- La Carnia delle origini
Leonardo Zanier nacque in Carnia il 10 settembre del 1935[1]. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel suo paese d’origine, Maranzanis di Comeglians, nel cuore della Carnia, regione confinante con la Carinzia austriaca e con la Carniola jugoslava, l’attuale Slovenia. La sua regione, come ricordava in un’intervista raccolta da Giovanna Meyer Sabino, fu per Zanier molto più di un semplice “paese della memoria”[2], dal momento che vi mantenne per tutta la vita una fitta rete di relazioni, vi ritornò ogni anno più volte all’anno e, infine, dedicò una parte consistente del suo impegno professionale e politico alla valorizzazione di quel territorio. Tuttavia, come si cercherà di mettere in luce nelle pagine di questo breve intervento, al forte legame di Zanier nei confronti della Carnia, corrispose un forte legame della Carnia, dei carnici e delle comunità friulane più in generale nei confronti di Zanier, al punto che non si comprenderebbe il potente carattere transnazionale assunto dalla sua produzione letteraria, se non lo si misurasse proprio con l’intensità del vincolo originario col Friuli e, quindi, con le sue comunità migranti sparse nel mondo.
Nel 1954, dopo avere completato gli studi tecnici presso l’istituto tecnico Malignani di Udine, Zanier fece la sua prima esperienza all’estero, in Marocco, dove lavorò alle dipendenza di una ditta svizzera – la ticinese Borsari&Co. – prima di rientrare in Friuli e diventare il giovanissimo direttore della Scuola Professionale di Comeglians, istituita dal Consorzio Provinciale per l’Istruzione Tecnica, composto dai sindaci di sei comuni carnici che finanziavano l’ente: Comeglians, Ovaro, Ravascletto, Prato Carnico, Rigolato e Forni Avoltri. Al suo primo anno, la scuola diretta da Zanier riuscì a formare una ventina di giovani muratori specializzati, impegnati per tutto l’anno in lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche che costringevano alcuni di loro a percorrere ogni giorno a piedi fino a 14 chilometri, per coprire la distanza tra casa e scuola[3]. In questo senso, la prospettiva adottata dal giovanissimo Zanier era rivelatrice di quelle che sarebbero state le linee guida della sua attività politica e professionale futura: l’istituto doveva formare dei lavoratori per l’emigrazione, ovvero rendere dei giovani contadini delle campagne profonde più adatti all’inserimento nei flussi migratori diretti in quel momento soprattutto verso le città dell’Europa centro settentrionale. Quindi si trattava di una formazione professionale finalizzata alla migliore integrazione dei lavoratori in ambienti stranieri, dove l’istruzione acquisiva una funzione progressiva ed emancipatoria per il lavoro migrante[4].
La ditta svizzera di cui era stato dipendente nel 1954 impiegò Zanier anche nell’estate del 1955, questa volta presso la sede di Zurigo. Al rientro, Zanier riprese la sua attività di direttore dell’istituto professionale di Comeglians, ma in un ambiente mutato e diventato per lui fortemente sfavorevole. In ragione dei suoi trascorsi nella Federazione Giovanile Comunista Italiana, della sua impostazione ideologica eccentrica e, per un territorio dell’Italia rurale degli anni Cinquanta, decisamente non conformista, i finanziatori dell’istituto pianificarono la sua sostituzione. Intesa la situazione, al termine dell’anno scolastico 1956, Zanier abbandonò l’impiego e si inserì nel flusso delle decine di migliaia di conterranei diretti all’estero per cercare lavoro.
