Nella riflessione sui rapporti tra esilio ed emigrazione in epoca risorgimentale è necessario, per quanto riguarda Belgio e Lussemburgo, tenere conto in via preliminare del fatto che tali aree geografiche non coincidono all’epoca con i confini nazionali cui oggi si fa riferimento, quantomeno non nella fase iniziale dell’esodo politico italiano[1]. Il Belgio raggiungerà infatti l’indipendenza dai Paesi Bassi nel 1830, a seguito dei moti rivoluzionari che sconvolgeranno l’assetto introdotto dalla Restaurazione[2]. Più complessa la situazione del Lussemburgo che, dopo un decennio di influenza belga, sarà formalmente indipendente a partire dal 1839, con una dimensione territoriale drasticamente ridotta rispetto al 1815[3].
Le questioni che si pongono a chi in tale contesto voglia indagare i nessi esistenti tra esilio risorgimentale ed esodo migratorio non possono inoltre prescindere da una disomogeneità evidente che caratterizza i due fenomeni nelle aree che qui si vorrebbero esaminare in parallelo, così come non si potrà non tener conto di una loro diversa focalizzazione in ambito storiografico, leggibile attraverso una produzione di studi e ricerche che, senza aver colmato tutte le zone d’ombra, finisce col dar luogo anche a scansioni temporali che non sempre consentono di adottare criteri di periodizzazione convergenti[4].
Il quadro che si intende rapidamente evidenziare cercherà quindi di dar conto da un lato delle indagini finora effettuate in Belgio e in Lussemburgo, individuando un percorso che attraverso tappe necessariamente non lineari ed omogenee si estende oltre i confini temporali abitualmente assunti per la definizione dell’epoca risorgimentale in senso stretto, lasciando qua e là emergere in controluce anche i silenzi o gli echi non sempre allineati alle aspettative di consenso – senza escludere persino qualche segnale di percezione dissonante (o dissacrante) – aprendo infine squarci su alcuni tratti di quell’eredità ideale, tardiva forse, ma ancora viva e palpitante che, pur declinata a partire da posizioni spesso radicalmente divergenti, a distanza di decenni dal concretizzarsi del processo unitario caratterizzava ancora il mondo dell’emigrazione.
1. Esuli risorgimentali in Belgio: una felice eccezione storiografica?
La presenza di esuli risorgimentali italiani in area belga si rivela consistente e significativa già intorno alla metà degli anni 1820-1830[5], con personalità del calibro di Filippo Buonarroti, arrivato a Bruxelles nella primavera del 1824, al centro di una rete di matrice giacobina e repubblicana venutasi a creare tra profughi politici italiani e francesi, collegata agli ambienti massonici, che intratteneva altresì stretti rapporti con i giovani liberali autoctoni insofferenti del giogo olandese sulle province belghe. Un altro polo di attrazione era costituito dal gruppo definito del castello di Gaesbeeck, che gravitava intorno alla famiglia dei marchesi Arconati Visconti, dove si riunivano esuli italiani e liberali francesi, uomini di cultura, aristocratici e borghesi. Un’indagine puntuale sulla collocazione, in rapporto a queste reti, di quanti in particolare si erano inizialmente rifugiati in Spagna dopo i moti del 1820-1821, potrebbe fornire indicazioni interessanti anche sugli esiti in senso moderato o radicale una volta rientrati in Italia[6]. Altri esuli italiani a Bruxelles in questo periodo scelgono o sono costretti ad una vita più isolata, anche per problemi economici e difficoltà psicologiche di adattamento. Le iniziative politiche e legislative attuate dal Belgio nei confronti dei profughi dell’esodo risorgimentale ne confermeranno comunque il ruolo di paese di accoglienza tra i più aperti e disponibili, in Europa, alla protezione di questa categoria di rifugiati, garantendoli in particolare dai rischi del rimpatrio[7].
Ne risulta nel complesso un quadro assai articolato, delineatosi a partire dal corposo saggio di Mario Battistini[8] che esamina il periodo compreso tra il 1815 e il 1861, sia per quanto riguarda la rilevazione nominativa degli esuli, che comprendono – come in parte già accennato – anche personalità di grande rilievo, sia per la registrazione delle varie fasi degli arrivi e delle partenze, per la distribuzione geografica e professionale, con le non infrequenti difficoltà di inserimento, gli inevitabili dissidi interni per la diversità di tendenze politiche e di condizioni economiche e sociali, i rapporti con altre diaspore presenti sul territorio e in ambito internazionale, l’intrecciarsi della loro azione con i fermenti locali (numerosi esuli prenderanno parte come volontari alla rivoluzione belga del 1830), gli echi nella stampa e la conseguente attenzione riservata all’Italia[9], le misure repressive messe in atto dagli organi di polizia, le varie iniziative di solidarietà interna e da parte degli autoctoni. Il saggio di Battistini (Volterra, 1885 – Bruxelles, 1953), a sua volta esule politico dell’antifascismo, benché pubblicato postumo nel 1968, conferma la relativamente precoce attenzione storiografica per l’area belga rispetto ad altre zone di approdo dell’esilio risorgimentale[10].
