Antonio Lasciac, architetto goriziano tra l’Italia e l’Egitto: un profilo biografico inedito dall’archivio dell’Ambasciata italiana al Cairo

L’emigrazione italiana in Egitto rappresenta un grande tema della storiografia sulle migrazioni, che ha conosciuto varie fasi di sviluppo. È una storia antica di un secolo e mezzo, cominciata ancor prima dell’unità d’Italia, quando in seguito alla conquista napoleonica e alla successiva instaurazione del regno di Mohammed Ali, il paese ha cominciato ad attrarre europei, tra cui molti italiani originari dei vari stati della penisola[1]. Il nuovo signore dell’Egitto, un ufficiale ottomano di origini albanesi, riuscì a imporre la sua autorità nel paese dopo un periodo di anarchia seguito al ritiro delle truppe napoleoniche. Con l’obiettivo di rendere il paese sempre più autonomo dalla Sublime Porta, il sovrano incoraggiò l’arrivo in Egitto di personale europeo che potesse contribuire al processo di modernizzazione dell’esercito e dell’economia a seguito del quale l’Egitto aprì una nuova pagina della sua storia[2]. A partire dall’inizio dell’Ottocento l’Egitto diventò un polo di attrazione per molti italiani, anche per la vicinanza all’Italia del paese mediterraneo e per le condizioni favorevoli all’insediamento nel paese che vi si trovavano. L’Italia fu talmente di casa nell’Egitto di quegli anni che tra i primi libri stampati al Cairo si annovera un dizionario italiano-arabo e la traduzione araba del Principe di Machiavelli[3]. Nelle prime tipografie egiziani i torchi e la carta provenivano dall’Italia via Livorno. Fu un’emigrazione molto variegata che, di stagione in stagione, si colorava di caratteristiche differenti. Occorre precisare, anzitutto, l’aspetto della estrema diversità che ha assunto negli anni la comunità italiana in Egitto. Una visione mitizzata, infatti, di questa emigrazione, che ha avuto una lunga fortuna negli studi sul fenomeno, l’ha dipinta come una colonia formata prevalentemente da professionisti che contribuirono con le loro arti e competenze a forgiare l’Egitto moderno. Il titolo di un celebre volume che ricostruiva la storia della «colonia» italiana è emblematico di questa impostazione. Si tratta del volume di Luigi Antonio Balboni Gl’Italiani nella Civiltà Egiziana del Secolo XIX, pubblicato in tre volumi ad Alessandria nel 1906. Il lavoro di Balboni è ancora oggi presentato sul sito dell’Istituto Italiano di Cultura del Cairo con parole che non nascondono una punta di orgoglio nazionale: “Durante questo fondamentale processo di rinascita del popolo egiziano, gli italiani, con il loro genio e la loro intraprendenza, hanno indubbiamente fornito un contributo a tutto campo: dalle belle arti alle lettere, dall’ingegneria all’architettura, dall’amministrazione del nascente stato egiziano alla fondazione di istituzioni scolastiche ed ospedaliere. L’Italia nel pieno fermento della sua aspirazione unitaria, ha fornito un apporto straordinario al «risorgimento arabo», accompagnando la nascita di una coscienza nazionale moderna dell’Egitto. Tanti intellettuali e tante personalità italiane hanno speso il loro genio e il loro talento con dedizione e passione straordinaria per la rinascita dell’Egitto”[4].

Nella realtà, il giudizio storico sulla presenza e il ruolo degli italiani nel paese mediterraneo dovrebbe essere più sfumato. Gli studi recenti sull’emigrazione italiana in Egitto si stanno concentrando su un settore che era stato in precedenza trascurato, vale a dire quello delle classi subalterne che componevano una buona parte della «colonia» italiana. Tali studi stanno mettendo in luce la faccia nascosta, ma pur presente di questa emigrazione. Anzitutto, la componente politica che già dopo la fine dell’esperienza napoleonica si compone di ex ufficiali allo sbando, seguiti poi da patrioti e carbonari perseguitati a seguito del fallimento dei moti insurrezionali italiani, cui seguiranno qualche anno più tardi anarchici e perseguitati politici di altro genere[5]. Non va trascurato che l’emigrazione italiana fu composta anche da persone che cercavano semplicemente un futuro migliore e trovavano nell’Egitto di fine Ottocento e inizio Novecento una terra ricca di opportunità. Si pensi solo ai lavori per il Canale di Suez, oltre ai lavori di urbanistica ed edilizia che hanno trasformato il volto di città come Il Cairo e Alessandria. In questo caso, si trattava di manovalanza, operai, piccoli artigiani, ma anche persone senza particolari competenze e avventurieri. Questa evoluzione della “colonia” preoccupava gli ambienti diplomatici italiani al Cairo che già intorno al 1870 avevano avvertito il Ministero degli esteri che la «colonia» aveva cambiato carattere e fisionomia[6]. La pagina nascosta della storia dell’emigrazione italiana in Egitto è scritta proprio dalle classi subalterne che hanno accresciuto negli anni la comunità italiana e della quale la parte più «nobile» era costituita proprio da quei professionisti e intellettuali su cui si era concentrata l’esposizione di Balboni. Oltre a questo mito degli italiani in Egitto e del loro ruolo straordinario nella costruzione dell’Egitto moderno, c’è la realtà dell’Egitto degli italiani, gente di varia provenienza e classe sociale che, come tessere di un mosaico multicolore, hanno composto un quadro estremamente variegato nel contesto sociale ed economico del paese del Nilo. Tale affresco ci è stato restituito nella sua complessità nel lavoro certosino di Marta Petricioli che ne ha ricostruito con pazienza ogni sfaccettatura nel già citato Oltre il mito. L’Egitto degli italiani (1917-1947), lavoro frutto di un attento scavo nei fondi della rappresentanza diplomatica italiana in Egitto conservati presso il Ministero degli Affari Esteri.

Il profilo biografico di Antonio Lasciac (Gorizia 1856 – Il Cairo 1946) qui presentato, reperito tra i fondi della rappresentanza diplomatica italiana in Egitto, offre una testimonianza sul primo volto dell’emigrazione italiana cui abbiamo accennato, quello cioè della emigrazione «alta», specializzata, vale a dire quell’ampio gruppo di professionisti che con le loro competenze si sono messi al servizio di un paese che ambiva a eguagliare lo sviluppo degli stati europei[7]. Tuttavia, le minuziose informazioni sulle manovalanze e le imprese con cui l’architetto goriziano lavorò al Cairo aiutano a delineare una panoramica più ampia della presenza italiana in questo settore economico.

L’ambizioso progetto di modernizzazione e autonomizzazione dell’Egitto dei khedivè fu il contesto in cui molti professionisti, architetti, ingegneri, imprenditori e tanti altri, operarono offrendo la loro opera. L’architetto Antonio Lasciac si pose letteralmente al servizio di questo progetto di modernizzazione, giungendo ad assumere importanti incarichi presso ʽAbbas Hilmi (1874-1944), l’ultimo khedivè d’Egitto prima della dichiarazione del protettorato britannico sull’Egitto nel 1914[8]. Lasciac faceva parte di un folto gruppo di architetti e ingegneri italiani e di altre nazionalità europee, responsabili della trasformazione urbanistica delle principali città egiziane tra Otto e Novecento. Gli italiani sono stati così presenti in quest’opera di rinnovamento architettonico delle città che Marta Petricioli ha parlato di «città italiane» a proposito dello sviluppo urbano di centri come Alessandria e Il Cairo all’inizio del Novecento[9]. Tra gli italiani possiamo menzionare Alfonso Manescalco, Aldo Marelli, Luigi Piattoli, Nello Sinigaglia, Mario Rossi e tantissimi altri[10].

Il documento biografico su Antonio Lasciac rinvenuto nell’archivio della Rappresentanza italiana al Cairo dell’anno 1937 rivela alcuni particolari interessanti che completano o aggiornano il percorso finora noto dell’architetto goriziano. Anzitutto occorre premettere che il contenuto della relazione è così dettagliato su alcuni episodi da far ritenere che la fonte delle notizie sia stata lo stesso Lasciac o persona a lui molto vicina. Alcuni particolari estremamente personali e singolari lo fanno credere, come quando si racconta un episodio avvenuto a Gorizia il 29 settembre 1882. In quella occasione, assieme ad un gruppo di simpatizzanti irredentisti, Lasciac inneggiò pubblicamente all’Italia attirando l’attenzione di due poliziotti austriaci, che però erano stati preventivamente indotti a bere oltre misura dal Lasciac stesso e intervennero maldestramente, arrestando a casaccio due dei presenti. Altre informazioni aiutano a delineare il contributo sia politico sia professionale che Antonio Lasciac ha offerto nel corso dei suoi anni tra l’Italia e l’Egitto. Vorremmo soffermarci sul dato politico. Come è stato ricordato, il Lasciac, suddito asburgico di Gorizia, aveva simpatie italofile e non mancava di manifestarle pubblicamente sia in patria sia in Egitto, tanto da essere annoverato nei documenti diplomatici tra gli irredentisti presenti in Egitto, cui la diplomazia italiana prestava una certa attenzione. Un altro particolare interessante riguarda un coinvolgimento di Lasciac come tramite di comunicazioni riservate tra la monarchia e il governo italiani e i regnanti egiziani durante la guerra italo-turca per la conquista della Libia. Negli anni 1910-1911, Antonio Lasciac risiedeva al Cairo. Oltre a essere in contatto con gli ambienti diplomatici italiani, ricopriva una posizione di rilievo presso la corte egiziana, in quanto architetto capo dei Palazzi khediviali. Questa qualifica è un segno della particolare fiducia di cui godeva a corte. Accanto a questo elemento, si verificò in quei mesi un’altra circostanza che pose il Lasciac al centro di un gioco diplomatico tra Italia ed Egitto, in funzione anti-ottomana. Proprio nel momento in cui l’Italia decise per un intervento diretto in Libia, territorio sotto la dominazione ottomana, al Cairo era presente anche un medico italiano, anch’egli ex suddito asburgico, Alessandro Lustig, senatore del Regno d’Italia dal 1911. Il medico triestino, grazie alla sua nota competenza di infettivologo che lo aveva portato a condurre una importante campagna antimalarica in Sardegna, aveva ricevuto l’incarico dalla Sublime Porta di condurre una simile operazione in un territorio turco allora martoriato dalla malattia, nella regione anatolica di Dalaman, su cui pubblicherà una relazione nel 1912 proprio al Cairo[11]. La missione del Lustig in Anatolia fu ritardata dallo scoppio della guerra italo-turca. Per questo il senatore e medico italiano si trattenne più del previsto in Egitto. L’amicizia tra Lustig e Lasciac e la frequentazione di quest’ultimo con il khedivé, posero l’architetto nella situazione ideale per fungere da tramite di messaggi riservati che i sovrani egiziani inviarono al re e al governo italiani tra il 1911 e il 1912 riguardo alla questione libica. Il senatore Lustig, infatti, tornato a Roma, consegnò, come riferisce il dossier qui presentato, i messaggi redatti dal Lasciac che il khedivé intendeva far giungere a Roma in via del tutto riservata. Questi contatti italo-egiziani in funzione anti-ottomana furono gestiti per via indiretta dai diplomatici italiani. L’operazione, infatti, non poteva svolgersi in maniera esplicita proprio per la delicata posizione in cui si trovava la Legazione italiana in Egitto nei confronti di un paese che formalmente ricadeva sotto l’autorità ottomana, contro cui l’Italia era entrata in guerra. Il coinvolgimento di Lustig e Lasciac nell’intermediazione tra Italia ed Egitto durante la guerra di Libia non sembra emergere da altre fonti. Peraltro, il documento riprodotto in queste pagine, annota che allo scoppio della Prima guerra mondiale, con la trasformazione dell’Egitto in Protettorato britannico, il Lasciac si affrettò a distruggere il materiale che provava questa sua attività clandestina durante la guerra italo-turca poiché, da suddito asburgico e quindi appartenente a una potenza nemica della Gran Bretagna, temeva eventuali conseguenze in caso tali documenti fossero venuti alla luce. Il dossier accenna anche al fatto che in tali scambi epistolari tra i sovrani egiziani e l’Italia emergeva anche l’attività anti-italiana di un alto rappresentante britannico in Egitto, di cui non è menzionato il nome, da identificarsi probabilmente con l’allora Agente britannico e Console generale, conte Kitchener, che nell’estate del 1911 aveva sostituito Eldon Gorst come rappresentante della corona britannica, oppure con un altro alto funzionario britannico di stanza in Egitto.