- Migrazione e impegno politico-sindacale
Così, nell’ottobre 1989, Zanier avrebbe descritto il suo arrivo a Zurigo, nel 1956, e il primo contatto con la ditta per la quale avrebbe lavorato qualche tempo:
All’arrivo a Zurigo trovo ad attendermi un impiegato della “mia” impresa […]. Ha un cappello di feltro scuro e una sorta di palandrana di cuoio nera e lunga, fin poco sopra le scarpe. Seconda associazione da brivido. Quell’abbigliamento me lo fa sembrare un poliziotto di un reich appena distrutto. Mi precede alla sua macchina. Il dialogo va avanti stentato, alle mie domande risponde con fatica, quasi unicamente a monosillabi, e quindi, per mia rinuncia, si spegne. Guida concentratissimo, esce dalla città e continua lungo un vialone fino al magazzino della ditta a Neu Affoltern. Il nome della ditta è in grandi caratteri neri saldati su una striscia parallela e ricurva di lamiera che collega i due montanti del portale. Anche questo particolare mi mette sulla difensiva. Mi porta in una specie di deposito, prende da una pila e mi mette sulle braccia: lenzuola coperte cuscino e federa, quindi mi fa cenno di seguirlo ed entra in una baracca. Una vera baracca, tutta di legno con il tetto coperto di carta catramata, dove ci sono una ventina di letti allineati (diciamo brande), il comodino è una cassa da cantiere, di quelle dove si mettono gli attrezzi, collocata in piedi, infilata tra un letto e l’altro, in modo che il coperchio diventa sportello. Non è prevista una luce individuale. Gli armadi per i vestiti, larghi sì e no 50 centimetri, sono quanti i letti, allineati di fronte in fila l’uno accanto all’altro. Con un gesto deciso della mano, mi mostra e mi attribuisce un letto, mi fa poi vedere le righe dei lavabi, delle docce e dei cessi, mi indica la mensa-cantina, scarica la mia valigia dalla macchina, rapida stretta di mano e se ne va. Non ci penso un minuto: lascio il “mio” corredo sul “mio” letto, prendo la valigia, vado alla prima fermata dell’autobus in direzione Zurigo e scendo in un punto qualunque della città che mi sembra in qualche modo bello; dopo saprò che è la piazza del Kunsthaus e dello Schauspielhaus. Lì c’è (c’era) un hotel: il Pfauen, prendo una camera, mi lavo di dosso il viaggio, cerco il lago e percorro la città in lungo e in largo per prenderne possesso. L’indomani vado in ufficio, a Zollikon, con la ricevuta dell’albergo e chiedo che me la rimborsino e mi trovino un alloggio decente. La sorpresa è evidente, ma la proposta è accettata senza che nessuno faccia una piega […]. Insomma la mia vita di stagionale, se giuridicamente è durata due anni, nei fatti è durata meno di mezz’ora: il tempo per arrivare dalla stazione alla baracca e di abbandonarla.[5]
Questa, a quasi trentacinque anni di distanza dagli eventi che andava descrivendo, era una rappresentazione volta a evidenziare un tratto della sua personalità su cui Zanier avrebbe costruito la sua stagione professionale più rilevante, ossia la combattività nelle relazioni con le varie controparti padronali e dirigenziali che avrebbe trovato sulla propria strada. Infatti, se fino al 1958 si dedicò esclusivamente a interessi personali, rimanendo all’esterno di qualsiasi circuito politico o associazionistico d’emigrazione, da quel momento in poi entrò a far parte delle Colonie Libere Italiane[6], all’epoca presiedute da una delle più autorevoli e stimate personalità nel mondo dell’emigrazione italiana in Svizzera, Dante Peri. Nel giro di qualche mese, Zanier scelse come suo principale terreno di impegno all’interno dell’associazione quello della formazione professionale e dell’animazione culturale. Forte della sua precedente esperienza in Carnia si dedicò a organizzare corsi di formazione professionale inizialmente attivati in seno alle Colonie libere, sfruttando la disponibilità di immigrati italiani diplomati e politicizzati, quindi pronti a somministrare i corsi in orari serali o festivi ai loro connazionali meno istruiti e talvolta semianalfabeti.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, Zanier aveva già un certo grado di notorietà e visibilità, essendo la sua attività ripresa da giornali e riviste circolanti anche all’esterno della comunità migrante italiana in Svizzera. “Il Gazzettino” di Venezia, per esempio, dedicava una pagina ai suoi corsi di formazione professionale, dove Zanier veniva così descritto:
perito industriale friulano che è anche poeta […], ha pubblicato una raccolta di versi dedicati agli emigranti del suo Friuli e si occupa della sezione culturale delle Colonie libere. Si sente molto vicino ai nostri lavoratori di qui, perché lui stesso ha scelto la via dell’emigrazione, prima verso il Marocco, dove ha lavorato come assistente nei cantieri di Casablanca, poi verso la Svizzera, dove si trova ormai da dieci anni senza eccessivi rimpianti. “Zurigo è un centro interessantissimo. Io mi ci trovo bene, perché sono un tipo che starebbe bene dappertutto, ma, quel che più conta, ho imparato a scegliere le persone e l’ambiente adatto”. È uno di quei soggetti intelligenti che si lasciano assimilare facilmente e che forse stenterebbero a reinserirsi nel paese di origine[7].
