A lungo, l’attenzione degli storici per l’emigrazione italiana negli Stati Uniti si è indirizzata verso gli insediamenti sulla costa atlantica e, per quanto riguarda l’esperienza nelle regioni dell’Ovest, ha privilegiato il caso della California e, in particolare, quello di San Francisco. Pochi studi si sono interessati alla partecipazione degli italiani alla corsa all’oro e ancor meno hanno affrontato la loro presenza in Alaska [tra i rari saggi su questo tema cfr., per esempio, Russell M. Magnaghi, Italian Contributions to the Development of Alaska, “Italian Americana”, 9, 2 (1991), pp. 167-180]. La biografia che Claudio Busi ha dedicato a Felice Pedroni è, quindi, degna di menzione, se non altro per la scelta dell’argomento insolito. Infatti, Pedroni – meglio conosciuto negli Stati Uniti col nome ispanizzato di Felix Pedro – deve la sua fama alla scoperta di filoni auriferi nella vallata del fiume Tanana, in Alaska, nel 1902 e al conseguente sviluppo di Fairbanks, di cui fu uno dei fondatori, come avamposto per i cercatori.
Originario di Trignano, una frazione del comune di Fanano sull’Appennino modenese, dove era nato nel 1858, prima di raggiungere l’Alaska insieme alle decine di migliaia di individui che si erano lasciati prendere dall’ultima grande corsa all’oro, quella del 1896-99 verso il Klondike, Pedroni aveva avuto una lunga esperienza di migrante alle spalle. In seguito alle precarie condizioni economiche della famiglia a causa della morte del padre e del fratello maggiore, e forse anche per problemi con la giustizia, con un altro fratello era andato a cercare un lavoro in Francia, dove era rimasto tra il 1880 e il 1881. Dopo un breve rimpatrio, era ripartito per raggiungere un terzo fratello negli Stati Uniti. Qui aveva trovato impiego come minatore nell’Illinois fino al 1883, per poi prestare servizio in una fattoria dell’Oklahoma per circa un anno. I suoi spostamenti non terminarono qui. Tornò a lavorare in miniera, prima in Colorado e poi nello Utah. Ma, nell’estate del 1886, fu colto dalla febbre dell’oro che ricercò in Oregon, nello Stato di Washington e, infine, in Alaska, dove le pepite rinvenute in quello che sarebbe stato ribattezzato in suo onore Pedro Creek e le concessioni ottenute nella zona gli assicurarono un relativo benessere. Tuttavia, fino alla morte, sopraggiunta nel 1910, la sua agiatezza venne costantemente minacciata dalle rivendicazioni economiche e dalle cause legali intentategli, sia dalla famiglia di Auguste Hanot, il socio franco-belga che aveva finanziato le sue spedizioni, sia dalla moglie irlandese separata e litigiosa, Mary Ellen Doran, che Pedroni aveva avventatamente sposato dopo una cocente delusione amorosa sofferta durante un temporaneo rientro a Trignano proprio allo scopo di trovare tra le sue conterranee una donna da condurre all’altare.
Speleologo e archeologo di professione, Busi segue le orme di un certo numero di divulgatori che su giornali, riviste, volumi celebrativi e – più recentemente – siti internet hanno cercato prima di lui di narrare le vicende di Pedroni, un personaggio dall’esistenza sicuramente avventurosa che a Fanano rappresenta una vera e propria gloria locale. L’alone di leggenda che ancora circonda Pedroni ha contribuito a condizionare in parte lo studio di Busi. L’ultima parte della biografia, infatti, è incentrata sul tentativo dell’autore di stabilire se Pedroni sia davvero deceduto per un attacco cardiaco, come riporta il suo certificato di morte, o se non fosse piuttosto stato avvelenato. Busi si spinge addirittura a cimentarsi in ipotesi su chi, tra Hanot e Doran, avesse avuto maggior interesse ad assassinarlo, salvo dover concludere che gli esami tossicologici condotti sulla salma nel 2004 dopo la sua traslazione a Fanano non sono in grado di provare il presunto avvelenamento.
Nonostante la ricerca dello scoop sulla morte di Pedroni, il volume di Busi è basato su un attento spoglio della stampa locale coeva nonché su una vasta gamma di fonti di archivio, che spaziano dai manoscritti delle concessioni minerarie in Alaska alle carte dei processi in cui Pedroni fu trascinato dalla moglie e dal socio. In tal modo, Busi riesce a fornire una ricostruzione attendibile della vita di Pedroni, recuperando la dimensione storica del personaggio al di là del mito e degli aneddoti che i precedenti resoconti divulgativi hanno contribuito a edificare e a diffondere. Tuttavia l’autore tende talvolta a diffondersi sulle minuzie di singole vicende, appesantendo il testo (ad esempio, il capitolo 10 è costituito in larga misura dalla traduzione italiana dei principali documenti della causa di divorzio), quando sarebbe stato auspicabile un maggiore approfondimento del contesto della presenza degli italiani in Alaska e nell’Ovest in generale per cercare di stabilire la rappresentatività del caso di Pedroni rispetto all’esperienza degli altri immigrati appartenenti a questa minoranza nazionale. Nel volume di Busi restano soprattutto imprecisate le dinamiche dei rapporti interetnici lungo la “frontiera” dei cercatori d’oro che alcuni episodi particolari (come il legame di affari con un franco-belga o il matrimonio con un’irlandese, entrambi insoliti per gli immigrati italiani del tempo che in altre regioni degli Stati Uniti generalmente diffidavano dei membri di altri gruppi etnici) avrebbero potuto offrire lo spunto per analizzare. Allo stesso modo, sarebbe stato apprezzabile se Busi avesse utilizzato il caso di Pedroni per confrontarsi con la tesi di Andrew Rolle (Immigrant Upraised. Italian Adventurers and Colonists in an Expanding America, Norman, University of Oklahoma Press, 1968), secondo cui nell’Ovest degli Stati Uniti gli immigrati italiani avrebbero conosciuto minori difficoltà di inserimento e ascesa sociale rispetto ai loro compatrioti che si insediarono nei centri urbani dell’Est.