Cantanti italiani o di origine italiana in Francia, Belgio e Québec

La produzione discografica degli emigrati italiani nei paesi di lingua inglese gode da tempo di buona attenzione. Da un lato, essi hanno infatti contribuito all’egemonia anglofona sulla musica leggera e sul jazz e quindi sono studiati in questo ambito. Dall’altro, hanno incuriosito e inorgoglito i critici appartenenti alla società di partenza e al gruppo immigrato[1]. Inoltre la nostalgia ha spinto quegli espatriati a conservare, sia pure con opportuni riadattamenti, motivi e ritmi abbandonati nelle aree di emigrazione e quindi la tradizione musicale dei gruppi emigrati è divenuta una preziosa risorsa per la storia della canzone italiana[2]. Come ricordano in questo fascicolo Simona Frasca e Camilla Cattarulla, anche gli italiani nell’America ispanofona hanno operato in modo analogo. Inoltre hanno sviluppato nuove forme musicali utilizzando strumenti provenienti dalla Penisola, per esempio organetti e fisarmoniche. Sono così riusciti a condizionare sia la produzione del luogo di arrivo, sia quella del luogo di partenza, dove, per esempio, il tango argentino si è affermato grazie al ritorno di chi era partito[3].

In conclusione conosciamo bene quanto è avvenuto nelle aree di lingua inglese o spagnola, grazie anche agli spettacoli dedicati da studiosi e divulgatori alle migrazioni nelle Americhe[4]. Invece è trascurata la componente italiana nello spettacolo e nel circuito musicale francofoni, poiché questi sono ormai ai margini della nostra attenzione a causa della progressiva desuetudine con la lingua e la cultura dell’Esagono. Per ovviare a questa situazione si può ricorrere al web, sfruttando gli stessi siti degli emigrati italiani in genere pronti a sottolineare il proprio successo nei luoghi d’arrivo.

Partiamo quindi dal francese http://www.madeinfrance-asso.fr/, creato nel 2004, che riporta nella home page un lungo elenco di italiani o di loro discendenti divenuti famosi in Francia e nel mondo. In testa alla lista, non aggiornata, appare Carla Bruni, definita come l’italiana divenuta “première dame de France”. Più in basso, la stessa è ricordata come cantante e, se si scorre l’intero elenco, si scopre che la maggior parte degli emigrati di chiara fama sono musicisti o cantanti. Il fenomeno è curioso dato che in Francia, in Belgio e nel Québec non mancano importanti personaggi politici o del mondo degli affari provenienti dall’ambito migratorio. La loro non viene, però, considerata come una vera riuscita, mentre la fama sembra accordata dal solo mondo dell’intrattenimento[5].

Prendendo in esame la nostra lista vediamo come dopo la moglie dell’ex presidente Sarkozy vi siano tre fisarmonicisti, dei quali si sottolinea la provenienza: Catherine Beldame (Asti), Sergio Tomassi (Cardito in provincia di Frosinone) e Achille Pellegrini (Elice in provincia di Pescara)[6]. Poi troviamo il tenore Roberto Alagna nato a Clichy-sous-Bois da genitori siciliani e un blocco di interpreti e cantautori: Vic Laurens, George Brassens, Edith Piaf, Yves Montand, Serge Reggiani, Dalida, Nino Ferrer, Claude François, Salvatore Adamo, Christophe, Riccardo Cocciante, Frédéric François, Frank Michael, Lara Fabian, Calogero, Hélène Ségara.

La lista è un po’ imbrogliata e non spiega chi canti in francese e chi in italiano o in entrambe le lingue. Inoltre quattro artisti non sono italo-francesi, ma italo-belgi. Frank Michael è un parmigiano emigrato a Seraing con la famiglia; Frédéric François (Francesco Barracato) e il più noto Salvatore Adamo sono siciliani arrivati in Vallonia con i genitori; Lara Fabian (Lara Crokaert) viene al mondo a Etterbeek, nell’area metropolitana di Bruxelles, da padre fiammingo e madre italiana e poi emigra nel Québec. Infine alcuni “italo-francesi” hanno una vicenda alquanto complicata. Cocciante nasce a Saigon da padre italiano e madre francese, dunque per gli italiani è italiano, mentre per i francesi è francese. In effetti ha lavorato in entrambi i paesi, di volta in volta cambiando il nome da Riccardo a Richard e viceversa; inoltre ha inciso una dozzina di album in francese, alcuni per la sola Francia e altri per il solo Québec, e si reca spesso in tournée nei paesi francofoni. Tra Francia e Québec ha spesso collaborato con il paroliere e produttore Luc Plamondon e assieme hanno firmato lo spettacolo musicale Notre-Dame de Paris, che, ha aggregato diversi cantanti di origine italiana come vedremo più avanti.