Tutti i carteggi a nostra disposizione evidenziano come l’idea di formazione professionale di cui Zanier era portatore fosse sempre più consapevolmente carica di contenuto politico: l’istruzione era per lui uno strumento di emancipazione e di liberazione della classe lavoratrice – e, nel quotidiano svizzero della classe lavoratrice migrante – da quella forma di schiavitù che è l’ignoranza. Zanier partecipò al dibattito che avrebbe portato in Italia all’istituto delle 150 ore e tentò di sviluppare corsi che avessero qualcosa in comune con quelli che dal 1973, per qualche anno, le punte più avanzate del sindacalismo italiano cercarono di consolidare nella Penisola. Il lavoratore non doveva acquisire solo tecniche e strumenti da spendere in fabbrica al servizio della direzione, per migliorare la sua efficienza, poiché doveva anche fare proprie le conoscenze necessarie per difendersi dai processi produttivi, dalle nocività prodotte da quelli, rendendo i lavoratori capaci di riconoscere i propri diritti e di individuare i percorsi idonei per difenderli. Proprio la declinazione ad alto contenuto politico del suo lavoro associativo, rese presto Zanier un soggetto noto alla polizia politica federale elvetica che, tra il 1963 e il 1966, lo collocò tra i sospetti simpatizzanti comunisti e, prima, lo sottopose a una fase di controlli e pedinamenti occasionali, dopodiché, a partire dal 1966, lo dichiarò militante comunista attivo e dedicando lui un controllo poliziesco serrato[8].
Alla fine degli anni Sessanta, Zanier venne nominato presidente della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera e, da quella posizione, intraprese la fase di più intenso lavoro a favore dell’alfabetizzazione e della formazione degli immigrati. Proprio in questo periodo emersero le sue notevoli abilità nella costruzione di reti sindacali transnazionali, con le quali mirava a istituire delle Gewerbeschule per lavoratori stranieri che rilasciassero titoli professionali riconosciuti anche dal sistema svizzero. Proprio a partire dall’attivazione di alleanze e sinergie con il mondo sindacale elvetico e con quello italiano, nel 1970, conseguì l’intendo di aprire la prima sede dell’ECAP-CGIL in Svizzera: da quel momento la formazione professionale per gli italiani sarebbe stata istituzionalizzata e riconosciuta da enti e imprese elvetiche[9].
L’intensità e la rilevanza del lavoro sindacale a cui Zanier si dedicò favorirono infine il suo approdo presso la sede nazionale della CGIL, dove venne nominato segretario nazionale e responsabile dell’Ufficio studi e ricerche del sindacato[10]. A tale incarico si aggiunse nel 1981 la dirigenza di COOPSIND, l’istituto di emanazione sindacale della CGIL e della Lega delle Cooperative, impegnato sul fronte della formazione e della promozione di imprese cooperative tra i giovani. In tale veste prese parte alle attività del Comitato per il Fondo Sociale Europeo e per il Comitato per l’avvicinamento delle qualifiche e dei curricula formativi tra i paesi europei a Bruxelles, seguendo e coordinando progetti di sviluppo locale contro povertà, esclusione, marginalità. Maranzanis di Comeglians, la Carnia e il Friuli tornarono in questo senso al centro della sua azione: l’idea del progetto “Albergo Diffuso” era nata a seguito del terremoto del 1978 e, in origine, prevedeva di concentrarsi sul recupero di edifici di particolare rilevanza storica e architettonica. Nelle sue fasi di maturazione il progetto virò verso un più generale tentativo di restituire energia a un territorio spopolato, ricco di cascine e fattorie abbandonate che pareva possibile restaurare e mettere in connessione affinché diventassero i luoghi di un turismo rurale rivitalizzato. Nella sua prima versione (1982) il progetto presentato al Fondo Sociale Europeo venne denominato “Progetto Pilota Comeglians” e si proponeva un ampio intervento nel settore agro-turistico della regione carnica volto a contrastare l’andamento demografico decrescente e l’aumento dell’età media dei residenti, fattori dovuti ai flussi emigratori mantenutisi consistenti per tutto il ventennio 1950-1970[11]. Il lavoro in COOPSIND non riuscì mai realmente a decollare e, per ragioni principalmente familiari, Zanier rientrò in Svizzera alla metà degli anni Ottanta e tornò operativo presso l’ECAP di Zurigo, di cui continuò ad essere presidente fino al 2006.
