Le ondate migratorie di fine Ottocento e inizio Novecento lasciarono nel profondo Sud degli Stati Uniti un capitale umano decisamente ridotto in termini numerici, specialmente se confrontato con quello depositato sulle coste orientali negli stessi anni. Il così detto Heart of Dixie, ossia lo stato dell’Alabama, piazzato geograficamente al centro dei sette stati confederati che prima della Guerra Civile concepivano la schiavitù come normale pratica sociale e politica lavorativa, è un interessante punto di osservazione del processo di integrazione delle comunità italiane nell’American South .
Una volta abolita la schiavitù dei neri americani, alla richiesta di manodopera nell’industria del tabacco, allora fiorente specialmente nelle aree di Tampa (Florida) e New Orleans (Louisiana) – pure i principali porti d’entrata per i migranti arrivati a sud – si affiancò quella dei lavoratori agricoli. Seppure storicamente riluttanti all’apertura del proprio mercato del lavoro ai migranti in fuga dall’Europa meridionale – sui cui autoctoni le riserve di natura razziale erano significative nella terra di Uncle Sam alla fine dell’Ottocento – dopo il 1898, dall’Arkansas alle Carolinas, gli stati permisero l’ingresso a nuova forza lavoro, tra cui quella proveniente dall’Italia.
In seguito all’Unità, specialmente nel Sud della penisola, l’eccessivo frazionamento ridusse le dimensioni degli appezzamenti disponibili per ogni nucleo familiare e, alle mutate condizioni economiche, conseguì la necessità di emigrare verso zone in cui la terra fosse largamente disponibile, coltivabile e il clima non troppo dissimile da quello che i migranti lasciavano dietro di sé. Il frazionamento e la progressiva mancanza di risorse colpirono l’Italia unita a macchia di leopardo e ampie zone rurali, da nord a sud, si spopolarono. Dal basso alessandrino sino alle zone insalubri della pianura padana, della Maremma e vaste aree dell’ex Regno di Napoli partirono flussi cospicui di persone e una delle destinazioni scelte dai migranti italiani fu proprio quell’altro Sud, quello delle piantagioni di canna da zucchero, tabacco e cotone che si estendeva, grossomodo, dalla piana del Delta del Mississippi fino al Golfo del Messico, passando per i bayou della Louisiana e arrivando alle foci del fiume Cooper in South Carolina.
New Orleans fu il maggior polo di attrazione per quelli che venivano considerati birds of passage, uccelli migratori, lavoratori a termine, buoni da sfruttare e pagare poco. Tanto quanto gli sarebbe bastato per mandare un po’ di soldi dall’altra parte dell’Atlantico e tornare a casa alla prima occasione utile.
Molti emigranti che si stabilirono nei dintorni di New Orleans trovarono condizioni non troppo diverse da quelle che avevano lasciato in Italia. A seguito di numerosi episodi di razzismo e violenza, nonché di vere e proprie persecuzioni da parte delle autorità che li vedevano di cattivo occhio poiché avevano la pelle troppo scura per essere considerati “bianchi” e si comportavano in maniera non ostile nei riguardi dei neri, gli italiani cercarono nuove possibilità di riscatto sociale un po’ più a nord. Ad attrarli fu una cittadina in rapida espansione, la cui economia era basata non sull’agricoltura ma sulle attività legate all’estrazione del carbone e alla lavorazione del ferro e dell’acciaio.
Come ha già osservato Robert J. Norrell, quello di Birmingham, Alabama è un caso ideale per analizzare le dinamiche socio-economiche che hanno caratterizzato l’esperienza dei migranti italiani in America al di fuori delle grandi comunità del Nord . Al contributo di Norrell e a quello, più recente, anche se di taglio perlopiù aneddotico di Frank Joseph Fede, questo saggio intende affiancarsi per ampliare la visuale su una “colonia” particolarmente significativa quanto al processo di americanizzazione dei suoi membri. L’obiettivo che qui ci si propone è quello di aggiungere ai dati sulla mobilità sociale forniti in passato, una sistematizzazione di quelli in via di elaborazione nell’ottica di un prossimo studio, più complessivo, della progressiva integrazione socio-politico-culturale della comunità di Birmingham nel periodo che va dai primi anni del Novecento sino ai prodromi del secondo conflitto mondiale. Per analizzare l’assimilazione degli italiani di Birmingham si studierà una fonte sinora pressoché sconosciuta agli storici, ma estremamente utile ad evidenziare la mescolanza tra italianità ed Americanness: “Il Gladiatore”, un settimanale pubblicato dagli emigranti dagli anni Venti alla fine degli anni Trenta e del quale possediamo alcuni numeri usciti tra il 1925 e il 1933.
1. ITALIANI A BIRMINGHAM, LA MAGIC CITY DELLA SIDERURGIA
I primi italiani in arrivo a Birmingham tra il 1880 e il 1898 giunsero in città attraverso il porto di New Orleans mentre, dopo tale data, a seguito delle sostanziali riforme delle quote dei migranti ammessi negli Stati Uniti su base annua, furono potenziati i controlli effettuati a Ellis Island e, quindi, i migranti arrivarono in numeri molto maggiori valicando gli Appalachi da est.
