Il 25 novembre è stato già un anno che è scomparso Franco Ramella. Un suo ricordo pubblico è stato promosso dagli studiosi più vicini a lui per interessi di ricerca ma, soprattutto, per una consolidata amicizia. Con il grande rammarico di non averlo potuto ricordare subito dopo la sua morte per i ben noti limiti imposti dalla imperversante epidemia, il seminario si è svolto il 5 dicembre presso il Polo del Novecento di Torino.
Come si legge nel testo dei firmatari dell’appello (Angiolina Arru, Anna Badino, Domenico Rizzo, Fernando Devoto, Giovanni Levi, Maurizio Gribaudi, Michael Eve, Michele Nani), l’incontro ha inteso affrontare i filoni d’indagine, il percorso di studio e il “modo di osservare il mondo” dello studioso scomparso: una persona che rimarrà “cara, non solo per la qualità dei suoi lavori e la lucidità del suo pensiero ma anche per la sua grande singolarità”. Proprio in riconoscimento della peculiarità della sua figura nel panorama culturale del nostro paese, i promotori hanno invitato a fornire un ricordo niente affatto accademico e formale, ma una “testimonianza personale” da parte di quanti hanno avuto modo di condividere la sua esperienza di ricerca, di lavoro e di vita. Proprio per questo, ad aprire l’incontro è stato il breve ricordo di Luciana Benigno, moglie e compagna di studio di Franco Ramella per oltre cinquant’anni. Al suo intervento hanno fatto seguito sessioni volutamente non strutturate, coordinate da brevi introduzioni degli organizzatori del seminario e seguite dai tanti ritratti personali di Franco come “militante politico e sindacale, come storico e intellettuale, come insegnante, come amico…”.
Maurizio Gribaudi ha introdotto la sessione dedicata agli anni della militanza politica e del successivo passaggio alla ricerca storica, mentre Giovanni Levi ha aperto quella su Terra e telai, sulla proto-industria e sulle originali indagini dedicate dallo studioso alla genesi e allo sviluppo del movimento operaio nel Biellese. Allo stesso territorio, oggetto privilegiato delle sue prime indagini, è stata dedicata l’apertura, da parte di Fernando Devoto, della sessione incentrata sulla lunga ricerca promossa negli anni Ottanta dalla Banca e dalla Fondazione Sella per lo studio dei movimenti migratori tra quest’area e le mete internazionali. Più mirate a ricordare l’intensa attività di Franco Ramella come guida e tutor nell’ambito di dottorati e gruppi di ricerca sono stati invece i successivi interventi introduttivi di Angiolina Arru e di Michael Eve. I due studiosi si sono incentranti rispettivamente: sulla sua fruttuosa partecipazione al Dottorato internazionale dell’Università di Napoli “l’Orientale”, dedicato allo studio delle migrazioni interne; sul suo fondamentale ruolo di guida nell’ambito del progetto interuniversitario tra gli Atenei di Torino e del Piemonte orientale, volto a confrontare l’esperienza delle seconde generazioni delle migrazioni interne e delle migrazioni internazionali. Hanno chiuso infine due sessioni ancora più personali: “Franco come collega e insegnante”; “Franco come l’ho conosciuto”. Nella prima l’introduzione è stata di Stefano Musso, mentre nella seconda si sono susseguite le testimonianze di compagni, amici e familiari.
Nell’ambito di questa giornata, il ricordo personale di scrive si è focalizzato su due delle già citate esperienze di ricerca collettiva: quelle sui movimenti migratori nel Biellese e sulle seconde generazioni. In queste due occasioni ho potuto sperimentare in prima persona quanto il seminario ha cercato di mettere15 in rilievo rispetto all’eccentricità di Franco nel contesto culturale italiano. Mi riferisco in particolare alla sua assoluta lontananza dai tanti vizi della cultura accademica del nostro paese e alla sua ‒ più unica che rara ‒ capacità di “maestro” in grado di orientare i ricercatori con lucidità, semplicità e ironia, rifuggendo dalla retorica, dall’erudizione e dalla assai diffusa propensione all’autoreferenzialità di molti. “Un maestro senza scuola”, a mio modo di vedere, sono le parole che meglio riassumono la sua “semplicità” nel ricorrere all’esemplificazione, alla narrazione di storie individuali e familiari per svelare in realtà la “complessità” metodologico-euristica della ricerca sul campo.
Nelle periodiche riunioni dei due gruppi, distanti circa un trentennio l’una dall’altra, ho potuto apprezzare queste rare doti didascaliche di Franco e scoprire come, attraverso i suoi puntuali e incisivi interventi, sia stato capace di semplificare i termini di questioni teorico-metodologiche assai complesse e controverse. Mi riferisco, nel primo caso, ai ben noti e datati dibattiti sulla microstoria, sul ruolo della storia orale, della soggettività, delle relazioni sociali come motori dei comportamenti sociali e alla pionieristica traduzione di tali indirizzi euristici negli studi sui movimenti migratori realizzata, in primis, proprio da Franco Ramella. Mentre nel secondo caso penso ai molti, utilissimi, tasselli che lo studioso scomparso ha apportato al dibattito scientifico sollevatosi dopo l’arrivo degli stranieri nel nostro paese opponendosi, con numerosi interventi esemplificativi durante le periodiche riunioni, alla falsa contrapposizione tra emigrazione, immigrazione e migrazioni interne basata, come è noto, sull’origine e la direzione territoriale dei movimenti, anziché sulle reti e gli spazi sociali dei soggetti coinvolti.