- Transnazionalismo e poesia
Nel 1946 vado a Tolmezzo per sostenere l’esame di ammissione alla scuola media (l’esame fino all’introduzione della scuola media unica era obbligatorio). Un viaggio che mi sembrò lunghissimo, i ponti e le strade, sconquassati dalla guerra, erano stati da poco e malamente ripristinati, c’era una corriera al giorno. Mi bocciarono in italiano con un voto infame: due o tre. Una sanzione cocente e sorprendente, non solo per me: mi piaceva scrivere, facevo dei temi lunghissimi e, in pagella, avevo dieci. Ma la maestra, bravissima, che mi portava in palmo di mano e come esempio di bello scrivere era di lì, quindi friulanofona. Ero l’unico di Maranzanis, allora, che affrontava l’esame di ammissione. Chissà chi aveva in mano a Tolmezzo la matita rossa e blu […]. Per fortuna i miei mi costruirono una rete sotto: letture, ripetizioni, tornò apposta una zia da Roma, mi dette chiara l’idea della differenza che c’è tra eccellenza locale e minima decenza italofona[12].
Così, in un’intervista registrata da Silvano Betossi, Zanier raccontava come la prima lingua in cui aveva imparato a scrivere fosse quella fortemente contaminata dal dialetto e dalle inflessioni friulane tollerate dalla maestra del suo piccolo mondo comeglianotto. Coerentemente con questo inizio, quando poco meno che trentenne si dedicò all’attività poetica, Zanier scelse di dare forma ai pensieri e alle emozioni nella lingua materna, la variante carnica della lingua friulana, alla quale talvolta aggiungeva, con parsimonia, termini di altre aree della regione. Il suo friulano, però, non aveva alcun intento di rievocazione nostalgica e non andava alla ricerca di una lingua pura, fissata da un mondo tradizionale preindustriale[13]. Faceva invece i conti con la modernità e si proponeva come obiettivo una vitale riflessione sul presente e sugli strumenti per affrontare il futuro, perché la sua poesia fu, sin dall’opera di esordio, poesia politica. Ha scritto Franco Brevini, nel 1990:
Quella di Zanier è una poesia di denuncia e di intervento. Le appendici documentarie, che prolungano le sue raccolte con dati, informazioni, testimonianze, dimostrano una forte intentio eteronoma. Poesia dunque politica in senso forte, perfettamente coerente con l’esperienza dell’autore, emigrante e sindacalista fra i lavoratori italiani in Svizzera. I modelli di Zanier sono gli stessi di Buttitta, Brecht, Neruda, Eluard e, come è accaduto al poeta siciliano, anche alcuni suoi testi sono stati musicati a cura di gruppi culturali e politici friulani. Ma in Zanier non c’è nulla di guttusiano, il suo è un populismo a tono cupo. L’anafora, l’elencazione, la ripresa sono le strutture formali più caratteristiche di questa poesia, che presuppone spesso la recitazione più che la lettura. Lo stile è quasi sempre nominale e la dizione asciutta, spezzata, secca, non senza la complicità della rustica parlata alpina di cui il poeta si serve, una varietà di friulano carnico[14].
Al di là di considerazioni sul valore letterario della sua opera che non è possibile indagare in questo breve intervento[15], la scelta linguistica, la dimensione politica e il principale terreno contenutistico preso da Zanier come riferimento – ovvero la migrazione – sono all’origine dell’aspetto notevole e peculiare della produzione di questo autore, ossia della grande diffusione che riuscì ad avere all’interno delle comunità migranti italiane a partire dal lavoro di quelle friulane, le quali contribuirono alla sua capillare diffusione in diversi paesi del mondo, favorendo le traduzioni in italiano e nelle lingue nazionali locali. Negli anni Sessanta e Settanta, alcune comunità friulane agirono infatti da megafono della produzione zanieriana promuovendo anche in autonomia e all’oscuro dell’autore, traduzioni delle sue opere nelle lingue del loro paese d’accoglienza. Tanto che, in una memoria del 1990, Zanier registrava:
quello che, fin qui è stato tradotto ha seguito le strade più diverse, quasi sempre talmente autonome da restare, per anni, sconosciute…; cioè, chi ha tradotto, salvo Uwe Hermann (e ora la Schiavi Fachin) [il primo tradusse Che Diaz… us al meriti! in tedesco, la seconda Libers… di scugnî lâ… in inglese], non ha mai pensato di dirmelo prima; da qui la distanza tra le date delle traduzioni e la conoscenza del fatto: fin qui, almeno 4/5 anni. Tra la conoscenza del fatto ed il prodotto (libro, quando è successo) passano almeno altri 10 anni.[16]
Particolarmente significativa appare in questo senso la prima traduzione di Libers… di scugnî lâ, pubblicata in Svezia da un gruppo di emigranti friulani che lo tradussero insieme alle loro mogli, fidanzate e ad alcuni amici[17]. L’edizione, promossa da loro circolo culturale di riferimento, uscì infatti in versione trilingue, con testi in friulano, svedese e italiano, nel 1972, quando lo stesso Zanier non aveva ancora pubblicato la sua versione italiana di Libers…, che sarebbe uscita proprio in quell’anno. Questi processi diedero a Zanier una visibilità internazionale precoce rispetto a quella che riuscì a ottenere in Italia dove Libers… dovette attendere il 1977 per essere finalmente riconosciuto e valorizzato da un editore nazionale, ovvero da Garzanti.
