Gli occhi del Papa in Brasile: la visita apostolica del 1924

Introduzione

Oltre a promuovere un profondo cambiamento dell’assetto politico del Brasile, la proclamazione della Repubblica nel 1889 rappresentò uno spartiacque nella vita della Chiesa locale. Ciò si deve oltretutto allo smantellamento del regime del patronato che condizionava i rapporti tra il potere spirituale e il potere temporale[1]. In effetti, spettava alla corona la nomina dei vescovi, la creazione delle diocesi e il mantenimento del clero. Crollata la monarchia, toccò dunque all’episcopato brasiliano assumere pienamente la gestione degli affari religiosi. Agendo con autonomia, senza cioè l’interferenza della sfera politica, la Chiesa brasiliana avviò un processo di riorganizzazione istituzionale che si concretizzò nella creazione di nuove diocesi (tra 1890 e 1930 ne furono fondate 56)[2] e nell’incremento dei seminari con l’ausilio delle congregazioni religiose straniere[3].

La Santa Sede, che entrava nel secolo XX tenendo d’occhio le vicende dell’America Latina[4], si adoperò per favorire lo sviluppo del cattolicesimo brasiliano, approfittando anche dell’intensa trasformazione in corso in Brasile a causa di intensi flussi migratori provenienti dall’Europa. Per fare il punto sulla situazione religiosa Pio XI decise nel 1923 di indire una visita apostolica che doveva ispezionare le diocesi brasiliane, osservarne il funzionamento e valutare l’atteggiamento dei vescovi nella conduzione degli affari spirituali e nei rapporti con le autorità civili. Benché si trattasse di un fatto inedito nella storia della Chiesa brasiliana, il papato in quegli anni riprendeva la prassi delle visite apostoliche mirando a cogliere dati ed elementi concreti sulle realtà locali che favorissero poi l’elaborazione di adeguate politiche ecclesiali[5].

Le relazioni presentate alla curia romana al termine della visita offrono una descrizione minuziosa degli aspetti istituzionali della Chiesa locale e tracciano un ritratto del clero dell’epoca. Alcuni documenti lasciano intravedere anche l’interesse dei visitatori riguardo alla dimensione culturale di un paese il cui tessuto sociale era ancora in formazione. Prendendo spunto dalla dimensione sociologica affrontata in qualche rapporto della visita apostolica, l’articolo intende evidenziare il legame profondo stabilito dai visitatori tra la specifica evoluzione sociale del Brasile e la sua religiosità.

Il ritratto di una Chiesa in trasformazione

La missione di percorrere il vasto territorio brasiliano fu preparata sotto gli auspici della Congregazione concistoriale, della Segreteria di Stato e della Nunziatura apostolica a Rio de Janeiro[6]. Per raccogliere dati sulla situazione del cattolicesimo brasiliano, gli organizzatori prepararono una lista di quesiti destinati ai vescovi delle diocesi che sarebbero state visitate. I temi riguardavano aspetti diversi della vita diocesana: l’organizzazione amministrativa e finanziaria delle curie episcopali; lo stato dei seminari e delle case religiose; la condotta del clero (con riferimento, in particolare, al celibato e alla spiritualità); l’amministrazione e l’attività pastorale delle parrocchie; l’istruzione religiosa, i costumi delle famiglie e le tradizioni popolari; le associazioni cattoliche e le minacce contro la fede (ne erano individuate tre: la massoneria, il protestantesimo e lo spiritismo)[7].

