Tra i numerosi “rivoluzionari di professione” che animarono il sovversivismo italiano negli Stati Uniti negli anni compresi tra il periodo dell’immigrazione di massa e la fine della seconda guerra mondiale, Carlo Tresca fu la personalità più nota, influente e appariscente. Fuggito a New York dalla natia Sulmona nel 1904 per sottrarsi a una condanna al carcere, fu al centro delle principali battaglie che connotarono il radicalismo italo-americano, tanto nel ruolo di organizzatore sindacale e agitatore politico, quanto nella veste di polemista di grande efficacia dalle colonne dei giornali di cui fu direttore come “Il Proletario” e soprattutto “Il Martello”. Visse da protagonista i grandi scioperi dell’età progressista (in particolare ponendosi alla testa del movimento per la scarcerazione degli attivisti Arturo Giovannitti e Joseph Ettor, arrestati nel corso della vittoriosa protesta operaia di Lawrence del 1912), la mobilitazione per il boicottaggio dell’intervento di Italia e Stati Uniti nella prima guerra mondiale, la campagna per salvare gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti dalla sedia elettrica e l’azione per contrastare la propaganda fascista nelle Little Italies. La sua ultima iniziativa, cessata solo con il suo assassinio l’11 gennaio 1943, fu contro gli ex sostenitori italo-americani di Benito Mussolini che – come nel caso di Generoso Pope, il potente editore del “Progresso Italo-Americano” – cercarono di riciclarsi come antifascisti a seguito dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Più in generale, Tresca si scagliò a parole e nei fatti contro tutti gli sfruttatori del proletariato industriale, fossero essi gli imprenditori, il clero cattolico, i prominenti della comunità italo-americana, i consoli che riteneva conniventi con questi ultimi o la criminalità organizzata. Nel corso del tempo abbandonò l’orientamento socialista giovanile per maturare un anarchismo eclettico e pragmatico, che finì per suscitare un odio viscerale nei suoi confronti anche all’interno della composita galassia del sovversivismo italo-americano, in modo speciale tra gli anarchici seguaci di Luigi Galleani e tra i comunisti che non gli perdonarono mai la stigmatizzazione del carattere totalitario dello stalinismo dopo un’iniziale simpatia per la rivoluzione bolscevica.
Queste e altre vicende sono ripercorse nel volume di Stefano Di Berardo. Tuttavia una personalità così complessa e poliedrica come quella di Tresca aveva già destato l’interesse degli specialisti dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. Due sono, infatti, le principali biografie che gli sono state dedicate in precedenza (Dorothy Gallagher, All the Right Enemies. The Life and Murder of Carlo Tresca, New Brunswick, NJ, Rutgers University Press, 1988; Nunzio Pernicone, Carlo Tresca. Portrait of a Rebel, New York, Palgrave, 2005), oltre a una raccolta di saggi (Carlo Tresca. Vita e morte di un anarchico italiano in America, a cura di Italia Gualtieri, Chieti, Tinari, 1999) e a numerosi articoli.
La monografia di Di Berardo si addentra, quindi, su un terreno già largamente esplorato. L’autore avrebbe potuto cercare di distinguersi dalla letteratura esistente, sviluppando un’analisi delle mutevoli posizioni ideologiche di Tresca oppure affrontando le dinamiche del suo rapporto con la comunità italo-americana. Ha, invece, preferito adottare un taglio prevalentemente biografico e quasi cronachistico fino dall’incipit (“Carlo Alberto Tresca vede la luce il 18 marzo 1879, sesto di otto figli”, p. 17), privilegiando i particolari della vita di Tresca talvolta anche a scapito di un approfondimento del contesto storico. Rimane così un po’ in ombra, per esempio, come la frammentazione del proletariato statunitense per linee di ascendenza nazionale avesse indebolito quasi sistematicamente la solidarietà di classe negli Stati Uniti nel primo ventennio del Novecento, facilitando il fallimento degli scioperi che Tresca si trovò a guidare. In maniera analoga, avrebbe meritato maggiore attenzione il fatto che la chiave del clamoroso e unico successo a Lawrence nel 1912 fosse risieduta nel momentaneo venir meno delle divisioni e delle contrapposizioni etniche tra gli operai dell’industria tessile. Inoltre, sulla falsariga dell’autobiografia dello stesso Tresca, Di Berardo dà un eccessivo risalto all’ignoranza degli immigrati “cafoni” per spiegare l’ampio consenso che Benito Mussolini fu in grado di suscitare tra gli italo-americani prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e sottovaluta invece la componente della rivalsa etnica da parte dei membri di una minoranza discriminata che apprezzavano il contributo del fascismo nel trasformare la madrepatria in una presunta grande potenza aglio occhi dell’opinione pubblica statunitense.