2. Echi risorgimentali in Lussemburgo, tra azioni e reazioni, polemiche e consensi
Nulla sembra emerso fino ad ora per quanto concerne una eventuale coeva presenza di esuli italiani in area lussemburghese, zona del tutto marginale all’epoca se osservata in termini di opportunità per i proscritti, a livello di relazioni, scambi, risorse e supporti in campo sociale e culturale, oltre che politico, e di conseguenza scarsamente attrattiva rispetto ad altre possibili destinazioni europee[11]. Ciò non significa tuttavia che tale area sia rimasta estranea agli echi delle vicende risorgimentali italiane, che finirono per coinvolgerla più o meno direttamente in più di un’occasione, anche se con modalità che non sempre denotano un consenso diffuso. Se la presenza di un volontario lussemburghese è documentata nelle formazioni garibaldine del 1860 a Napoli[12], il fatto non può evidentemente bilanciare l’arruolamento, nel 1867, di 28 lussemburghesi nel corpo degli 8.000 zuavi impegnati a Mentana a difesa dello Stato pontificio. Tale arruolamento, avvenuto sotto gli accorati appelli del clero, ebbe una grande risonanza nella stampa cattolica granducale (con ovvi e veementi contrattacchi da parte liberale) e sarà oggetto di diverse pubblicazioni anche a distanza di anni[13].
Mentre l’opinione pubblica locale di stampo liberale associava volentieri l’immagine dell’Eroe dei due Mondi a un genere di vita piuttosto libertino (in tali ambienti circolava addirittura un Inno di Garibaldi in versione bacchica, dal refrain “vive la jeunesse, l’amour et le plaisir…”)[14], in ambito conservatore la sua reputazione non era indenne da frecciate sarcastiche (nel 1860, ad esempio, l’Ebling fu dai viticoltori della Mosella etichettato “Garibaldi” per il suo grado elevato di acidità)[15]. Con tali premesse, non poteva lasciare indifferenti la notizia circolata all’improvviso, il 2 agosto 1871, a partire da un trafiletto apparso sul giornale d’ispirazione liberale “Luxemburger Zeitung”, di un imminente arrivo di Garibaldi da Caprera per rendere visita a Victor Hugo, il quale dopo l’espulsione dal Belgio aveva trovato rifugio in Lussemburgo, nella località di Vianden, dove risiedeva dal 1 giugno di quell’anno[16]. Se il dibattito mediatico alimentato dalle immancabili reazioni della stampa conservatrice non sorprende, va tuttavia osservato che lo stesso Hugo non mancherà di prestavi attenzione, come risulta dalle note contenute nel suo diario[17], benché la notizia – effimera come i calori estivi che l’accompagnarono – si sia rivelata poi infondata e nessun biografo dell’Eroe ne abbia fatto menzione.
3. Esilio ed emigrazione: intersezioni possibili e valori condivisi
A partire da questo sfondo, che evidenzia differenze sostanziali all’interno delle due aree prese in esame, sia in rapporto alla presenza dei protagonisti dell’esilio, sia alla percezione del fenomeno risorgimentale più vasto che lo inquadra, si potrà ora spostare l’attenzione al tema più specificamente migratorio, inteso come mobilità di tipo professionale rispetto all’esilio indotto da motivazioni politiche[18], per individuare eventuali punti di intersezione che, seppur declinati in varia maniera, possono risultare significativi. Se, nei secoli precedenti, la presenza italiana in Belgio e Lussemburgo assume le caratteristiche proprie alle migrazioni di ancien régime nello spazio europeo[19], la diaspora risorgimentale darà avvio per quanto riguarda il Belgio ad un processo di integrazione nel tessuto sociale che vedrà gli esuli mettere i propri saperi – in primis quelli di tipo intellettuale[20], ma non solo – al servizio del paese di accoglienza, pubblicando, insegnando, svolgendo mansioni amministrative di rilievo, ma anche inserendosi in attività imprenditoriali e commerciali di vario tipo, alcuni radicandosi definitivamente sul territorio, con una visibilità di ben altro respiro rispetto alle epoche anteriori[21].
Se il Lussemburgo rimarrà sostanzialmente estraneo, per i motivi più sopra ricordati, a tali dinamiche e interazioni[22], la precocità dei flussi migratori provenienti dall’Italia già negli ultimi decenni dell’Ottocento[23] (a differenza dell’emigrazione italiana in Belgio, che inizia ad assumere un carattere più consistente solo con la fine della prima guerra mondiale, per raggiungere dimensioni di massa nel secondo dopoguerra[24]) costituirà la premessa per il configurarsi nel Granducato, sul volgere del secolo, di una realtà che evidenzia – e coltiverà a lungo al suo interno – riferimenti inequivocabili al patrimonio risorgimentale, nelle forme e manifestazioni associative, nel lessico e negli apparati simbolici, nelle istanze etiche che esprime[25]. Queste prime generazioni di emigrati, nati a ridosso del processo di unificazione da poco concluso, ne portano inevitabilmente ancora gli echi, sia che si collochino nell’area moderata dell’adesione all’ordine costituito, oppure in quella radicale della ribellione nei confronti di una patria percepita come “matrigna”[26]. I legami protratti nel tempo con i luoghi di origine, indotti anche dalla forte mobilità e rotazione di manodopera che ha caratterizzato – seppure con fasi alterne – l’emigrazione italiana in Lussemburgo fino alle soglie della seconda guerra mondiale, non possono di fatto non aver influito sull’elaborazione di un rapporto particolare, seppur non scevro da conflittualità e contraddizioni, col sentimento di identità nazionale e con i suoi miti fondatori[27].