La dimensione transnazionale del lavoro letterario di Zanier si riconosce anche nelle numerose committenze. La prima – e più curiosa – di queste è all’origine della sua seconda pubblicazione in ordine di tempo, ossia Risposte ai ragazzi di Fagagna. I ragazzi in questione erano gli studenti di una scuola media che, nel 1972, inoltrarono a Zanier una lettera chiedendo di avere lumi a proposito del fenomeno migratorio e, soprattutto, se in quanto friulani dovessero ritenere l’emigrazione inscritta nel loro destino. Colpito dall’iniziativa di quei ragazzi e dei loro insegnanti, anziché limitarsi a rispondere alle domande inviate, Zanier compilò un articolato libro risposta, nel quale si alternavano prosa e poesia e che, negli anni successivi, sarebbe diventato riferimento per rappresentazioni teatrali in Friuli. Dal Friuli, però, il testo approdò velocemente in Svizzera, grazie alle reti associative e politiche dei migranti: del 1975 è infatti la seconda edizione del volume per le Edizioni Alternative di Bellinzona.
Ancora, da una committenza interna al mondo migrante italiano ebbe origine il volume Marcinelle Vajont Cernobyl. Il nucleo attorno al quale venne sviluppato era infatti una poesia, Marcinelle, richiesta dagli emigrati membri dell’ALEF di Charleroi perché potesse essere letta presso la locale casa dei sindacati in occasione delle commemorazioni per i quarant’anni dalla tragedia: Zanier decise di partecipare alla manifestazione, preparando una versione friulana, una italiana e una francese del suo testo, da leggere di fronte a sindacalisti, cittadini, autorità locali, rappresentanze governative di Italia e Belgio. Negli anni successivi il testo venne ripreso e inserito con altri in una riflessione più articolata: nel 2006, per i cinquant’anni della tragedia, Ediesse lo ripropose, con una prefazione di Guglielmo Epifani, nell’edizione che ebbe maggiore circolazione.
Il mondo transnazionale di Zanier, teso tra la provincia friulana e le centinaia di località del mondo raggiunte dai suoi emigranti, lo incaricò e stimolò spesso, affinché desse voce a uomini e donne migranti, ai loro problemi, alle loro tragedie, in una forma che riconoscevano linguisticamente evoluta e dotata di una forma poetica valida e di forte rilevanza politica. Soprattutto dopo la conclusione del suo periodo romano, quando decise di fare l’animatore culturale di mestiere, tali dinamiche accompagnarono Zanier in giro per il mondo, dalla Francia alla Germania, dalla Svizzera alla Russia, dall’Argentina alla Croazia. Talvolta veniva raggiunto da istituzioni culturali straniere, attraverso le organizzazioni dei lavoratori italiani, che lo invitavano a partecipare a convegni o seminari internazionali dove, sovente, stringeva le relazioni che sarebbero servite per ripubblicare un testo in un’altra lingua[18]. Trovò per questo all’estero, dopo gli anni Ottanta, collocazioni editoriali e attenzione più rilevanti di quelle che riuscì ad avere in Italia, fatta eccezione per il Friuli Venezia Giulia dove, grazie alla sua collaborazione con diverse riviste e giornali locali, fu continuamente letto, ripreso, ascoltato nel corso di manifestazioni pubbliche o rappresentazioni teatrali e, infine, riconosciuto tra le principali personalità della regione.
In questo quadro, attraverso un intenso lavoro personale di cura editoriale della sua produzione, Zanier confezionò e diffuse decine di edizioni delle sue opere, spesso di dimensioni modeste, nelle quali riprendeva testi precedenti, aggiungendo qualche inedito[19], in funzione di un discorso politico stimolato dal presente e in genere dedicato ai grandi temi ai quali consacrò tutta la sua vita professionale e artistica: le migrazioni, i processi interculturali, il lavoro, le identità locali e le minoranze linguistiche.
[1] In preparazione della biografia di Leonardo Zanier (1935-2017), questo intervento intende presentare aspetti della sua personalità e attività, delineando alcune linee di ricerca a partire dall’analisi del suo fondo archivistico personale che chi scrive sta riorganizzando in funzione del suo prossimo deposito presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, tra i fondi della Fondazione Pellegrini Canevascini.
