Il 22 settembre 1937 una folla di 20.000 persone accompagnò il feretro del giovane falegname Giuseppe Miceli, assassinato nel corso di una incursione punitiva condotta dai cadetti della “Vespucci” contro il circolo popolare Garbali, reo di antifascismo. In quell’occasione l’urlo contro il regime si sentì chiaro e forte: “tutta Tunisi indignata e in preda ad una collera irruenta si era riversata per le strade” ha ricordato nelle sue memorie autobiografiche Ferruccio Bensasson, con parole ora rievocate da Leila El Houssi. La reazione sdegnata della collettività italiana, che con la sua partecipazione ai funerali e con lo sciopero di una settimana del lavoratori dei porti tunisini volle mostrare la distinzione fra l’Italia che essi amavano e in cui si riconoscevano e il fascismo, segnò anche il punto di svolta dell’antifascismo italiano in Tunisia. La sua attività cominciò allora ad essere considerata come meritevole di maggiore attenzione da parte dei fuorusciti riparati a Parigi, tanto che l’anno successivo sarebbe stato inviato a Tunisi il “rivoluzionario di professione” Elio Spano, poi raggiunto da Giovanni Amendola, nel 1939. Con questi arrivi e con la pubblicazione del “Giornale”, della cui redazione fecero parte i componenti più attivi del gruppo di militanti, fra i quali Loris Gallico e Maurizio Valensi (Valenzi), l’attività antifascista degli italiani di Tunisia assunse un posto centrale in quella svolta all’estero, raffermando il suo carattere transnazionale e contemporaneamente internazionale.
Era questo l’esito di un complesso percorso, ora ricostruito da Leila El Houssi, che trae le sue origini dalla particolare condizione degli italiani di Tunisia, collettività non colonizzatrice, e tuttavia componente principale della popolazione europea nel protettorato francese, poiché la sua consistenza numerica, di oltre 90.000 persone, era più del doppio di quella francese. Gli italiani vivevano infatti in una dimensione altra tanto rispetto ai colonizzati quanto ai colonizzatori, in una posizione intermedia rilevata da testimoni autorevoli come il filosofo Albert Memmi e Adrien Salmieri, ricordati dall’autrice. Tale condizione era l’eredità di un plurisecolare scambio di popolazione fra la penisola e il lembo del territorio ottomano che dal 1881 fu amministrato dalla Francia. Il risultato di questo scambio era la provenienza composita, tanto dal punto di vista regionale quanto dal punto di vista sociale, che caratterizzava la popolazione italiana e anche la sua convinta identità nazionale. All’insediamento più antico, composto dai Qrāna, discendenti degli ebrei livornesi, che rappresentava anche l’élite della collettività, con una folta rappresentanza nelle professioni liberali e nel commercio, nel tempo si erano aggiunti altri arrivi, di lavoratori stagionali dalla Toscana, e di immigrati dalla Sicilia, che costituivano il gruppo più numeroso. A testimoniare quanto fosse ininterrotto il flusso degli arrivi stanno anche episodi accaduti nel 1930, e ora opportunamente ricordati, di “italiani allontanatisi clandestinamente dalla Sicilia su una barca” diretti verso le coste tunisine (p. 97).
Le pratiche assimilazioniste dell’amministrazione francese, in particolare con le leggi introdotte nel 1923, indussero una parte della collettività italiana a sperare nell’appoggio del governo di Roma, esprimendo un iniziale consenso agli atteggiamenti di difesa dell’italianità assunti da Mussolini. Il contrasto fra il fascismo da una parte e l’elite liberale massonica e i rappresentanti delle organizzazioni operaie di ispirazione socialista e comunista dall’altra si manifestò tuttavia ben presto e la sua ricostruzione demolisce definitivamente il luogo comune della larga adesione al fascismo offerta dalla collettività degli italiani di Tunisia. La tradizione massonica del ceto dirigente di cultura italiana era infatti inconciliabile con i metodi e gli obiettivi del fascismo, tanto da suggellare l’alleanza con la sinistra antifascista. Nonostante che il regime tenesse alta l’attenzione, anche organizzando falsi attentati contro le istituzioni italiane, in modo di potere accusare gli antifascisti di sabotaggio, l’attività antifascista svolta dalla LIDU, in comunicazione con Giustizia e Libertà, fu in grado di organizzare un efficiente un sevizio di accoglienza per i fuorusciti e di ravvivare una rigogliosa tradizione giornalistica.
Le speranze di una difesa dei diritti della collettività italiana da parte del fascismo si erano in fatti rivelate come infondate. Come avrebbe commentato Carlo Rosselli nel 1933, il comportamento di Roma nei confronti della Tunisia altro non era che l’espressione di due colonialismi rivali, quello francese e quello italiano (p.101). Nell’ambito di tale strumentalizzazione politica, la comunità italiana di Tunisia avrebbe addirittura assunto nel 1938, agli occhi del duce, la medesima utilità di quella dei Sudeti di Cecoslovacchia per Hitler (p. 182).
Grazie al ricorso ad una documentazione assai composita, che per la prima volta combina fonti archiviste italiane, francesi e tunisine, questa ricerca di El Houssi riesce a illuminare uno dei capitoli più significativi dell’attività antifascista all’estero e contemporaneamente anche dell’esperienza della più folta comunità di lingua e cultura italiana del Mediterraneo. La novità e l’importanza della ricerca risiede nell’utilizzo congiunto dei documenti conservati in Archivio centrale dello stato, fra cui quello del Casellario politico centrale, di quelli del Ministero degli Affari esteri, di quelli del Ministero dell’Africa italiana, degli Archives Nationales de Tunisie, degli archivi parigini attinenti al protettorato, degli archivi diplomatici italiani e francesi fino a quelli del Partito comunista italiano, arricchiti da fondi personali e da una profonda conoscenza della stampa in lingua italiana pubblicata in Tunisia. Tale ricchezza documentaria ha permesso alla giovane storica di assemblare una ricostruzione corale, ma anche attenta alle diverse posizioni dei protagonisti, di una vicenda complessa e mai finora affrontata nella sua completezza. La ricerca ricostruisce il tal modo la posizione iniziale di difesa dell’italianità da parte della collettività di lingua italiana come reazione alle politiche di francesizzazione, la prima opposizione al regime, la nascita e l’attività della LIDU, la reazione agli accordi Mussolini-Laval del 1935, immediatamente interpretati come l’abbandono degli italiani di Tunisia in cambio di un tacito assenso francese all’impresa etiopica, fino alla svolta prodotta dal nuovo corso del Front populaire in Francia e all’alleanza degli antifascisti italiani con nazionalisti tunisini. L’abilità dell’autrice sta anche nella sua attenzione continua al contesto internazionale in cui si colloca la vicenda, poiché tutti i suoi passaggi più significativi furono da quello determinati, ma anche alla specificità di una condizione unica e particolare di un gruppo antifascista che riuscì a trasformare la sua collocazione periferica in una centrale transnazionale di attività politica.