Tra gli altri interpreti italo-francesi della nostra lista molti hanno una famiglia o un familiare passati per l’Africa settentrionale. Vic Laurens nasce a Tunisi da genitori francesi di origine siciliana. Dalida (Yolanda Gigliotti, 1933-1987) ha padre e madre calabresi e vede la luce alle porte del Cairo, dove studia in scuole francesi: emigra in Francia a 21 anni, ma in seguito lavora pure in Italia. Claude François (1939-1978) viene al mondo in Egitto da madre italiana e padre francese, nel 1956 obbligati a tornare nel paese paterno per le nazionalizzazioni di Nasser. La madre di Edith Piaf (1915-1963) è di Livorno, ma di famiglia franco-marocchina con una nonna italiana.

In pratica dal nostro sito risultano ben pochi “casi” di emigrazione diretta dal punto A al punto B: Montand, di famiglia antifascista toscana rifugiatasi in Francia come spiega Stéphane Mourlane in questo fascicolo; Brassens di madre italiana emigrata nel meridione francese; Christophe (Daniel Bevilacqua), che completa il trio dei cantanti tra rock e yé-yé anni 1960, cui appartengono i già citati Claude François e Vic Laurens; Reggiani e Ségara, sui quali torneremo. Insomma la vicenda familiare e personale dei cantanti sulla lista è complicata e rende bene la complessità di una vicenda migratoria mediterranea (e non solo), in cui la diaspora può prevedere tappe multiple ed esiti inaspettati.

L’elenco del nostro sito è per giunta incompleto. A memoria possiamo ancora ricordare sul fronte italo-belga: Sandra Kim (Sandra Calderone); Rocco Granata, autore nel 1959 della celeberrima Marina; infine Claude (Francesco) Barzotti di famiglia marchigiana, tornato nella Penisola e di nuovo emigrato. Non dobbiamo inoltre dimenticare i cantanti nati a Montréal: Gino Vannelli (divenuto, però, famoso a New York), Marco Calliari e Nicola Ciccone. Sul fronte nordafricano abbiamo poi Herbert Pagani (1944-1988), nato a Tripoli da famiglia libica di religione ebraica e vissuto tra Italia e Francia, dove ha collaborato spesso con Dalida, e Georges Moustaki (Giuseppe Mustacchi, 1934-2013), nato ad Alessandria d’Egitto in una famiglia italo-greca di religione ebraica. Per l’Esagono possiamo ancora ricordare il gruppo di jazzisti che hanno collaborato allo sviluppo della canzone francese nel secondo dopoguerra: Stéphane Grappelli (1908-1997), parigino con padre di Alatri, violinista e fondatore nel 1934 del famoso quintetto dell’Hot Club de France; Henri Crolla (1920-1960), nato a Napoli ma arrivato a due anni a Parigi, chitarrista legato a Montand; Claude Nougaro (1929-2004), fisarmonicista e cantante tolosano; Richard Galliano, di Le Cannet sulla Costa Azzurra, fisarmonicista. Abbiamo anche il giovane cantautore Bénabar (Bruno Nicolini) e soprattutto Leo Ferré (1916-1993) monegasco di madre italiana.

Proprio Ferré ci permette di focalizzare meglio i rapporti di questi autori e interpreti con l’Italia, perché in quest’ultima vive e canta, sia pure a periodi alterni. All’età di nove anni la madre abbandona Montecarlo e s’installa a Bordighera con il figlio. Questi resta per un decennio in Liguria frequentandovi le scuole. In seguito risiede a Parigi, tranne una pausa monegasca durante la guerra. Trascorre, però, gli ultimi due decenni della sua vita a Castellina nel Chianti e per le sue interpretazioni vince nel 1974 il Premio Tenco. Non è l’unico francese od emigrato in Francia ad aver mantenuto stretti rapporti con il mondo italiano. Nino Ferrer (Nino Ferrari, 1934-1998) vede la luce a Genova e vi ritorna sul finire degli anni 1960, quando raggiunge un notevole successo con alcune canzoni in italiano (Agata; Donna Rosa; La pelle nera) e la partecipazione a varietà televisivi di Pippo Baudo (Settevoci) e Raffaella Carrà (Io, Agata e tu).