Alla fine della visita erano attesi rapporti basati sulle risposte fornite dalle autorità diocesane e sull’ispezione eseguita dai visitatori[8]. Dinanzi all’impossibilità di attribuire l’enorme compito a una sola persona, la Santa Sede decise di sceglierne tre, indirizzando ognuna a una regione diversa. La scelta fu ponderata con attenzione, partendo dal suggerimento di monsignor Enrico Gasparri[9], nunzio a Rio de Janeiro, di nominare sacerdoti legati alla curia per evitare conflitti di interessi e per non offendere il “nazionalismo brasiliano”[10]. Perciò, furono indicati tre europei, i quali realizzarono il lungo viaggio nel corso dell’anno 1924: l’abate benedettino spagnolo Benedetto Lopez, il gesuita francese Marcel Renaud e l’italiano Giuseppe Antonio da Persiceto, generale dei Cappuccini[11].

Scrivendo ai vescovi brasiliani che avrebbero ricevuto la visita della comitiva romana, padre Renaud volle sottolineare anzitutto l’importanza che il pontefice, nell’orchestrare l’inusuale missione, attribuiva alla Chiesa brasiliana e al suo protagonismo nell’America Latina: “Non si può, infatti, dubitare della predilezione di S. Santità verso il Brasile nel determinare questo viaggio apostolico […] Come capo della Chiesa universale, il Sommo Pontefice vede con tutto acume il posto che il Brasile occupa per gli interessi cattolici di tutta l’America. La situazione geografica di questa grande nazione, l’immensità dei suoi territori, il numero dei suoi abitanti che di anno in anno aumenta prodigiosamente, il suo meraviglioso sviluppo in tutti gli ambiti dell’attività umana, la pace politica di cui gode, mettono il Brasile al primo posto tra i paesi latinoamericani”[12].

La presenza dei visitatori inviati dalla curia per ispezionare lo stato della religione in Brasile ci consente di tracciare il profilo della Chiesa locale a partire dalla prospettiva romana. I tre percorsero più di cinquanta diocesi, dal nord al sud, prendendo atto delle ben diverse realtà regionali e aiutando a delineare il volto del cattolicesimo nazionale che neppure il nunzio, sempre fermo a Rio de Janeiro, conosceva veramente. Nei rapporti i visitatori facevano il punto sull’amministrazione delle diocesi, sottolineandone le qualità e i problemi, e descrivevano, con sincerità talora sorprendente, le caratteristiche personali dei vescovi e del clero. Spicca infatti nei documenti l’intento di capire l’effetto delle riforme avviate negli anni precedenti nelle diocesi e nei seminari, tema peraltro centrale nel pontificato di Pio XI[13].

Riferendosi, ad esempio, a monsignor Duarte Leopoldo e Silva[14], vescovo di San Paolo, l’abate Benedetto Lopez descrisse sia il fisico che il temperamento del prelato. Dopo aver qualificato la sua salute come fragile, il visitatore fece delle considerazioni sull’aspetto intellettuale: “Buone qualità ma la sua formazione teologica e canonica è stata mediocre; non sembra avere le idee chiare su alcuni punti”. Per quanto riguarda la vita spirituale, l’ordinario venne definito come pio e di condotta irreprensibile. Eppure, il religioso spagnolo sottolineò il carattere severo e autoritario del vescovo brasiliano che non di rado lo rendeva poco apprezzabile dagli altri ecclesiastici: “Nel suo carattere spiccano due note: una grande forza di volontà per raggiungere i suoi obiettivi e uno spirito assoluto e dominante, cui tutti devono piegarsi. Queste tendenze, combinate con il suo temperamento nervoso, lo rendono facilmente molto sensibile, suscettibile, irritabile, a volte insensibile, persino duro”[15]. Infine, il visitatore ritenne che il prelato manifestava un patriottismo esagerato[16].

