parliamo un po’ di noi, visibile online sul sito dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce: www.archivioluce.com

5 Annotazioni spicciole ma interessanti sulla vita quotidiana a Roma nel periodo bellico e post bellico sono contenute in Riccardo Mariani, Roma in bianco e nero, Edizioni Capitolium, Roma s.d., vol. II; cfr. anche Fiorenza Fiorentino, La Roma di Charles Poletti: giugno 1944-aprile 1945, Bonacci, Roma 1986; Vittorio Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, Bari 2006, pp. 224-264

6 cfr. G.De Marzi, «Scarsa alimentazione in Italia», Il Messaggero di Roma, 28/6/1947: le calorie fornite dagli alimenti reperibili con le Carte Annonarie sono molto al di sotto delle 2300 riconosciute come necessarie; per i grassi si registra il 50% in meno del minimo indispensabile

7 cfr. Adolfo Pepe, Pasquale Iuso, Simone Misiani, La CGIL e la costruzione della democrazia, in Storia del sindacato in Italia nel ‘900, diretta da Adolfo Pepe, III, Ediesse, Roma 2001

8 Il reparto «Celere» della Polizia di Stato è istituito nel 1946, alla vigilia del Referendum, dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Romita, con lo scopo di far fronte ad eventuali disordini legati al referendum stesso

9 cfr. Giuseppe Casarrubea, Maria J.Cereghino, Lupara nera: la guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano 2009

10 Coalizione del IV Governo De Gasperi: DC-PLI-PSLI-PRI (www.governo.it)

11 cfr. Luciano Tosi, «La tutela internazionale dell’emigrazione», in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, a cura di, Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli editore, Roma 2001, II, p. 450; Michele Colucci, Lavoro in movimento: l’emigrazione italiana in Europa, 1945-57, Donzelli, Roma 2008, pp. 41-96. La Commissione per lo Studio dei Problemi del Lavoro, istituita il 10/1/1946, e la Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia svolgono un’inchiesta per testare l’attitudine ad emigrare della popolazione. Le conclusioni, consegnate nel giugno dello stesso anno al ministro per la Costituente, Pietro Nenni, indicano un orientamento positivo all’ipotesi emigratoria (cfr. Maria Cristina Cacopardo, «La inserción economica de los italianos en la Argentina en la segunda mitad del siglo XX», in Luigi Di Comite e Maria Carmela Miccoli, a cura di, Cooperazione, multietnicità e mobilità territoriale delle popolazioni, Cacucci Editore, Bari 2003, p. 33; Colucci, Lavoro in movimento, pp. 54-56)

12 Sul dibattito in seno alla Costituente intorno all’art. 35 cfr Colucci, Lavoro in movimento, p. 56

13 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, pp. 344-45 e p. 370

14 cfr. Fernando J. Devoto, traduzione di Federica Bertagna, Storia degli italiani in Argentina, Donzelli editore, Roma 2007, p. 410

15 Colucci, Lavoro in movimento, p. 136

16 cfr. Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione: l’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Laterza, Bari 2010, pp. 9-12

17 cfr. Lucia Capuzzi, La frontiera immaginata. Profilo politico e sociale dell’immigrazione italiana in Argentina nel secondo dopoguerra, Franco Angeli, Milano 2006, p. 37; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, pp. 411-12

18 La Settimana Incom, prodotta dalla Industria Cortometraggi Milano dal 1946 al 1965, è tra i cinegiornali più importanti del dopoguerra. Si avvale del contributo di alcune firme prestigiose del panorama giornalistico e cinematografico italiano

19 60.000 in Svizzera, 27.000 in Belgio, 40.000 in Francia, 3.000 in Argentina e almeno 5.800 negli USA. Altri contingenti di lavoratori, di minore entità, risultano emigrati in Cecoslovacchia, Inghilterra, Svezia e Austria. A questi vanno aggiunti i lavoratori che emigrano autonomamente, al di fuori dei trattati internazionali. Questo tipo di emigrazione, che Brusasca non quantifica, è diretta in prevalenza verso il Cile, l’Argentina e il Venezuela (www.archivioluce.com)

20 Convertito in legge il 13 novembre e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 1947; foto della cerimonia sono visibili online sul sito dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce: www.archivioluce.com

21 Seppure di nessuna utilità in questo contesto, segnalo l’omonimia con il militare argentino, nato nel 1947, condannato nel 2005 per crimini contro l’umanità per aver partecipato ai «voli della morte» durante il regime militare. Nella sentenza di condanna (consultabile sul sito www.justiciaviva.org), fra l’altro, si legge che il padre del tenente Scilingo porta il suo stesso nome (Adolfo Armando Scilingo). La comparazione fra le foto dei due uomini mostra inoltre una notevole somiglianza; non appare del tutto infondata l’ipotesi che il criminale dei «voli della morte» sia il figlio del ministro firmatario dell’accordo

22 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 366 e segg.