Alcuni cantanti emigrati non hanno invece molti rapporti con la Penisola e soprattutto non cantano o quasi in italiano, si pensi a Piaf, a Brassens, a Bénabar e persino a Montand, per il quale rimando all’articolo di Mourlane in questo fascicolo. Vale, però, la pena di ricordare il suo unico 45 giri in italiano (1963) con Bella Ciao e Amor dammi quel fazzolettino. L’accoppiata folklore/tradizione politica torna in diverse testimonianze sugli italiani di Marsiglia, la città di Montand. Per esempio, nei suoi film sul quartiere popolare de L’Estaque il regista di origine armena Robert Guédiguian raffigura spesso italiani che intonano tali motivi. Così in A l’attaque! (2000), vero peana alla città natale, un nonno comunista addormenta il nipotino sussurrandogli Bella Ciao. Tuttavia nella carriera di Montand, per altro a lungo impegnato politicamente, quel 45 giri è soltanto un episodio, come ben si vede in La solitude du chanteur de fond (1974), documentario-intervista di Chris Marker sul grande concerto organizzato per protestare contro il colpo di stato cileno del generale Pinochet. I riferimenti di Montand sono in genere integralmente francesi. D’altronde, già nel film che lo lancia come attore, Le salaire de la peur di Henri-Georges Clouzot (Vite vendute, 1953), il suo personaggio è francese al 100%, mentre l’avventuriero di origine italiana è interpretato da Folco Lulli.

Il rapporto con la lingua italiana e la disponibilità a cantare in italiano è dunque un elemento da tenere d’occhio. I più vecchi (da Piaf a Brassens) e i più giovani (Bénabar, ma anche Akhenaton, cioè Philippe Fragione, frontman del gruppo rap marsigliese IAM) si tengono lontani da tali abbinamenti, perché mirano a un pubblico francese, pur non rinnegando le proprie origini[7]. Sull’italianità gioca invece Serge Reggiani, attore e cantante nato a Reggio Emilia in una famiglia antifascista migrata per ragioni politiche. Da un lato, rievoca la Penisola in canzoni come Venise n’est pas en Italie (1977)[8]. Dall’altro, recita spesso per registi italiani e sottolinea di essere un emigrato nella canzone L’Italien (1971), da lui scritta intercalando nel ritornello alcuni versi in italiano, e nell’autobiografia, La question se pose (Paris, Laffont, 1990).

Nell’ambito italo-belga tutti o quasi esaltano l’italianità. Granata si fa conoscere alla fine degli anni 1950 con una serie di canzoni dedicate alle donne in un italiano un po’ improbabile, ma di grande successo: Marina e Manuela, 1959; Carolina dai!, 1961; Signorina bella, 1962. Frédéric François recita Je t’aime à l’italienne (1985), un tormentone kitsch sulla linea dell’“Italians do it better” italo-statunitense degli anni 1970, più tardi rilanciato dalla maglietta di Madonna nel video di Papa Don’t Preach del 1986 (vedi il saggio di Roseanne Giannini Quinn in questo fascicolo)[9]. Inoltre alcuni sfruttano il doppio registro francese-italiano. Salvatore Adamo sviluppa dai primi anni 1960 un percorso di grandissimo successo non soltanto fra le due lingue, ma fra la tradizione melodica peninsulare (la voce) e la tradizione cantautorale francese (i testi). Di conseguenza vira sempre in italiano le canzoni composte in francese e si presenta regolarmente al pubblico della Penisola e a quello degli emigrati italiani in Francia e Belgio.

Il cantare anche in Italia e in italiano è un fenomeno tipico degli anni 1960 e talvolta vuol dire poco, visto che Sylvie Vartan, nata in Bulgaria da padre armeno e madre ungherese, scala i juke-box della Penisola cantando in italiano, anticipata dalla francesissima Françoise Hardy. In effetti in quel decennio vi è una certa osmosi tra i due mercati e molti giocano sui due tavoli. Si pensi a Dalida che debutta cantando in francese, ma con qualche parola italiana, canzoni della Penisola[10].

Tuttavia è interessante il revirement verso la lingua italiana di emigrati o figli di emigrati, perché Adamo non è il solo a compiere questo passo. All’inizio della sua carriera Claude François canta in arabo e in francese (come Dalida), poi si specializza in inglese. Dopo i primi successi traduce in italiano una ventina di sue canzoni. Georges Moustaki, cresciuto in una famiglia italofona, chiede a Bruno Lauzi una versione (Lo straniero) di Le métèque, nella quale rivendica il patrimonio familiare ebraico e greco. Dalida infine diventa una presenza importante anche sui palchi della Penisola.