All’autore va riconosciuto il merito di aver fatto una ricostruzione estremamente dettagliata della vita di Tresca e di dimostrare in maniera convincente come l’attività rivoluzionaria avesse costituito il fulcro della sua esistenza, dagli anni giovanili in Abruzzo fino all’omicidio di cui cadde vittima. Non a caso, l’articolazione del volume in capitoli e paragrafi è scandita dal susseguirsi delle diverse iniziative politiche e sindacali di cui Tresca fu al centro. Il primato della politica può essere colto anche nelle vicende più private, sulle quali Di Berardo non manca di diffondersi. Un esempio paradigmatico è costituito dalla relazione adulterina che Tresca coltivò per oltre un decennio con Elizabeth Gurley Flynn, attratto non solo dall’avvenenza della donna, ma anche dal comune impegno nelle fila dell’anarco-sindacalismo. Pure in questo caso, però, sarebbe stato auspicabile che l’autore si fosse spinto al di là del resoconto fattuale della maturazione del rapporto sentimentale tra i due, seguito attraverso il crescendo passionale delle diverse dediche che Tresca appose a un romanzo di Gabriele D’Annunzio regalato a Elizabeth nonché le effusioni nelle pause dei processi in cui erano imputati. Il non facile connubio tra la femminista Flynn e il libertino Tresca – che, come ricorda Di Berardo in una nota, non perse l’occasione per mettere incinta la sorella dell’amante – avrebbe potuto offrire lo spunto per sviscerare le contraddizioni del radicalismo italo-americano dell’epoca, maldisposto ad applicare in concreto quella parità tra uomo e donna che propagandava a parole.
Comunque, dalla biografia di Di Berardo emerge un ritratto particolarmente vivace di Tresca, non privo di empatia anche per gli aspetti più controversi della sua vita. Per esempio, l’autore ridimensiona la portata della presunta affermazione che Tresca avrebbe fatto nel 1942 all’intellettuale marxista Max Eastman per ammettere la colpevolezza di Sacco e che, per alcuni, rappresenterebbe una macchia indelebile sulla sua militanza politica se non addirittura un vero e proprio tradimento della causa del radicalismo.
Tuttavia non è il velato atteggiamento comprensivo dell’autore verso il suo biografato a costituire il fattore di maggiore criticità in La poesia dell’azione. Malgrado l’attento spoglio del “Martello” e il ricorso all’autobiografia di Tresca, la meticolosa ricerca di Di Berardo denota un marcato squilibrio a vantaggio dell’uso degli studi pubblicati prima del suo, tra i quali spicca soprattutto il volume di Pernicone. Da quest’ultima monografia, per esempio, sono tratte gran parte delle citazioni dalla stampa periodica coeva diversa dal “Martello” e dalle poche fonti archivistiche statunitensi menzionate. Anche quando si tratta di dirimere l’irrisolta questione di chi fosse stato il mandante dell’assassinio dell’anarchico italo-americano e quale fosse il movente, Di Berardo si rifà alle conclusioni di Pernicone. Concorda così con quest’ultimo sia nell’imputare l’omicidio al malavitoso Frank Garofalo, ancorché con l’acquiescenza di Pope, come già suggerito da Pernicone, sia nell’attribuire le ragioni del delitto a motivazioni personali quali il desiderio di vendetta del boss per l’affronto subito da parte di Tresca che, pochi giorni prima, ne aveva denunciato in maniera eclatante le attività criminali nel corso di una cena di gala a cui erano intervenuti numerosi esponenti della comunità italo-americana di New York.
La dipendenza dalla saggistica precedente non contribuisce a conferire tratti di particolare originalità al lavoro di Di Berardo. Nondimeno La poesia dell’azione riesce a offrire al lettore un ritratto accurato della figura di Tresca con valutazioni equilibrate e storiograficamente aggiornate.