Per quanto riguarda il destino di Antonio Lasciac nel corso della Prima guerra mondiale, occorre precisare che il documento qui presentato differisce dalla narrativa ripresa in alcuni studi sul Lasciac che lo vorrebbe condotto prigioniero a Malta dagli inglesi a causa della sua sudditanza asburgica, di conseguenza, appartenente a una potenza nemica nell’Egitto divenuto nel 1914 protettorato britannico[12]. Effettivamente, questo fu il destino di molti suoi concittadini ivi residenti che furono rinchiusi nei campi di prigionia in Egitto o trasferiti a Malta. Molti di essi, se potevano dimostrare la loro nazionalità italiana o simpatie politiche verso l’Italia, potenza alleata dell’Impero britannico, ottennero di essere trasferiti in Italia. Una sorte più favorevole toccò a Lasciac che non fu arrestato, stando al documento qui presentato. Il 15 febbraio 1915, gli fu ingiunto di lasciare l’Egitto entro quindici giorni, obbligo che egli ottemperò trasferendosi a Roma.

Non indulgiamo su particolari biografici relativi ad Antonio Lasciac dal momento che il documento che qui è riprodotto nella sua interezza ne traccia un dettagliato profilo. Vorremmo solo soffermarci su alcuni particolari significativi del suo percorso biografico e professionale. Egli giunse in Egitto nel 1882, anno in cui il paese, sull’orlo della bancarotta, subì l’occupazione britannica e l’avvio di un periodo di stretto controllo europeo sul debito pubblico, che in realtà si allargò a tutti i settori dell’amministrazione statale[13].

Lasciac fu nominato architetto capo dei Palazzi khediviali nel 1907, forse proprio grazie al suo essere suddito austriaco per la familiarità del sovrano con gli ambienti austro-ungarici che avrebbero creato l’occasione di un incontro col Lasciac. Questa circostanza si spiega con la storia personale dell’allora khedivè ‘Abbas Hilmi. Egli, salito al trono nel 1892 dopo l’improvvisa morte del padre, si trovava proprio a Vienna per gli studi nel momento della sua designazione. Il giovane sovrano si circondò di consiglieri e collaboratori vicini alle posizioni degli imperi centrali europei e ostili ai britannici e frequentava volentieri gli ambienti germanofoni del Cairo. In seconde nozze, ‘Abbas Hilmi aveva sposato una contessa ungherese, sorella di un suo compagno di studi a Vienna. La comune frequentazione con esponenti della corte khediviale di amicizie legate al milieu asburgico nella capitale egiziana permise probabilmente ad Antonio Lasciac di entrare in contatto con l’entourage del sovrano. La sua notorietà presso questi circoli altolocati potrebbe spiegare la nomina di Lasciac a architetto capo dei Palazzi khediviali nel 1907 e la sua inclusione nel neocostituito Comitato per la Conservazione dei Monumenti dell’Arte araba. In questi anni, il suo impegno professionale è ricchissimo, sia in Egitto sia in Italia. Il suo contributo alla storia dell’architettura è stato ampiamente analizzato, come attestano i numerosi studi di settore che gli sono stati dedicati, tra cui si segnalano quelli di Ezio Godoli[14].

Nel 1914, al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale, la situazione politica dell’Egitto registrò un brusco cambiamento. Quando l’Impero ottomano si schierò con gli imperi centrali, la Gran Bretagna decise di fare dell’Egitto un sultanato e lo pose sotto il suo Protettorato, separandolo così dalla dipendenza, seppur formale, dalla Sublime Porta. Il khedivè in carica, ‘Abbas Hilmi II, che all’inizio delle ostilità si trovava ad Istanbul, accusato di tramare contro la Gran Bretagna, su pressione di quest’ultima fu destituito e al suo posto fu nominato sultano lo zio, Hussein Kamel, che restò in carica fino alla sua morte improvvisa nel 1917. Durante la guerra, i sudditi austro-ungarici residenti in Egitto si trovarono nella posizione di membri di uno stato nemico e furono arrestati. Molti di loro, tranne Antonio Lasciac, com’è stato ricordato, furono esiliati a Malta. Da qui, nel corso degli anni del conflitto, ad alcuni prigionieri austro-ungarici, di nazionalità italiana o di «simpatie» italiane, come venivano definiti dai britannici, fu concesso di trasferirsi in Italia[15]. Lasciac, per una via meno traumatica, riparò in Italia già nel 1916. In quest’anno, infatti, diede alle stampe a Roma un pamphlet di quindici pagine, intriso di sentimenti irredentisti dal titolo Come l’impronta del Leon di S. Marco si trova sul Castello di Gorizia[16].

Al termine del conflitto mondiale, Antonio Lasciac, ormai suddito italiano, riprese la sua attività professionale dividendosi tra l’Italia e l’Egitto. Ma la situazione politica nel paese era profondamente cambiata. Ahmad Fu’ad era succeduto al defunto sultano Hussein Kamel, ma il nuovo sovrano aveva seguito un percorso personale molto diverso da quello del khedivè ‘Abbas Hilmi, con il quale Lasciac aveva raggiunto il vertice della carriera per un architetto in Egitto. Ahmad Fu’ad, che sarebbe diventato nel 1922 primo re d’Egitto col nome di Fu’ad I, in gioventù aveva seguito il padre nel suo esilio italiano, risiedendo dapprima a Napoli, ospite della famiglia reale italiana. Quindi, si era trasferito a Torino dove aveva frequentato la locale Accademia militare. Il futuro primo re dell’Egitto aveva così stabilito un rapporto di intima simpatia con i Savoia e con l’Italia, mantenendo negli anni un contatto privilegiato con gli ambienti politici e culturali italiani. Rientrato in Egitto, si dedicò a realizzare, tra l’altro, l’impegnativo progetto della creazione di una nuova università statale, che avrebbe dovuto affiancarsi all’insegnamento tradizionale impartito nell’Università islamica di al-Azhar. Il progetto prese vita nel 1908 e l’allora principe Ahmad Fu’ad vi chiamò a insegnare illustri professori italiani, tra cui Ignazio Guidi, Carlo Alfonso Nallino e Davide Santillana, tra i maggiori orientalisti del tempo[17]. Divenuto sovrano, chiamò a corte consiglieri e collaboratori di origine italiana. Alla carica di capo architetto dei Palazzi khediviali nominò un italiano di origini marchigiane, Ernesto Verrucci[18]. Negli stessi anni, Antonio Lasciac mantenne il suo legame professionale con gli ambienti egiziani, dove lo si ritrova fino agli anni Quaranta, nell’ultima sua residenza in Rue des Bains 3, al Cairo.

Il suo percorso biografico, e soprattutto professionale, è stato oggetto di studio prevalentemente da parte di storici dell’architettura, che ne hanno definito l’apporto originale nel quadro dello stile neo-islamico che diventò il suo tratto distintivo[19]. Il lavoro più recente e aggiornato sull’opera architettonica di Antonio Lasciac è rappresentato dalla ricerca di dottorato condotta da Diego Kuzmin nel 2014-15. Seppure focalizzata su un’opera architettonica goriziana del Lasciac, la ricerca presenta una descrizione del percorso di formazione e professionale dell’architetto goriziano, corredato da una notevole mole di informazioni biografiche[20]. Kuzmin ha compiuto una ricognizione negli archivi di Slovenia, Egitto e Italia che gli ha permesso di rintracciare moltissimi documenti, progetti, corrispondenza e notizie su e di Lasciac. Il documento che presentiamo nella sua versione integrale in queste pagine non compare nella pur ricca documentazione reperita da Kuzmin. Per il periodo egiziano di Lasciac, quest’ultimo ha individuato interessanti fondi d’archivio tra cui quello conservato presso il Centre d’Études Alexandrines (CEAlex) che conserva memoria del primo periodo di attività egiziana del nostro architetto, concentrato ad Alessandria, di cui Kuzmin analizza le implicazioni architettoniche e urbanistiche. Altra documentazione era conservata presumibilmente presso l’Institut d’Égypte, fondato da Napoleone Bonaparte nel 1798 e purtroppo andato distrutto da un incendio nel corso dei tumulti seguiti alle manifestazioni della primavera araba nel 2011. Il recupero e l’inventario dei materiali salvati dalle fiamme si spera potrà restituire altre informazioni sul periodo egiziano di Lasciac. Tra i documenti andati perduti, Kuzmin ritiene si possa individuare un album fotografico non datato, realizzato da Lasciac per il Principe ereditario Mohammed ‘Ali Tewfik (1875-1955), di cui rimane soltanto il frontespizio con dedica autografa del goriziano[21]. Una ricerca presso la Dar al-Watha’iq al-qawmiyyah, gli archivi nazionali egiziani, in particolare presso il fondo noto come “al-Dar”, cioè quello riguardante il periodo khediviale e monarchico, probabilmente potrebbe accrescere con ulteriori notizie la nostra conoscenza sull’impatto esercitato dall’architetto goriziano sull’ambiente culturale e artistico dell’Egitto tra Otto e Novecento. Allo stesso modo, una nostra prima ricognizione ha permesso di trovare qualche ulteriore documento presso l’archivio personale del khedivè ‘Abbas Hilmi, ora custodito presso l’Università di Durham, in particolare una relazione sull’andamento dei lavori di restauro di alcuni palazzi khediviali ad Alessandria e al Cairo[22]. Per quanto riguarda le fonti archivistiche italiane, la meticolosa indagine di Kuzmin non annovera il documento che qui viene presentato e che consente, quindi, di aggiungere un ulteriore tassello alla ricostruzione del percorso umano e professionale di uno dei più celebri rappresentanti italiani dell’architettura neo-islamica.