- Eredità risorgimentali nell’emigrazione italiana in Lussemburgo
La presenza non trascurabile di una decina di società “italiane” di mutuo soccorso, sorte in prevalenza tra il 1892 e il 1908 nei centri del bacino minerario lussemburghese in cui si concentravano gli emigrati provenienti dalla Penisola, occupati in maggioranza come operai nell’industria siderurgico-mineraria e nei cantieri edilizi[28], evidenzia non solo il rapido affermarsi di capacità aggregative con finalità di tipo solidaristico, ma esprime al contempo il maturare di una consapevolezza di italianità che trascende le varie appartenenze regionali[29]. Costante sarà all’interno di queste società l’intento di valorizzare e condividere il patrimonio, i simboli e i miti risorgimentali e unitari, come testimoniano gli stessi nomi attribuiti in diversi casi ai sodalizi (Regina Margherita, Regina Elena, Vittorio Emanuele III, Principe Umberto, Fratellanza) e alle loro fanfare (Garibaldina, Giuseppe Verdi e ancora Fratellanza), a partire dalle cerimonie per l’anniversario dello Statuto albertino, organizzate già da fine Ottocento, come è il caso per la manifestazione che ebbe luogo nel 1894 a Esch-sur-Alzette, in coincidenza con la benedizione della bandiera della prima società di mutuo soccorso fondata dagli italiani l’anno precedente nel capoluogo del bacino minerario:
Le dimanche 3 juin1894, elle organisa une grande fête à l’occasion de la bénédiction de son drapeau. Tous les Italiens du Grand-Duché et de la proche Moselle y étaient conviés. Ainsi, plus de 2000 personnes s’étaient rassemblées sur la place de l’Hôtel de Ville où se déroulait la cérémonie. La municipalité d’Esch avait suspendu des oriflammes aux couleurs luxembourgeoises sur le lieu de la réunion. A la gare d’Esch, où des milliers de personnes attendaient l’arrivée du comte De Sonnaz, ministre plénipotentiaire de la Haye, accompagné par le consul Weber, des drapeaux flottaient au vent. Sur la place de l’Hôtel de Ville, le ministre fut accueilli par différents groupes arborant leurs drapeaux (la fanfare, le groupe des sportifs, les pompiers, les artisans et les mineurs) et par trois sociétés italiennes d’Esch-sur-Alzette: 500 membres du Secours Mutuel, 150 de la “Société des chasseurs alpins” (en béret bleu) et 60 de la “Société des Bersagliers” (en béret vert). La fanfare italienne entonna l’hymne national italien et une jeune fille offrit un bouquet de fleurs au ministre qui, au milieu des acclamations “Evviva l’Italia”, salua le drapeau et le remit à monsieur Magni. A ce moment les Italiens se regroupèrent autour du ministre, qui les incita à rester fidèles à la patrie et à accourir à son secours en cas de guerre (nouvelles ovations ponctuées par les cris “Evviva l’Italia”). La cérémonie s’acheva sur l’hymne national chanté par un cœur italien suivie par un défilé à travers les rues de la ville[30].
Promosse da piccoli e grandi imprenditori attivi all’interno della “colonia”, sostenute e incoraggiate da lussemburghesi illuminati e filantropi che vi figuravano come membri onorari, queste società di mutuo soccorso saranno destinate a ricoprire in terra straniera una varietà di ruoli che travalicheranno di gran lunga i compiti strettamente mutualistici, assumendo via via un’importanza sociale e culturale di primo piano, in seno non solo alla collettività emigrata ma nel contesto più ampio del paese ospitante. Presenti immancabilmente nello spazio pubblico con bandiere, insegne, distintivi e bande musicali, parteciperanno alle varie ricorrenze civili e religiose della “colonia”, ma anche a cerimonie e festività lussemburghesi, dove costantemente venivano invitate, a riprova della loro capacità di intessere relazioni e scambi anche con gli autoctoni [31]. Un altro aspetto che merita di essere evocato – peraltro spesso percepito all’estero come una particolare specificità italiana[32] – consiste nell’apertura, da parte di queste società, di scuole serali e festive per analfabeti che, pur denunciando implicitamente il retaggio storico delle gravi carenze nel campo dell’istruzione, denotano il chiaro intento di contribuire attivamente alla costruzione di un’identità comune attraverso l’unificazione linguistica e culturale di una popolazione caratterizzata ancora inevitabilmente da usi, costumi, tradizioni e dialetti diversi, destinata spesso a scoprire una patria che travalicava i confini del villaggio natio proprio attraverso l’esperienza dell’emigrazione[33].