La descrizione è tanto più rilevante quando si considera l’importanza dell’arcidiocesi in causa. All’inizio del secolo XX, infatti, la città di San Paolo divenne uno dei centri urbani latinoamericani più colpiti dall’immigrazione di massa in provenienza soprattutto dall’Europa, e in particolare dall’Italia[17]. In effetti, la crescita demografica a cavallo tra Otto e Novecento fu vertiginosa: mentre il censimento del 1890 indicava una popolazione di 64.934 abitanti, quello del 1920 dimostrava che essa totalizzava ormai 579.033 persone[18]. L’antico ordine sociale ‒ patriarcale e schiavista ‒ veniva man mano soppiantato dal nuovo ordine industriale in cui il padrone e lo schiavo furono sostituiti dal borghese e dal proletario. Gli effetti della trasformazione riguardavano anche la Chiesa, giacché i cambiamenti sociali impattavano sulla pratica religiosa[19]. A questo proposito insistette il visitatore spagnolo che segnalò appunto il pericolo cui il cattolicesimo veniva esposto nella grande città: l’esposizione del proletariato ai “pericoli del socialismo”; il disfacimento delle antiche tradizioni familiari e religiose a causa dell’incremento demografico; l’imborghesimento della società che la rendeva più frivola e suscettibile al lusso[20]. Inoltre, l’inquietudine dell’abate Lopez diventava palese alla luce del numero esiguo di sacerdoti che la curia diocesana di San Paolo contava in quel momento: 80 preti, tra cui 65 brasiliani e 15 stranieri[21].

Intanto, l’arcidiocesi di Rio de Janeiro, allora capitale del Brasile, poteva vantarsi sin dal 1905 di possedere l’unico cardinale dell’America Latina. Con una decisione che ribadiva l’interessamento della Santa Sede per il mondo latinoamericano, Pio X aveva elevato alla porpora monsignor Joaquim Arcoverde de Albuquerque Cavalcanti[22], appartenente alla prima generazione di seminaristi del Collegio Pio Latino Americano, fondato nel 1858 a Roma[23]. Nonostante la situazione a Rio de Janeiro fosse privilegiata, l’abate Lopez vi constatò l’indole tuttora ambigua del clero, oltreché la sua composizione per lo più straniera: “Ci sono nell’arcidiocesi alcuni sacerdoti apostati e persino civilmente sposati. Ma negli ultimi anni non c’è stato scandalo pubblico. Secondo l’arcivescovo coadiutore, la condotta dei sacerdoti è regolare; tuttavia, va notato che in una città come Rio, è difficile per l’autorità ecclesiastica seguire da vicino ogni sacerdote. In effetti, circolano dubbi sulla buona reputazione di alcuni sacerdoti, anche abbastanza distinti, della capitale e mi sono stati comunicati. Quasi la metà del clero è composta da stranieri e il resto di sacerdoti di altre diocesi. Quasi tutti sono venuti a Rio senza essere stati chiamati e, in generale, per interessi temporali. Soprattutto in passato, la maggior parte dei sacerdoti stranieri venuti in Brasile era senza scrupoli in re morali e in re economica e scatenava un clima di sfiducia nei confronti del clero secolare, ma non del regolare”[24].

In effetti, il clero straniero in Brasile diventava una questione spinosa sia per Roma che per la gerarchia nazionale. Il problema si presentava con due sfaccettature: da un lato, la divisione dei territori diocesani voluta dall’episcopato brasiliano dipendeva dall’incremento di manodopera sacerdotale; dall’altro, la situazione irregolare di molti preti europei che si recavano in Brasile risvegliò nella Santa Sede l’urgenza di regolare in maniera più rigida la loro emigrazione[25]. Un indizio significativo del problema risale infatti dalle statistiche raccolte dall’abate Lopez relativamente al numero di sacerdoti appartenenti al clero secolare nelle principali diocesi brasiliane, in particolare nel sud e nel sud-est, dove si concentravano appunto i flussi migratori. I numeri dimostrano la presenza importante ‒ o addirittura predominante ‒ del clero europeo, originario per lo più dall’Italia e dal Portogallo[26] (vedi tabella a pagina precedente).