[2] Prendiamo qui come testo di riferimento il dattiloscritto Venti domande a uno scrittore. Intervista per Giovanna Meyer, datato 5 gennaio 1994, in Archivio di Stato di Bellinzona, Archivio Fondazione Pellegrini Canevascini (d’ora in poi AFPC), Fondo 110 Zanier, sc. 30, cart. 2/4, p. 1. Zanier ritrae il suo mondo delle origini nella raccolta di racconti Carnia/Kosakenland/Kazackaja Zemlja. Storiutas di fruts ta guera/Racconti di ragazzi in guerra, Udine, Edizioni Mittelcultura, 1995, con prefazione di Mario Rigoni Stern.
[3] Zanier e la sua scuola ebbero l’attenzione della stampa locale nell’estate del 1955 come appare da un ritaglio di stampa conservato nell’archivio personale: Comeglians. Mostra lavori alle professionali, non datato ma certamente del 1955, in AFPC, Fondo 110 Zanier, sc. 43, cart. 1/1.
[4] In merito si vedano anche i frammenti di intervista ripresi in Paolo Barcella, Il diritto allo studio per i lavoratori in Svizzera: Leonardo Zanier dalle Colonie libere italiane all’ECAP-CGIL, “Venetica”, 31 (2015), pp. 193-206.
[5] Il testo venne scritto su richiesta di Fabio Soldini che lo incluse in Negli Svizzeri. Immagini della Svizzera e degli svizzeri nella letteratura italiana dell’Ottocento e Novecento, Marsilio, Venezia, 1991. Venne in seguito pubblicato in versioni parzialmente rimaneggiate da diversi giornali e in diverse raccolte minori prodotte da Zanier.
[6] A proposito delle Colonie Libere Italiane e della loro dimensione politica si vedano: Sarah Baumann, …und es kamen auch Frauen. Engagement italienischer Migrantinnen in Politik und Gesellschaft der Nachkriegsschweiz, Zurich, Seismo, 2014; Toni Ricciardi, Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli Italiani in Svizzera, Roma-Bari, Laterza, 2013; Mauro Cerutti, L’immigration italienne en Suisse dans le contexte de la Guerre froide, in Pour une histoire des gens sans histoire. Ouvriers, exclus et rebelles en Suisse: 19e-20e siècles, a cura di Jean Batou, Mauro Cerutti e Charles Heimberg, Lausanne, D’en bas, 1995, pp. 213-31; Mathias Knauer e Jürg Frischknecht, Die unterbrochene Spur: antifaschistische Emigration in der Schweiz von 1933 bis 1945, Zürich, Limmat Verlag Genossenschaft, 1983; Gianfranco Bresadola, Per una storia delle Fclis, Zurigo, Federazione delle colonie libere italiane in Svizzera, 1975; Bruna De Marchi, Gli immigrati italiani in Svizzera e il ruolo delle Colonie libere, Tesi di laurea in Scienze politiche, Bologna, 1972.
[7] Fiorenza Venturini, I corsi professionali per emigrati in Svizzera, “Il Gazzettino”, 27 maggio 1966, AFPC, ECAP, ASB, parte B, Sc. 3, Cart. 6.
[8] L’archivio personale di Leonardo Zanier conserva le schede sintetiche prodotte dalla polizia politica, insieme ad alcune sue riflessioni predisposte in funzione di pubblicazioni successive (per esempio Leonardo Zanier, Fiches, in Gli italiani in Svizzera. Un secolo di emigrazione, a cura di Ernst Halter, Bellinzona, Casagrande, 2004, pp. 131-134), in particolare si vedano i fascicoli: AFPC, Fondo 110 Zanier, 34, 2/1 e 34, 2/2. Per una breve ricostruzione della storia della polizia politica elvetica e del rapporto tra questa e Leonardo Zanier si vedano: Storie di schede, schede per la storia, vol. monografico dell’“Archivio Storico Ticinese”, 109 (1991), e Paolo Barcella, Per cercare lavoro. Donne e uomini dell’emigrazione italiana in Svizzera, Roma, Donzelli, 2018, pp. 3-21.
[9] Per un inquadramento generale delle attività scolastiche e di formazione professionale per gli immigrati in Svizzera si vedano: Philipp Eigenmann, Migration macht Schule: Bildung und Berufsqualifikationvon und für italienerinnen und italiener in Zürich, 1960-1980, Zürich, Chronos, 2017; Paolo Barcella, Migranti in classe. Gli italiani in Svizzera tra scuola e formazione professionale, Verona, Ombre Corte, 2014.