Una manifestazione del sentimento di appartenenza nazionale (e della volontà di renderlo visibile) si avrà così, nel 50° anniversario dell’Unità d’Italia, con la solenne celebrazione promossa nel 1911 dalla società italiana di mutuo soccorso di Lussemburgo-città, fondata nel 1907, come si evince da un articolo apparso sul settimanale “La Patria”, organo dell’Opera di assistenza degli emigrati nell’Europa e nel Levante, detta comunemente Opera Bonomelli, settimanale dal titolo già di per sé significativo e molto diffuso tra gli emigrati italiani. L’articolo, pubblicato il 30 luglio 1911, appare interessante anche per gli elementi descrittivi, che forniscono quasi in diretta uno spaccato di quella realtà :
Lussemburgo. Per iniziativa di questa società italiana ebbe luogo domenica 23 luglio un convegno di tutte le società italiane del Granducato comprese alcune della vicina Lorena, allo scopo di celebrare il 50° anniversario della patria unita. La festa riuscì imponentissima e lascerà certo un ottimo ricordo in tutti gli intervenuti. Ben 12 società con bandiere sfilarono in buon ordine per le vie di questa piccola capitale, precedute da tre brave bandemusicali. Al pranzo tennero discorsi applauditissimi il Console Generale cav. Magenta, il cav. Junk, capostazione, il sig. Scarpa di Bruxelles. Delle società parlarono quasi tutti i presidenti: Carnera, Lussemburgo – Vannucchi, Lussemburgo – Ruscitti, Differdingen – Vivarelli, Nilwingen – Masi, Niederkorn – Barozzi, Dudelingen ecc., con parole improntate al più schietto e ardente patriottismo. È stata una buona giornata. Si vide il confortante spettacolo di una massa operaia che, dimenticate per un momento le competizioni di partito, con mirabile unisono inneggiò alla grandezza della patria risorta[34].
Gli accenti entusiastici propri ad un certo tipo di pubblicistica dell’epoca, allineata su posizioni moderate di lealtà al progetto unitario realizzato sotto l’egida dei Savoia, non sono da ritenersi necessariamente parziali o fuorvianti nella rappresentazione di un mondo che pure al suo interno non è esente, come si può notare, da conflittualità derivanti dai diversi schieramenti ideologici in cui la massa operaia, quantomeno la parte più politicamente sensibile di essa, si identificava. Posizioni radicali di ispirazione anarchica e socialista, particolarmente diffuse allora tra gli italiani del bacino minerario[35], che daranno luogo ad una serie ininterrotta di iniziative di propaganda e ad azioni che registreranno anche particolari momenti di tensione, ma che non sembrano tuttavia offrire l’impressione di una presa di distanza da ideali largamente condivisi quali l’italianità e l’amore per la patria lontana[36]. Il lessico e la simbologia privilegiano in questi casi esplicitamente i riferimenti repubblicani, i nomi delle società si ispirano visibilmente ad una tradizione che prende le distanze dalla monarchia, e l’immagine – patriottica e sovversiva al contempo, nella sua polivalenza semantica – dell’Eroe dei due Mondi[37] (ri)entrerà trionfalmente in scena con la “Garibaldina”, la mitica banda musicale fondata nel 1909 a Esch-sur-Alzette da un gruppo amatoriale, costituito quasi interamente da minatori provenienti dalle zone situate al confine tra le Marche e la Romagna[38]. Se nel quartiere dove abitano, a ridosso di fabbriche e miniere, risuonano frequenti le note dell’Internazionale, c’è anche chi la sera al ritorno dal lavoro caparbiamente trascrive, e gelosamente conserva in un quaderno perché non vengano dimenticate, le arie del Nabucco accanto alle note e ai versi dell’Inno di Garibaldi, senza peraltro tralasciare il vasto repertorio di canzoni della tradizione popolare italiana[39]. Figure memorabili, strette intorno alla “bella bandiera” tricolore con la preziosa effigie dell’Eroe ricamata, che parla anch’essa di patria e di esilio. Figure che di lì a poco sapranno, in una delle fasi più drammatiche per la storia della collettività italiana in Lussemburgo, lacerata dalle opposte scelte di campo durante il ventennio fascista, risollevarsi in uno scatto di fierezza e scegliere consapevolmente di schierarsi contro l’oppressione e la barbarie, per lottare – pagando un prezzo pesantissimo, segnato da deportazioni, torture e morte – idealmente unite con chi in patria e all’estero aveva deciso di resistere, nello spirito mai sopito, e depurato ormai dalle vecchie retoriche più o meno strumentali, di un necessario nuovo Risorgimento[40].
[1] È appena il caso di ricordare che l’adozione del termine “italiano” riferito al periodo preunitario non rimanda all’esistenza di uno stato nazionale costituito, bensì ad un’elaborazione concettuale articolata e complessa che ha trovato ampio spazio nel dibattito storiografico, filosofico e letterario.
[2] Per uno sguardo d’insieme sulle vicende che porteranno alla realizzazione di uno stato nazionale belga, cfr. Sébastien Dubois,L’Invention de la Belgique. Genèse d’un État-nation (1648-1830), Bruxelles, Racine, 2005.
