I frontalieri giurassiani tra opportunità economiche e tensioni sociali

1. INTRODUZIONE
L’impiego di lavoratori frontalieri in Svizzera mette in scena il conflitto diventato classico tra i bisogni del mercato del lavoro e le paure sociali e identitarie. Se la loro situazione è particolare poiché, residenti all’estero, possono apparire come la soluzione ideale per rispondere alle richieste dell’economia senza partecipare all’immigrazione vera e propria, la posizione dei frontalieri è stata e rimane scomoda per il rigetto di cui sono vittime da entrambi i lati del confine.
Il Giura svizzero, ovvero la regione situata tra l’“arc lémanique” (Losanna-Ginevra) e Basilea, rappresenta un caso particolarmente utile per mettere in luce l’ambivalenza della situazione dei frontalieri in Svizzera. Infatti, dagli anni 1960, i frontalieri costituiscono una parte importante della popolazione attiva di questa regione. Il frontalierato ha quindi prodotto diverse riconfigurazioni degli spazi e dell’economia (sviluppo di un’importante zona residenziale dalla parte francese del confine, investimenti svizzeri nelle imprese francesi, mantenimento, o addirittura sviluppo dell’attività industriale svizzera in parte grazie alla disponibilità di manodopera frontaliera). La sensibilità alle forti oscillazioni congiunturali subite dall’industria locale evidenzia le risorse, ma anche la fragilità del frontalierato, come vedremo con la crisi degli anni 1970. Infine, l’importanza del frontalierato ha anche suscitato, da entrambi i lati del confine, un intenso dibattito sui rischi e le opportunità offerte da questo tipo di migrazioni.
Il Giura costituisce perciò un caso di studio privilegiato per una riflessione sull’impiego dei frontalieri e, più in generale, sul confine come luogo di scambi transnazionali che “jouent un rôle majeur dans la recomposition des sociétés et des territoires”(1). Considerato come un distretto industriale, si tratta di una regione economicamente coerente, caratterizzata dalla debolezza del settore terziario e dalla forte industrializzazione, specialmente nei campi dell’orologeria, della macchina utensile e della micro-tecnica, dalla parte svizzera, e della costruzione automobile, meccanica (compresa l’orologeria), elettrica ed elettronica e della metallurgia, dalla parte francese.
Questa dimensione transfrontaliera della regione giurassiana corrisponde anche a una volontà politica, poiché un apposito organo di cooperazione, la Communauté de Travail du Jura, ribattezzata Conférence TransJurassienne nel 2001, è stato creato nel 1985. Uno dei suoi principali obiettivi è la realizzazione di un vero bacino d’impiego transfrontaliero(2), in particolare attraverso la collaborazione dei servizi del lavoro francesi e svizzeri, ad esempio nell’ambito della formazione(3). Ciò nonostante, le difficoltà d’integrazione sono numerose e i lavoratori francesi rimangono parzialmente ai margini di un vero mercato del lavoro transfrontaliero(4). Inoltre, “la mise en place d’une véritable région transfrontalière n’est pas l’objectif des firmes, qui aspirent d’abord à profiter de la spécialisation des territoires nationaux”(5). Infine, se l’impiego di frontalieri è diventato una componente strutturale del mercato del lavoro del Giura svizzero, le fluttuazioni del loro contingente rimangono considerevoli e ben superiori a quelle delle altre regioni svizzere(6).
Di fronte alla penuria generalizzata della manodopera e alle limitazioni progressive dell’immigrazione introdotte dal governo federale, l’industria orologiera, vera e propria locomotiva dell’industria giurassiana, si rivolge negli anni 1960 verso i frontalieri. Il padronato li presenta come parte di un flusso tradizionale e sottolinea che i datori di lavoro affermano di aver avuto ottime esperienze con questi lavoratori e lavoratrici, in particolare per quanto riguarda l’integrazione sociale. Il loro numero non è molto importante (circa un migliaio nel 1965), se paragonato con l’insieme degli effettivi orologiai, ma si concentra in alcuni cantonie (Berna, Ginevra, Neuchâtel, Vaud e Ticino) per i quali la posta in gioco è notevole(7).
Nell’insieme, da 11.580 frontalieri nel 1949, gli effettivi a livello svizzero aumentano a 48.000 nel 1966 e a 110.809 nel 1974, alla vigilia della crisi economica. La Svizzera, per via della sua posizione geografica e degli stipendi elevati, diventa il principale datore di lavoro europeo dei frontalieri; il 40% dei 418.000 frontalieri europei censiti vi era impiegato nel 1995(8). Negli ultimi anni il loro numero è in forte crescita: tra il 2004 e il 2014 sono passati da 170.100 a 287.145(9), per l’insieme della Svizzera, e da 20.640 nel 2002 a 28.800 nel 2013, per quanto riguarda la regione giurassiana (nord del canton Berna, Giura, Neuchâtel e Vaud)(10).