Che arrivassero da sud o da est, gli italiani che si avventurarono nel cuore di Dixieland si trovarono di fronte a uno stato in rapido sviluppo economico, che faceva leva sul volano dell’industria metallurgica. Sebbene i censimenti nazionali e altri pochi contributi ormai vetusti indichino un mosaico variegato quanto all’impiego dei nuovi venuti nello stato, è innegabile come molta della manodopera italiana si riversasse principalmente, sin dai primi arrivi, nelle attività minerarie .
Pochissimi decenni dopo la sua fondazione, la città di Birmingham, meta privilegiata dai nostri migranti, diventò il centro propulsore delle attività economiche dell’Alabama. Nata nel 1871 al crocevia di due assi ferroviari fondamentali per il trasporto merci tra il Sud e il Nord degli Stati Uniti, la South & North Railroad e la Alabama & Chattanooga Railroad, alla città fu assegnato lo stesso nome del colosso industriale e cuore pulsante delle attività produttive britanniche. Un anno dopo la sua fondazione contava 57 case di legno, 18 magazzini in pietra e un hotel da 25 stanze . Nel 1873 la popolazione salì vertiginosamente a 4000 unità, prima che una epidemia di colera ne dimezzasse la cittadinanza sul finire di quell’anno.
Sconfitto il morbo la città riprese la sua crescita, che esplose in coincidenza con l’inizio della Iron Age of Birmingham. Nel 1879 le prime grandi fornaci furono aperte dalla Sloss a Ensley, sobborgo che avrebbe di lì a poco attratto numerosissimi migranti italiani mentre, in città, venivano costruiti i primi imponenti palazzi di proprietà di alcune banche d’affari. L’arrivo a Birmingham della media e grande finanza, in conseguenza dell’incrementato volume d’affari prodotto dall’industria siderurgica, portò con sé anche i primi grattacieli. E allo sviluppo in verticale della città seguì quello della popolazione, che aveva ormai raggiunto, nel 1910, quota 132.000 unità.
A partire dagli inizi del Novecento, una piccola comunità italiana si insediò a Birmingham. Non fu un processo di integrazione facile. Spesso esclusi dal novero dei migranti “di desiderabile razza bianca”, una volta che gli stati del Sud ebbero aperto le loro porte, dopo anni di resistenze, alla manodopera proveniente dall’Europa meridionale, i primissimi coloni italiani in Alabama si erano stabiliti dapprima nei dintorni delle città di Daphne e Lambert, fondate nel 1890 dal governo statale per abbassare la pressione demografica all’interno del tessuto urbano della comunità cittadina di Mobile . Gli italiani risalirono verso Birmingham alla spicciolata prima del 1912 e si adeguarono a ciò che il mercato del lavoro locale richiedeva. Quasi tutti finirono nelle miniere della Tennessee Coal & Iron Company (TCI), situate nei sobborghi di Ensley, una vera e propria città nella città che contava 18.000 abitanti al 1912 e Bessemer, centro abitato chiamato come l’“inventore” dell’acciaio. Un buon numero di italiani fu invece destinato a Thomas, quartiere industriale che contava circa 2500 anime ed era proprietà della Republic Iron & Steel Country. Infine, alcuni trovarono impiego nelle cittadine minerarie di Blocton, Margaret, Pratt City, Powderly e Wylam.
Gli uomini erano sottoposti a massacranti turni di lavoro di 10-12 ore giornaliere, pagate dai 13, 5 ai 15 centesimi di dollaro all’ora: decisamente molto meno rispetto ai colleghi che lavoravano nelle acciaierie del Nord. Le donne erano, nella maggioranza dei casi, rimaste in Italia e avrebbero raggiunto i loro mariti solo nel caso questi avessero deciso di stabilirsi definitivamente nel Nuovo Mondo. Quelle che avevano già attraversato l’Atlantico si occupavano delle faccende domestiche e sarebbero entrate nel circuito economico solo in un secondo momento, quando cioè le loro famiglie, compiuto un notevole passo in avanti sul piano sociale, avrebbero aperto un negozio o un magazzino. Nelle grosserie e negli stori le italiane si occupavano di amministrazione e gestione del luogo di lavoro e della annessa dimora di famiglia.
Il problema razziale si palesò immediatamente e l’appellativo di dago, il corrispettivo di nigger per gli afro-americani, divenne ben presto un sinistro quanto familiare richiamo per i nuovi venuti . Che gli italiani fossero considerati razzialmente inferiori dagli autoctoni è testimoniato con chiarezza dalla disposizione delle baracche dei lavoratori nell’abitato di Thomas. Tre strade: la prima per i bianchi americani, la seconda per gli italiani, la terza per i neri; inoltre, su Vanderbilt street, la stanza frontale delle company houses, le abitazioni assegnate dalla TCI o da altri cartelli siderurgici, era occupata da lavoratori italiani (le loro famiglie, naturalmente, dovevano vivere altrove), mentre le due stanze sul retro ospitavano i loro colleghi di colore .