[3] Il nuovo assetto del 1839 sanciva l’indipendenza del Lussemburgo sotto la sovranità di Guglelmo I d’Orange-Nassau, che manteneva contemporaneamente la corona dei Paesi Bassi, e prevedeva la presenza di una guarnigione prussiana a difesa della fortezza (smantellata nel 1867). La separazione dal Belgio, con la conseguente perdita degli sbocchi di mercato in quella direzione, sarà bilanciata dall’ingresso nell’unione doganale tedesca (Zollverein) nel 1842. Malgrado ciò, il Lussemburgo sarà destinato a rimanere un paese agricolo arretrato fino agli ultimi decenni del secolo, quando il rapido sviluppo industriale nel campo siderurgico ne farà uno dei giganti dell’acciaio a livello internazionale. Per una panoramica sull’evoluzione storico-politica di quest’area regionale, cfr. Pascal Dayez-Burgeon, Belgique Nederland Luxembourg, Paris, Belin, 1994; Gilbert Trausch, Histoire du Luxembourg, Paris, Hatier, 1992, e Le Luxembourg: Émergence d’un État et d’une nation, Bruxelles-Luxembourg, Fonds Mercator- Schortgen, 2007.
[4] Sulle problematiche connesse ai criteri di periodizzazione in ambito storiografico, cfr. Matteo Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Settecittà, 2005, pp. 75-76.
[5] Si veda a tale proposito il saggio di Romano Ugolini, Gli esuli italiani in Belgio nel Risorgimento, “Archivio Trimestrale”, 6, 3 (1980), pp. 471-477. Come ricorda l’autore, il Belgio rappresenterebbe una felice eccezione nel panorama degli studi storici sull’esilio risorgimentale, grazie al lavoro imprescindibile di Mario Battistini, Esuli italiani in Belgio: 1815-1861, Firenze, Brunetti, 1968 (con un’introduzione di Raffaele Ciampini).
[6] Tale interrogativo rimanda alle questioni sollevate in Agostino Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2011, il quale dedica un intero paragrafo agli esuli italiani in Belgio e Olanda (pp. 121-130).
[7] Cfr. Patrizia Audenino e Antonio Bechelloni, L’esilio politico tra Otto e Novecento, in Storia d’Italia, Annali 24, Migrazioni, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, Torino, Einaudi, 2009, p. 346.
[8] M. Battistini, Esuli italiani in Belgio, cit. Nell’opera sono presenti, tra l’altro, riferimenti a Giovanni Berchet, dal 1829 istitutore del figlio del marchese Arconati, conosciuto nel precedente esilio parigino, e a Vincenzo Gioberti, in esilio dal 1834 a Bruxelles, dove pubblicherà Del primato morale e civile degli Italiani (1843).
[9] L’arrivo in Belgio dei patrioti risorgimentali suscitò moti di simpatia nell’opinione pubblica e contribuì a creare dei legami culturali profondi e duraturi tra i due paesi, come viene sottolineato nel saggio di Sabina Gola, Scrittura e immagini. L’Italia e gli italiani nella cultura belga dal 1820 al 1880, “Rassegna Storica del Risorgimento”, 89, suppl. fasc. 3 (2002), pp. 93-98. Sulla presenza di italiani in Belgio in epoca risorgimentale si veda altresì Frans Van Kalken, Italiens en Belgique, “Rassegna Storica del Risorgimento”, 45, 1 (1958), pp. 20-25.
[10] Si vedano ad esempio Giovanni Berchet, Lettere alla Marchesa Costanza Arconati, a cura di Robert Van Nuffel, Roma, Vittoriano, 1956, e Sabina Gola, Un demi-siècle de relations culturelles entre l’Italie et la Belgique (1830-1880), Bruxelles-Rome, Institut historique belge de Rome, 1999.
[11] Cfr. Gilbert Trausch, Le Luxembourg à l’époque contemporaine (du partage de 1839 à nos jours), Luxembourg, Bourg-Bourger, 1975. Riferendosi al 1839, l’autore evidenzia il ritardo nel raggiungimento dell’indipendenza politica, sottolineandone le limitazioni di fatto (vedi nota 3). Si trattava di uno Stato minuscolo (2.589 kmq.), con una popolazione complessiva che non superava i 175.000 abitanti, in cui l’industria e il commercio mantenevano ancora un carattere limitato e strettamente regionale, quindi marginale rispetto alle grandi trasformazioni economiche e sociali in atto al di là delle sue frontiere.
[12] Si tratta di Louis-Ferdinand Fix (1829-1893), marinaio di formazione, affiliato alla massoneria, che a conclusione della spedizione dei Mille sarebbe stato integrato nell’esercito regolare sabaudo. Combatterà successivamente a fianco dei nordisti nella guerra civile americana e, dopo una carriera di funzionario al dipartimento della guerra di Washington, sarà infine sepolto nel cimitero militare di Arlington (Biographie nationale publiée par l’Académie royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, XXXV, suppl. fasc. VII, 1970, ad vocem).