2. IN SVIZZERA
A partire dall’inizio degli anni 1960, l’impiego di frontalieri diventa un elemento importante delle strategie dell’industria giurassiana – che si trova in piena espansione – per via della limitazione progressiva dell’immigrazione da parte della Confederazione. A ciò va aggiunto un mercato del lavoro che non offre nessuna opportunità all’industria, in particolare per lo sviluppo del settore terziario più attrattivo per il personale locale(11). Infine, i frontalieri permettono di limitare il costo del lavoro e allo stesso tempo di accedere a un personale ampiamente qualificato e abituato ai mestieri dell’industria.
Un movimento in favore dei frontalieri si sviluppa perciò a partire dagli anni 1960, in particolare nella stampa vicina al padronato(12). I frontalieri devono essere preferiti agli altri stranieri perché, risiedendo all’estero, non partecipano all’inflazione, permettendo così di sostenere la crescita senza accentuare le sue conseguenze negative (soprattutto insufficienza delle infrastrutture e dell’alloggio). Inoltre, devono essere considerati più vicini allo Swiss way of life; non rappresentano quindi un pericolo di “colonisation ou d’annexion intellectuelle et spirituelle”.
La questione dei frontalieri è anche dibattuta sulla scena politica. Il legislativo del Canton Neuchâtel adotta una risoluzione che chiede al governo federale di non includere i frontalieri nelle sue misure di limitazione(13). Stando al Gran consiglio neo-castellano, “la réduction de leur nombre occasionne des difficultés à des entreprises neuchâteloises dont certaines envisagent l’ouverture de succursales dans le département du Doubs”. Queste richieste hanno per risultato nel 1966 l’esclusione dei frontalieri dagli effettivi sottomessi al regime di contingentamento. Da allora, rappresenteranno una parte sempre più importante del mercato del lavoro della regione giurassiana.
Le richieste di liberalizzazione dell’impiego di frontalieri ricevono anche il sostegno dei rappresentanti del mondo operaio, poiché la loro presenza permette di sostenere la crescita: “il semble donc que le mal ne soit pas très grave, si l’on s’en réfère à l’augmentation constante de la production horlogère”(14). Ciò nonostante, la forte progressione del loro numero nella seconda metà degli anni 1960 provoca un capovolgimento della posizione sindacale(15).
Anche sul piano comunale cominciano a nascere alcuni dubbi. Il motivo è finanziario, poiché i comuni vedono la manna rappresentata dalle tasse fuggire verso la Francia, per il sistema d’imposizione al luogo di domicilio. Alla perdita fiscale si aggiungono le spese dovute al flusso transfrontaliero:

les déplacements pendulaires de plus en plus nombreux entre nos communes et les localités françaises de résidence nécessitent de notre part des investissements importants pour la construction et l’entretien des réseaux routiers communaux, cela d’autant plus que de nombreux véhicules lourds sont en service pour transporter les ouvriers de leur lieu de domicile à leur lieu de travail et retour. Les nombreuses voitures privées immatriculées en France doivent trouver chez nous des places de stationnement qui ont dû être créées. Les tâches de police sont également proportionnelles au nombre de personnes se rendant dans les entreprises suisses depuis la frontière et cela particulièrement aux heures d’entrée et de sortie des usines. Nous signalons également l’utilisation par les frontaliers de certaines institutions publiques communales ou privées : crèches, hôpitaux, piscines, patinoires, dont il n’est nul besoin de rappeler ici les déficits d’exploitation(16).

I comuni chiedono quindi di percepire una parte delle tasse, direttamente sul reddito dei frontalieri o attraverso una restituzione da parte della Francia(17). Sempre all’inizio degli anni 1970, altri problemi si fanno sentire, come dimostra il dibattito al Gran consiglio neo-castellano sui salari e sullo spopolamento delle valli del cantone. I deputati di destra accusano l’Ufficio cantonale del lavoro di far dipendere le autorizzazioni di lavoro dall’accettazione da parte dei datori di lavoro delle esigenze sindacali in materia di retribuzione, mentre a sinistra viene denunciato l’uso del lavoro frontaliero per fare pressione sui salari(18).
I tentativi di dumping salariale attraverso l’impiego di frontalieri vengono anche menzionati dal Consigliere di Stato René Meylan, ministro in carica del Dipartimento neo-castellano dell’industria, secondo cui “à la fin de l’année 1972, le Conseil d’Etat a acquis la conviction que dans certaines parties des Montagnes neuchâteloises et au Val-de-Travers, certaines entreprises engageaient des frontaliers français à des salaires inférieurs à ceux versés aux ouvriers suisses”(19). Il comunista Frédéric Blaser invece presenta una mozione che chiede al governo cantonale di:

procéder à une étude sur les conséquences immédiates et à longue échéance, pour les communes concernées, de l’occupation non limitée de travailleurs frontaliers dans l’économie neuchâteloise, d’envisager éventuellement les mesures nécessaires pour en limiter le nombre sans que les travailleurs frontaliers déjà occupés dans notre canton soient touchés par ces nouvelles mesures(20).