Gli italiani del distretto di Birmingham arrivarono in tre ondate, distinguibili dalla provenienza geografica dei migranti: i primi giunsero dalla Liguria e dall’Emilia Romagna, il secondo gruppo dalla Lombardia e dal Piemonte e il terzo, quello più numeroso e i cui componenti rimasero in zona più a lungo, dalla Sicilia, in particolare da Bisacquino, Castelfranco e Sutera.
Secondo Theresa Aguglia Beavers, inoltre, intorno al sito minerario di Blocton si stabilì una cospicua comunità norditaliana, molti membri della quale si spostarono verso Birmingham intorno al 1922, quando uno sciopero e le violenze che ne conseguirono minarono le fondamenta sociali di quella piccola colonia . Prima di quella data The Hollow, come veniva chiamata una striscia di terra precollinare sorta ai lati del maggior sito minerario di Blocton, era il luogo in cui sorgeva una vera e propria Little Italy, i cui membri dovettero sopportare numerosi atti di aperta ostilità da parte di bianchi e neri americani .
A Birmingham qualche emigrante italiano riuscì a iniziare una propria attività artigianale, aprendo bottega di scarpino, barbiere, sarto, carpentiere o fabbro ferraio. Qualcun altro suonava la cornetta in una delle bande italiane che si erano andate costituendo sin dagli ultimi anni dell’Ottocento e che avrebbero continuato ad accompagnare funzioni civili e religiose della comunità italiana negli anni a venire.
La lingua rimase un problema e solo alcuni italiani in grado di comprendere l’inglese e di comunicare in quell’idioma furono, inizialmente, in grado di ambire a una qualche minima ascesa sociale, perlopiù limitata al ruolo di caposquadra per piccoli gruppi di connazionali minatori o sbavatori di ghisa .
Le incomprensioni linguistiche risultarono spesso in qualche scazzottata, non raramente accompagnata da fatali revolverate o pugnalate, ma la diffidenza e l’aperta ostilità di una fetta della popolazione locale, testimoniata da più fonti, non impedirono ai coloni italiani di affrancarsi dal lavoro in miniera e di creare, anche attraverso la collaborazione con gli afro-americani, numerose opportunità di migliorare la loro condizione socio-economica.
Fu proprio grazie al fatto che i neri erano discriminati dai bianchi, i quali non volevano neppure stabilire rapporti di natura commerciale con i primi, che gli italiani di Birmingham iniziarono prosperose attività di vendita al dettaglio a conduzione familiare – i Mom and Pop stores – ai quali diedero libero accesso (e credito) soprattutto agli afro-americani. L’attività imprenditoriale riuscì spesso proprio grazie al fatto che tutti i membri della famiglia vi partecipavano, abbattendo quasi del tutto i costi di gestione di un’impresa iniziata con l’investimento di una parte dei loro risparmi .
L’accettazione dei clienti neri, perseguitati in quegli anni dal Ku Klux Klan tanto quanto i coloni di fede cattolica, permise agli italiani di creare una rete commerciale in grado di stabilire un primo vero e proprio collegamento tra coloro che ancora lavoravano nelle profondità della terra a Blocton, a Thomas o a Ensley, chi aveva iniziato un’attività imprenditoriale in città, i numerosi avventori dei negozi italiani e i fornitori che con essi lavoravano. In questo modo la comunità dispersa di nativi italiani del distretto di Birmingham, che crebbe fino a contare 2160 abitanti nei primissimi anni Venti, si ritagliò un proprio ruolo sullo scacchiere sociale di Magic City e, anche se rappresentava poco meno dell’1% della popolazione dello stato dell’Alabama, aveva una certa importanza anche nello scenario imprenditoriale di quella che ora veniva indicata come la Pittsburgh del Sud.
Alla difesa delle possibilità economiche della comunità seguì quella delle prerogative socio-culturali. A tal scopo nacquero numerose associazioni, tra cui l’Unione Umberto di Savoia Principe di Piemonte (U.S.P. P. ) e alcuni periodici, esplicitamente destinati al pubblico degli italo-americani. A Birmingham e dintorni si leggevano i quotidiani maggiormente diffusi negli Stati Uniti, tra cui “Il Progresso italo-americano”, pubblicato a New York e, soprattutto, “La Voce Coloniale” di New Orleans, città che in quegli anni ospitava la più grande comunità italiana del Sud. Una particolarità della comunità italiana di Birmingham fu certamente la pubblicazione nel distretto di ben quattro periodici nel trentennio 1904-1934. Alcuni di essi non hanno, purtroppo, lasciato traccia di sé e tra questi si ricordano il pioniere della carta stampata italiana in Alabama, “Il Libero Pensiero”, pubblicato già nel 1904 da L. Guarino e “L’Avanguardia”, la cui redazione ebbe a capo un certo Cotti .
Dopo la Grande Guerra vide la luce “Il Gladiatore”, pubblicato ininterrottamente dal 1917 al 1934, mentre nel 1931 uscì per la prima volta “L’Aquila” che si presentò come organo ufficiale delle logge e delle società italiane di Birmingham e dell’Alabama. L’ultimo periodico ad essere pubblicato in ordine di tempo fu il “Columbus-Balboa Review” che esordì nel 1936 per sparire dalla circolazione, così come “L’Aquila”, solo pochi mesi più tardi .