[13] Si veda ad esempio Nikolaus Flener, Aus meiner Zuavenzeit. Nach den nachgelassenen Papieren des päpstlichen Zuaven Wilhelm Flener, Luxembourg, 1924. Il drappello, apparentemente esiguo, degli arruolati lussemburghesi, cui si uniranno altri volontari provenienti dalle province limitrofe assegnate al Belgio nel 1839, va comunque rapportato alle dimensioni del paese e al numero ridotto dei suoi abitanti di allora.
[14] Cfr. Tony Bourg et Frank Wilhelm, Le Grand-Duché de Luxembourg dans les carnets de Victor Hugo, Luxembourg, RTL, 1985, p. 83.
[15] Cfr. Carlo Kass, Als Garibaldi dem Weinliebhaber den Hals zuschnürte, in Kaleidoskop Luxemburg, Luxembourg, Editions Saint Paul, 2002, p. 98.
[16] Il giornale lussemburghese riprendeva a sua volta la notizia apparsa il 28 luglio sulla “Neue Zürcher Zeitung”.
[17] Il carnet contenente le note dell’agosto 1871, conservato al Cabinet des manuscrits de la Bibliothèque nationale de France, è citato in Frank Wilhelm, A propos d’une visite qui n’a pas eu lieu: Giuseppe Garibaldi hôte de Victor Hugo à Vianden en 1871? Echos divers, in L’histoire c’est aussi nous / La storia siamo anche noi, a cura di Maria Luisa Caldognetto e Bianca Gera, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2009, pp. 171-185.
[18] Non si vuole qui entrare nel merito delle non infrequenti sovrapposizioni a livello terminologico e concettuale tra esilio ed emigrazione, sulle quali ha già attirato l’attenzione Emilio Franzina, Conclusione a mo’ di premessa, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, pp. 613-14. Sulle concrete intersezioni tra i due percorsi, si veda inoltre Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Garibaldi, i Garibaldi, i garibaldini e l’emigrazione, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 4 (2008), pp. 23-52. Altrettanto stimolanti risultano le osservazioni, che si soffermano anche su aspetti meno consueti, in A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, cit., pp. 11-39.
[19] Dai banchieri e mercanti circolanti in epoca medievale, ai mercenari in campo militare, al commercio ambulante e altri mestieri girovaghi e di strada, tali presenze rimangono per l’epoca preindustriale numericamente contenute e circoscritte a specifiche categorie professionali. Cfr. Lombardi in Europa nel Medioevo, a cura di Renato Bordone e Franco Spinelli, Milano, Franco Angeli, 2005; Anne Morelli, In Belgio, in Storia dell’emigrazione italiana, cit., II, Roma, Donzelli, 2002, pp. 159-170, in particolare 160; Ead., Gli Italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004; Antoinette Reuter, Cinq siècles de présence italienne au Luxembourg, XIIIe-XVIIIe siècles, in Itinéraires croisés. Luxembourgeois à l’étranger, étrangers au Luxembourg, a cura di Ead. e Denis Scuto, Esch-sur-Alzette, Editions Le Phare, 1995, pp. 46-57; Ead., Migrations marchandes alpines à l’époque moderne (XVIe – XVIIIe siècles), in Retour de Babel. Itinéraires, Mémoires, Citoyenneté, a cura di Ead. e Jean Philippe Ruiz, I, Luxembourg, Retour de Babel, 2007, pp. 51-56.
[20] Vedi S. Gola, Scrittura e immagini,cit., pp. 97-98. A titolo di esempio basterà ricordare l’Istituto Gaggia di Bruxelles (Ixelles), fondato nel 1828, su cui convergeranno i più colti tra gli esuli, tra cui lo stesso Vincenzo Gioberti. A sua volta, l’Université Libre de Bruxelles, liberale e massone, contava numerosi italiani tra i sottoscrittori per la sua creazione. Anche l’Université Nouvelle, settore progressista dell’U.L.B., accolse diversi professori italiani (cfr. M. Battistini, Esuli italiani in Belgio, cit., p. 271). Merita infine di essere menzionata la prima scuola femminile laica fondata nel 1864 a Bruxelles per iniziativa di Isabella Gatti de Gamond (1839-1905), figlia dell’esule Giambattista Gatti (si veda in proposito John Barthier, Un siècle d’enseignement féminin. Le Lycée Royal Gatti de Gamond et sa fondatrice, Bruxelles, ULB, 1964).
[21] Il tema è affrontato in Agostino Bistarelli, Cittadini del mondo? Gli esuli italiani del 1820-1821, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 4 (2008), pp. 5-21. Si vedano in proposito anche i lavori di Michel Dumoulin, Hommes d’affaires et financiers italiens en Belgique de l’Unité à 1925, Bruxelles, Louvain-la-Neuve, 1989, e Hommes et cultures dans les relations italo-belges 1861-1915 , “Bulletin de l’Institut historique belge de Rome”, 52 (1982), pp. 271-567.