Il documento che segue contiene una minuziosa descrizione delle opere progettate dal Lasciac. Getta luce anche sulle imprese e sugli artigiani, per lo più italiani, coinvolti nella loro realizzazione. Ne emerge un panorama estremamente interessante per lo studio del contributo degli italiani anche nei settori più umili. Scalpellini, falegnami, intarsiatori provenienti dalla penisola erano assai apprezzati per la loro professionalità, come traspare nelle pagine qui presentate. Altrettanto interessante è l’accenno alle tecniche di costruzione adottate dall’architetto goriziano, che in alcuni esempi appaiono mostrare l’apporto innovativo della sua progettualità, come nel caso del cemento armato che egli avrebbe utilizzato per primo in Egitto. Le relazioni particolareggiate sulle opere e le tecniche di costruzione di Lasciac non mancheranno di arricchire le conoscenze sul contributo dell’architettura italiana in Egitto, un settore su cui si è soffermata anche recentemente l’attenzione degli storici dell’architettura[23].

La storiografia araba, ed egiziana in particolare, ha da tempo dedicato attenzione all’opera di Antonio Lasciac, attingendo alle numerose fonti arabe che ne tratteggiano l’impegno professionale in Egitto. Dalla mole di studi a lui dedicati e dalle menzioni delle sue opere nelle pubblicazioni coeve e posteriori emerge la popolarità dell’architetto goriziano, che la maggior parte di queste fonti locali egiziane hanno considerato italiano anche prima della sua formale acquisizione della nazionalità[24]. Uno studio più approfondito sull’impegno di rinnovamento architettonico delle città egiziane sotto ‘Abbas Hilmi, che si avvalga delle fonti locali e non solo di quelle coloniali, potrebbe consentire, da un lato, di collocare la figura dell’architetto goriziano in un quadro più completo, dall’altro, aiuterebbe a capire meglio la portata del rinnovamento che, anche in campo urbanistico e architettonico, la dinastia di Mohammad ‘Ali ha realizzato in Egitto tra Otto e Novecento[25]. L’inedito qui presentato conferma l’interesse della vita e dell’opera di Antonio Lasciac per la storia dell’emigrazione italiana, e per la storia contemporanea dell’Italia, come anche la sua rilevanza per la storia dell’architettura.

Profilo biografico di Antonio Lasciac[26]

Antonio Lasciac fu Pietro, nacque a Gorizia il 21 Settembre 1856.

Nel 1879 prestò servizio militare. (esercito austro-ungarico)[27].

Nell’Ottobre 1882 ‒ dopo lunghe pressioni ed insistenze del Colonello Schwara [sic] ‒ si sottopose a Graz agli esami por conseguire il grado di ufficiale nella Riserva, ove ebbe il plauso del Generale e del Colonello Schwara che lo invitò a pranzo.

Il giorno 29 Settembre ‒ vigilia della sua partenza per Graz ‒ la patriottica Compagnia degli irredenti, elettrizzata da sentimento Santo, per fare dispetto a certa gente, volle inneggiare all’Italia. Gli inni patriottici echeggiarono sulle piazze e sulle vie di Santa Gorizia.

La Polizia composta di soli due sbirri ‒ briacchi di buon vino bevuto ai tre Gobbi per merito di Giuseppe Fitz e Lasciac ‒ arrestò a casaccio due cittadini ‒ Antonio Fitz e Luigi Marzini ‒ che processati per direttissima si beccarono tre settimane di prigione ognuno.

Non si sa chi avesse messo al corrente del fatto il Generale Urban che chiamò il Lasciac a rapporto, stupefacendo con questa chiamata tutti gli ufficiali del Comando di Graz. Al rapporto il Generale riprese severamente il Lasciac, ma lo lasciò partire per l’Egitto. L’unico certificato sugli esami subiti si concentrò poi in una comunicazione riservata che sotto piego suggellato l’I. e R. Consolato di Alessandria ‒ tutti gli anni ‒ faceva rimettere al Lasciac ed in cui era scritto che in caso di mobilitazione egli avrebbe dovuto trovarsi a Riva del Garda per assumere il servizio di f.f. d’ufficiale.

Questo il furbo castigo dell’I. & R. Stato Maggiore.

Nell’anno 1881, incominciò la sua carriera professionale a Gorizia, col progetto e direzione dei lavori di una casa in Piazza del Cristo e di altra casa in via Morelli, restaurò altre diverse case, progettò la nuova facciata per il Duomo Gorizia e fornì il progetto per la Chiesa Leupa sulla Bainsizza, ecc.

Consigliato, dal Signore Cav. Bragiotti allora Agente Consolare Italiano a Mansura, dal Signor Andrea dei Conti Caprara e dall’Ingegnere Signor Petrettini, profughi di Alessandria, il 27 Ottobre 1882 partiva da Trieste per l’Egitto.

Stabilitosi in Alessandria fu inscritto quale perito alla Corte d’Appello mista.

Nel 1883 si occupò dell’ingrandimento della Stazione di Ramle in Alessandria.

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Durante i lavori trova pericolosa e poca sicura la grande tettoia metallica arrivata ‒ prima degli avvenimenti dall’Inghilterra[28] ‒ comunica illustrandoli i suoi dubbi al Direttore Sigr. Gailly[29], e ne propone i lavori di rinforzamento.

Il Sig. Gailly s’oppone all’esecuzione dei lavori proposti e Lasciac dà le sue dimissioni. Dopo 15 giorni e precisamente il giorno 15 Marzo 1884, di buon mattino l’intera tettoia rovinava producendo alla Società un danno di oltre tremila lire egiziane. Questo fatto doloroso procurò al Lasciac grandi dimostrazioni di stima ‒ anche da parte degli Amministratori della A.R.R. ed una non infondata fama di provigente costruttore.

A quell’epoca stessa (1884) la Société des Immeubles d’Egypte lo               nominava architetto della Società affidandogli i progetti e la direzione tecnica dei lavori per l’erigendi immobili di Piazza Mohamed Aly e di Via Cherif Pacha, coprano una superficie di 10 mila metri quadri.

Queste opere sono state eseguite dalla Società in propria economia. Molti furono gli operai italiani che presero parte attiva a questi lavori.

Fra i muratori ricorderemo i nomi dei: Cartoni, Carbesi, Capitani Susini, Vatolo, ed altri. – fra i scalpellini, Camillo Beato con altri due Sammarinesi, fra i falegnami Pietro Sozio, Borca ed altri. ‒ Capomastro fu Domenico Gregoratti della Provincia di Udine.

Provveditore di mattoni di Livorno, Pelleranno.

Assuntrice di tutte le opere di marmo la Casa Giona di Livorno.

Fra l’anno 1885, quello 1888, il Lasciac costruiva l’Ospedale Menasce a Moharem Bey, la Villa Behor Aghion in Via Rosetti, ora Fuad 1°. Consolidò le fondazioni del pericolante edificio: Scuola Menasce, portando le fondazioni ad oltre 7 metri di profondità. Sottorondo il Mausoleo Menasce al Cimitero di Chatby arrivando con le nuove fondazioni ad otto metri sotto la salma senza disturbarla[30]. Solidificò le fondazioni della casa Gohar all’angolo di Via Nabi Daniel, approfondendole fino a 7 ‒ 8 metri sotto le vecchie murature.

Progettò e diresse i lavori di costruzione dell’Immobile Primi – 2000mq. – situato in Piazza Mohamed Aly.

I lavori furono fatti in regia; le facciate con i loro balconi, cornicioni, ecc. in cemento, furono primo esempio nell’impiego della pietra artificiale nell’edilizia egiziana.

1887 – Villa laurens a Ramleh in pietra artificiale di cemento. –

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1887-1888

Casa di Davide e Giacomo Aghion in Via Fuad, con facciate in pietra artificiale[31].

In tutti questi ed altri lavori meno importanti il Lasciac si è valso sempre di mano d’opera italiana, e si può aggiungere che gli esecutori di allora furono per gli indigeni i primi maestri d’arte edilizia.

Parecchie di queste opere del Lasciac furono pubblicate in Italia ed altrove.

Nell’Agosto 1888 ‒ il Lasciac infatuato dal desiderio nostalgico di vedere la Sua Adorata Italia, abbandonava Alessandria.

Arrivato a Roma, con le commendatizie di Riccardo Pitteri e Rossi[32] ‒ nobili patrioti italiani di Trieste – si recava alla Redazione della Tribuna ove fu bene accolto da Salvatore Barzilai[33], da Federico Fabbri, già fondatore in Alessandria del Messaggero Egiziano, da altri giornalisti ed artisti, si abbientò [sic] facilmente ‒ quantunque una grave crisi edilizia pesava su l’Urbe[34]. ‒

Si portò per qualche tempo a Napoli ove ebbe occasione di costruire una casa con appartamenti operai per certo Signor Postiglione di Castellammare di Stabia.

Nel frattempo si mise allo studio per il progetto di concorso della Sinagoga di Roma. ‒ Progetto che fu molto ammirato, premiato e pubblicato dal Donghi[35].

Nel 1892, abitando Roma, concorse per il progetto della Scuola Modello “Pacchiotti” di Torino e fra un grande numero di concorrenti fu fra i pochi prescelti per il concorso di secondo grado. Il progetto è stato apprezzato per la sua disposizione, per i suoi impianti sanitari, bagni, refettori, cucine e riscaldamento centrale. Novità queste non ancora adottate per gli edifici scolastici in Italia.