La stessa questione fu messa in evidenza da padre Marcel Renaud. Stando al gesuita, il basso numero di preti era il problema più grave della Chiesa brasiliana e la moltiplicazione delle diocesi, benché favorisse la formazione di nuovi sacerdoti, non bastava per risolvere il problema nell’immediato. Egli insisteva, perciò, sull’utilità dei preti stranieri per compensare la scarsezza di vocazioni a livello nazionale: “Il clero è reclutato in gran parte nel paese stesso […] Per il resto, è formato ex omni tribu et lingua et natione. Tra questi sacerdoti stranieri, ce ne sono certamente molti eccellenti, ma la lamentela ordinaria è che la maggior parte viene in Brasile per fare soldi. Eppure, a causa della carenza di clero nazionale, dobbiamo volere che molti sacerdoti secolari vengano in Brasile. Ciò che dovrebbe cambiare è il modo in cui i vescovi li reclutano”[27].

Religiosità ed evoluzione sociale

Oltre le questioni strettamente ecclesiastiche, i visitatori si pronunciarono anche sulla religiosità della popolazione, emettendo giudizi che ci consentono di valutare il peso dell’evoluzione sociale sulla cultura cattolica. Il visitatore gesuita si riferì, ad esempio, al carattere paradossale del sentimento religioso dei brasiliani dichiarandolo al contempo profondo e superficiale, turbato dalle superstizioni e dai sincretismi tipici della cultura nazionale: “Il popolo brasiliano ha un sentimento religioso, cattolico, profondamente radicato nell’anima. Questo sentimento cattolico si manifesta in atti che sono diventati, nel corso dei secoli, tradizioni indelebili. Ma, si dirà, queste manifestazioni sono tutte esterne, si mescolano a superstizioni e non rendono il popolo veramente cattolico […] Notiamo spesso in tutte le classi della società una conoscenza a malapena rudimentale dei dogmi, della dottrina e della morale cattolici ‒ una notevole miscela di idee e superstizioni false e mondane, incompatibili con la purezza del dogma e della vita cristiana”[28].

Tale opinione fu confermata dall’abate Lopez che smentiva l’idea secondo cui il Brasile sarebbe un modello di nazione cattolica: “Niente di più comune che sentire e leggere: «il popolo brasiliano è profondamente religioso», «eminentemente cattolico». È un’affermazione che non si può negare, ma neppure si può concedere: per lo meno è certo che, così come suona, darebbe in Europa una falsa idea sullo stato delle cose […] Bisogna insieme dire che è religioso per sentimento, cattolico per tradizione e per la forza dell’ambiente: non lo è per convinzione. Non è capace di trovare nelle sue idee religiose la norma della sua condotta e dei motivi efficaci per l’adempimento dei doveri cristiani”[29]. In più, sulla pietà popolare, benché essa fosse diffusa, il visitatore benedettino aggiungeva: “Questa pietà è avvolta in un’ignoranza fenomenale che la guasta con mille superstizioni ed espone quella brava gente a diventare i più ciechi strumenti di qualsiasi fanatismo”[30].

A ben vedere, il riferimento alla cosiddetta “ignoranza religiosa” dei brasiliani non era una novità. Tornando indietro nella storia ritroviamo simili giudizi avanzati in contesti diversi: in epoca coloniale: la religiosità popolare tendente al sincretismo tra il cattolicesimo e i riti africani introdotti dagli schiavi, oltre a indicare la scarsa formazione religiosa dei fedeli, veniva associata alla superstizione e alla magia[31]; nell’Ottocento più di un viaggiatore europeo, dopo aver soggiornato in Brasile, pubblicò un récit de voyage evocando la religiosità cagionevole dei brasiliani[32]. Tuttavia, padre Renaud riteneva comunque che la tradizione religiosa radicata nella cultura nazionale, sia pure con le sue specificità, avrebbe servito da scudo contro il protestantesimo che sin dal XIX secolo si diffondeva nel paese, prima negli stati meridionali per mezzo degli immigrati tedeschi[33], poi nelle zone settentrionali con i missionari nordamericani all’inizio del Novecento[34].