[10] Alla sua attività direttiva e organizzativa Zanier affiancò anche l’elaborazione teorica che prese forma anche in alcuni saggi su riviste e volumi pubblicati nell’arco di un trentennio. I suoi principali volumi su tematiche formative e sindacali sono: Gli emigrati e la scuola, Zurigo, FLCIS, 1973; La lingua degli emigrati, Firenze, Guaraldi, 1977; Solidarietà e innovazione, Roma, Ediesse, 1997; Immigrati e disoccupati, Roma, Ediesse, 1999; Mediazione culturale, Roma, Ediesse, 2002.
[11] Si veda: Progetto pilota Comeglians: sviluppo delle ricettività e dell’occupazione in Carnia (Decisione F.S.E. n. 7/830384-83-I) – Contributo dei borsisti Carlo Toson, Nereo Zamaro, Elena Beorchia – Relazioni e documentazione del lavoro svolto, COOPSIND/COOP-CA-TUR/Comunità montana della Carnia, 1983, in AFPC, Fondo 110 Zanier, ASB, sc. 7, cart. 3/1 e 3/2.
[12] La mê Cjargna. “Chiacchierata” di Silvano Betossi con Leonardo Zanier, 12 gennaio 1994, in AFPC, Fondo 110 Zanier, ASB, sc. 30, cart. 2/4.
[13] Si veda Jean-Jacques Marchand, Presentazione delle ultime poesie di Leonardo Zanier, in AFPC, Fondo 110 Zanier, sc. 30, cart. 3/2.
[14] Franco Brevini, Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990, pp. 289-290.
[15] Oltre alle pagine dedicate da Brevini nella citata antologia, ci limitiamo qui a segnalare: Luciano Morandini, Leonardo Zanier, “La Battana”, 56 (1980), pp. 34-40; Luciano Morandini, Per leggere Leonardo Zanier, “La Battana”, 68 (1983), pp. 59-91; Raul Mordenti, La poesia di Leonardo Zanier: dal Friuli all’Europa alla ricerca di un nuovo volgare, in La letteratura dell’emigrazione. Gli scrittori di lingua italiana nel mondo, a cura di Jean-Jacques Marchand, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, pp. 283-299; Jean-Jacques Marchand, Dalla letteratura di emigrazione agli scrittori di lingua italiana nel mondo, “Profili letterari”, II, 3 (1992), pp. 50-59; Giovanna Meyer Sabino, Scrittori allo specchio. Trent’anni di testimonianze letterarie italiane in Svizzera: un approccio sociologico, Monteleone, Vibo Valentia, 1996, pp. 94-108; Mevina Puorger, Leonardo Zanier. La dimension poetique de l’être, “Feucroiseés”, 7 (2005), pp. 105-123; Jean-Jacques Marchand, Leonardo Zanier: un poeta della diaspora italiana in Svizzera, in “Innumerevoli contrasti d’innesti”: la poesia del Novecento (e altro). Miscellanea in onore di Franco Musarra, Lovanio-Firenze, Università di Lovanio/Franco Cesati Editore, 2007, pp. 325-337. Inoltre, si tenga conto che le opere di Zanier hanno avuto nel corso degli anni centinaia di recensioni, su fogli locali ma anche su giornali nazionali, come il “Corriere della Sera”, e riviste di sicura rilevanza in ambito letterario, tra cui l’“Indice di libri del mese”. Numerosi sono gli studiosi e critici di chiara fama ad aver dedicato riflessioni al lavoro e all’opera zanieriana, in prefazioni, postfazioni o semplici recensioni. Tra questi: Ottavio Besomi, Iso Camartin, Guido Crainz, Silvana Schiavi Facchin, Gian Paolo Grì, Jean-Jacques Marchand, Luciano Morandini, Raul Mordenti, Rienzo Pellegrini, Alessandro Portelli, Alberto Secci. La gran parte delle recensioni sono conservate in AFPC, Fondo 110 Zanier, ASB, sc. 30, cart. 4 e l’intera scatola 31.
[16] Leonardo Zanier, Traduzione poesie di Leonardo Zanier, in AFPC, Fondo 110 Zanier, ASB, sc. 30, cart. 2/4.
