Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci Editore, 2011
Da svariati decenni Vedovelli è il maggiore studioso dell’evoluzione linguistica degli emigrati italiani in Europa e nel Nuovo Mondo. Dopo aver scritto e curato numerosi lavori, questa volta ha tentato di offrire quello che considera un fondamentale sviluppo delle intuizioni di Tullio De Mauro sullo sviluppo della lingua italiana. De Mauro aveva intuito già negli anni Sessanta che l’emigrazione aveva comportato e comportava notevoli implicazioni per la lingua della Penisola. Il punto infatti non era tanto il trasformarsi dell’italiano all’estero, quanto il passaggio degli emigrati dai dialetti alla lingua nazionale di provenienza e inoltre gli apporti a quest’ultima e ai primi a causa del ritorno degli espatriati.
Nel volume in questione Vedovelli coordina e in buona parte scrive in prima persona una massiccia riflessione teorica sui rapporti tra dialetto/lingua/emigrazione e sulle modalità pratiche in cui queste relazioni si sono intrecciate all’estero. Non gli interessa, però, soltanto la lingua degli emigranti, né il passaggio dai dialetti a quest’ultima e le relazioni dei primi e della seconda con la lingua dei paesi di accoglienza, ma il più generale statuto della lingua italiana nel mondo. A suo parere infatti emigrazione in Europa, nelle Americhe e in Australia, colonizzazione ed emigrazione in Africa, contatti commerciali in Asia hanno innescato un processo che ha potenziato l’interesse dell’italiano all’estero e che oggi s’interseca con l’apprendimento di quest’ultimo da parte delle seconde e terze generazioni di emigrati, dei nuovi immigrati in Italia e di tutto coloro che sono affascinati dalla Penisola, per ragioni economiche e culturali.
Fondamentalmente questo libro mostra quindi quanto è successo dell’italiano fra i nostri emigrati, grazie o talvolta nonostante gli sforzi della madrepatria, ma cerca anche di capire il peso (sproporzionato rispetto alla nazione di partenza) della nostra lingua. Forse non sarebbe stato male precisare meglio alcuni passaggi, o comunque asciugare un po’ il testo a volte ridondante. Resta, però, indiscutibile che si sia davanti a una pietra miliare dei lavori sull’italiano in emigrazione e nel mondo e che di questo debba essere reso merito a Vedovelli e alla sua quasi quarantennale riflessione su tali vicende.