Intanto, la relazione di padre Benedetto Lopez si distingueva dalle altre in un aspetto significativo: lo spagnolo cercava, infatti, di spiegare la natura del rapporto tra cattolicesimo e società in Brasile ponendo l’accento sulla composizione etnica della popolazione. Com’è noto, l’amalgama tra europei, africani e indigeni è un dato sociologico caratteristico del paese e compone il nucleo di una vasta letteratura dedicata alla formazione storica del tessuto socioculturale brasiliano[35]. In tutta evidenza, l’evoluzione sociale basata sulla composizione etnica plurale del consorzio civile spiega, per certi versi, l’atteggiamento religioso nazionale propenso al sincretismo e alla traduzione della fede in termini sentimentali e poco dogmatici[36]. Ed ecco perché il parere dei visitatori è rilevante per cogliere qualche pista sul modo in cui la Santa Sede interpretava il cattolicesimo brasiliano.

Innanzitutto, l’abate Lopez ammetteva l’impossibilità di definire i brasiliani: “Il tipo brasiliano non esiste, ed essi stessi pare che siano i primi a riconoscerlo […], la popolazione propria del Brasile è risultata dalla fusione di tre razze: bianca (principalmente portoghese), indo-aborigene e negro-africana […] e tutti questi in seguito incrociati in tutte le maniere possibili attraverso le varie generazioni”[37]. Ragionando poi sulla convivenza tra i gruppi sociali, il visitatore toccava un punto fondamentale: “È assai comune sentire e leggere che non vi sono preconcetti di razza, che si vive in perfetta armonia, che tutte le porte sono aperte a tutti. E ciò è vero, per lo meno nel senso che si è lungi da quell’avversione e da quell’esclusivismo sistematico che vi è per esempio negli Stati Uniti. Anzi, quando uno arriva al paese, vedendo gente di ogni figura e colore, mescolati per le strade, nelle funzioni e un po’ dappertutto, ha l’impressione che a questo nessuno badi. Ma pian piano si va vedendo che non è perfettamente così. In certi collegi, e credo che sia nella generalità di quelli un po’ distinti, non si vede un’educanda negra né di colore un po’ spiccato, e ho sentito dei casi in cui qualche famiglia di questo genere, pur occupando posizione elevata, non è riuscita a far ammettere le proprie figliole in nessun collegio dei più in vista”[38].

L’obiezione a riguardo della questione razziale avanzata dal visitatore assomiglia in qualche modo alle critiche che sono state più tardi formulate dalle scienze sociali contro il cosiddetto “mito della democrazia razziale”, all’idea cioè di presentare il Brasile come un modello di integrazione perfetta tra gruppi etnici distinti[39]. In effetti, l’osservazione dell’abate Lopez metteva già in evidenza il problema persistente della marginalizzazione sociale: la Repubblica brasiliana, pur senza aderire a un modello di segregazione razziale come negli Stati Uniti, non concedeva ai cittadini le stesse condizioni di riuscita.

Ma come la questione razziale interferiva sull’espressione della fede? Lo stesso abate Lopez offrì un parere a questo proposito esprimendo l’idea, allora diffusa, secondo cui la presenza più numerosa di bianchi avrebbe potuto ridisegnare il tessuto sociale, sbiancandolo a vantaggio del paese e della religione: “Trattandosi del proprio negro o quasi, ecco l’idea che mi sono formato considerandoli nell’insieme: sentimento religioso molto accentuato, però materiale e confuso: senso morale piuttosto basso. Non saprei però se per spiegare questo fatto vi sia bisogno di ricorrere (come si fa alle volte anche da qualche vescovo) a qualche vizio intrinseco o quasi specifico. Per ciò che riguarda gli individui credo che nella massima parte dei casi si spieghi per l’ignoranza e il miserrimo ambiente in cui vengono su: e quanto alla razza nel suo complesso mi sembra che basti pensare allo stato di degradazione cui soggiacquero per dei secoli e agli abusi di ogni genere di cui furono vittime […] Quanto all’avvenire è da sperare che per la semplice azione delle leggi biologiche e sociologiche gli elementi inferiori si vadano sempre più elevando e assimilando alla razza bianca o, come si dice, arianizzando. Sarebbe però da chiedersi se si fa il possibile per ottenere questa elevazione, e ciò verso di tutti”[40].