Per la destra invece, la possibilità di ricorrere alla manodopera frontaliera è un’opportunità che non dev’essere limitata, poiché permette ai datori di lavoro di “recruter un certain nombre de personnes, aux compétences assez diverses, pour les employer dans l’industrie horlogère, mécanique et autres”(21). Per quanto riguarda i salari, il numero dei frontalieri non sarebbe sufficiente per generare una effettiva pressione al ribasso. È quindi possibile affermare che, al contrario di quello che succede in Ticino ad esempio, i tentativi di dumping salariale non sembrano sistematici, poiché vengono dibattuti. Ciò nonostante, un’analisi micro-economica dimostra che, almeno fino agli anni 1970 e soprattutto per quanto riguarda l’orologeria, i salari dei frontalieri sono effettivamente inferiori e corrispondono al salario minimo(22). La crisi porrà fine per qualche anno alla polemica, che rinascerà a partire dal 1977(23).
Sul piano legale, la situazione dei frontalieri impiegati in Svizzera è dipesa a lungo dalle convenzioni concluse con i paesi limitrofi(24). La legge federale concernente la dimora e il domicilio degli stranieri del 26 marzo 1931 autorizza il governo federale a regolamentare le migrazioni frontaliere, che rimangono però in principio in mano ai cantoni. Per quanto riguarda l’ammissione di frontalieri francesi, questa viene disciplinata, dal 15 aprile 1958, da un accordo tra Berna e Parigi(25). Le zone frontaliere vi sono definite, in base all’accordo franco-svizzero del 1° agosto 1946 relativo alla circolazione frontaliera(26), come una fascia di dieci chilometri da una parte e dall’altra del confine. I permessi di lavoro sono stabiliti, per un anno o per un periodo più breve durante i primi due anni, dalle autorità dipartimentali in Francia e da quelle cantonali in Svizzera. Come tutti i permessi di lavoro consegnati ai lavoratori stranieri dipendono dalla situazione dell’impiego nella professione e nella regione del luogo di lavoro e sono accordati solo se l’impiegato beneficia delle stesse condizioni di lavoro e di retribuzione dei lavoratori svizzeri. I frontalieri, che hanno l’obbligo di tornare ogni giorno nel paese nel quale sono domiciliati, devono ottenere un’autorizzazione speciale per poter esercitare un altro mestiere, mentre il cambiamento del posto di lavoro nella stessa professione è sottoposto a un’autorizzazione durante i primi due anni. Gli accordi amministrativi che regolano le questioni di procedura sono in vigore anche tra alcuni cantoni (Berna, Ginevra, Soletta e i due semi cantoni di Basilea) e i dipartimenti francesi limitrofi.
La situazione dei frontalieri francesi in Svizzera è quindi rimasta a lungo mal definita e poco omogenea. È solo nel 1988 che la situazione evolve in modo considerevole quando una dichiarazione, che unifica la pratica, è siglata a Losanna il 1° luglio, da 16 cantoni(27). L’accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone firmato con l’Unione Europea ha messo poi fine ad ogni ostacolo alla mobilità geografica e professionale dei frontalieri(28). Il 1° giugno 2007 la limitazione delle zone frontaliere è anche stata soppressa, così che “le terme de frontalier perd une partie de son sens”(29).
Se l’esclusione dalle misure federali permette un aumento del loro numero negli anni 1960, i frontalieri sono colpiti come il resto dei lavoratori stranieri dalla crisi economica degli anni 1970, poiché la loro ammissione rimane legata allo stato del mercato del lavoro. Tra il 1974 et il 1977, 27.751 impieghi frontalieri (su 110’809) sono soppressi. All’indomani della crisi, il loro ingaggio riprende immediatamente.
I frontalieri ricoprono perciò la stessa funzione degli altri stranieri il cui soggiorno è limitato nel tempo, ovvero fungono da strumento di compensazione degli sbalzi nelle varie fasi dei cicli economici. La loro disponibilità e la precarietà del loro statuto permettono infatti alle imprese di ricorrervi velocemente nei momenti di necessità e di separarsene altrettanto in fretta in caso di rallentamento degli affari. È comunque possibile distinguere, tra il 1970 e il 1978, un nucleo stabile di frontalieri che si situa tra il 2% e il 10% dell’impiego totale a La Chaux-de-Fonds, tra il 10% e il 25% a Le Locle e tra il 60% e l’80% a Les Brenets, per prendere degli esempi neo-castellani. Questa “partecipazione minima” è “l’expression du rôle d’ordre structurel que les frontaliers sont amenés à remplir dans la région”(30).
Il nucleo stabile è a maggioranza composta da uomini, “ce qui révèle un niveau de qualification légèrement plus élevé”(31) ed è segnato dall’invecchiamento dei lavoratori e delle lavoratrici che lo compongono. Questo significa “une progression de la dimension structurelle de la main-d’œuvre frontalière”(32). Di conseguenza, la “ permanence [du noyau stable] est due à la qualification et l’expérience des intéressés; on peut supposer ainsi qu’avec des années de pratique, ces migrants font désormais partie du personnel des entreprises; ils ont été intégrés au marché local du travail”(33).
I frontalieri possono dunque essere considerati, in una certa misura, come parte di un mercato del lavoro transfrontaliero, sia per via delle loro qualificazioni e del loro know-how, sia per quanto riguarda il reclutamento grazie alla loro vicinanza geografica. Le scuole francesi di orologeria, o più generalmente tecniche, stabilite al confine (Besançon, Morteau e Pontarlier, in questo caso) preparano la manodopera potenzialmente disponibile per le ditte svizzere. I frontalieri testimoniano così dell’esistenza di una sola e unica regione economica transfrontaliera, definita dalle sue specializzazioni tecniche, che può essere considerata come un distretto industriale(34).
Nonostante un’evoluzione in parte diversa dalla crisi della metà degli anni 1970, un tessuto economico simile e un know-how comune – basato su delle infrastrutture (in particolare le istituzioni di ricerca e di formazione) e delle reti che permettono la circolazione delle competenze e quindi dei processi d’innovazione – sono infatti al centro dei legami che uniscono le due rive del fiume Doubs(35). L’importanza di un’identità industriale comune era stata sottolineata fin dal 1974, quando oltre la metà dei frontalieri del Haut-Doubs erano impiegati dall’orologeria (56,3%) e circa un terzo dalla metallurgia e dall’industria meccanica(36).
Il flusso dei frontalieri dalla Francia verso la Svizzera diventa quindi nella seconda metà degli anni 1960 un elemento importante della manodopera straniera. Di fronte ai problemi di iperinflazione che contraddistinguono questo periodo, i frontalieri soddisfano le organizzazioni padronali ma anche operaie, così come lo Stato. Il dibattito sulla loro presenza in Svizzera è però segnato nel decennio successivo da un capovolgimento della loro immagine. I “padri tranquilli dell’alta congiuntura” cedono progressivamente il passo ai concorrenti sleali, responsabili della pressione sui salari. Inoltre, le località che li accolgono devono supportare i costi legati alle infrastrutture, allorché i frontalieri sfuggono all’imposizione locale. Il fronte comune a loro favore si rompe e il reclutamento senza freni è sostenuto solo dagli ambienti politici legati al mondo delle imprese.
Nonostante questo cambiamento di percezione, i frontalieri diventano una componente sempre più stabile nella regione orologiera, passando dal ruolo di manodopera ausiliare a un elemento strutturale del mercato del lavoro. Questi si estende sempre di più da entrambi i lati del confine per costituire, malgrado tutte le limitazioni imposte dalla frontiera, una sola zona di reclutamento, al di là delle suddivisioni amministrative.