Assieme con Giulio Sanz di Trieste progetta un Grandioso Teatro per Piazza Colonna, commessogli dall’Ing. Giulietti di Genova, l’originale del quale dovrebbe trovarsi negli archivi in Campidoglio.

Fece un progetto per la Chiesa Metodista Americana di Via Venti Settembre, e senza far torto a nessuno la pianta odierna è simile a quella del Lasciac[36].

Progettò il restauro della Chiesa Parrocchiale di S. Rocco – Gorizia ‒ Progetto premiato a Vienna e pubblicato nell’Architekt.

Altro progetto di Chiesa per Gorizia, elaborato a Roma nel 1891, fu pubblicato a Steglitz (Berlino nel 1905)

Nel 1892, progetta e dirige i lavori del villino del Conte Barbiellini in Perugia.

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Nel 1893 e 1894. Fa il progetto di restauro per il Castello di Collaldo-Sabino [sic] e cura l’execuzione [sic] dei lavori fino ad Ottobre 1894.

Durante il periodo del suo soggiorno a Roma fa parte quale Socio effettivo dell’Associazione Artistica fra i Cultori d’Architettura ed è anche Membro delle Direzione.

Nel 1893-1894, ha la direzione tecnica ed è collaboratore assiduo della Rivista “L’Italia Artistica ed Industriale”, sovvenzionata dal R. Ministero della Pubblica Istruzione, alla quale collaboravano, Giosuè Carducci, il Panzacchi, il Prof. Biagi ‒ allora Capo di Gabinetto di Ferdinando Martini ‒ il Sartorio, il Retrosi ed altri.

Negli anni 1893-1894 si organizzava a Roma l’Associazione “Trento Trieste” fra gl’Italiani d’oltre confine.

Fra i primi iscritti si trova il Lasciac che fa parte del Consiglio direttivo assieme all’Ingegnere Antonio Dornig (presidente) al Prof. Dott. Dante Vaglieri, al Professore Ferd. Rodizza, all’On. Salvatore Barzilai ed altri[37].

Durante tutta la sua permanenza a Roma fu sollerte [sic] corrispondente del Giornale di Gorizia diretto da Carolina Luzzatto[38]. Come tale dovette spesso polemizzare con Monsignore Faidutti[39].

Nell’ottobre 1894 veniva richiamato in Egitto per deporre come testimonio al Ro. Tribunale Consolare di Alessandria. La sua permanenza in Egitto avrebbe dovuto essere di breve durata, ma la causa si protrasse a lungo ed in questo frattempo il Lasciac trovò nuovo lavoro in Cairo.

Nel Febbraio 1895 assieme con la Ditta Trehaki, progetta e dirige i lavori di uno studio fotografico ‒ di due villini e della Daira Halim Pascià.

Conosciuta dal Principe Halim[40], questi nel 1896 gli confida il progetto e la direzione dei lavori per il suo palazzo al Maarouf, Charia Antikhana. L’impresa dell’opera muraria l’ebbe il Cav. Nicola Marciano. Quella delle falegnamerie e delle opere d’intaglio, l’assunsero i Fratelli Jacovelli. Le pittura Nino Perucci.

Nel 1895-1896 fa il progetto di un villino per il Giudice Signor Dilberoglue al Ghezira. Assume la Direzione dei lavori e confida a Luigi Arena le opere di muratura e pietra artificiale[41].

In quest’anni progetta la Villa Mazloum Pascià in Via el Saha ‒ dirige i lavori di costruzione che S.E. fa eseguire in propria economia. Le falegnamerie le assumono i Sigg. Fratelli Jacovelli ed i lavori di pittura e pittura decorativa araba sono affidati ai Fratelli Prinzivalli.

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La Villa Dilberoglue è stata pubblicata nell’Architekt a Vienna – Quella di S.E. Mazloum nell’Edilizia moderna di Milano ed i saloni della Daira Halim Pascià nella Inner Dekoration a Darmstadt.

1896-1897. Si occupa del progetto e della direzione dei lavori per la villa Aly Bey Djelal (cugino e cognato del Principe Said Halim) l’Impresa generale dei lavori fu confidata al Cav. Nicola Marciano. – Le falegnamerie le assunsero i Fratelli Jacovelli. Questa villa è oggi occupata dalla Legazione diplomatica Truca.

Nello stesso tempo – il Lasciac chiamato dai Signori Fratelli Suares[42] – progetta e dirige i lavori di costruzione per la casa situata al Midan Suares, creata per ricevere al I° piano il Club Italiano del Risotto. L’impresa fu confidata alla Ditta italiana: Centonze, Marciano e Parboni.

I lavori di modellatura per stucchi e pietre artificiali furono eseguiti da Luigi di Matteo.

Nel 1897 la Daira Djelal Pascià affidava al Lasciac il progetto e la direzione dei lavori per il Palazzo che fu chiamato Club dei Quaranta. Il vecchio Palazzo esistente nell’area stessa e sulle medesime fondazioni, aveva tradizioni storiche, giacché allorquando Napoleone I° fu in Egitto venne scelto da lui quale sua residenza.

I lavori di muratura e di decorazione furono eseguiti dalla Ditta Ing. Calvi e Pilogatti. – Modellatore ottimo sotto la guida dell’architetto si mostrò il Signor Luigi di Matteo. – Bene eseguiti le opere di falegname, tanto semplici che artistiche, dai Fratelli Jacovelli. Specialmente notabili perché riuscite di buon effetto le porte intagliate del Salone del Club e quelle d’ingresso. – Le opere in ferro vennero eseguite da Brando Faccio milanese. I solai sono di cemento armato, primo tentativo fatto in Egitto col sistema Hennebique[43]. L’Architettura per le facciate – scriveva l’Edilizia Moderna – è della più schietta modernità. Vi si riscontra una nota originale che riesce assai gustosa e che forma la caratteristica di quasi tutti i lavori dell’architetto, autore del progetto. Ecc. ecc.

Il costo dell’edificio completamente finito ammontava a 12 mila sterline, poco più di 10 lire per ogni metro quadrato. Vedi Edilizia Moderna – Milano 1900.

Nel 1897 si costruì pure il villino della Daira Djelal nella Rue des Bains. Gli elementi architettonici usati per questo villino sono quelli del Club dei Quaranta – eseguiti dalla Ditta Ing. Calvi e Pilogatti. I graffiti vennero eseguiti conscienziosamente – su cartoni dell’Architetto – dal Sig. Luigi de Matteo [sic]. I lavori di ferro battuto da Brando Faccio.

Nel 1900 il Ro. Consolato d’Italia affittò il villino per stabilirvi le Scuole femminili a pagamento. Poi fu abitato dall’architetto che dopo la Guerra se ne rese il proprietario.

Vedi Edilizia Moderna – Milano 1901

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Nell’Anno 1898, S.A. la Principessa Nimat Allah Hanem[44], sorella di S. A. il Khedive, dà l’incarico al Lasciac per la costruzione del proprio Palazzo di residenza a Kasr El-Doubara, sulla via del Ponte di Kasr El Nil.

L’Impresa generale è affidata alle Ditta costruttrice Ingri., Calvi e Pilogatti. – Le falegnamerie delle imposte, i parchetti, i soffitti decorati in legno od in stucchi sono opere – eseguite su disegni del Lasciac ‒ dai Fratelli Jacovelli. I lavori di pittura e coloritura furono eseguiti dal Padre del compianto Avv. Pezzi Bey.

Alla fine dell’anno 1899 S. A. la Khedive Madre, si degnò dare affidamento al Lasciac per la costruzione del suo Palazzo di residenza a Bebek sul Bosforo. Nella primavera del 1900 l’Augusta Donna, si compiaceva di prenderlo ospite Suo a bordo dell’Yacht Khediviale Mahrousa che partiva per Costantinopoli. A Bebek si iniziarono immediatamente i lavori abbenchè il progetto, per molteplici ragioni economiche ed anche politiche, si dovette rifare.

Le opere sono state eseguite nella grande parte in cemento armato e pietre artificiali. Il debarcadero consistono [sic] in un’ampia terrazza con soletta in cemento armato, sopra fondazioni di pali armati e cemento, che si allineano lungo tutta la facciata del terreno prospiciente il Bosforo. Queste opere furono le prime che inaugurarono a Costantinopoli i cementi armati. Lavori che chiamarono l’attenzione degli Architetti Valauri [sic], D’Aronco e dell’ingegnere in capo dei ponti di Costantinopoli[45].

Il Lasciac quale costruttore non ebbe bisogno né Hennebique né di altri patentati.

In tredici mesi furono terminate le opere di costruzione del Palazzo di 2000 m2. ‒ di un villino alla sommità della collina ‒ e di una strada carrozzabile in salita che si estende nel grandioso parco del Palazzo a mare fino al Chiosco in montagna.

Ai primi del 1901, il Lasciac è stato incaricato da S.A. la Khedive Madre di recarsi in Europa per l’acquisto del Mobilio. Passando da Milano fece degli acquisti importanti presso la Ditta Zen, e comperò i mobili di lusso ‒ di un [sic] stile nuovo e caratteristico dovuto al Bugatti di Milano con Stabilimento alla Marcona. Vedi Edilizia Moderna ‒ Milano 1901 – Il pittore Italiano Bertozzi ha eseguito tutte le pitture ornamentali. Operai Italiani eseguirono le opere di costruzione e falegnamerie.

Nell’anno 1901, le Principesse Vedove di S. A. il Khedive Ismail, decisero di crearsi una nuova Residenza al Zaafran (Abbassieh) ed incaricano il Lasciac per lo svolgimento del progetto e la direzione dei lavori del nuovo Palazzo[46].

Il giorno 24 Agosto 1901 ‒ presente S.E. il Ministro Plenipotenziario di S.M. il Re d’Italia ‒ si pose la prima pietra. L’Impresa italiana Nicola Marciano aiutato dal Figlio Eduardo compì i lavori di costruzione, di decorazione e della pietra artificiale. I Fratelli Jacovelli quella delle falegnamerie. Sotto l’immediata direzione dell’Architetto, la Ditta Marciano eseguì pure tutte le opere molto significanti di cemento. ‒

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Nell’anno 1901, S.E. Ahmed Mazloum Pascià lo incaricava del progetto di un nuovo villino da costruirsi a Ramleh (Alessandria)[47]. ‒ I lavori di falegnamerie furono affidati all’italiano Francesco Lombardo, il quale ha eseguito pure dei mobili.