2. “IL GLADIATORE”. PER GLI INTERESSI DELLA COLONIA DI BIRMINGHAM
“Il Gladiatore” fu un’impresa diretta non da giornalisti professionisti ma da businessmen, tra cui spiccavano Francesco (Frank) Mazzara, Carlo (Carl) Mazzara e Michele (Mike) Canzonieri. Frank divenne il solo proprietario della testata tra gli anni Venti e Trenta, allorché il periodico raggiunse il picco delle sue tirature: 500 copie alla settimana.
La struttura del settimanale era quella canonica per un giornale dell’emigrazione . Era diviso in due parti, una dedicata alla cronaca nazionale e internazionale, con articoli scritti in inglese o in un italiano di registro alto, quando non letterario, solitamente provenienti da agenzie di stampa o concesse da altre testate . La seconda parte, in cui la qualità dell’italiano era di molto variabile e dipendeva essenzialmente dal livello di cultura di chi scriveva, era intitolata “Associazioni e Vita Coloniale” (o solamente “Vita Coloniale”) e conteneva rubriche assortite, dalle segnalazioni dei lutti (“Notizie mortuarie”) e delle nascite (“Sorrisi di culla”) a quelle relative ai viaggi all’estero dei membri della comunità, agli annunci matrimoniali (“Liete novelle”, poi trasformata nel sicilianeggiante “Fiori d’arangi [occasionalmente anche scritto in italiano corrente “Fiori d’Arancio”]”). Gli articoli contenuti in questa sezione erano di svariato genere e spaziavano dalla polemica-invettiva contro politici e inviati consolari corrotti o poco utili alla causa italiana alla cronaca minuta. Spesso i fatti raccontati, sia tra le notizie provenienti da oltreoceano che tra quelle locali, strappano più di un sorriso, specialmente quando descrivono situazioni al limite del grottesco – è il caso della breve cronaca ri-guardante un’anziana signora che, a Brescia, era, a detta dei cronisti, “moribonda per aver ingoiato la dentiera” e quella del fatale investimento di un bambino del distretto da parte di un automobilista di Ensley.
Del “Gladiatore” sono state rintracciate due serie: una, reperita da chi scrive presso il Tennessee State Library and Archives (Tennessee Newspaper Index), consta di 13 numeri pubblicati tra il settembre del 1925 e il 17 aprile del 1926; l’altra è conservata presso l’Alabama State Library and Archives di Montgomery e comprende 51 numeri, dal 2 luglio 1927 al 22 aprile 1933 . A partire dalla seconda serie la divisione in due parti distinte venne meno e le notizie locali furono pubblicate accanto a quelle internazionali.
A questo punto conviene osservare alcune copie superstiti del giornale per analizzarne la struttura ed estrarne informazioni sul processo che trasformò progressivamente gli italiani di Birmingham da “coloni” a cittadini americani.
Nella prima delle due serie spogliate, ai lati del titolo della testata si trovano due riquadri che confermano come “Il Gladiatore” fosse fiero di proclamarsi “The only Italian newspaper in Alabama” e “Official Organ of the Italian Societies”.
Nella seconda serie i due riquadri sono fusi in un unico occhiello e, a partire dal numero del 12 ottobre 1927, sotto quest’ultimo compare anche la dicitura, in italiano, “Giornale pubblicato negli interessi della Colonia Italiana”.
Il passaggio tra la prima e la seconda serie fu annunciato da un pezzo a centro pagina comparso sul numero del 2 luglio 1927 nel quale i nuovi redattori, Augusto (Augustus) Genesio e Frank Mazzara, ringraziando il loro predecessore Mike Canzonieri, scrivevano ai lettori affermando come i loro sforzi sarebbero stati rivolti al mantenimento dell’indipendenza del giornale e, soprattutto, al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della comunità di Birmingham: “this paper will be independent of any group and will be guided solely by our desire to advance the best interest of the Colony”. Che l’orientamento del comitato di redazione – costituito, vale la pena ricordarlo, in larga parte da uomini d’affari – fosse quello di difendere le prerogative economiche della collettività italiana di Birmingham traspare con forza da questo editoriale, del quale un intero paragrafo è dedicato esplicitamente a rassicurare le imprese locali sulla continuata collaborazione della testata, pronta a offrire, come in passato, tutto il sostegno necessario alla diffusione dei messaggi pubblicitari dei numerosi inserzionisti: “We wish to advise our advertisers that any service we can give them […] will be cheerfully given”.
