Questo articolo affronta il problema del rapporto tra la mobilità geografica, le identità sociali e la costruzione del discorso politico nella città industriale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Una certa storiografia politica sembra considerare i ceti popolari, generalmente identificati come meri destinatari dei messaggi elaborati dai gruppi dirigenti, attori passivi del processo di politicizzazione delle masse, e soprattutto li esamina come se fossero interlocutori stabili. Come sappiamo, la realtà, invece, è meno lineare e la mobilità delle persone, sociale e geografica, è solo uno degli indicatori che ci dovrebbe far riflettere in modo più problematico sul rapporto tra politica e società. In questo quadro, nell’analisi dei processi di nazionalizzazione delle masse potremmo provare a proporre un modello interpretativo diverso da quello prevalente, essenzialmente diffusionista e che dipinge la politica come una forma di acculturazione delle masse popolari. Se proviamo a osservare più da vicino, e attraverso un’attenta ricostruzione contestuale, gli attori in gioco e i potenziali destinatari del messaggio politico, possiamo cercare di definire un modello circolare, secondo il quale la comunicazione politica è condizionata dalle caratteristiche degli interlocutori sociali dei partiti, cioè dalle loro identità plurali. L’articolo si sofferma sullo studio di un caso, quello di Torino, e cerca di mettere in relazione uno specifico e diffuso strumento comunicativo, cioè le esposizioni, che nell’ex capitale italiana, e non solo, assunsero una spiccata connotazione patriottica, con le caratteristiche dei potenziali destinatari di quello specifico discorso politico1.
L’Esposizione internazionale del 1911 fu per l’Italia un grande evento celebrativo dell’identità nazionale. Le tre capitali del Regno, Torino, Roma e Firenze, ospitarono eventi per festeggiare il cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Da Torino già qualche anno prima partì una proposta, che fu poi realizzata: organizzare proprio in occasione di quell’importante ricorrenza nazionale una grande mostra del lavoro degli italiani all’estero. Ne fu protagonista un gruppo di liberali che da tempo operava nell’ambito delle celebrazioni nazionali e che aveva curato tre delle più importanti esposizioni italiane dalla fine dell’Ottocento, cioè quelle di Torino del 1884, del 1898 e del 19112. Questi grandi eventi celebrativi nazionali e internazionali furono uno degli strumenti di nazionalizzazione delle masse adottati dalle elites in quegli anni, e, con la scelta di dedicare una mostra agli italiani all’estero, i liberali diedero prova di tentare di interpretare un fenomeno che riguardava milioni di persone, e in questo modo cercarono di costruire una certa simbologia patriottica in grado di unire la politica con l’esperienza di vita di chi migrava.
L’Italia, come noto, è diventato un paese d’immigrazione internazionale solo negli ultimi decenni, mentre è da tempo un paese d’emigrazione3. Le grandi città industriali del nord, come Torino, destinazione di molti migranti, tra XIX e XX secolo, furono lo stesso spazio di incontro tra mondi sociali e culturali differenti, che spesso si incrociavano. Naturalmente non è mai la mera distanza a caratterizzare le ricadute del fenomeno migratorio nel contesto urbano: come molti studi hanno dimostrato, la mobilità locale e quella internazionale erano strettamente correlate, perché si inserivano in culture, pratiche e strategie tradizionali molto diffuse, soprattutto tra i ceti popolari. Da lontano o da vicino, attraverso percorsi tortuosi diretti e indiretti, le identità legate ai processi migratori si trasmettono e pesano nel contesto urbano attraverso la presenza o per contagio4. Da tempo gli studi sulla mobilità hanno dimostrato che non è possibile analizzare i processi migratori come se fossero fenomeni unidimensionali, e che dunque sia sempre più necessario procedere ad approfondite contestualizzazioni per capire in che modo si leghino agli altri processi che investono la società urbana contemporanea. La mobilità, è stato autorevolmente dimostrato, non è misurabile con uno spazio euclideo, in cui la distanza diventa l’elemento determinante per cogliere l’essenza dei fenomeni migratori, ma va studiata in uno spazio relazionale5, in un doppio senso: nel senso che contano i legami tra le persone, la loro storia, la loro struttura e i contenuti che hanno; ma anche in un altro senso, e cioè che la mobilità non può essere esaminata da sola, ma va posta in relazione ad altro. Le persone si muovono e portano con sé esperienze, oppure mantengono contatti stretti con chi è in città, nonostante la distanza chilometrica6. In modo diretto, attraverso la presenza, o indiretto, attraverso i legami con amici o familiari, la mobilità segna le identità urbane. L’obiettivo del saggio è dimostrare che nel contesto urbano le identità legate al processo migratorio si legano ad altre identità stabilendo un pacchetto identitario7 che nel suo insieme condizionò la politica nell’età della formazione dei partiti di massa e nazionali. Mi concentrerò in particolare sul caso di Torino, prima capitale del Regno d’Italia, per le caratteristiche e la storia di questa grande città italiana.