Nell’ambito della musica per gli emigrati abbiamo poi non soltanto la versione italiana di successi scritti in francese, ma precise riflessioni sulla condizione di chi lavora in una nuova patria, dalla quale si sente osteggiato. Reggiani ironizza sul proprio accento e quindi sulla propria riconoscibilità come immigrato, ma altri non hanno uguale umorismo e insistono con toni molto più arrabbiati sulla propria condizione di marginali, anche quando non sembrano proprio tali. Claude Barzotti ha un notevole successo nell’ultimo ventennio del Novecento come autore di origine italiana. Nel 1981 sfonda con l’album tutto in francese Madame, cui segue nel 1983 Le Rital. Nella canzone omonima di questo lp il discorso dell’immigrazione e dell’emarginazione è affrontato con veemenza:

 

A l’école quand j’étais petit, je n’avais pas beaucoup d’amis. / J’aurais voulu m’appeler Dupond, avoir les yeux un peu plus clairs, / Je rêvais d’être un enfant blanc, j’en voulais un peu à mon père. / C’est vrai je suis un étranger, on me l’a assez répété. / J’ai les cheveux couleur corbeau, je viens du fond de l’Italie, / Et j’ai l’accent de mon pays, Italien jusque dans la peau.

 

In seguito Barzotti compone anche in italiano, talvolta traducendosi dal francese, talvolta scrivendo direttamente nella lingua dei genitori. Inaugura così un filone che non è sconosciuto ai più vecchi – il già più volte menzionato Rocco Granata compone nel 1971 il tema del film Händler der vier Jahreszeiten di Rainer Werner Fassbinder (Il mercante delle quattro stagioni) – ma che nel nuovo millennio prende nuovo vigore. Diversi cantanti di origine italiana – francesi, belgi e quebecchesi – interpretano infatti proprie e altrui composizioni in francese e in italiano e talvolta pure in altre lingue (fiammingo, inglese, tedesco), come d’altronde ha già fatto Granata. Inoltre si confrontano con colleghi della Penisola, collaborando al lancio di singoli video o prendendo parte a tournée multinazionali. L’italo-francese Hélène Ségara (Hélène Rizzo) duetta con Laura Pausini e Andrea Bocelli ed è lanciata dalla parte di Esmeralda nella già menzionata Notre-Dame de Paris. Dopo essere emigrata nel Québec e aver preso la nazionalità canadese, Lara Fabian incide in francese, inglese, tedesco, fiammingo, italiano, spagnolo e russo. Inoltre dà voce a Esmeralda nel cartone animato della Disney The Hunchback of Notre Dame (Il gobbo di Notre-Dame, regia di Gary Trousdale e Kirk Wise, 1996).

In tali scelte lavorative l’identità emigrata si accompagna a una riflessione sulle appartenenze, che non diviene soltanto rivendicazione dell’essere emigrati, quanto recupero di un’identità più ampia, in buona parte reinventata. Dopo aver fatto parte per tre lustri del gruppo quebecchese Anonymous, specializzato in trash metal, e avervi cantato in francese e in inglese, il montrealese Marco Calliari decide di passare all’italiano. Incide così tre dischi (Che la vita, 2003; Mia dolce vita, 2006; Al faro est, 2010) nei quali sul ritmo di un moderno jazz manouche rilavora classici italiani, successi più recenti da Renato Carosone a Toto Cotugno, proprie creazioni e persino il tema di The Godfather, il film di Francis Ford Coppola (Il padrino, 1972, musica di Nino Rota). Organizza inoltre una tournée italiana con i Bandabardò nel 2008 e accompagna Zucchero in Canada. La padronanza della lingua non è perfetta e nelle interviste è evidente che Calliari pensa in quebecchese, ma l’uso dell’italiano gli serve in una prospettiva di world music tinta di esotismo.

Lo stesso discorso risalta nella produzione di Nicola Ciccone, che dopo alcuni album in francese (L’Opéra du mendiant 1999, Noctambule 2001, J’t’aime tout court 2003, Nous serons six milliards 2006) passa all’inglese (Storyteller 2008). In tutti ci sono canzoni in italiano o versi in italiano e testi sugli italiani e su altri migranti. Il tema dell’emigrante (in generale) e dell’italiano espatriato è molto evidente, per esempio, nella canzone in italiano e francese L’immigrant del successivo album Imaginaire (2010). Nell’ultimo cd (Pour Toi, 2012) Ciccone ricicla addirittura il kitsch all’italiana, come risalta dalla videoclip di accompagnamento girato sul ponte Des Arts a Parigi trasformato nel ponte Milvio dei lucchetti degli innamorati alla Federico Moccia (in francese ribattezzati “les lovelocks”). Intanto prepara un album tutto in italiano previsto per la fine del 2013.