Nel 1902 d’accordo coll’amico Prof. Dott. Dante Vaglieri ‒ giunto in Egitto per ispezionare le Scuole Italiane ‒ induce i Signori Fratelli Jacovelli di cedere gratuitamente al museo di Palermo oggetti importanti d’arte araba antica. In seguito a ciò e su proposta di S.E. il Ministro Prinetti, S. M. il Re si è degnata nominarlo Cavaliere della Corona d’Italia ‒ Decreto del 28 Giugno 1902.

Più tardi – al momento della morte del Professore Dott. Botti[48], fondatore e primo direttore del Museo Greco-Romano di Alessandria ‒ il Lasciac trovasi a Roma e l’amico Dott. Vaglieri in allora Direttore del Museo Nazionale ed i funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione, presentarono al Lasciac il giovanissimo Dott. Breccia, facendogli fervida raccomandazione per la sua nomina al posto del defunto Botti. Lasciac ritornato in Egitto, espose la questione alle Loro Eccellenze Mazloum Pascià ed Abani Pascià[49]. Queste Eccellenze si convinsero che un posto lasciato vacante da un Italiano dovrebbe essere rioccupato da altro Italiano, come è sempre seguito per i francesi.

Fra gli altri amici del Lasciac vi era il Sig. Zouro di Alessandria e di nazionalità Greca che avrebbe potuto influenzare, in favore del Breccia, i suoi colleghi Greci del Consiglio della Municipalità.

Venuto il Breccia in Egitto, il Lasciac lo presentò in Alessandria al Sig. Zouro che fra l’altro disse: “Vi sono dei concorrenti Greci ma di questi io non me ne fido e darò e farò dare il voto all’amico Vostro Italiano, anche perché a voi voglio molto bene. Si avrà forse una lotta con i francesi capitanati da Padon Bey ‒ ma non temete! Mazloum Pascià ed Abani Pascià contano per gli indigeni e io valgo qualcosa per i Greci.”

Arrivato il Dott. Breccia al Cairo fu presentato dal Lasciac ad Abani Pascià ed a Mazloum Pascià. Le Loro Eccellenze lo accolsero con deferenza e gli annunciarono che in serata avrebbe avuto luogo la votazione.

Alle 9.1/2 di sera un dispaccio da Alessandria diretto al Lasciac ‒ diceva: “Breccia è stato eletto, felicitazioni, saluti ‒ Zouro”

Chi fra gli unici e tenere a bada i diversi consiglieri, fu l’amico Luigi Biagini allora Segretario alla Corte d’Appello Mista. Nel giorno della sua morte in un articolo nel Messaggero Egiziano del 21 Ottobre 1927 si leggeva:

“No, Luigi Biagini non era Cavaliere, Dio sia lodato. Ev. Breccia. –

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Nell’anno 1904 la Ditta Stein di Vienna incaricava Lasciac del progetto e della direzione dei lavori per la costruzione dei loro Grandi Magazzini sulla Piazza Ataba El Khadra. ‒Edoardo Marciano assume i lavori di costruzione, di decorazione, delle pietre artificiali e del cemento armato. I Fratelli Jacovelli eseguiscono tutte le falegnamerie e il mobilio del magazzino. ‒ Brando Faccio si occupa dei lavori metallici e Nino Perucci delle coloriture. ‒

Negli anni 1905-1906 il Rettore della S. Mary Mission incarca l’architetto Lasciac del progetto e direzione dei lavori della Chiesa in Via del Vecchio Cairo. Il Lasciac concede gratuitamente tutta l’opera sua.

Enrico Brandani assume l’impresa dei lavori. Le decorazioni delle facciate esterne della Chiesa, già in allora per ragioni di economia, sono state sospese e sospese rimangono ancora oggi.

Nell’anno 1906-1907 Omar Sultan Pascià dà l’incarico al Lasciac di progettare lo Salamlik, annesso al suo vecchio Palazzo di Charia El Saha[50]. Lasciac eseguisce il progetto e dirige i lavori assunti dall’impresa Pilogatti.

1908 ‒ Il Lasciac ha fatto il progetto per la Villa di Saleh Bey Nemek sul grande viale di Ghiza. La villa fu a suo tempo abitata da S.M. il Re Amanulah[51]. Ore è adibita a scuola. ‒

Già dal 1895 il Lasciac è tra i Soci del Circolo Italiano del Risotto che aveva per Presidente l’Avvocato Figari.

Il Figari ed il Dott. Desirello Bey lo proposero a Socio della Beneficenza Italiana, ma il Ro. Console di allora si oppose alla sua nomina col dire che non desiderava avere nella Società degli Irredenti. Ma ciò non può offendere lo spirito di Italianità che lo domina. Si fa Socio della Società Operaia di Mutuo Soccorso, della Società Filodrammatica diretta da Enrico Brandani e della Dante Alighieri al suo primo inizio d’attività

Con il Prof. Sampaolo ‒ allora Segretario del Circolo del Risotto – con il Prof. Polarolli e con Paolo Pilogatti organizza la Scuola serale Leonardo da Vinci. Senza fare torto a nessuno i quattro furono a quell’epoca i veri fondatori o costruttori della Scuola.

Negli anni 1901 e 1902 il Lasciac organizza pro Scuola Leonardo da Vinci, i grandiosi Veglioni al Teatro dell’Opera.

Le feste campestri a Helouan, le lotterie, per le quali la Signora Lasciac molto attiva raccoglie regali di grande valore. Fra gli oblatori più cospicui figuravano i Djelal Bey, l’Ing. Hennebique, Centonze, Marciano, Parboni, Cicurel, Jacovelli, ed altri che facevano a gara per superarsi.

Fu un vero plebiscito di simpatica collaborazione.

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Il Lasciac garantisce alla Daira Djelal l’affitto di casa ed anche spesso è obbligato di pagarlo senza chiedere ricevute e cercare ringraziamenti.

L’Avvocato Lusena in allora presidente del Comitato della Dante, nel 1902 d’accordo con il Pilogatti presidente della Mutuo Soccorso, colloca la Scuola sotto gli auspici della Dante.

Nell’anno 1907 ‒ dopo un concorso, pubblicato, al quale presero parte 17 concorrenti, S.A. il Khedive, chiama a occupare il posto di Architetto in Capo dei Palazzi Khediviali, il Lasciac che non aveva concorso.

Durante la sua missione l’architetto Lasciac ha eseguito vari ed importanti lavori nel Palazzo di Ras-El-Tine e costruì dalle fondazioni in su le nuove facciate in pietra artificiale del Palazzo d’Abdin coll’impresa italiana Bencini.

Nell’ottobre del 1911 avrebbe dovuto recarsi in Asia minore con una missione italiana, presieduta dal Senatore Prof. Lustig, per studiare il risanamento delle proprietà Khediviali di Dalamon. Lo scoppio della Guerra in Libia obbligò S.A. di rimandare ad altra epoca il compimento e ciò sebbene il Professore Lustig si trovasse già in Alessandria[52].

Il soggiorno del Prof. Lustig in Alessandria fu per noi un vantaggio politico ‒ perché ripartito per l’Italia è stato un intermediario di gran valore per le comunicazioni che S.A. il Khedive spediva a S. M. il Re ed al Governo d’Italia, a mezzo di note scritte dal Lasciac.

Finita la Guerra nell’autunno 1912, l’Architetto Lasciac si porta insieme a S.A. il Khedive a Costantinopoli dove si dovevano collaudare ed intraprendere nuovi lavori.

Da Costantinopoli si recarono a Kavala per studiare assieme all’Ing. Abel il nuovo acquedotto, il Piano regolatore della Città ed il progetto per una Residenza Khediviale.

Fatto il progetto del Palazzo, il Khedive affidò i lavori all’impresa italiana Seminati. Questo immobile costruito tutto di marmo arrivò ai primi del 1914 all’altezza del II° Piano ‒ ma poi la Grande Guerra è state causa della sospensione dell’opera.

Il Prof. Lustig ritornò in missione nella primavera del 1913 e l’Architetto Lasciac lo raggiunse a Rodi.

Il Generale Ameglio ha fatto al Lasciac le migliori accoglienze ed ordinò al Commando della Marina di mettere a disposizione della missione sanitaria, una torpediniera e d’accompagnarla fino allo scalo di Dalamon.

L’operosità impiegata dal Lasciac durante la guerra Libica, agli ordini di S.A. il Khedive, in favore dell’Italia è possibile assicurarla con le testimonianze di S.E. il Tenente Generale Vittorio Emanuele Elia e del Senatore On. Lustig.

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Molteplici altri lavori ha fatto il Lasciac per S.A. il Khedive e tra gli altri un ponte in cemento armato a Dalamon, un progetto di Grande Moschea per Montazah – che la guerra del 1914 la trovò e la lasciò a 60 ctm. fuori terra, delle case rustiche per le tenute di Tschibukly, case per impiegati ed uffici a Tschibukly – Dalaman e Montazah – ove restaurò ed ampliò lo Salamlik.

Arrivato il febbraio del 1915, il Commando Inglese impose al Lasciac di lasciare l’Egitto entro 15 giorni ‒ ed in questo tempo il Lasciac ha creduto necessario di distruggere tutti i documenti che si riferivano alla Guerra Libica, anche perché molti interessavano l’Azione Anti italiana e turcofila esercitata da un grande personaggio inglese.

Nell’anno 1909 S. A. il Principe Youssouf Kamal ordinò al Lasciac il progetto per la Sua Residenza di Matarieh[53].

Questo Palazzo è uno dei più suntuosi del Cairo. Lo scalone è di granito d’Assuan. La sala da pranzo in stile bizantino è decorata di marmi, di graniti, alabastri e mosaici.

I mobili sono di preziosi marmi. Le opere di granito e marmi sono uscite da mani italiane. Il magnifico soffitto di legno noce e le sedie intagliate sono opere dei Fratelli Jacovelli. Il tavolo è di Francesco Lombardo.

Tutti i disegni, grandi al vero delle magnifiche falegnamerie che ornano le altre sale sono usciti dalla mano del Lasciac. L’esecuzione l’ebbero l’ebanista Francesco Lombardo ed i Fratelli Jacovelli.

Nel 1910 dopo la morte di S.E. il Presidente del consiglio, Boutros Ghali ‒ la famiglia dà mandato all’architetto Lasciac di fare il progetto della Chiesa espiatoria in memoria del defunto assassinato[54].