E su alcune pubblicità conviene soffermarsi per osservarne la tipologia e le caratteristiche. Solo scorrendo orientativamente le singole uscite del periodico, si ricava come il numero degli avvisi commerciali contenuti nel “Gladiatore” occupi un posto di rilievo nel menabò dei numeri della prima e della seconda serie. Sulle quattro o sei pagine di ogni numero campeggiano dalle 30 alle 40 pubblicità di articoli più svariati: dalla produzione e vendita al dettaglio di materiale calzaturiero, come quelle di “All America Shoe Store” di Bessemer che promette, in italiano, “Le meglio scarpe per la famiglia” (19 settembre 1925) all’arredamento di locali commerciali, per esempio quella del “Southern Store Fixture Co”, che annuncia in un italiano tipicamente “d’oltremare”: “Noi con orgoglio e piacere diamo apertura della nostra moderna e nuova casa, noi possiamo fornirvi di tutto ciò che fa bisogno per storo o grosseria, per vendita di carni, per confezioniere e restorante. Il nostro prezzo è di molta fecilità a pagamenti mensili, avrete risparmio nella compra se vi regate da noi. Troverete qualsiasi oggetto desiderato” (2 febbraio 1929).
Senza avere eccessive pretese di analizzare in modo esaustivo da un punto di vista linguistico questo breve testo pubblicitario, in esso risulta evidente un primo code switching tra italiano regionale e inglese e l’emergere di un idioma non dissimile da quello osservato in molte altre comunità nordamericane . L’italoamericano della pubblicità mostra dunque come, all’altezza del 1929, sia osservabile un processo di sostituzione linguistica attraverso cui l’italiano regionale della comunità si arricchisce di italianizzazioni dell’inglese del tipo “storo” (per store), “grosseria” (per grocery), “confezioniere” (per confectionery) e “restorante” (per restaurant). Se la metatesi “fecilità” (per facilità) può essere derubricata a errore tipografico, sono altresì interessanti gli usi di compra, impiegato in ambito eminentemente tecnico-commerciale e “regate” (per recate) che rivela invece una voce dialettale meridionale attraverso la sostituzione della velare occlusiva sorda a quella sonora . Ciò sembra essere in linea con il fatto che al 1929 la quasi totalità degli italiani di Birmingham era costituita da siciliani di Bisacquino.
Quella commerciale non fu l’unico tipo di pubblicità che campeggiava sulle colonne del nostro periodico. Per garantire agli immigrati italiani una adeguata copertura nella società locale, in corrispondenza di elezioni per i membri del congresso e per i giudici federali, si infittirono gli endorsement a questo o quel candidato .
L’operazione della redazione, però, intese allontanarsi, almeno in teoria, decisamente dalle modalità con cui, in passato, gli affari politici erano gestiti dalla “cricca” di turno . Nel numero del 3 ottobre 1925 in prima pagina si legge un lungo editoriale dal titolo La nostra Politica nell’elezioni municipali. Il pezzo, diviso in due parti, esordiva così (sottotitolo Note politiche):
La politica degl’italiani in questo distretto è sempre stata mal diretta, povera e incalcolata, per la caggione dei molti cafoni coloniali, che tutte le volte che vi sono elezioni si qualificano d’essere i capi di una società, club o partito, e vanno a inchinarsi, a portare gli omaggi a tutti quei candidati che possono riuscire, credendo d’acapararsi l’amicizia, per poi essere protetti dai loro affari disonesti. Mentre non curano il male che arrecano alla nostra comunità. Per tale manovra gli italiani sono mal considerati.
In un italiano proprio dei semicolti d’area meridionale (suggerito, ad esempio, dalla geminazione impropria dell’affricata in “caggione”) l’editorialista ci illustra anche quale e quanto ancora dovette essere il pregiudizio che in quegli anni circondava la piccola comunità di Birmingham: l’idea dell’italiano nepotista, corrotto e mafioso era un’etichetta che occorreva togliersi di dosso per aspirare a una vera integrazione nella società americana. A questo proposito, il lavoro della carta stampata era fondamentale per trasformare i coloni in buoni cittadini.
Anche nella seconda serie non mancano gli incitamenti a esercitare il voto da buoni italo-americani, come si evince, ad esempio, in occasione delle elezioni statali del 14 giugno 1932. Il ti-tolo di prima pagina era chiaro: Italo-American Go to Polls June 14th and VOTE (11 giugno 1932). “Il Gladiatore” comprese come, negli anni in cui gli effetti della recessione si facevano sentire, sarebbe stato indispensabile per gli italiani far parte del nuovo corso economico e sociale rooseveltiano. L’operazione politica partì da lontano, per la precisione nel 1928.
Le elezioni di quell’anno furono fortemente influenzate dal contesto sociale, turbato da un vero e proprio conflitto civile combattuto specialmente in campo religioso. Tra i rapporti già tesi tra cattolici e protestanti si inserì, infatti, la minaccia del Ku Klux Klan che rinsaldò il fronte cattolico italo-irlandese. I cattolici, dunque, nello scontro per il successore di Calvin Coolidge si schierarono apertamente a favore del democratico – e primo candidato cattolico di sempre a correre per la Casa Bianca – Alfred Emanuel Smith. Italiani! Andate alle urne e votate per il Partito Democratico (Alfred E. Smith), titolava “Il Gladiatore” di sabato 3 novembre 1928. All’interno del numero, in un articolo dal titolo altisonante, La battaglia finale. Italiani alle urne, si davano precise coordinate all’elettorato su come mettere un segno sulla scheda elettorale e si confermava quanto l’appoggio a Smith trovasse ragione in una questione di disagio sociale e, soprattutto, di incompatibilità religiosa: “Salvate questo paese dagli scribi e dai farisei che non rappresentano altro che un manipolo di fanatici bigotti ed odiatori di razze. Italiani alla vittoria con A. E. Smith!”.