Il visitatore non si limitò a constatare la diversità etnica del tessuto sociale brasiliano. Proseguendo la riflessione, l’abate Lopez provò infatti a identificare le radici storiche della tensione tra i vari elementi della società, arrivando così al tema della schiavitù che, seppure abolita nel 1888, lasciò nella cultura nazionale un’impronta di disuguaglianza[41]. La vicenda schiavista venne descritta dall’abate benedettino come la fonte dei disordini che affliggevano la popolazione in Brasile e vi rendevano più difficile la missione moralizzatrice della Chiesa: “Checché debba giudicarsi della schiavitù dai punti di vista politico ed economico, è certo che sotto l’aspetto religioso, morale e sociale essa è stata una piaga enorme, di cui si fanno troppo sentire gli effetti. Fu un grande impedimento per l’elevazione religiosa di quegli esseri disgraziati, e insieme un guasto non indifferente per la vita religiosa della classe libera, nella quale si inocularono quel cumulo di idee e di pratiche superstiziose, che ancor oggi la deformano e avviliscono. Ma dove il danno risulta più evidente è nell’ordine morale: sia per il livello in cui dovevano rimanere per il loro stato di ignoranza e di abiezione, sia soprattutto perché necessariamente erano vittime e strumenti di ogni turpitudine”[42].

Conclusione

Come abbiamo visto, alcune relazioni della visita apostolica del 1924 offrono elementi significativi per una migliore comprensione del modo in cui Roma guardava la Chiesa in Brasile. Basandosi sui diversi pareri circa la situazione religiosa raccolti dai visitatori, spettò poi alla Santa Sede identificare i bisogni dei cattolici brasiliani e individuare le opportune misure per un’azione pastorale più efficace. Per ciò che riguarda la Chiesa locale, i visitatori insistettero, in particolare, su due problemi: la scarsità del clero e l’ignoranza religiosa. Elencate le difficoltà, gli osservatori passarono quindi alla ricerca delle cause: la formazione inadeguata del clero, la struttura deficitaria delle istituzioni ecclesiastiche, la morale problematica dovuta oltretutto al passato schiavista. Infine, gli inviati della curia avanzarono una proposta di soluzione: sfruttare il momento di libertà in cui si trovava la Chiesa brasiliana, sciolta da interferenze statali inopportune, e trarre profitto dalla trasformazione sociale spinta dai flussi migratori europei.

Il cambiamento sociale che prendeva forma mentre si svolgeva la visita apostolica rappresentò infatti una svolta la cui importanza non fu sottovalutata dalla Chiesa. Anzi, la Santa Sede intravide nella ricomposizione del tessuto sociale l’opportunità di agire per il progresso religioso, dipendente in Brasile dal soccorso di nuovi sacerdoti e dallo sviluppo di una cultura cattolica più consone alla tradizione romana. Ne sia prova la conclusione dell’abate Lopez: “Sotto l’aspetto religioso ‒ non meno che sotto l’aspetto civile ed economico ‒ non vi è dubbio che le colonie [d’immigrati] sono state una benedizione per il paese che ebbe la fortuna di ricevere questi rinforzi […], atteso specialmente che andarono a stabilirsi in territori dove il termometro religioso era più basso che mai […] I vescovi e i sacerdoti nazionali non possono negare che l’arrivo di coloni e altri immigranti, collocati in favorevoli condizioni spirituali, ha dotato buona parte del Brasile di focolari di vita cristiana pratica e rigogliosa di cui sembra che prima poco si avesse in quei luoghi l’idea e tanto meno la speranza; e che anche adesso non hanno nelle loro diocesi e parrocchie migliori elementi sia per l’esercizio della religione sia per l’incremento delle opere cattoliche ”[43].