Un anno dopo nel 1911 il Tempio è stato inaugurato con grande solennità. Il Lasciac se ne ebbe dalla famiglia da S. A. il Khedive e da molti altri, fra cui lo studioso Sommers Klark, i migliori encomi per la buona riuscita del monumento.

In allora tutto l’edificio tanto esternamente che internamente si presentavo maestoso entro i suoi blocchi di pietre da taglio. Ma la famiglia desiderava la decorazione pittorica delle pareti interne del Tempio, con absidi in mosaico di Venezia.

Il Lasciac volle che un artista italiano affrescasse la chiesa. A questo scopo pregò il Prof. Giovannoni, Presidente dell’Associazione fra i Cultori d’Architettura in Roma di aprire un concorso fra gli artisti italiani[55]. Vincitore del concorso riuscì il Prof. Primo Panciroli che per la durata di quasi sei anni portò da solo a compimento l’opera interessante[56]. I mosaici assimilati agli antichi mosaici di Venezia e Ravenna, furono eseguiti dal Cav. Angelo Gianesi di Venezia.

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Nel 1910 costruisce la sua Villa a Gorizia, la decora di falegnamerie, ebanisterie, porcellane, bronzi, mobili e stoffe arabe antiche. ‒

Nell’anno 1910 S.A. il Khedive nomina il Lasciac membro del Comitato per la Conservazione dei Monumenti Arabi, carica che occupò fino al febbraio del 1915.

Con Imperiale decreto del 10 Settembre 1910 gli si conferiva l’ordine di Quarta Classe dell’Aquila rossa.

Obbligato a lasciare l’Egitto il 15 Febbraio 1915 parte per Roma, ove rimane fino dopo l’armistizio.

Durante il suo soggiorno e Roma fa parte della Commissione prefettizia ‒ presieduta dal Comm. Talpo ‒ per i profughi e si occupa in special modo per i 150 profughi di Monfalcone ricoverati in un asilo municipale.

Fa parte del Comitato tecnico in seno all’Associazione per le nuove provincie d’Italia. Scrive qualche articolo riguardante Gorizia per i giornali della Capitale. Si associa al Comitato della Dante in Roma. Pubblica un opuscolo sul Leone di. S. Marco del Castello di Gorizia, e studia il Piano regolatore per la Città di Gorizia.

Nell’Agosto 1918 convoca i cittadini di Gorizia e Gradisca ad una adunanza per commemorare il secondo anniversario della prima redenzione di Gorizia.

In quell’occasione ebbe l’onore di ricevere i dispacci di S. M. il Re, di S.E. il Capo del Governo, dall’On. Barzilai e da molti amici e patrioti.

Questi dispacci si trovano al Museo provinciale della Redenzione a Gorizia, insieme alla Bandiera di Gorizia e Gradisca, voluta dal Lasciac, ricamata a Roma dalla Signorina Goriziana: Fede Candutti. Presente il Sottosegretario di Stato agli Interni ‒ l’Onorevole Mirabelli ‒ la inaugurava in nome di Roma Madre all’Augusteo.

L’anno 1919 il Lasciac lo passò nella sua Gorizia ove fu assiduo collaboratore della “Voce dell’Isonzo” ed animatore dei suoi concittadini divenuti legittimi figli d’Italia.

Il giorno 15 Gennaio 1920 lasciava la sua Gorizia per ritornare al Cairo e riprendere la sua interrotta attività professionale per il completamento del Palazzo di S.A. il Principe Youssouf Kamal.

Appena arrivato S. E. Mazloum Pascià lo incaricava del progetto di un villino nei pressi della Piazza d’Ismailia e del quale ebbe anche la direzione dei lavori. – Impresa Rolin – Falegnamerie: Francesco Lombardo.

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In questo frattempo il Lasciac si occupa pure della sua Villa di Gorizia distrutta dalla Guerra. Fa istanza per avere l’indennità. Ma non gli furono concesse che 100 mila lire in obbligazioni delle Venezie, adducendo che la Villa aveva carattere lussuoso. Per sentimento di pura Italianità il Lasciac ha creduto per dare un buon esempio agli altri, di dover ricostruire la villa, incaricò l’Ing. Bianchi di Gorizia per l’esecuzione. Ora la Villa che l’esercito italiano battezzò “Villa Moresca” manca di tutte quelle opere d’arte antica, ma ciò nonostante le spese per la ricostruzione salirono a quasi 400.000 lire italiane.

Nel 1921 S.A. il defunto Principe Kemal El Dine lo incaricava di diversi lavori di sistemazione del Convento di Sidi-El-Magauri, al Mokatam, e del progetto di una casa nella quale dovevano entrare pregevoli oggetti antichi d’arte araba[57].

Detto progetto fu completato fino alla fine, ma il povero Principe lo rimandava di anno in anno, con la speranza di fare nuovi e preziosi acquisti di opere antiche, e guarnire meglio questo ambiente da lui tanto sognato.

Nel frattempo per lo stesso Principe si eseguirono molti lavori nella Sua Villa di Ghiza e si restaurò la Villa della Sua Daira a Kasr El Doubara ‒ sempre con le medesime imprese italiane, Bianchi, Jacovelli, Sempi, Ricci e Martinelli.

Nell’anno 1923, S.E. Adly Pacha Yeghen incaricava il Lasciac di elaborare un progetto per un palazzo da costruirsi sul lungo Nilo a Garden City. Terminato il progetto il giorno 19 Maggio 1924 si pose solennemente la prima pietra[58].

  1. Bianchi, successore di Riccaldone Santo, assunse i lavori delle murature, dei cementi armati, della pietra artificiale, degli intonaci semplici e decorativi. I Fratelli Jacovelli presero a fare tutti i lavori delle falegnamerie semplici e di lusso con intagli ‒ i parchetti, parti dei mobili ed altro. Giuseppe Sempi intraprese tutte le opere metalliche.

Martinelli & Co. tutti gli impianti sanitari.

I Fratelli Borsa, fornirono e posero in opera lo scalone monumentale in botticino ed aurora, oltre scale ed i ricchi pavimenti di medesimi marmi.

1924 ‒ Progetto per la Banca “Misr”

Alla fine dell’anno 1924, dopo aggiudicazione, i lavori di costruzione dell’edificio bancario sono stati affidati alla Ditta Rolin. Più tardi le falegnamerie e le ebanisterie sono state confidate ai Sigg. Fratelli Jacovelli.

I lavori metallici sono stati assunti dal Sig. Giuseppe Sempi. I pregevoli marmi forniti e posati dal Signor Giuseppe Ricci. Pittore decoratore fu Lorenzo Orlandi. La banca si inaugurò nel giugno 1927.

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Nell’anno 1925, S.E. Mohamed Taher Pascià, Agente per l’Augusta Madre Sua la Principessa Emina Hanem Ismail diede l’incombenza all’arch. Lasciac di sviluppare il progetto per una grandiosa Villa di 800 m2. da costruirsi a Cuba[59].

Giovanni Bianchi imprese i lavori di muratura, cemento armato, decorazioni in pietra artificiale, e stucchi decorativi.

I Fratelli Jacovelli si interessarono delle falegnamerie semplici, decorative, delle ebanisterie, dei parchetti e di altri lavori importanti di legnami.

Giuseppe Ricci ‒ assieme ai marmi ed alabastri – forniva il monumentale scalone di marmo di prima qualità.

Giuseppe Sempi compì tutte le opere metalliche anche le più raffinate in arte.

Martinelli & Co. eseguirono gl’impianti sanitari.

Alla fine dell’anno 1925, per amichevole intervento di S.E. Hafez Afifi Pascià[60], fa gratuitamente il progetto ed assume la direzione dei lavori per l’erigendo ospitale dell’infanzia nei pressi di Kasr El Aini.

L’impresa delle opere di muratura, cementi armati e pietra artificiale, l’ebbe il Sig. Giovanni Bianchi, quella per i lavori del legno i Sigg. Fratelli Jacovelli.

Bologna Ottobre 1899. il Comitato esecutivo del IX Congresso degli Ingegneri e degli Architetti conferisce al Lasciac il diploma di benemerenza.

Cairo 1921 ‒ La Presidenza dell’Associazione dei Combattenti Italiani ‒ in occasione della fondazione della Cassa di previdenza ‒ rilascia al Lasciac un attestato di benemerenza.

La Reale Insigne Accademia di S. Luca, nell’adunanza generale del 6 Dicembre 1929 ha nominato Accademico di Merito nella classe di Architettura, l’Arch. Lasciac.

Il titolo di Bey della II° classe di rango è stato conferito al Lasciac nel 1909. ‒

Nell’anno 1914, per invito del Ro. Consolato Generale di Alessandria, fa parte della Giuria nominata a classificare il valore dei progetti presentati, da architetti italiani, del Concorso per l’esecuzione dell’Ospedale Italiano ‒ ora Benito Mussolini ‒ in Alessandria.

In seno alla Commissione esaminatrice è eletto Relatore. La sua relazione, in linea tecnico sanitaria, è ottimamente accolta dal R°. Ministero degli Esteri in Roma. L’architetto Loria è proclamato vincitore del Concorso.

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Dopo l’esecuzione degli edifici è chiamato – insieme ai Sigg. Taverna e De Farro ad appianare le difficoltà sorte fra l’impresa costruttrice “Almagià” e l’Amministrazione Ospitaliera.

In seguito ad accurate indagini – presenti le parti – la Commissione rilascia il proprio lodo, di amichevole compositrice, e le parti l’accettano con chiara deferenza.

Fra parentesi: Se agli illustri sanitari ed all’architetto Loria si debbono vive e sincere congratulazioni per la buona riuscita del Nosocomio Italiano di Alessandria, pure un tantino di riconoscenza bisognerebbe tributare al Lasciac che, non badando ad amicizie, seppe scegliere, fra quindici o sedici concorrenti, il progetto migliore e quello che più d’ogni altro si presentava ai suoi futuri ingrandimenti.

Chiamato dal Governo Egiziano fece parte della Giuria per la scelta del progetto per il Palazzo di Giustizia dei Tribunali Misti.

Prese parte ai lavori della Giuria del concorso per il piano regolatore della Città Giardino di Sidi-Gaber, Alessandria. – Più tardi ebbe l’incarico dal Proprietario Sig. Smouha, di fare un nuovo piano regolatore per la suddetta località.