3. IN FRANCIA
Dalla parte francese del confine, le resistenze alle migrazioni frontaliere riguardano innanzitutto il padronato. Nel 1974, gli industriali francesi, riuniti nella Camera di commercio e d’industria della Franca Contea, si organizzano a causa della diserzione della loro manodopera. Un gruppo di lavoro è costituito, i cui membri sentono il bisogno di affermare la loro apertura nei confronti d’una popolazione di lavoratori che potrebbe dubitarne: “cette action se veut positive: elle vise à favoriser le développement de la zone frontalière et non à léser, sous une forme ou une autre les migrants frontaliers”(37). Questa dichiarazione d’intento è ripresa nella prefazione al rapporto pubblicato dalla camera, che precisa che i promotori del testo vogliono “parvenir, par le jeu des négociations, à une meilleure protection sociale des travailleurs frontaliers”(38). Gli obiettivi e la struttura dello studio sono duplici. Da un lato, il servizio degli studi economici e sociali della camera deve aggiornare i dati riguardanti il numero di migranti, le strutture per età, la situazione famigliare e le qualificazioni professionali, da un lato. Dall’altro, le conseguenze del movimento migratorio frontaliero vengono analizzate in base a una serie di colloqui con una quindicina d’imprenditori. Come affermato esplicitamente, questa parte del lavoro riflette perciò solo la posizione padronale. Il predominio dell’orologeria sul tessuto industriale locale è confermato dalla lista delle imprese intervistate, di cui circa la metà (10 su 22) fanno parte di questa industria(39).
I lavori producono una serie di proposte d’azione che riguardano tanto l’amministrazione francese quanto i partner elvetici. In primis, il gruppo di lavoro chiede la creazione d’uno statuto dei frontalieri. Infatti, se “à court terme, le travailleur frontalier recherche l’avantage financier qui est spectaculaire”, il frontaliero prende comunque dei rischi sul piano della sicurezza dell’impiego, dell’assicurazione malattia e, inoltre, con la sua propria esistenza rende difficile a se stesso un eventuale ritorno in Francia, “par suite du vide industriel qu’il tend à provoquer”(40). Infine, in caso di recessione in Svizzera e di ritorno in Francia, il lavoratore frontaliero provoca pesanti costi che devono essere assorbiti dalla collettività francese, verso cui la Svizzera esporta la sua disoccupazione. Questa prima proposta permette di sottolineare che, sebbene il gruppo di lavoro affermasse di non voler danneggiare i lavoratori frontalieri, la causa del problema viene ricondotta alla loro volontà di ottenere un guadagno tanto immediato quanto rischioso e quindi, in fin dei conti, è attribuita alla loro avidità. Il futuro statuto deve costringere gli imprenditori svizzeri a dare delle garanzie d’impiego simili a quelle esistenti in Francia; a iscrivere i frontalieri al sistema della Sécurité sociale e a pagare le quote agli organismi di pensione, all’ASSEDIC(41) e alla formazione professionale continua. In poche parole, si trattava di condividere una parte dei costi sostenuti dalle istituzioni francesi. Per quanto riguarda la Sécurité sociale, il rapporto non menziona gli accordi collettivi sviluppati dalle associazioni di frontalieri che, come vedremo, non hanno aspettato l’intervento del padronato o dello Stato per prendere le misure necessarie.
La seconda proposta riguarda le autorità francesi accusate di non rispettare le formalità amministrative, in particolare la zona di confine, definita come una fascia di 10 chilometri, e di attribuire delle autorizzazioni “à des personnes n’habitant pas dans ces communes ou n’y résidant que depuis quelques semaines”. Il gruppo di lavoro evidenzia così il problema dei “falsi frontalieri”, ossia delle persone provenienti da comuni non-frontalieri o che si stabiliscono in questa regione per poter beneficiare delle possibilità di lavoro offerte dalla Svizzera. Viene denunciato il lassismo dell’amministrazione francese di fronte ai metodi di reclutamento “aggressivi” delle imprese svizzere (affissioni, agenti di reclutamento e incentivi all’assunzione).
La terza proposta è rivolta all’amministrazione cantonale neocastellana e a quella del Canton Vaud, di cui si richiede la cui partecipazione finanziaria alle spese d’infrastruttura della regione, in particolare per ciò che riguarda le strade e l’insegnamento. L’obiettivo è di conservare il più possibile la manodopera qualificata, a testimonianza dell’incapacità dell’industria francese di affrontare la concorrenza svizzera. “Si l’on tient compte qu’en France, un étudiant de l’école normale doit 10 ans d’activité à l’Etat, il faudrait obtenir que tout élève de C.E.T. doive obligatoirement travailler en France un certain nombre d’années avant d’aller en Suisse”(42).
Ma il progetto vuole anche dimostrarsi proattivo, poiché prevede di promuovere lo sviluppo economico della regione, specialmente attraverso il conseguimento di vantaggi fiscali, il che avrebbe quale conseguenza non solo lo sviluppo delle imprese locali, ma anche “l’implantation d’entreprises suisses dans le secteur. Il serait plus logique de favoriser l’implantation d’entreprises suisses dans la région frontalière que de laisser s’aggraver l’exode des frontaliers allant en Suisse”(43).
“Le manque de main-d’œuvre est imputé aux différences de salaire entre la France et la Suisse (cité 19 fois) et, dans une moindre mesure aux conditions de travail propres à telle ou telle activité (cité 6 fois), ainsi qu’à l’insuffisance du potentiel de main-d’œuvre existant dans la région frontalière”(44). La differenza salariale rimane quindi per gli imprenditori francesi la principale spiegazione della fuga dei lavoratori, le cui conseguenze sono pesanti. Infatti, la mancanza di manodopera frena lo sviluppo delle ditte francesi e le spinge a delocalizzare parte della produzione verso altre regioni del paese. Le imprese reagiscono innanzitutto sul piano della razionalizzazione, per risparmiare la manodopera mancante, come sul piano della formazione o dei trasporti. Infine, l’immigrazione e il lavoro a domicilio permettono di compensare in parte la mancanza di manodopera(45). Per quanto riguarda le proposte, l’istituzione di quote di lavoratori da destinare alla Svizzera viene ad aggiungersi alle misure presentate in precedenza, ma sarà abbandonata nel rapporto finale(46).
Il padronato chiede anche “un contexte social nouveau, en améliorant les conditions de travail”, così come le infrastrutture in materia d’alloggio e le attrezzature socioculturali e sportive. La formazione, la rete di comunicazione e le infrastrutture industriali devono dal canto loro attirare nuove imprese e sviluppare quelle esistenti. Nell’insieme, l’espansione economica e sociale è quindi considerata come il rimedio fondamentale contro l’esodo della forza di lavoro.
Se gli imprenditori francesi chiedono una protezione contro la concorrenza elvetica, va sottolineato che quest’ultima partecipa allo sviluppo del versante francese del Giura, poiché “sur un échantillon de 41 entreprises à participation étrangère, 24 faisaient, en Franche-Comté, l’objet d’une participation suisse (horlogerie et travail des métaux essentiellement)”(47). I vantaggi dell’industria svizzera sono d’ordine: commerciale, grazie all’ingresso nel Mercato comune europeo; industriale, grazie alla possibilità di partecipare al controllo della concorrenza francese; e, infine, d’accesso alla manodopera francese. Questa evoluzione si estenderà nel corso degli anni 1990, quando una parte del lavoro frontaliero verrà sostituito da “l’externalisation des activités peu rentables […] au profit de la sous-traitance frontalière, division verticale du travail qui substitue les flux de biens intermédiaires à ceux de travailleurs. La Confédération continue d’utiliser la main-d’œuvre frontalière, mais du côté français”(48), un sistema che può ricordare quello delle maquiladoras tra Messico e Stati Uniti, dove “ditte gemelle” si dividono due segmenti diversi della produzione. L’effetto di questo sistema è la specializzazione da una parte e dall’altra del confine. Inoltre le ditte svizzere possono ottenere lo “swiss made”, da una parte, e i vantaggi comparativi francesi, dall’altra(49). A metà degli anni 1990, la Franca Contea diventa così “une des régions françaises les plus dépendantes de l’extérieur, 54% de ses emplois relevant de centres de décision externes”(50).