In questi switch tra più linguaggi e codici culturali vi è probabilmente una certa dose di furbizia: in Canada e soprattutto nel Québec il ricorso al gruppo immigrato può guadagnare pubblico e appoggi. Tuttavia il fenomeno è abbastanza vasto e va oltre la ricerca di vendere. Gino Vannelli ha un lungo e fortunato percorso newyorchese, tutto in inglese, ma nel 2003 compone l’album Canto sempre in inglese per poi farne tradurre i singoli pezzi: nella versione finale su 11 canzoni 6 sono in italiano e 1 in francese. Roberto Alagna, cantante lirico che cerca il successo nella musica leggera, organizza uno spettacolo, Sicilien (doppio cd DG del 2009), di canzoni tradizionali siciliane e temi di film, aperto dalla canzone di Adamo Les filles du bord de mer. Dopo la tournée fa girare al fratello David un documentario: La Sicile de Roberto Alagna (France 3, 2009). Infine discute la propria doppia appartenenza, sia pure insistendo su quella francese, nell’autobiografia Je ne suis pas le fruit du hasard (Paris, Grasset & Fasquelle, 2007).

Qui abbiamo un’eco di una tendenza all’esotismo nostalgico di marca mediterranea o addirittura globale: già nel 1974 Nino Ferrer scrive e canta in francese Le Sud, paragonando un angolo della Francia alla Louisiana e al Meridione italiano. Inoltre gioca il successo di Adamo presso e forse principalmente fra i colleghi. Sandra Kim (Calderone), italo-belga nata in Vallonia, canta solo in francese e in inglese, ma riprende alcune canzoni di Adamo ed echi di quest’ultimo si trovano in molti cantanti recenti. Talvolta invece l’eco è quello di autori italiani di certo successo: si è già parlato di Dalida e dei suoi imprestiti, ma Carla Bruni presenta nel suo terzo album (Comme si de rien n’était, 2008) Il vecchio e il bambino di Francesco Guccini. Nel primo (Quelqu’un m’a dit, 2002) troviamo invece una cover, Le ciel dans une chambre, de Il cielo in una stanza scritta da Gino Paoli per Mina nel 1960.

Abbiamo qui l’onda lunga dell’interscambio tra canzone francese e canzone italiana degli anni 1950 e 1960, che per altro continua ad essere vivo nei circuiti locali. Sul web francese si leggono gli annunci di spettacoli basati sui grandi successi italiani del passato, per esempio quelli di François Falco, cantante di origine italiana stabilitosi vicino a Tolosa. L’eco italiana ritorna anche fuori della cerchia d’immigrazione, ma è forte soprattutto nel Sud della Francia, dove la presenza peninsulare è stata ed è notevole[11]. Possiamo ancora ricordare a tal proposito la recentissima versione per organetto delle Quattro stagioni di Vivaldi firmata da Galliano, nonché la continua riproposizione ad opera di Christophe della sua fortunata canzone del 1977 La dolce vita, ricchissima di richiami a una romanità di celluloide[12]. In definitiva i legami fra canzone italiana e canzone di lingua francese appaiono piuttosto importanti, grazie anche (ma non solo) all’emigrazione, e il tema meriterebbe approfondimenti ulteriori ad opera di specialisti del settore. Negli ultimi anni la nuova migrazione giovanile ha reso di nuovo attuale questo discorso, basti pensare al cantautore Giacomo Lariccia emigrato dopo la laurea e oggi residente a Bruxelles, dove ha composto un pezzo sui giovani obbligati a partire, Povera Italia, assai noto grazie a Youtube. Analogamente i flussi più recenti creano ulteriori incroci fra ritorni e nuovi migrazione. Nathalie (Natalia Beatrice Giannitrapani), vincitrice della quarta annata del talent italiano X Factor, nasce a Roma da padre italo-tunisino e madre belga e apprende a cantare in italiano e in francese. In alcune interviste sottolinea la propria passione non soltanto per i cantautori italiani e alcuni autori statunitensi, ma pure per Serge Reggiani.