La Direzione delle ferrovie egiziane, incaricava il Lasciac di occuparsi della parte architettonica della Nuova Stazione ferroviaria di Cairo in Alessandria, ed i lavori seguirono il progetto suo. –

[Aggiunta a mano]

Ebbe la direzione dei lavori dei Grandi edifici kediviali [sic] di Cairo con l’Ar. Brocher

Idea e progetto della lampada votiva dei Combattenti Italiani d’Egitto per la tomba del Maresciallo Cadorna

Progetto e direzione dell’esecuzione della Custodia per la pergamena offerta dai Combattenti d’Egitto a S. Maestà il Re d’Italia

Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia dal 1933


[1]           Segnaliamo alcuni dei principali lavori sull’emigrazione italiana in Egitto a cominciare dai più antichi: Luigi Antonio Balboni, Gl’italiani nella civiltà egiziana, Alessandria, Tipo-Lit. V. Penasson, 1906; Angelo Sammarco, Gli italiani in Egitto. Il contributo degli italiani nella formazione dell’Egitto moderno, Alessandria, Edizioni del Fascio, 1937; Vittorio Briani, Gli italiani in Egitto, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1982; L’Italia e l’Egitto. Dalla rivolta di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922), a cura di Romain H. Rainero e Luigi Serra, Milano, Marzorati, Milano, 1991; Robert Ilbert, Alexandrie, 1830-1930: Histoire d’une communauté citadine, Le Caire, Institut Français d’Archéologie Orientale, 1996; Marta Petricioli, Oltre il mito. L’Egitto degli italiani (1917-1947), Milano, Bruno Mondadori, 2007; Olga Tamburini, In viaggio lungo le rotte del grano. La “comunità” napoletana ad Alessandria d’Egitto nella prima metà del XIX secolo, “Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana”, 4 (2008), pp. 173-190; Daniele Natili, Una parabola migratoria: fisionomie e percorsi delle collettività italiane in Africa, Viterbo, Sette Città, 2009; Joseph John Viscomi, Out of Time. History, Presence, and the Departure of the Italians of Egypt, 1933-present, PhD Dissertation, University of Michigan, 2016; Italian Subalterns between Emigration and Colonialism (1861-1937), a cura di Costantino Paonessa, Louvain, Presses Universitaires de Louvain, 2021.

[2]           Un italiano d’Egitto scrisse un profilo storico sul regno di Mohammed Ali, si veda Angelo Sammarco, Il regno di Mohammed Ali nei documenti diplomatici italiani inediti, Le Caire, Société Royale de Géographie d’Egypte, 1930. Sul processo di modernizzazione dell’Egitto khediviale si vedano i più recenti Afaf Lutfi Al-Sayyid Marsot, Egypt in the Reign of Muhammad Ali, Cambridge, Cambridge University Press, 1984; Khaled Fahmy, Mehmed Ali. From Ottoman Governor to Ruler of Egypt, Oxford, Oneworld, 2009; Marwa El Ashmouni e Katharine Bartsch. Egypt’s Age of Transition: Unintentional Cosmopolitanism during the Reign of Muhammad ‘Alī (1805–1848), “Arab Studies Quarterly”, 36, 1 (2014), pp. 43-74.

[3]           Cfr. Giovanni Battista Brocchi, Giornale delle osservazioni fatte ne’ viaggi in Egitto, nella Siria e nella Nubia, Bassano, 1841-1843, 5 vol., cit. in Muhammad Abdelkader Kenawi, L’italiano in Egitto e Italiani d’Egitto. Autori e traduttori in epoca moderna tra l’una e l’altra sponda del Mediterraneo, Milano, Ledizioni, 2022, pp. 45-46.

[4]           https://iiccairo.esteri.it/iic_ilcairo/it/gli_eventi/calendario/2010/01/gli-italiani-nella-civilta-egiziana-del-secolo-xix.html. Ultimo accesso 5-7-2022.

[5]           Cfr. Costantino Paonessa, Anarchismo e colonialismo. Gli anarchici italiani in Egitto (1860-1914), “Studi storici”, 58, 2 (2017), pp. 401-428, e Migrazioni trans-mediterranee 1898-1906. Confini, spazi e identità nei gruppi anarchici italiani in Egitto, “Acronia. Studi di storia dell’anarchismo e dei movimenti radicali”, 1 (2021), pp. 83-98, con ampia bibliografia.

[6]           Con queste parole si esprimeva l’allora console italiano al Cairo, Giuseppe De Martino. Cfr. Alessandro Polsi, Una carriera in Oriente. Giuseppe De Martino console generale in Egitto (1864-1889), in Consoli e consolati italiani dagli stati preunitari al fascismo (1802-1945), a cura di Marcella Aglietti, Mathieu Grenet e Fabrice Jesné, Rome, École française de Rome, 2020, pp. 239-265. Il rapporto politico di De Martino in cui appare tale giudizio è riportato in Italian subalterns in Egypt, cit., pp. 9-10. I contributi raccolti in questo volume illustrano alcuni aspetti della storia “dimenticata” dell’emigrazione italiana in Egitto, concentrandosi proprio sulle classi subalterne.

[7]           Profilo di Antonio Lasciac (senza titolo), in Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Fondo Rappresentanza diplomatica Egitto ‒ Il Cairo 1864-1940, busta 307, anno 1937, fascicolo “Schedario”.

[8]           Sulla figura di ‘Abbas Hilmi si vedano, anzitutto, le sue memorie The Last Khedive of Egypt. Hilmi II, traduzione e cura di Amira Sonbol, Reading, Ithaca Press, 1998. Si veda anche Donald M. McKale, Influence without Power. The Last Khedive of Egypt and the Great Powers, 1914-18, “Middle Eastern Studies”, 33, 1 (1997), pp. 20-39. Sugli impegni di lavoro di Antonio Lasciac su commissione del khedivè ʽAbbas Hilmi si trova traccia anche negli archivi del khedivè. In particolare, si tratta dei rapporti diretti dall’allora capo di Gabinetto, Ahmad Shafiq Pasha, al sovrano relativi ai lavori di rinnovamento di alcuni palazzi khediviali, il palazzo di Ras al-Tin ad Alessandria e i palazzi di Abdin e Ismaïlia al Cairo, Durham University Library Archives & Special Collections, Durham, Fondo ʽAbbas Hilmi II papers, HIL/166/468-469, 474-475.

[9]           Cfr. M. Petricioli, Oltre il mito, cit., p. 17. Alla corte del khedivè lavoravano anche architetti greci, armeni e di altre nazionalità europee.

[10]          Per una descrizione dettagliata, si veda ancora ibid., pp. 17-21.

[11]          Si veda la relazione sulla missione, Alessandro Lustig, Lutte contre la malaria à Dalaman – Anatolia, Cairo 1912, in collab. con G. Minerby – A. Kautzky, cit. in Stefano Arieti, Lustig, Alessandro, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 66, 2006.

[12]          Da ultimo Diego Kuzmin, Antonio Lasciac tra oriente e occidente. La villa sul Rafut, tesi di dottorato non pubblicata, Università degli studi di Trieste, a.a. 2014-15, nota 17, p. 28, che segue la comune narrazione riportata dalla storiografia precedente.

[13]          Sulla storia dell’Egitto moderno si veda Panayotis J. Vatikiotis, The history of modern Egypt. From Muhammad Ali to Mubarak, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1991.

[14]          Mercedes Volait, Un architecte face à l’Orient: Antoine Lasciac (1856-1946), in La fuite en Egypte, a cura di J. C. Vatin, Il Cairo, Cedej, 1989, pp. 265-273; Diana Barillari, La villa “Egiziana” di Antonio Lasciac a Gorizia: revival islamico nella Mitteleuropa, in Architetti italiani nel Levante e nell’Africa settentrionale, dossier monografico di “Quasar. Quaderni di storia dell’architettura e restauro”, 18 (1997), pp. 19-30; Ead., La Villa “egiziana” di Antonio Lasciac sul Rafut: revival islamico nella Mitteleuropa, in Borc San Roc, a cura di Lorenzo Boscarol, Gorizia, Grafica goriziana, 1998, pp. 43-56; Diego Kuzmin, Il quaderno fotografico delle opere di Antonio Lasciac presso l’accademia di San Luca a Roma, “Studi Goriziani”, 89 (1999), pp. 113-127; Cristina Pallini, Architettura italiana ad Alessandria, “Controspazio”, 5 (2000), pp. 22-30; Diana Barillari, Les bâtiments de la compagnie des Assicurazioni Generali au Caire, in Le Caire – Alexandrie architectures européennes, “Études urbaines”, 5 (2001), pp. 35-48; Marco Chiozza, Antonio Lasciac. Tra echi secessionisti e suggestioni orientali, Mariano del Friuli (Gorizia), Edizioni della Laguna, 2005; Architetti e ingegneri italiani dal Levante al Magreb, 1848-1945: repertorio biografico, bibliografico e archivistico, a cura di Ezio Godoli e Milva Giacomelli, Firenze, Maschietto, 2005; Da Gorizia all’impero ottomano Antonio Lasciac architetto. Fotografie della collezione Alinari, catalogo della mostra a cura di Ezio Godoli, Firenze, Fratelli Alinari, 2006; Architetti e ingegneri italiani in Egitto dal diciannovesimo al ventunesimo secolo, a cura di Ezio Godoli e Milva Giacomelli, Firenze, Maschietto, 2008; Diego Kuzmin, Della famiglia di Antonio Lasciac, un recuperato fondo di ventuno cartoline nella collazione col foglio di famiglia n.1222, dell’Anagrafe di Gorizia, “Borc San Roc”, 21 (2009), pp. 46-63; Ezio Godoli, Gli architetti friulani e giuliani nell’emigrazione politica italiana verso l’Egitto, in Le rotte di Alexandria, a cura di Franco Però e Patrizia Vascotto, Trieste, Edizioni Università di Trieste, pp. 123-139; Diego Kuzmin, Antonio Lasciac tra oriente e occidente. La villa sul Rafut, tesi di dottorato non pubblicata, Università degli studi di Trieste, a.a. 2014-15; Paola Cochelli, Alberto Sdegno e Diego Kuzmin, Researches on Architectural Heritage Drawing Between Italy and Slovenia. The Antonio Lasciac’s Villa, INTBAU International Annual Event, Cham, Springer, 2017; Bernard O’Kane, The Architect Antonio Lasciac (1856–1946) in the Context of Mamluk Revivalisms, “Annales Islamologiques”, 54 (2020), pp. 299-332. Tra gli studi più recenti segnaliamo Abdallah Abdel-Ati Naggar, Antonio Lasciac and his architectural works in Arabic eyes, “Journal of Central and Eastern African Studies”, 1 (2021), pp. 209-220. Quest’ultimo saggio contiene un’ampia e interessante bibliografica degli studi prodotti nel mondo arabo che testimoniano la fortuna di questo architetto nel contesto mediorientale.