23 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, pp. 354-55

24 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 355

25 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 355

26 Sulla propaganda governativa cfr. Colucci, Lavoro in movimento, p. 106

27 cfr. Maria Ines Barbero e Maria Cristina Cacopardo, «L’immigrazione europea in Argentina nel secondo dopoguerra: vecchi miti e nuove realtà», in Gianfausto Rosoli, a cura di, Identità degli italiani in Argentina. Reti sociali/Famiglia/Lavoro, Studium, Roma 1993, p.298; fino alla fine degli anni Cinquanta l’Argentina e la Francia sono i paesi dove si radica il maggior numero di italiani (cfr. Fernando J.Devoto, Storia degli italiani in Argentina, Donzelli editore, Roma 2007, p. 396)

28 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 356; sulle catene migratorie cfr. Samuel L.Baily, «La cadena migratoria de los italianos a la Argentina», in Fernando Devoto e Gianfausto Rosoli, a cura di, La inmigración Italiana en la Argentina, Editorial Biblos, Buenos Aires 1985, pp. 45-61; Fernando J.Devoto, «Las cadenas migratorias italianas: algunas reflexiones a la luz del caso argentino», Studi Emigrazione, (XXIV), 87, 1987, pp. 355-373; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 416 e pp. 458-64

29 cfr. Barbero e Cacopardo, «L’immigrazione europea in Argentina nel secondo dopoguerra», p. 293

30 Sulle analogie fra le migrazioni forzate prebelliche e le migrazioni assistite postbelliche cfr. Colucci, Lavoro in movimento, pp. 20-22

31 cfr. Barbero e Cacopardo, «L’immigrazione europea in Argentina nel secondo dopoguerra», p. 369

32 cfr. De Clementi, Il prezzo della ricostruzione, p. 18

33 Su Perón e il suo ruolo nella storia dell’Argentina cfr. Felix Luna, Péron y su tiempo, Editorial Sudamericana, Buenos Aires 1984; Hugo Gambini, Historia del peronismo, Editorial Planeta Argentina, Buenos Aires 1999; Norberto Galasso, Péron, Ediciones Colihue, Buenos Aires 2005

34 cfr. Fernando J. Devoto, «In Argentina», in Bevilacqua, De Clementi e Franzina, a cura di, Storia dell’emigrazione italiana, II, p. 50; Fernando J.Devoto, Historia de la inmigración en la Argentina, Editorial Sudamericana, Buenos Aires 2003; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 406

35 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 349; Amoreno Martellini, «L’emigrazione transoceanica fra gli anni quaranta e sessanta», in Bevilacqua, De Clementi e Franzina, a cura di, Storia dell’emigrazione italiana, I, p. 377

36 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 348-50

37 Per Peralta – che dirige anche l’Istituto Etnico Nazionale – le linee generali della futura politica migratoria argentina si sarebbero dovute delineare in senso marcatamente etnico e razziale: nelle sue intenzioni si sarebbe dovuto consentire l’ingresso solo a uomini di razza bianca, sani, senza idee politiche pericolose (Cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, p. 46 e pp. 51-52; Eugenia Scarzanella, «Sani, onesti, latini: gli italiani e le politiche di selezione dell’immigrazione in Argentina, 1890-1955», in Marcello Saija, a cura di, L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento e la storia delle comunità derivate, Edizioni Trisform, Messina 2003, p. 405-10)

38 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 342

39 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 357

40 cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, p.40

41 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 361

42 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 360

43 cfr. Devoto, «In Argentina», p. 51; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 412; riserve sono invece espresse dai sindacati italiani, preoccupati che una eventuale emigrazione di massa possa portare ad un impoverimento di manodopera specializzata, anche per l’esistenza di agenzie – più o meno clandestine – che forniscono ogni genere di documenti a chi voglia espatriare (cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 362)

44 cfr. Barbero e Cacopardo, «L’immigrazione europea in Argentina nel secondo dopoguerra», p. 302-3; fra il 1946 e il 1955 emigrano circa due milioni e mezzo di italiani. I paesi transoceanici, e in particolare l’Argentina, ne accolgono circa la metà (cfr. Cacopardo, «La inserción economica de los italianos», p. 29)

45 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 349; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, pp. 408-9

46 Fernando Bordabehere, Miguel Angel de Gamas, José Antonio Guemes e Alberto Zilera (cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, p. 50)

47 cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, pp. 55-56

48 cfr. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 413

49 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, pp. 363-66; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, pp. 414-15

50 cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, p. 59

51 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 368; nel maggio 1947 nasce la Giunta cattolica per l’emigrazione, organo di coordinamento fra diverse strutture: missionari scalabriniani, Pontificia opera di assistenza, Associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI), Azione cattolica italiana, i salesiani (cfr. Colucci, Lavoro in movimento, pp. 77-78); il testo completo dell’Accordo è qui in Appendice

52 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, pp. 370-71

53 Il cinegiornale la Settimana Incom n. 62 dedica all’avvenimento un breve servizio il 12 giugno 1947 (www.archivioluce.com)