In questo passo la lingua è depurata dai regionalismi e il testo è scritto da mano certo diversa rispetto a quella che aveva sottoposto al giornale (o rivisto in redazione) le pubblicità che abbiamo menzionato poco sopra. In questo e in molti altri casi di articoli sull’identità italo-americana e sulla necessità per la comunità italiana di Birmingham di integrarsi socialmente in America, l’impasto linguistico pare essere quello di ascendenza vagamente deamicisiano-manzoniana, da cui derivò la lingua dei proclami risorgimentali e su cui il fascismo instaurò la propria retorica, arricchendola di spunti dannunziani. Se ne ritrovano esempi in parecchi numeri del “Gladiatore” a nostra disposizione, particolarmente a partire dalla seconda serie. Il numero del 28 giugno 1932, dedicato alla commemorazione di George Washington, diventa per il nostro giornale occasione di celebrare Giuseppe Garibaldi. Sotto gli auspici di una “Federazione delle Società Italiane”, che sappiamo essere fiorite numerose nel distretto in quegli anni, gli italiani riempirono l’auditorium cittadino per festeggiare, insieme con Washington, anche il cinquantesimo anniversario della morte del “biondo guerriero, dei due mondi, il liberatore d’Italia”, perché “ambidue dedicarono le proprie energie [alla] loro patria” (Commemorazione di Washington e Garibaldi).
Quello patriottico non è il solo banco di prova su cui testare la compenetrazione del sentimento identitario italiano e la progressiva americanizzazione degli italiani di Birmingham. Ampia attenzione, tanto da essere annunciata con un titolo in prima pagina, fu infatti dedicata dalla redazione alle celebrazioni delle festività siciliane, quale quella di San Calogero, patrono veneratissimo in Trinacria e, in particolare a Campofranco. A Ensley, in particolare, dove i campofranchesi costituivano la quasi totalità degli italiani presenti, nella chiesa “di San Giuseppe” (Saint Joseph) si tennero una “messa cantata, la Santa Benedizione, il vespro” e la banda italiana diretta da Sam Gagliano diede un “concerto musicale” a chiusura di “una nobile festa religiosa che nel paese nativo si è sempre osservata” (Santo Calogero, 18-23 luglio 1932). I bisacquinesi osservavano invece il culto della Madonna del Balzo, festeggiata in corrispondenza della Festa dell’Assunta a Ferragosto (Per la celebrazione della Madonna del Balzo, 16 giugno 1930).
L’articolo rivela come attraverso la religione, oltre che il commercio e il business, la comunità di Birmingham cercasse di manifestare il proprio sentimento unitario all’insegna della rimembranza del paese lontano: “Fate sentire tutti in massa la vostra unità spirituale in quel giorno per ricordare i bei giorni di infanzia del nostro paese nativo” (ibid.). Accanto alla festa del patrono siciliano si tennero ulteriori manifestazioni in altre zone del distretto. A East Thomas, dove padre Giovanni Canepa aveva fatto costruire la prima chiesa cattolica del Sud al di fuori del comprensorio di New Orleans (St Mark’s), si festeggiava Sant’Antonio da Padova. “Il Gladiatore” ricorda le celebrazioni del 19 giugno 1932 in cui “giuochi, rinfreschi e altri divertimenti saranno dato sul luogo abeneficio della chiesa. Gli italiani fedeli alle loro tradizionale feste religiose dei loro paesi non mancheranno di essere presenti […]” (La Festa di Sant’Antonio di Padova alla Chiesa di East Thomas, 11 giugno 1932).
La comunità italiana di Birmingham e le numerose associazioni italiane sorte sul territorio del distretto tra gli anni Venti e Trenta ebbero un ruolo importante non solo nel preservare la memoria delle feste patronali italiane sul suolo americano. Importantissima, infatti, fu la battaglia per riportare il Columbus Day tra le feste nazionali (americane) ufficialmente riconosciute dallo stato dell’Alabama. Dopo essere stato proclamato dal governo federale festa nazionale nel 1911, il festival era stato espunto dal calendario in vigore nello stato il 30 settembre 1919, in un periodo in cui le differenze razziali e i pregiudizi anti-italiani erano forti in larga parte degli Stati Uniti e, soprattutto, nel Sud.
“Il Gladiatore” e i suoi redattori furono in prima linea nell’avanzare la proposta di reintrodurre il Columbus Day nel novero delle feste ufficiali e, sabato 25 luglio 1931, il titolo di prima pagina annunciava: Il Columbus Day ristabilito. Il titolo di raccordo, introduceva un breve comunicato dei redattori intitolato “LA NOSTRA VITTORIA. Il Columbus Day nuovamente festa statale” e recitava:
Mentre andiamo in machina ci perviene un telegramma da Montgomery e siamo lietissimo di dare alla nostra colonia italiana una sorprendente notizia la quale certamente gioiranno tutti i Quori dei nostri connazionali. Per iniziativa de Il Gladiatore, e dei signori Elviro di Laura, Frank Mazzara e Carlo Mazzara che per vari mesi sono stati attivamente in contatto con la legislatura statale presentarono una mozione che fu approvata tanto dalla Camera quanto dal Senato la ristabilitazione del Columbus Day del quale era stato abolito il 30 settembre 1919.