4. I FRONTALIERI
I primi frontalieri devono subito affrontare un problema centrale, quello dell’assicurazione malattia. L’Amicale des frontaliers è quindi creata nel 1962 per sostituire gli enti statali, ma il suo raggio d’azione si allarga presto poiché diventa l’interlocutore privilegiato dei lavoratori, delle amministrazioni e del padronato svizzero, ad esempio per fare rispettare l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione malattia in Francia e per verificare il rispetto dei salari minimi. Una parte delle funzioni abitualmente assunte dai sindacati operai (in particolare la Federazione svizzera dei lavoratori metallurgici e orologiai, FLMO) si trova quindi in mano all’Amicale, che può a volte anche fungere da reclutatore, poiché le imprese fanno appello ai suoi servizi per fare un primo smistamento del personale. Nei periodi di crisi, invece, si rivolgono all’Amicale le agenzie francesi per l’impiego che cercano di piazzare i disoccupati in Svizzera.
L’obiettivo fondamentale rimane comunque quello di sostituire la Sécurité sociale, accessibile solamente alle persone impiegate in Francia, dal momento che in Svizzera l’adesione a una cassa malati è limitata ai residenti. Un’assicurazione battezzata La Frontalière è creata grazie a una convenzione con Les Assurances Générales de France et la Célérité. Questa dimensione di prestatore di servizi non riguarda solo l’associazione di Morteau, ma più generale concerne l’azione delle associazioni di frontalieri a livello europeo(51).
Dal 1975, l’Amicale aderisce alla Confédération Générale du Travail Force Ouvrière (C.G.T.F.O.), con l’obiettivo di ottenere maggiore spazio d’azione sulla scena politica, e riceve il sostegno di diverse personalità per la quali l’Amicale rappresenta un aiuto elettorale importante. In realtà, dalla creazione, l’associazione è vicina a Force Ouvrière – che fa parte della Confederazione internazionale dei sindacati liberi, come la FLMO – anche se sostiene di essere indipendente da ogni organizzazione politica o sindacale(52). Perciò, se le associazioni occupano in genere un campo, quello dei flussi transfrontalieri, trascurato dai sindacati operai, a volte possono anche allearsi ad essi.
L’Amicale ricorre pure al lobbying, in particolare presso le direzioni delle imposte e delle dogane. I frontalieri denunciano le manovre del padronato per impedir loro di partire in Svizzera, ma anche la loro riluttanza a lasciare altre imprese impiantarsi nella regione(53). La mobilitazione può sboccare in azioni spettacolari, come quella del 12 aprile 1969, quando i frontalieri bloccano diversi posti di confine tra Villers-le-Lac (F) e Le Locle (CH) per manifestare contro le “vessazioni” alla dogana, come ad esempio l’esigenza di dichiarazioni di salario(54).
Infine, l’Amicale cerca anche di dare maggior legittimità al frontalierato, presentandosi come associazione dei “veri” frontalieri, con riferimento ai falsi frontalieri di cui si sostiene che potrebbero mettere in pericolo una situazione diventata stabile col passar del tempo: “La règle de la zone frontalière ayant disparu avec les accords bilatéraux et avec elle, cette relative stabilité qu’elle apportait, qu’en sera-t-il demain avec toute cette population nouvelle venue d’ailleurs à la recherche d’un emploi? Saura-t-elle, elle aussi, réussir son intégration évitant ainsi de détruire ce tissu social tissé tout au long de ces années? Le comportement de certains nouveaux arrivants incite à se poser la question”(55).