54 Il primo centro di imbarco, a Genova, è istituito il 1° giugno (cfr. Capuzzi, La Frontiera immaginata, pp. 66-67 e p. 219)

55 «Il primo contingente di italiani è sbarcato a Buenos Aires», Il Messaggero di Roma, 20/6/1947

56 «Il Presidente Peron parla agli emigrati italiani», Il Messaggero di Roma, 21/6/1947

57 Le tappe della permanenza di Evita a Roma sono ricostruibili nelle pagine de Il Messaggero di Roma; le citazioni spagnole sono tratte dal documentario Incom Ofrecen en homenaje el presente documentario como recuerdo de la visita de S.E. la senora Maria Eva Duarte de Peron a Italia (www.archivioluce.com); cfr. anche Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 414

58 «Un dono argentino per la popolazione romana», Il Messaggero di Roma, 4/6/1947; il 28 giugno le autorità della provincia di Buenos Aires spediscono via aerea un notevole quantitativo di streptomicina (pressoché introvabile e a costi proibitivi in Italia) per salvare la vita a un bambino («Streptomicina dall’Argentina per salvare un bimbo italiano», Il Messaggero di Roma, 29/6/1947)

59 cfr. Federica Bertagna e Matteo Sanfilippo, «Per una prospettiva comparata dell’emigrazione nazifascista dopo la seconda guerra mondiale», Studi Emigrazione, (XLI), 155, 2004, pp. 527-554; Federica Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, Donzelli editore, Roma 2006, pp. 144-170; Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 372; questo scenario era stato anticipato da La Vanguardia, un giornale di opposizione antiperonista, che alla firma degli accordi aveva paventato l’ipotesi che l’Argentina potesse essere invasa da ex fascisti in fuga dall’Italia (cfr. Carolina Biernat, «Prensa diaria y polìticas migratorias del primer peronismo: dificultades y aciertos en la construcción de la opinión pública», Estudios Migratorios Latinoamericanos, (4), 12, 1989, p. 300)

60 In una sua memoria José Silva riferisce che Scilingo è esonerato dall’incarico perché nel primo contingente di emigranti sono scoperti 20 comunisti accertati e 80 persone senza alcun mestiere (cfr. Bertagna e Sanfilippo, Per una prospettiva comparata dell’emigrazione nazifascista, p.550)

61 cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata, p. 208

62 cfr. Martellini, «L’emigrazione transoceanica fra gli anni quaranta e sessanta», p.369

63 cfr. A. Porta, «El problema de la emigración en Italia», La Voz del Interior, 7/8/1947 (in Capuzzi, La frontiera immaginata, p.68)

64 cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata cit., p.68; in realtà, almeno nei primi tempi dopo la sospensione, e a giudicare dal carteggio Piacentini/Barbieri, sembra siano state quasi impossibili anche le partenze con gli «atti di chiamata» (v. più avanti)

65 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, pp. 376 e segg.

66 Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 383

67 cfr. Devoto, «In Argentina», p. 51

68 Nel maggio del 1948 il consolato argentino a Napoli fa richiesta di informazioni confidenziali alla Democrazia Cristiana, da confermare poi con analoghe richieste al Partito Monarchico e al Movimento Sociale Italiano, sull’orientamento politico degli aspiranti all’espatrio (cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 385)

69 cfr. Rosoli, La politica migratoria italo argentina nell’immediato dopoguerra, p. 389

70 Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 399

71 Vanni Blengino, Oltre l’oceano. Gli immigrati italiani in Argentina, Edizioni Associate, Roma 1990, pp. 187-88

72 cfr. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, pp. 433 e segg.

73 Martellini, «L’emigrazione transoceanica fra gli anni quaranta e sessanta», p.379

74 cfr. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, p. 405

75 Barbero e Cacopardo, «L’immigrazione europea in Argentina nel secondo dopoguerra», p. 299

76 cfr. Cacopardo, «La inserción socio economica de los italianos», p.30; Devoto, Storia degli italiani in Argentina, pp. 401-2; il dopoguerra e la politica del piano Marshall causano il crollo delle esportazioni argentine. I limiti del progetto peronista erano stati profetizzati lucidamente in un rapporto della CGIL del gennaio 1947 (cfr. De Clementi, Il prezzo della ricostruzione, pp. 15-18 e pp. 48-51)

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    By: Paola Campanini

    Attrice, autrice, burattinaia, artigiana, studiosa del teatro di figura, Paola Campanini nasce a Roma in un giorno di tarda primavera del XX secolo.

    Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorsa fra letture compulsive e piccole creazioni d’arte, una laurea in storia del teatro, un po’ di saggi pubblicati, un libro sulle marionette barocche, corsi di teatro e lezioni di canto, si mette in cammino e approda alla baracca dei burattini, dove trova la quadratura del cerchio.

    Nel 1995 fonda i Burattinmusica e da allora si dedica con tutta se stessa al teatro, alla musica e ai pupazzi. Ha una casa affollata di burattini, creature e oggetti fantastici, perché il segreto per essere felice è non smettere mai di giocare.

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