2 Migrazione e nazionalizzazione delle masse
Le tre esposizioni torinesi sperimentarono un canone della simbologia patriottica italiana, con al centro il nesso tra modernità industriale e Risorgimento. Inoltre, nell’organizzazione dell’esposizione del 188415 i membri del comitato esecutivo avevano inserito chiari riferimenti alla questione coloniale, all’inizio dell’esperienza africana italiana, ma, dopo la sconfitta di Adua, la preparazione dell’esposizione di fine secolo, quella del 1898, avrebbe dovuto arricchire il discorso nazionale con altre immagini: l’affermazione del mito dell’espansionismo italiano fu affidato alla mostra delle missioni e alla sezione dedicata all’emigrazione italiana all’estero16. L’intento era lo stesso, ma a mutare furono i simboli divulgati, non più l’occupazione militare, ma quella commerciale e soprattutto l’emigrazione. Grazie all’impulso decisivo dato dall’esposizione del 1898 al tema dell’emigrazione, col nuovo secolo fu fondato l’Istituto coloniale italiano, a cui aderirono vari deputati torinesi, da cui partì la proposta di realizzare a Torino una mostra del lavoro degli italiani all’estero in occasione dell’importante esposizione internazionale del 1911. Fenomeno che investì migliaia di famiglie in quegli anni, l’emigrazione doveva diventare un ingrediente dell’identità italiana, in patria come all’estero. Nella sua relazione al primo congresso degli italiani all’estero nel 1908, il liberale torinese Edoardo Daneo presentò pubblicamente la proposta di mostra per il 1911. Ai suoi occhi, proprio in occasione dell’anniversario della patria, l’attenzione per gli emigrati sarebbe dovuta essere al livello della celebrazione17. Proprio dall’ex capitale del regno, e ora capitale industriale in ascesa, giunse la proposta della mostra del lavoro degli emigrati: non una mostra dell’emigrazione, ma, appunto, una mostra del lavoro degli italiani nel mondo. Nella conclusione del suo intervento, Daneo volle inserire un’analogia col Risorgimento, per sottolineare ancora una volta quanto la storia recente degli italiani affondasse le proprie radici nel processo unitario, che doveva essere ricordato: gli emigranti erano paragonati così ai patrioti esuli che per anni combatterono per avere l’Italia unità.
Nella mia ricerca ho studiato la simbologia delle esposizioni e delle varie feste nazionali torinesi lungo un quarantennio. Ho analizzato da vicino tutti gli attori coinvolti nell’organizzazione a diversi livelli, da quello nazionale a quello di quartiere, e ho cercato di chiarire chi fossero i presunti destinatari del messaggio politico e quale ruolo essi ebbero. Per cercare di descrivere con la maggior approssimazione possibile il contesto comunicativo in cui le manifestazioni patriottiche avvennero, ho cercato di definire gli elementi identitari prevalenti nella società, per capire se e quanto fossero compatibili con quelli evocati dalle varie commemorazioni.
A inizio Novecento, la città si presentava con una crescita demografica recente, prodotta essenzialmente dai flussi migratori provenienti dalla provincia e dal Piemonte. Se si raffronta il dato torinese con altri dati italiani, si nota che a cavallo tra Otto e Novecento Torino era inserita nel gruppo col più alto numero di nati in altri comuni tra le grandi città. Inoltre, Torino aveva un alto tasso di presenza femminile, anche tra gli immigrati. Infatti, nel rapporto tra i generi negli immigrati, tra le altre città e soprattutto tra le città industriali Torino contava una maggioranza di donne, con una proporzione del tutto peculiare a scapito dei maschi.
Tab. 10 Maschi per 1000 femmine, secondo il luogo di nascita (1901)18
Città |
Nati nella stessa città |
Nati in altre città |
Torino |
971 |
902 |
Genova |
856 |
1168 |
Milano |
929 |
1092 |
Venezia |
986 |
857 |
Bologna |
953 |
899 |
Firenze |
803 |
1078 |
Roma |
1030 |
1125 |
Napoli |
863 |
1237 |
Catania |
990 |
1124 |
Messina |
940 |
1304 |
Palermo |
1008 |
996 |
Come mostrano bene i dati sulla composizione per età delle grandi città italiane, l’immigrazione riguardò soprattutto le persone in età produttiva, comprese tra i quindici e i sessant’anni. Il caso torinese mette in evidenza le caratteristiche peculiari delle città industriali, come Torino, Milano e Genova: la fascia d’età che meglio le connotava era quella compresa tra i quindici e i venticinque, cioè il gruppo dei giovani lavoratori, in gran parte operai dell’industria. Proprio questo dato nel caso di Torino è tra i più alti, in particolare quello della popolazione maschile in questa fascia d’età era il maggiore tra le grandi città esaminate da Mortara. Un ultimo elemento sulla struttura della popolazione per genere ed età va ancora segnalato: nella fascia d’età fino a quindici anni, comprendente una parte di giovanissime operaie, Torino aveva la più alta presenza di donne rispetto agli uomini di tutte le altre grandi città .
Se ci si sofferma sul profilo professionale della popolazione torinese censito nel 1881 e nel 1901, si ha un quadro piuttosto preciso delle linee di tendenza: incremento degli occupati nell’industria, forte componente femminile in questo settore, diminuzione percentuale delle occupate nei servizi alla persona, forte crescita delle donne non occupate in alcuna professione. La condizione della lavoratrice era, nel caso di Torino, anomala rispetto ai dati nazionali: il tasso d’occupazione femminile era il più alto nel confronto con gli altri grandi centri su tutte le categorie professionali, ad accezione delle professioni liberali. Se si passano ad analizzare gli occupati nel solo comparto industriale, si coglie meglio la forte connotazione del lavoro operaio femminile a inizio Novecento: tra tutti, il dato che mutò di più nella composizione della manodopera industriale torinese tra il 1881 e il 1901 era proprio quello relativo al settore tessile, che a inizio secolo era di otto punti percentuali superiore a vent’anni prima, visto che le operaie passarono da meno di tremila a oltre ottomila. La condizione di donna lavoratrice, per lo più occupata nelle industrie tessili, non solo di grandi dimensioni, era dunque ampiamente diffusa nel contesto torinese, e i dati quantitativi lo confermano19.
Tutti gli indicatori fin qui elencati ci aiutano a individuare alcune caratteristiche della popolazione torinese d’inizio Novecento, utili a interpretare i processi d’inclusione delle masse nella vita politica attivati da diversi soggetti, i liberali, i cattolici, i socialisti. Dai dati elaborati a livello cittadino emergono dunque cinque macrolinee di tendenza: lo sviluppo demografico evidenziava la forte crescita della periferia urbana, in gran parte dei quartieri esterni alla cinta daziaria ove s’insediarono molti stabilimenti industriali in quel periodo; la struttura occupazionale della popolazione urbana metteva in luce la rilevanza delle professioni operaie e del gruppo delle persone senza occupazione dichiarata, in grande maggioranza donne; l’elevata presenza d’immigrati, soprattutto dai comuni vicini a Torino o comunque dal Piemonte, rimandava al più generale problema della mobilità geografica nel tessuto urbano; c’era una forte consistenza delle classi d’età giovanili sull’intera popolazione, e il loro peso cresceva d’importanza soprattutto tra i lavoratori dell’industria, dove i giovani raggiungevano circa il 40% della manodopera; c’era infine un elevato tasso d’occupazione femminile, con picchi assoluti per le giovani operaie delle industrie tessili.