5. CONCLUSIONE
La regione giurassiana permette di analizzare le successive fasi del ricorso al frontalierato, fortemente legato, all’inizio, alla limitazione dell’immigrazione da parte della Confederazione. Questa manodopera colmava i bisogni dell’industria svizzera, al tempo in piena fase di espansione, ma in gravi difficoltà dal punto di vista del reclutamento dei lavoratori, in particolare a causa dello sviluppo del settore terziario.
I lavoratori frontalieri non erano tuttavia semplici sostituti. Beneficiavano infatti di competenze preziose, poiché facevano parte di un distretto industriale transfrontaliero segnato da una sola identità tecnica. Le imprese svizzere ricercavano un personale in gran parte formato nelle scuole professionali francesi. Di conseguenza, il ricorso ai frontalieri è legato a una congiuntura politica ed economica particolare, ma è anche il riflesso di un’evoluzione tecnica che supera le frontiere.
Ciò nonostante, il confine non sparisce. Al contrario è proprio la sua esistenza e le discontinuità che ne conseguono, in particolare nel caso dei salari, che spiega l’esistenza di un flusso unidirezionale del lavoro dalla Francia verso la Svizzera. Questi “effetti frontiera” hanno per risultato anche la ristrutturazione degli spazi che tende a fare della zona francese una zona residenziale, mentre gli impieghi si sviluppano dalla parte svizzera. Quest’effetto è solo in parte compensato dagli investimenti svizzeri in Francia, che permettono la creazione di posti di lavoro e allo stesso tempo assicurano alle ditte elvetiche un certo controllo del tessuto economico della Franca Contea. Infine, per il Giura svizzero, la disponibilità dei lavoratori frontalieri permette di mantenere e di sviluppare un importante settore industriale.
Il frontalierato è diventato così negli anni una parte strutturale del mercato del lavoro del Giura svizzero. Tuttavia, questo tipo d’impiego rimane fragile di fronte alle fluttuazioni della congiuntura, come dimostrano gli effetti della crisi degli anni 1970, della quale i frontalieri pagano pesanti conseguenze.
L’importanza e la fragilità del frontalierato hanno scatenato intensi dibattiti da entrambi i lati del confine. Sebbene questi lavoratori sembrino indispensabili al buon funzionamento della regione, sono comunque presentati da alcuni come degli approfittatori che giocano con le opportunità offerte dal lavoro oltre confine, che permette loro di beneficiare dei vantaggi sociali e del costo della vita in Francia, così come degli stipendi svizzeri(56). Per rispondere a queste accuse, i frontalieri si sono organizzati molto presto creando delle associazioni, il cui scopo principale è stato e continua ad essere quello di sostituirsi all’azione statale e di giustificare anzitutto l’esistenza del fenomeno di cui sono rappresentanti. Attraverso un discorso antistatale che difende un’azione considerata più trasparente, più flessibile e più adatta ai bisogni dei frontalieri, le associazioni sono diventate attori essenziali per colmare le lacune proprie di questo tipo di migrazione, così come per difendere una causa “a priori illégitime”(57).

(1) Faire frontière(s), Raisons politiques et usages symboliques, a cura di Carine Chavarochette, Magali Demanget e Olivier Givre, Paris, Karthala, 2015, p. 11.

(2) John Vuillaume, Christian Jaccard e Régis Cerf, Trois cas de coopération transfrontalière dans l’arc jurassien, “Bulletin de la Société neuchâteloise de géographie”, 38 (1994), pp. 81-92.