La proposta, come confermato in un ulteriore articolo di prima pagina apparso sul Gladiatore del 22 aprile 1932 (“Columbus Day Legal Holiday Again”), fu presentata dall’avvocato John C. Mor-row e, votata all’unanimità da Camera e Senato, fu infine firmata dal Governatore B. M. Miller. Così la festività che “per Bicottismo dei Signori cento per cento” – leggasi i razzisti – era stata rimossa dal calendario, ritornava in auge come “Columbus Day and Fraternal Day”. Quello del ripristino della festa in onore dell’esploratore italiano fu dunque un importante momento del riconoscimento publico degli italiani dell’Alabama in termini di integrazione e appartenenza al tessuto sociale americano.
3. DA COLONI A CITTADINI
Osservato un campione limitato, ma significativo di articoli pubblicati dal “Gladiatore” nel periodo 1925-1933 si possono ora trarre alcune conclusioni preliminari in merito al processo di costituzione e sviluppo di un’identità italo-americana tra gli italiani nel distretto di Birmingham.
Nel passaggio tra la prima e la seconda serie del nostro periodico, quasi a marcare il “salto” tra la posizione di coloni e quella di cittadini americani dei migranti, le pubblicazioni del “Gladiatore” non avvennero più a Bessemer, come per la prima serie. Questo è il linea con la crescita demografica e con la direzione del flusso intramigratorio degli italiani che, lasciando le miniere proprio intorno al 1928, cercarono di migliorare la loro posizione economico-sociale spostandosi verso il centro del distretto abbandonando così le zone più marginali e meno sviluppate.
La tendenza della redazione del “Gladiatore” fu, sin dalla prima serie, quella di concentrare i propri sforzi sulla preparazione degli italiani di Birmingham all’ottenimento di un buon livello di inglese per poter comunicare con sicurezza ed evitare l’emarginazione da parte degli autoctoni. Inoltre si susseguirono consigli per mantenere un alto livello di igiene, per combattere il diffuso pregiudizio secondo cui gli italiani sarebbero stati “Asini, analfabeti e sporcaccioni” (A voi Siciliani, figli dell’isola del sole, 25 luglio 1931) e su come ottenere la cittadinanza americana. A questo proposito il periodico pubblicò in tutte e due le serie un certo numero di guide pratiche a domande e risposte in versione bilingue per preparare il colloquio per il conferimento dello status di cittadino americano. L’educazione e la naturalizzazione furono dunque i capisaldi del programma messo in campo da Mazzara, Di Laura e soci per lo sviluppo e l’integrazione della comunità italiana nella società di Birmingham. Il terzo punto, forse quello più importante, fu quello della partecipazione politica.
Anzitutto “Il Gladiatore” diffuse una numero consistente di messaggi incitanti a mantenere unita una comunità che, come abbiamo visto, era geograficamente dispersa in un distretto piuttosto vasto. In questo senso il ruolo del periodico che, qualche anno più tardi, sarebbe stato affiancato anche da un altro settimanale, “L’Aquila”, pubblicato a Bessemer per un periodo di tempo molto limitato, fu fondamentale per portare a compimento una vera e propria federazione di società italiane, tra cui spiccavano la già menzionata U.S.P. P. e il gruppo femminile “Regina Elena” di Bessemer perché gli italiani del distretto fossero “migliore protetti e rispettati dalle persone intigini [indigene]” (Per l’unità della colonia italiana, 27 giugno 1931). L’articolo citato conferma che, nel 1931, l’unione di molte società, “spuntate come funghi” nel distretto era formalmente compiuta: “Questo giornale fa rilevare che la comunità italiana di questo distretto per gli ultimi due anni si è solidamente unita ed è oggi unita sotto il vessillo dell’Ordine Figli d’Italia e con l’appoggio delle altre società libere esse resisteranna qualsiasi aguato da parte di coloro che indirettamente o direttamente cercano di creare dissidi in seno a loro” (ibid.).
La raggiunta unità della comunità italiana di Birmingham sotto il vessillo dell’Order of Sons of Italy in America (O.S.I.A.) e, soprattutto della Federazione delle Società italiane del Sud presieduta da Frank Mazzara – che del “Gladiatore” era l’editore – certo contribuì fortemente a ripianare, una volta risolto il problema di tenere insieme i connazionali presenti nel distretto, molte delle divergenze con gli americani. Questo permise agli italiani di consolidare il loro senso di appartenenza alla società di Birmingham e di assumere presso di essa una notevole influenza, sia da un punto di vista socio-economico, sia politico. Prova lampante di ciò sono gli sforzi compiuti dal “Gladiatore”, a nome di una comunità che aveva acquisito notevole credibilità presso le istituzioni americane, per ripristinare la festa del Columbus Day e ottenere, addirittura, che il governatore dello stato vi affiancasse la denominazione di “Fraternal Day” – giorno della fratellanza tra italiani e americani.