[15]          Gli archivi britannici riportano numerosi casi di sudditi austro-ungarici provenienti dall’Egitto e prigionieri a Malta ai quali fu concesso il trasferimento in Italia, in altri stati europei o negli Stati Uniti. Si veda The National Archive, London, FO 383 (1915-1919) Foreign Office: Prisoners of War and Aliens Department: General Correspondence from 1906, in particolare i file riguardanti i prigionieri dell’Austria-Ungheria.

[16]          Antonio Lasciac, Come l’impronta del Leon di S. Marco si trova sul Castello di Gorizia, Roma, Tip. Danesi, 1916.

[17]          Cfr. Donald Malcolm Reid, Cairo University and the Making of Modern Egypt, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.

[18]          Sulla figura di Ernesto Verrucci si veda Ezio Godoli, Sources idéologiques et iconographiques des architectures d’inspiration islamique dues à Ernesto Verrucci Bey, “Annales islamologiques”, 50 (2016), pp. 199-234.

[19]          Cfr. nota 14.

[20]          Cfr. D. Kuzmin, Antonio Lasciac tra oriente e occidente, cit.

[21]          Ibid., p. 83.

[22]          Cfr. Durham University Library Archives & Special Collections, Durham, Fondo ‘Abbas Hilmi II papers, Reports in Arabic dated 1908 from Ahmad Shafiq to the Khedive concerning renovation work at Ras-al-Tin Palace in Alexandria and Abdin and Ismaïlia Palaces in Cairo, under the supervision of the Architect Antonio Lasciac, HIL/166/468-469,474-475.

[23]          Cfr. i saggi elencati alla nota 14.

[24]          Tra gli studi arabi segnaliamo quello più recente di Abdallah Abdel-Ati Naggar, prima citato.

[25]          Segnaliamo, a questo proposito, i fondi archivistici della Dar al-watha’iq al-Qawmiyyah, gli archivi nazionali egiziani del Cairo, alla cui ricchissima documentazione per il periodo considerato si aggiunge il fondo documentario del khedivè ‘Abbas Hilmi, conservato in Gran Bretagna, Durham University Library Archives & Special Collections, Durham, Fondo ‘Abbas Hilmi II papers.

[26]          Archivio Storico-Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Fondo Rappresentanza diplomatica italiana in Egitto, busta 307 (anno 1937), fascicolo “Schedario”. Il documento, senza indicazione di titolo, si presenta in quattordici fogli dattiloscritti, rilegati assieme, senza indicazione dell’autore. Il testo presenta numerose sottolineature e correzioni a penna e matita, oltre ad una aggiunta manoscritta nella parte finale. I numerosi refusi grammaticali e sintattici sono stati corretti per facilitare la lettura. I nomi propri di persona e di luogo, anche se manifestamente errati nella forma o nella traslitterazione dall’arabo, sono stati lasciati nella forma originale.

[27]          Aggiunta a mano. Tutte le note a correzione o spiegazione del testo sono redazionali.

[28]          Si allude allo sbarco dei britannici ad Alessandria nel 1882.

[29]          Era il direttore delle ferrovie di Ramleh.

[30]          La casata de Menasce, di origine sefardita, era tra le più importanti famiglie ebraiche egiziane, presente in Egitto dall’inizio dell’Ottocento. Nel 1872 Jacob David de Menasce ottenne la protezione asburgica e l’anno seguente la nazionalità ungherese. Fu presidente della comunità ebraica del Cairo e rappresentante degli ebrei asburgici in Egitto. A sua volta, il banchiere Jacques de Menasce fu presidente della comunità ebraica di Alessandria e cofinanziò assieme alla comunità la costruzione dell’Ospedale. I legami dei de Menasce con l’Austria-Ungheria sono forse all’origine dei contatti con l’allora suddito asburgico Lasciac.

[31]          Famiglia di ebrei di origine italiana stabilitasi in Egitto tra fine Ottocento e inizio Novecento.

[32]          Riccardo Pitteri (1853-1915) e Cesare Rossi (1852-1927) erano poeti e giornalisti triestini, di sentimenti irredentisti.

[33]          Salvatore Barzilai (1860-1939), triestino di origini ebraiche, fu avvocato e politico italiano, eletto deputato alla Camera nel 1890.

[34]          Federico Fabbri (1835-1912), patriota e giornalista italiano.

[35]          Daniele Donghi (1861-1938), architetto e ingegnere, docente universitario. Lasciac, assieme a Donghi e altri colleghi, fondò la rivista “Italia Artistica ed Industriale”.

[36]          Il progetto fu affidato agli architetti Rodolfo Buti e Carlo Busiri Vici.

[37]          Dante Vaglieri (1865-1913) fu archeologo ed epigrafista, padre di Laura Veccia Vaglieri, orientalista e arabista, docente all’Istituto Universitario Orientale, autrice di una celebre grammatica della lingua araba. Ferdinando Rodizza (1865-1937) emigrato triestino, giornalista e bibliotecario della Società Geografica italiana.

[38]          Carolina Luzzatto (1837-1919), ebrea triestina, giornalista e scrittrice.

[39]          Luigi Faidutti (1861-1931) fu un ecclesiastico e politico austriaco di origine friulana, eletto al parlamento di Vienna nel 1907 e noto per le sue posizioni anti-nazionaliste e anti-irredentiste.

[40]          Il principe Said Halim Pasha (1865–1921) era il nipote di Mohammed ‘Ali. Esiliato col padre per dispute sulla successione, visse ad Istanbul e in varie capitali europee, prima di tornare al Cairo, dove abitò nel Palazzo commissionato al Lasciac.

[41]          Cfr. Villa Dilberoglue, “Der Architekt”, 5 (luglio 1899), tav. 25.

[42]          Eminente famiglia di ebrei sefarditi stabilitisi in Egitto nell’Ottocento, banchieri e imprenditori nel settore dei trasporti.

[43]          François Hennebique (1842-1921) imprenditore francese, noto come l’inventore del calcestruzzo armato, sistema brevettato nel 1892, che in queste pagine sembra essere stato utilizzato prima della data del brevetto.

[44]          La principessa Nimat Allah Hanem (1876-1945), figlia dell’ex khedivè Mohammed Tawfik e sorella del khedivé ‘Abbas Hilmi II.

[45]          Alessandro Vallauri, noto anche nella forma francese Alexandre Vallaury (1850-1921), nato a Istanbul, ha lasciato alcune importanti opere nella capitale ottomana, tra cui il famoso Pera Palace hotel, la Banca ottomana, oltre a numerosi palazzi per una committenza privata e pubblica. Ha curato alcuni edifici per la comunità italiana a Istanbul. Raimondo D’Aronco (1857-1932), architetto friulano, attivo dal 1893 in Turchia dove è nominato architetto di stato, condusse, tra l’altro, i restauri della Basilica di Santa Sofia e del Gran Bazar.

[46]          Questo progetto rappresenta forse un unicum nella storia islamica, trattandosi di un palazzo commissionato congiuntamente da due delle quattro mogli del defunto sovrano, che decisero volontariamente di vivere insieme alla morte del marito. Cfr. Abdallah Abdel-Ati Naggar, Antonio Lasciac, cit., pp. 217-218.

[47]          Ahmed Mazloum Pasha (1878-1928) è stato ministro delle finanze egiziano con ‘Abbas Hilmi II.

[48]          Giuseppe Botti (1853-1903), egittologo e papirologo italiano, fu il fondatore e primo direttore del Museo greco-romano in Alessandria, inaugurato nel 1892. Annibale Evaristo Breccia (1876-1967) è stato un egittologo e archeologo italiano. Partecipò alle missioni di scavo in Egitto con Ernesto Schiaparelli.

[49]          Muhammed Abani pasha fu ministro egiziano della guerra tra il 1895 e il 1908.

[50]          Omar Sultan pasha (1881-1917), proveniente da una ricca famiglia del Medio Egitto, è stato l’antesignano del collezionismo in Egitto. Il salamlik in stile neo-mamelucco commissionato al Lasciac era destinato ad accogliere la sua collezione d’arte.

[51]          Sovrano dell’Afghanistan dal 1919 al 1929.

[52]          Alessandro Lustig (1857-1937), medico triestino, naturalizzato italiano, docente di patologia generale all’Università di Firenze, è noto per i suoi studi sulla malaria in Sardegna. Fu incaricato dalla Sublime Porta di una missione sanitaria nel distretto di Dalamon in Turchia. Fu nominato senatore del Regno d’Italia nel 1911.

[53]          Il principe Youssouf (traslitterato anche Youssef) Kamal pasha (1882-1965) è stato un mecenate, collezionista e filantropo egiziano, fondò la Scuola di Belle Arti nel 1905 e partecipò alla creazione dell’Accademia d’Egitto a Roma.

[54]          Boutros Ghali (1846-1910), esponente di una importante famiglia copta ortodossa, è stato un politico egiziano, primo ministro sotto ‘Abbas Hilmi II dal 1908 al 1910. Fu assassinato a seguito delle polemiche suscitate dall’uccisione di alcuni contadini egiziani da parte di ufficiali inglesi. Accusato dai nazionalisti di aver favorito gli ufficiali inglesi incriminati per l’accaduto, fu assassinato da un membro del Partito nazionalista egiziano il 21-2-1910.

[55]          Gustavo Giovannoni (1873-1947) ingegnere e storico dell’architettura, è stato presidente dell’Accademia di San Luca.

[56]          Primo Panciroli (1875-1946) è stato un pittore italiano, attivo soprattutto ad Acireale.

[57]          Il principe Kamal el Dine Hussein (1874-1932), collezionista ed esploratore, era figlio del khedivè Hussein Kamel d’Egitto. Nel 1904 sposò la principessa Nimet Allah (1881-1965), figlia minore del khedivè Tawfik pasha.

[58]          Adly Yakan Pasha (1864-1933), politico egiziano, fu più volte primo ministro e parlamentare.

[59]          Emina Ilhamy (1858-1931), moglie del khedivè Tawfik e madre del khedivè ‘Abbas Hilmi II.

[60]          Hafez Afifi Pasha (1885/1886-1961), politico egiziano, è stato presidente di Banque Misr e ambasciatore d’Egitto presso la Gran Bretagna.