(3) Denis Maillat e Gilles Léchot, Arc jurassien et développement régional:
une perspective transfrontalière, in La Suisse et la coopération transfrontalière: repli ou redéploiement?, a cura di Jean-Philippe Leresche e René Levy, Zurich, Seismo, 1995, p. 235, e Jean-Claude Chevailler e Pascal Gillon, Les dynamiques économiques et spatiales dans l’Arc jurassien, ibid., pp. 274-275.

(4) Alexandre Moine, Migrations autour d’une frontière: un défi pour l’aménagement dans le cadre de l’arc jurassien franco-suisse, in Les défis migratoires, a cura di Pierre Centlivres e Isabelle Girod, Zurich, Seismo, 2000, p. 331.

(5) Charles-Yvan Bobillier-Chaumon, De la fin des distances aux nouvelles frontières de la globalisation: un syndrome maquiladoras dans le Jura franco-suisse, “Revue Géographique de l’Est”, XXXVIII, 3 (1998), p. 134.

(6) J.-C. Chevailler e P. Gillon, Les dynamiques économiques et spatiales dans l’Arc jurassien, cit., p. 270.

(7) ACP, ACF du 26.2.65 – Application (instructions et directives) et OE du 4.3.65 (mars 1965), lettre de l’APL à la CSH, 8.2.1965.

(8) Philippe Hamman, Les travailleurs frontaliers en Europe: mobilités et mobilisations transnationales, Paris, L’Harmattan, 2006 p. 19.

(9) Ufficio federale di statistica, Statistica dei frontalieri.

(10) Observatoire statistique transfrontalier de l’Arc jurassien, http://www.ostaj.org/uploads/media/La_main-d_oeuvre_frontaliere_dans_l_Arc_jurassien_Decembre_2014.pdf

(11) Nell’industria svizzera, dal 1950 al 1960, il numero di stranieri cresce di 118.000 persone, mentre quello degli indigeni diminuisce dello stesso numero, Étienne Piguet, L’immigration en Suisse: 50 ans d’entrouverture, Lausanne, Presses polytechniques et universitaires romandes, 2004, pp. 18-19.

(12) ACP, ACF du 26.2.65 – Application (instructions et directives) et OE du 4.3.65 (mars 1965), “Les frontaliers, ces «pères tranquilles» de la haute conjoncture”, CPS, 19.2.1965.

(13) ACP, ACF du 26.2.65 – Application (instructions et directives) et OE du 4.3.65 (mars 1965), ATS, 30.3.1965.

(14) AFTMH, 05-0125, Aide-mémoire sur l’entrevue entre délégations de la CP et de la FOMH, 17.5.1966.

(15) AFTMH, 05-0123, lettre de l’USS à Albert Grübel, directeur de l’OFIAMT, de 1969 à 1973, 1.4.1971.

(16) AEN, Département des Finances II, 541, lettre des Conseils communaux du Locle, de la Chaux-de-Fonds, des Brenets, de Fleurier et de Couvet au Conseil d’Etat neuchâtelois, 15.11.1972.

(17) Ibid.

(18) AEN, Bulletin officiel des délibérations du Grand Conseil, intervention de Jean-Claude Jaggi, 21.11.1972, p. 890.

(19) AEN, Bulletin officiel des délibérations du Grand Conseil, réponse de René Meylan aux questions de Jean-Pierre Béguin et Jean Steiger, 3.4.1973, p. 1564.

(20) AEN, Bulletin officiel des délibérations du Grand Conseil, motion de Frédéric Blaser, 21.5.1973, p. 96.

(21) AEN, Bulletin officiel des délibérations du Grand Conseil, interpellation de Jean-Claude Jaggi, 19.6.1973, p. 183.

(22) Francesco Garufo, L’emploi du temps: l’industrie horlogère suisse et l’immigration (1930-1980), Lausanne, Antipodes, 2015, in particolare pp. 221-230.

(23) AEN, Bulletin officiel des délibérations du Grand Conseil, interpellation d’Alain Bringolf, 12.12.1977, p. 1058.

(24) Sulla legislazione, vedi Stéphanie Leu, Les petits et les grands arrangements. L’État bilatéral: une réponse au défi quotidien de l’échange de populations. Une histoire diplomatique de la migration et du droit des migrants entre France et Suisse. Organisation, acteurs et enjeux (inter)nationaux. (Milieu du XIXe – 1939), Berne-Paris, Université de Berne-EHESS, 2012, 2 voll.

(25) Accord entre la Suisse et la France relatif aux travailleurs frontaliers, 15 avril 1958, RO 1986, p. 446.

(26) Accord entre la Suisse et la France relatif à la circulation frontalière, 1er août 1946, RS 12 656.

(27) La main-d’œuvre frontalière en Suisse: actes du Colloque intercantonal tenu à Bâle le 5 février 1988 sur le thème “La maîtrise des flux de travailleurs frontaliers”, a cura di Charles Ricq, Genève, Institut universitaire d’études européennes, 1990.

(28) RO 2002, p. 1529.

(29) Hervé Rayner, Les travailleurs frontaliers français en Suisse, “Grande Europe”, 1 (ottobre 2008), p. 59.

(30) Catherine Humberset, Le rôle des migrations frontalières dans le Jura neuchâtelois, mémoire de licence, Neuchâtel, 1980, p. 18.

(31) Ibid., p. 60.

(32) Philippe Jeanneret, Les effets économiques régionaux des frontières internationales. L’exemple de la frontière franco-suisse de Genève à Bâle, Neuchâtel, EDES, 1985, p. 205.

(33) C. Humberset, Le rôle des migrations frontalières dans le Jura neuchâtelois, cit., p. 56.