[22] La figura di Victor Tedesco (1821-1897), figlio di commercianti emigrati da Bieno, nel Novarese, ad Arlon – allora in territorio lussemburghese, oggi belga – negli ultimi decenni del Settecento, giurista amico di Karl Marx e autore di un Catechisme du proletaire pubblicato a Liegi nel 1849, non può essere ascritta alla mouvance risorgimentale in senso stretto, ma la presenza nelle università belghe di studenti provenienti dal Granducato può aver contribuito ad influenzarne le mentalità, sensibilizzandoli ai valori liberali, con possibili ricadute anche sulle loro azioni concrete, benché si tratti di territori ancora da esplorare da parte della storiografia (tengo qui a ringraziare Antoinette Reuter per le indicazioni preziose fornitemi sulle vicende della famiglia Tedesco nel quadro delle migrazioni d’ancien régime dalle regioni dell’arco alpino).
[23] Cfr. Gilbert Trausch, L’immigration italienne au Luxembourg, ”Risorgimento”, 1 (1980), pp. 9-16. Per uno sguardo d’insieme sulla storia della presenza degli italiani in Lussemburgo in età contemporanea di veda Benito Gallo, Les Italiens au Grand-Duché de Luxembourg. Un siècle d’histoire et de chroniques sur l’immigration italienne, Luxembourg, Impr. Saint Paul, 1987, e Centenario. Gli italiani in Lussemburgo / Centenaire. Les Italiens au Luxembourg 1892-1992, Luxembourg, Impr. Saint Paul, 1992.
[24] Cfr. A. Morelli, Gli Italiani del Belgio, cit., pp.18-24 (nel sottolineare la presenza modesta di emigrati italiani precedentemente alla prima guerra mondiale, l’autrice accenna all’emigrazione politica di fine secolo, seguita alla repressione dei moti di Milano).
[25] Per un primo approccio al tema riguardo al Lussemburgo, cfr. Maria Luisa Caldognetto, Per una storia del mutuo soccorso italiano in Lussemburgo, in L’histoire c’est aussi nous, cit., pp. 25-56.
[26] Il tema della patria matrigna per gli emigranti troverà, come è noto, vasta eco nella pubblicistica e nella letteratura a partire dai riferimenti contenuti nel celebre reportage di Edmondo De Amicis, Sull’Oceano (1889). Sulle forme e gli esiti del ribellismo radicale a cavallo tra Ottocento e Novecento, nel suo intrecciarsi con la realtà migratoria, cfr. P. Audenino e A. Bechelloni, L’esilio politico tra Otto e Novecento, cit., pp. 348-352.
[27] Per un’analisi del rapporto complesso tra emigrazione e sentimento di appartenenza nazionale si veda, in particolare, M. Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, cit., cap. VI; Emilio Franzina, Una patria espatriata. Lealtà nazionale e caratteri regionali nell’immigrazione italiana all’estero (sec. XIX e XX), Viterbo, Settecittà, 2006, pp. 7-17 e 44-48.
[28] Dalle poche centinaia di emigrati italiani presenti all’inizio degli anni novanta dell’Ottocento nel bacino minerario lussemburghese, coll’evolvere spettacolare del processo di industrializzazione del paese si passerà rapidamente ai circa 5.000 di inizio 1900, destinati a raddoppiare nel corso del decennio, fino a superare i 10.000 in un paese che all’epoca non raggiungeva complessivamente i 250.000 abitanti.
[29] La gran parte degli emigrati all’epoca erano originari delle regioni del nord e centro Italia, grandi fornitrici di manodopera nel Granducato fino alle soglie della seconda guerra mondiale. Tale sentimento di italianità coinvolgerà persino quanti provenivano dal Trentino asburgico, i quali, benché registrati all’arrivo come tirolesi, sceglievano di insediarsi nei quartieri abitati da italiani, dove apparentemente meglio si riconoscevano per affinità di tipo linguistico e culturale. Anche la percezione da parte degli autoctoni esprime una visione degli italiani come collettività nazionale non frazionata in entità regionali, come dimostra il nome “Italien” attribuito già alla fine dell’Ottocento all’insediamento che a Dudelange raggruppava gli emigrati provenienti dalla Penisola.
[30] Cfr. B. Gallo, Les Italiens au Grand-Duché de Luxembourg, cit., pp. 87-88 (l’autore riprende qui un documento proveniente dal commissariato di polizia di Longwy, cittadina francese situata sul confine lussemburghese).
[31] Cfr. M.L. Caldognetto, Per una storia del mutuo soccorso italiano in Lussemburgo, cit.
[32] Cfr. Antoinette Reuter, Du pareil au même? Des associations similaires aux sections du“Mutuo Soccorso” dans d’autres communautés d’immigrés au Luxembourg?, in L’histoire c’est aussi nous, cit., pp. 57-64.
[33] Sulla diffusione e sugli intenti delle iniziative scolastiche in seno alla collettività italiana si veda Maria Luisa Caldognetto, Des écoles pour la mémoire, des écoles pour l’avenir… Initiatives scolaires italiennes au Luxembourg au début du XXe siècle, in Traces de mémoire, mémoires de traces. Parcours et souvenir de la présence italienne au Luxembourg et dans la Grande Région, a cura di Jos Boggiani, Maria Luisa Caldognetto, Claudio Cicotti e Antoinette Reuter, Luxembourg, Université du Luxembourg, 2007, pp. 51-78.