[17] Scriveva G. Paolo Cattaruzza nell’introduzione al testo: “Questa traduzione è stata fatta senza aver fatto leggere il manoscritto all’autore. Gli scopi di questa pubblicazione sono quelli di far vedere l’emigrazione in modo opposto a quello tecnocratico fatto di cifre e di economia in uso oggi. Questa diversa impostazione che con questo materiale si è raggiungta, credo di dividerla con Zanier. La traduzione è un lavoro di gruppo e cioè di: Olle Andersson, Anna Barsotti, Leo Bosco, “Flingan” Ebbmo, Thomas Ebbomo, Birgitta Färje, Sylvia Hild, Inga Lisa Sangregorio, G. Paolo Cattaruzza. La spesa pagata per questi fogli è dovuta alle spese sostenute e a una grossa cena che il gruppo intende fare a lavoro e vendite ultimate”. Leonardo Zanier, Libers… di scugnî lâ – Fria… Vara Tvungna Att Aka Bort, 1972, in AFPC, Fondo 110 Zanier, ASB, sc. 14, cart. 5/1, p. 3.
[18] Emblematico in questo senso il “Dossier viaggio in Argentina”, dal quale sortì l’edizione in spagnolo Libres… de tener que partir.
[19] I processi descritti rendono complesso avere la lista definitiva delle pubblicazioni zanieriane. Qui proponiamo la lista delle prime edizioni, con qualche nota aggiuntiva tra parentesi quadra, nella consapevolezza della sua parzialità: Libers… de scugnî lâ,, Udine, Circolo Val Degano1964 [prima edizione in friulano, successivamente italiano, svedese, francese, inglese, arabo, serbo-croato, spagnolo, tedesco]; Risposte ai ragazzi di Fagagna. Cos’è l’emigrazione? Perché si emigra? Saremo anche noi emigrati?, Bellinzona, Edizioni Alternative, 1975 [prima edizione Circolo Colavini, Udine, 1973]; Che Diaz… un al meriti. Storia e storiutas, tradizion e ‘migrazion, dets e inventets eretics, santus e santons, Udine, Circolo culturale Colavini/Aiello, 1976; Ladinia 6 (1980), Val Badia, Istitut Ladin “Micurà de Rü”, 1980; Sboradura e sanc, Firenze, Nuova Guaraldi, 1981; Introduzione, a Colonia Libera Italiana di Basilea, La poesia e gli emigrati, Basilea, CLI, 1981; Usmas. Poesie 1988-1990, Bellinzona, Casagrande, 1991 [traduzione in tedesco Spuren/Usmas, Klagenfurt-Wien, Wieser Verlag, 1994]; Confini. Cjermins. Grenzsteine. Mejniki. Poesie 1970-1980 e testi in prosa recenti, Udine, Forum, 1992; Carnia/Kosakenland/Kazackaja Zemlja. Storiutas di fruts ta guera/Racconti di ragazzi in guerra, Udine, Edizioni Mittelcultura, 1995; Pesmi. Poesie, Topolò, Stazione di Topolò, 1996; Licôf Grant. Poesie 1991-1995, Udine, Kappa Vu, 1997; Turismo: un teatro!, Udine, La Chiusa, 1997; Manutenzione preventiva, Balerna, Il gatto dell’Ulivo, 1998; Gott Vergelt’s Euch. Gedichte un Geschichten. Tradition und Emigration, Basilea, Nachtmaschine, 1998; Marcinelle Vajont Cernobyl, Pordenone, Circolo Culturale Menocchio, 1998; Camun di Dimpeç, Roma, Le parole gelate, 1998; Suspice Caelum, Pordenone, AG Studio, 1999; Linia dreta. Storiuta cjargniela par durmî, Udine, Edizioni La Chiusa, 2000; La propria età è un furto, Balerna, Il gatto dell’Ulivo, 2000; Una poesia, Udine, Edizioni PulcinoElefante, 2000; Den Wasserspiegel schneiden/ Sot il pêl da l’âga, Zürich, Limmat, 2002; Montagne. Identità e futuro, Gorizia, Villese, 2002; Committenze. Poesia su ordinazione, 1957-2000, Udine, La Chiusa, 2002; Cantîrs, Udine, Cefs, 2003; Punta secca, Balerna, Il gatto dell’Ulivo, 2003; Clandestins, Lugano, Fondazione Franco Beltrametti/Josef Weiss Edizioni, 2005; Ma da vivo… Aber am Leben, Mendrisio, Josef Weiss Edizioni, 2005; Dipende…, Balerna, Il gatto dell’ulivo, 2005; Precipitando comunque/Sturzend so wie so, Mendrisio, Josef Weiss Edizioni, 2005; Lôcs, Pordenone, Biblioteca civica di Pordenone, 2008; Allora Vi Diciamo Alla Nazione, Salerno, Edizioni Il Grappolo, 2010; Il câli. Poesie e prose 1981-2012, Udine, Kappa Vu, 2012; Poesia in viaggio, Pordenone, Circolo Culturale Menocchio, 2012.