(34) Giacomo Becattini, Dal settore industriale al distretto industriale. Alcune considerazioni sull’unità di indagine dell’economia industriale, “Rivista di economia e politica industriale”, II (1979), pp. 7-21; Olivier Crevoisier e Denis Maillat, Milieu, organisation et système de production territorial: vers une nouvelle théorie du développement spatial, Neuchâtel, IRER, 1989; Erna Karrer-Rüedi, Der Trend zum Wirtschaftsstill der flexiblen Spezialisierung: eine Diskussion am Beispiel der Region der Schweitzer Uhrenindustrie, Berne, Peter Lang, 1992; Denis Maillat, Florian Nemeti e Marc Pfister, Localisation des activités microtechniques en Suisse, “Bulletin de la Société neuchâteloise de géographie”, 38 (1994), pp. 5-23; Denis Maillat, Bruno Lecoq, Florian Nemeti e Marc Pfister, Technology District and Innovation: The Case of the Swiss Jura Arc, “Regional Studies”, 29, 3 (1995), pp. 251-263; Les systèmes productifs dans l’Arc jurassien: acteurs, pratiques et territoires (XIXe-XXe siècle), a cura di Jean-Claude Daumas, Besançon, Presses universitaires de Franche-Comté, 2004; Laurent Tissot, Entreprises et entrepreneurs en quête d’un district industriel (1850-1980): l’arc jurassien suisse, in La mobilisation du territoire: les districts industriels en Europe occidentale du XVIIe au XXe siècle, a cura di Michel Lescure, Paris, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, 2006, pp. 57-76; Francesco Garufo, Les politiques de main-d’œuvre dans l’horlogerie de l’Arc jurassien suisse: entre immigration et décentralisation (1945-1975), in Histoires de territoires. Les territoires industriels en question, XVIIIe-XXe siècles, a cura di Laurent Tissot, Francesco Garufo, Jean-Claude Daumas e Pierre Lamard, Neuchâtel, Alphil, 2010, pp. 169-191.

(35) Denis Maillat, Florian Nemeti e Marc Pfister, L’émergence d’une nouvelle industrie dans l’arc jurassien: les microtechniques et leurs relations avec le territoire, “Bulletin de la Société neuchâteloise de géographie”, 38 (1994), pp. 25-40; Antony Schneiter, L’arc jurassien franco-suisse dans tous ses états, “Bulletin de la Société neuchâteloise de géographie”, 38 (1994), pp. 59-79.

(36) Archives départementales du Doubs (ADD), Migrations frontalières dans le Haut-Doubs, Etude de la CRCI, Chambre régionale de commerce et d’industrie de Franche-Comté, Les migrations frontalières dans le Haut-Doubs: Analyse et propositions d’actions, octobre 1974, p. 26.

(37) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès-verbal de la séance préparatoire, 4.7.1974.

(38) ADD, Migrations frontalières dans le Haut-Doubs, Etude de la CRCI, Chambre régionale de commerce et d’industrie de Franche-Comté, Les migrations frontalières dans le Haut-Doubs: Analyse et propositions d’actions, octobre 1974, p. 2.

(39) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès-verbal, annexe 4, 22.8.1974.

(40) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès-verbal, annexe 3, 22.8.1974.

(41) Associations pour l’emploi dans l’industrie et le commerce.

(42) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès-verbal, annexe 3, 22.8.1974.

(43) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès-verbal, annexe 3, 22.8.1974.

(44) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, procès verbal, 19.9.1974.

(45) ADD, Migrations frontalières dans le Haut-Doubs, Etude de la CRCI, Chambre régionale de commerce et d’industrie de Franche-Comté, Les migrations frontalières dans le Haut-Doubs: Analyse et propositions d’actions, octobre 1974, p. 35.

(46) ADD, Migrations frontalières dans le Haut-Doubs, Etude de la CRCI, Chambre régionale de commerce et d’industrie de Franche-Comté, Les migrations frontalières dans le Haut-Doubs: Analyse et propositions d’actions, octobre 1974, pp. 40-53.

(47) ADD, Chambre de commerce et d’industrie: Groupe de travail sur les migrations frontalières dans le Haut-Doubs, compte rendu de la séance de travail consacrée aux problèmes de la région frontalière en Franche-Comté, exposé sur les investissements industriels et les acquisitions foncières ou de résidences secondaires réalisés en Franche-Comté par les ressortissants suisses, M. Poinssot, membre de la Mission régionale, 28.8.1974.

(48) C.-Y. Bobillier-Chaumon, De la fin des distances aux nouvelles frontières de la globalisation, cit., p. 132.

(49) Ibid., p. 134.

(50) D. Maillat e G. Léchot, Arc jurassien et développement régional, cit., p. 228.

(51) Ph. Hamman, Les travailleurs frontaliers en Europe, cit., p. 73.

(52) Amicale des frontaliers, 50e anniversaire 1962-2012. Récits – témoignages – revue de presse, Morteau, Imprimerie Bobillier, 2012, pp. 28-29.

(53) Ibid., p. 24.

(54) Ibid., p. 44.

(55) Ibid., p. 16.

(56) Philippe Hamman, Les relations de travail transfrontalières franco-suisses (de 1960 à nos jours). Entre législations nationales et construction européenne, une problématique sociale de “l’entre-deux”, “Cahiers d’histoire du mouvement ouvrier”, 20 (2004), pp. 135-151.

(57) Ph. Hamman, Les travailleurs frontaliers en Europe, cit., p. 39.