[34] “La Patria”, 30 luglio 1911.
[35] Si veda in proposito, specialmente per il contributo italiano alla formazione del movimento operaio autoctono, Ben Fayot, Le rôle politique de l’immigration italienne au Luxembourg de 1871 à 1914, in Le rôle politique de l’immigration italienne dans les pays de l’Europe du Nord-Ouest (1861-1945), a cura di Michel Dumoulin e Gilbert Trausch, Bruxelles, GERSIC, 1984, pp. 77-82; Denis Scuto, Les victimes de la grève des ouvriers italiens de l’usine de Differdange en janvier 1912, in Retour de Babel, cit., III, pp. 38-43. La stessa partecipazione di numerosi emigrati italiani come volontari nelle formazioni garibaldine durante la guerra di Spagna può legittimamente iscriversi in una linea di continuità con l’epoca precedente. Cfr. Henri Wehenkel, D’Spueniekämpfer. Volontaires de la guerre d’Espagne partis du Luxembourg, Dudelange, CDMH, 1999; Maria Luisa Caldognetto, Entre répression policière et préjugés au quotidien. Une militante issue de l’immigration dans les rets du régime fasciste, in Solidarité entre étrangers, solidarité avec les étrangers. Du mutualisme associatif à l’engagement politique et syndical, a cura di Ead. e Antoinette Reuter, “Mutations”, 4 (2012), pp. 65-72. La circolazione incessante e sostenuta tra centro e periferia, cui si è accennato più sopra, non escludeva la capacità di questi emigrati di inserirsi attivamente nel contesto politico e sindacale locale, creando una sorta di circuito virtuoso tra il polo di partenza e il polo di arrivo che ne potenziava e moltiplicava le ricadute sui due fronti, in linea con quanto avveniva anche in altre realtà. Cfr. Stefano Luconi, Emigrazione, vita politica e partecipazione sindacale, in Migrazioni, a cura di P. Corti e M. Sanfilippo, cit., pp. 320-324.
[36] Si possono ricordare al riguardo i casi di due “agitatori”, Alessandro Zangiacomi e Edoardo Niccolini, attivi nel bacino minerario intorno al 1910, i cui discorsi e conferenze, puntualmente registrati nei verbali di polizia, mescolano senza apparente contraddizione ideali internazionalisti e libertari ad accenti patriottici accorati (cfr. M.L. Caldognetto, Des écoles pour la mémoire, cit.,pp. 75-76).
[37] Sulla polivalenza semantica assunta dalla figura storica di Garibaldi, cfr. Mario Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato, Roma, Donzelli, 2007, p. 173.
[38] Per la storia della “Garibaldina”, ma anche per uno sguardo più ampio sulle formazioni musicali degli emigrati italiani, nel quadro di quella particolare cultura operaia del bacino minerario, fatta di abilità e passioni oltre che di partecipazione alla vita collettiva, politica e sindacale, e che si nutriva anche di lettura, teatro, conferenze, scuole serali, oltre che di attività sportive e ludiche, dopo le lunghe giornate di lavoro, cfr. Maria Luisa Caldognetto, La “Garibaldina”: ideali passioni e musica nell’orbita del Mutuo Soccorso italiano in Lussemburgo, in L’histoire c’est aussi nous, cit., pp. 107-119.
[39] Si tratta in questo caso di Adelmo Venturi (1883-1947), membro della “Garibaldina” e clarinettista autodidatta, emigrato da Talamello a inizio secolo e stabilitosi a Esch-sur-Alzette, nel quartiere operaio Hoehl, dove si trovava la grande casa, detta dei “Romagnoli”, in cui egli abitava con la famiglia insieme a tanti altri italiani che popolavano il quartiere. Leggendario è rimasto il merlo di Adelmo che in una gabbia appesa alla finestra fischiava l’”Internazionale”. Cfr. M.L. Caldognetto, La “Garibaldina”: ideali passioni e musica, cit., e Per una storia dell’emigrazione italiana dal Montefeltro al Lussemburgo: temi, problemi, prospettive, “Studi Montefeltrani”, 32 (2010), pp. 503-521.
[40] Un quadro significativo dell’antifascismo militante e della resistenza all’interno della “colonia” italiana del bacino minerario, con le loro drammatiche conseguenze, viene delineato da Luigi Peruzzi (1910-1993) nelle Memorie da lui redatte al ritorno dalla deportazione, a partire dal 1947, pubblicate postume nel 2008 (Luigi Peruzzi, Le mie Memorie e Diario di Berlino 1944-1945, a cura di Maria Luisa Caldognetto, Pesaro, Metauro Edizioni, 2008). In apertura di volume Peruzzi fornisce la lista nominativa delle vittime italiane che militarono nella resistenza al nazifascismo nel bacino minerario lussemburghese e nella regione francese limitrofa. Per l’elaborazione del concetto di Resistenza come nuovo Risorgimento si veda in particolare Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana (1953), Torino, Einaudi, 1995, p. 347.