Riproponiamo questo articolo originariamente apparso su L’Ottavo.
Francesco Ricatti, Italians in Australia. History, Memory, Identity, Cham, CH, Palgrave Macmillan, 2018, 147 pp.
Francesco Ricatti rinuncia deliberatamente a una ricostruzione convenzionale, disposta in ordine cronologico, delle principali vicende che hanno caratterizzato la presenza degli immigrati italiani e dei loro discendenti in Australia. Limita, infatti, la trattazione diacronica della loro esperienza e la presentazione dei relativi dati demografici più significativi a un denso ma stringato secondo capitolo di appena quindici pagine di testo che coprono oltre un secolo e mezzo di storia dall’unificazione italiana a oggi. Propone, invece, dei percorsi tematici di lettura alternativi che scaturiscono dall’applicazione sistematica del paradigma del transnazionalismo quale categoria interpretativa delle migrazioni italiane al caso specifico dell’esodo verso l’Australia. In questo ambito, senza trascurare l’oramai abituale ottica di genere, vengono analizzati il mondo del lavoro, con particolare riferimento allo sfruttamento di classe e alla successiva mobilità socio-economica; la xenofobia e il razzismo, di cui gli italiani furono vittime soprattutto per la loro posizione intermedia tra bianchi e neri nell’artificiosa gerarchia delle razze che trovarono nella terra d’adozione; la centralità della famiglia e i rapporti tra le diverse generazioni di italo-australiani; i media etnici e le pratiche linguistiche, religiose e politiche. Quest’ultima dimensione è affrontata con un’attenzione specifica alla dialettica tra fascisti e antifascisti nel periodo tra le due guerre mondiali, alla rivalità tra organizzazioni cattoliche e associazionismo progressista di orientamento comunista nell’opera di assistenza agli immigrati durante la guerra fredda e all’impatto della recente introduzione del voto per corrispondenza per i cittadini italiani all’estero. Più che sviscerare tali tematiche con l’avallo della presentazione dei risultati di nuove indagini personali, Ricatti sembra piuttosto fornire elementi di partenza e indicazioni di metodo per approfondimenti che demanda a studi futuri. Il maggior contributo del volume, pertanto, risiede nelle prospettive di ricerca che suggerisce. Inoltre, all’originalità dell’approccio di Ricatti, fa riscontro il rituale tributo alla “correttezza politica” in versione australiana. La prefazione si conclude con il riconoscimento del “genocidio fisico e culturale” degli aborigeni da parte dei coloni europei e con un riferimento al presunto coinvolgimento degli immigrati italiani in queste dinamiche (p. ix). Le pagine seguenti, però, accennano appena ai rapporti tra le nazioni autoctone e gli italiani, mentre l’affermazione iniziale di Ricatti finisce per apparire in contrasto con la condizione di marginalità in cui furono a lungo relegati gli italiani nella società australiana, sebbene fossero considerati superiori agli indigeni e nonostante il loro successivo “sbiancamento”.
STEFANO LUCONI