Il sentimento di inclusione degli italiani nella comunità adottiva di Birmingham, all’interno della quale assunse sempre maggiore influenza la figura di Elviro Di Laura, che, in un secondo mo-mento, assunse pure le redini del Gladiatore, crebbe esponenzialmente. Ce lo testimoniano almeno un paio di articoli del settimanale, il primo dei quali fu pubblicato in prima pagina sul numero di sabato 18 luglio 1931. Si tratta del resoconto di una sortita di Di Laura e Antonio Rovegno a Nashville, Tennessee, durante la quale i due presentarono, nel giorno dell’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, allora festeggiato dalle comunità italiane d’America il 24 maggio (Italy Day), quattro tricolori italiani alla città. I vessilli italiani furono fatti sventolare sulla sommità del campidoglio, del comune, dell’ufficio postale e della Hume-Fogg High School .
La forte spinta patriottica venne a Di Laura e soci, comprensibilmente, pure dalla riscoperta della gloria nazionale che il fascismo poneva al centro della propria azione propagandistica. Non sono infatti rari nel “Gladiatore” i riferimenti al regime mussoliniano in termini positivi, quali quello dell’8 agosto 1931: “Noi ammiriamo il fascismo perché non crea partiti ed è solo per la patria”, scrive il redattore attaccando l’inetta e divisiva, a suo dire, rete consolare in Alabama e Louisiana (La parteggianeria del console cav. Mario Dessaules). Il 2 gennaio 1932, poi, nella sezione “Lutto”, un breve annuncio bordato di nero dava conto della dipartita di Arnaldo Mussolini, “giovanissimo e fiero giornalista”, alle cui “spoglie di […] fiero contottiere [condottiero] dalla causa del Fascismo” la redazione porgeva i suoi rispetti. Infine, solo per citare un ultimo significativo esempio, il 22 aprile 1933, “Il Gladiatore” pubblicava in prima pagina un breve che annunciava, con una roboante retorica dannunzianeggiante, il prossimo volo di Italo Balbo su Chicago, in occasione della Century of Progress, l’esposizione universale di quell’anno.
Queste affermazioni di orgoglio patrio, comuni peraltro a molti periodici italiani dell’epoca, non devono trarre in inganno. La comunità italiana di Birmingham, infatti, fece mancare il proprio appoggio al partito di Mussolini al momento stesso dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania. Sam Raine, potente businessman di Bessemer e presidente del locale capitolo dell’O.S.I.A. asserì, in un’intervista al “Birmingham Post”, nell’immediato della dichiarazione di guerra pronunciata dal Duce dal balcone di palazzo Venezia: “None of the Italians here wanted to see Mussolini get into the war; or, if he did, we hoped it would be on the side of the Allies” .
Questa affermazione non sorprende visto che la comunità ormai italo-americana del distretto di Birmingham, numerosissima se si pensa ai primi sparuti gruppi di agricoltori e minatori arrivati in Alabama tra fine Ottocento e inizio Novecento, era sì stata galvanizzata dal tono trionfale della retorica mussoliniana, ma non era disposta a rinunciare al processo di integrazione iniziato prima della Grande Depressione e compiutosi pressoché pienamente agli inizi degli anni Trenta .
“Il Gladiatore” ci dà ancora conferma di come il sentimento identitario degli italiani si fosse difatti evoluto verso una progressiva americanizzazione nel periodo 1928-1932, se osserviamo da vicino i significativi titoli di un paio di articoli che abbiamo già esaminato. Nel 1928, durante la campagna che portò Hoover a Washington, gli italiani si schierarono con il cattolico Al Smith. Come si è detto, il titolo di prima pagina che precedette quelle elezioni fu Italiani! Andate alle urne e votate per il Partito Democratico. Smith perse malamente quelle consultazioni, votato solo in Massachusetts e in sei stati del profondo Sud. Nelle successive elezioni del 1932, però, Hoover fu spazzato via da Roosevelt, che poté così inaugurare il suo New Deal. Anche per gli italiani di Birmingham – e del resto del Sud – cominciò così il nuovo corso: politicamente integrati, anzi, indispensabili per la vittoria del candidato democratico, già con il voto del 1928 entrarono di diritto nella New Deal Coalition e nel novero degli americani “che contavano” e non figuravano più tra gli aliens “asini, analfabeti e sporcaccioni”.
Il titolo del “Gladiatore” che incitava gli italiani a votare per Roosevelt tuonava emblematicamente – e in inglese: “Italo-American[s] Go to Polls June 14th and VOTE”. “Italo-americani” e non più solo “italiani”, gli ex coloni del distretto di Birmingham si sentirono, a partire dal 1928, sempre più cittadini partecipi delle sorti del loro paese adottivo.
“Il Gladiatore”, come gran parte dei periodici italo-americani pubblicati tra gli anni Dieci e Quaranta, molti dei quali sono purtroppo irrimediabilmente perduti, si rivela dunque essere una cartina di tornasole impareggiabile per la mappatura delle trasformazioni occorse in seno a una relativamente piccola ma significativa comunità italo-americana nel suo spostamento identitario tra italianità e americanizzazione .