[1]           Emilio Franzina, Le canzoni dell’emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 537-562; Erik Amfitheatrof, Sinatra, Scorsese, Di Maggio e tutti gli altri, Vicenza, Neri Pozza, 2004; Gianni Daldello, The America dream, Ancona, Italic, 2010. Cfr. inoltre, tanto per un esempio, Gildo De Stefano, The voice. Vita e italianità di Frank Sinatra, Roma, Coniglio Editore, 2011, e Francesco Meli, Il mio nome è Frank Sinatra. Una leggenda italo-americana, Milano, Arcipelago, 2011.

 

[2]           Vedi il contributo di Simona Frasca in questo fascicolo, nonché Ead., Birds of Passage: i musicisti napoletani a New York (1895-1940), Lucca, LIM, 2010, e il documentario Cuore napoletano di Paolo Santoni (2002).

 

[3]           Oltre all’articolo di Cattarulla, cfr. Bastimenti: sogni e chimere fra una tarantella e un tango: saggi, spunti e riflessioni sull’emigrazione calabrese a margine dello spettacolo ideato da Cataldo Perri, a cura di Maria Gabriella Capparelli, Cosenza, Editoriale progetto 2000, 2002, e Il tango delle vite strappate. Catalogo fotografico, Magliano Romano, Italy Enterprises, 2011. Per l’uso di strumenti tradizionali italiani nelle Americhe: Marco Moroni,  Emigranti, dollari e organetti, Ancona, Affinità Elettive, 2005.

 

[4]           Si vedano le conferenze-spettacolo di Emilio Franzina; per un quadro: http://bora.la/2012/11/30/cantare-la-storia-per-raccontarla-domani-al-teatro-comunale-di-monfalcone-dopo-lanteprima-estoria2013/. Cfr. Maria Rosaria Ostuni e Gian Antonio Stella, Sogni e fagotti. Immagini, parole e canti degli emigranti italiani, Milano, Rizzoli, 2005, e Hotel Rif ed Emilio Franzina, Storie inCanto per campioni, Sandrigo (VI), Graphic Nord, 2013. entrambi i volumi sono integrati da cd.

 

[5]           Su un meccanismo analogo, cfr. Stéphane Mourlane, Piantoni et Platini, ces “héros italianes” du football français, in Allez la France! Football et immigration, a cura di Claude Boli, Yvan Gastaut e Fabrice Grognet, Paris, Gallimard-Musée national du Sport, 2010, pp. 143-145.

 

[6]           Questi tre musicisti hanno un loro sito web. Senza appesantire l’articolo con troppe note, resta inteso che i dati biografici sono tratti dai rispettivi siti web o dalle voci su Wikipedia francese. I pezzi citati sono invece reperibili su Youtube.

 

[7]           Vedi l’intervista Akhenaton “Forza Marsiglia!”, nel dossier su Les Italiens en Provence, “La Provence”, hors-série, ottobre-novembre 2013, p. 108.

 

[8]           “Venise n’est pas en Italie /Venise c’est chez n’importe qui / C’est n’importe où, c’est important / Mais ce n’est pas n’importe quand / Venise c’est quand tu vois du ciel / couler sous des ponts mirabelles / c’est l’envers des matins pluvieux / C’est l’endroit où tu es heureux”.

 

[9]           “J’ai au fond du cœur une drôle de chanson sicilienne / Que tu sais par cœur car ma vie ressemble à la tienne / Je t’aime plus fort que les volcans de l’Italie / Quand résonne encore les bruits de verres de Chianti”.

 

[10]          Bambino (1956): “Et gratte, gratte sur ta mandoline / mon petit Bambino / Ta musique est plus jolie / que tout le ciel de l’Italie / Et canta, canta de ta voix câline / mon petit Bambino”. La canzone è una cover di Guaglione, composta e cantata da Aurelio Fierro. Quasi venti anni dopo Dalida rilancia la propria carriera interpretando assieme ad Alain Delon Paroles paroles (1973), traduzione della canzone omonima proposta da Mina e Alberto Lupo un anno prima.

 

[11]          Laure Teulières, Immigrés d’Italie et paysans de France (1920-1944), Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 2002 (riedito 2012) e, a cura di, Italiens. 150 ans d’émigration en France et ailleurs 1861-2011, Toulouse, Éditalie, 2011.

 

[12]          “Tous les soirs sans fins / je trainais sur ma vespa / dans mon gilet de satin / c’était la dolce vita… / je cherchais l’aventure / jusqu’au petit matin / je me prenais pour Ben-Hur / en conduisant d’une main”.