Il pontefice, nella lettera inviata ai vescovi del Brasile per ringraziare dell’accoglienza dispensata ai visitatori, sottolineò l’urgenza di suscitare nuove vocazioni nel paese e di provvedere alla formazione dei fedeli[44]. Negli anni seguenti, infatti, il contributo degli immigrati, religiosi e laici, si sarebbe rivelato decisivo per il successo di tali compiti.


[1]           Cfr. Joã o Dornas Filho, O Padroado e a Igreja brasileira, San Paolo, Companhia Editora Nacional, 1938; Nilo Pereira, Conflitos entre a Igreja e o Estado no Brasil, Recife, Editora Massangana, 1982.

[2]           Cfr. Dilermando Ramos Vieira, O processo de reforma e reorganização da Igreja no Brasil (1844-1926), Aparecida, Editora Santuário, 2007.

[3]           Cfr. Kenneth Serbin, Needs of the Heart. A Social and Cultural History of Brazil’s Clergy and Seminaries, South Bend, University of Notre Dame Press, 2006.

[4]           Per un quadro generale dell’atteggiamento della Santa Sede verso l’America Latina nel primo Novecento si rinvia a Tra Pio X e Benedetto XV. La diplomazia pontificia in Europa e America Latina nel 1914, a cura di Roberto Regoli e Paolo Valvo, Roma, Edizioni Studium, 2018; Gianni La Bella, Roma e l’America Latina. Il Resurgimiento cattolico sudamericano, Milano, Guerini Studio, 2012, e Pio X e le popolazioni dell’America Latina, in Riforma del cattolicesimo? Le attività e le scelte di Pio X, a cura di Giuliano Brugnotto e Gianpaolo Romanato, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2016, pp. 391-418.

[5]           Cfr. Giovanni Vian, La Riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società: le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), Roma, Herder, 1998; Vicente Cárcel Ortí, Informe de la Visita apostólica a los seminarios españoles en 1933-1934. Edición del Informe y estudio sobre “La formación sacerdotal en España” (1850-1939), Salamanca, Sígueme, 2006.

[6]           Cfr. Paulo Visintainer Ferreira, A solicitude pastoral de Pio XI pelo Brasil (1922-1939): da Visita Apostólica às dioceses à reorganização dos seminários, Tesi di dottorato, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2019, pp. 225-290.

[7]           Archivio Apostolico Vaticano (d’ora in poi AAV), Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 948, ff. 3-18.

[8]           Le relazioni complete inviate dalle diocesi si trovano in AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fascicoli 949 e 950.

[9]           Nacque a Ussita nel 1871. Era nipote del cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI. Rappresentò la Santa Sede in Colombia dal 1915 al 1920. Fu nunzio in Brasile dal 1920 al 1925. Nel 1925 fu elevato al rango cardinalizio e nel 1933 divenne prefetto della Segnatura Apostolica. Morì a Roma nel 1946. Cfr. Gasparri, Enrico in Munzinger Online/Personen – Internationales Biographisches Archiv, alla pagina http://www.munzinger.de/document/00000000750.

[10]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 948, f. 57.

[11]          Mettendosi d’accordo con il nunzio, i visitatori ripartirono tra loro i territori da visitare. A Marcel Renaud si assegnò: Rio de Janeiro, Niterói, Taubaté, San Paolo, Campinas, São Carlos, Botucatu, Curitiba, Cuiabá, Cáceres, Registro do Araguaia, Mariana, Campanha, Caratinga, Aterrado; a Giuseppe Antonio da Persiceto: Pouso Alegre, Guaxupé, Ribeirão Preto, Uberaba, Goiás, Porto Nacional, Conceição do Araguaia, Tefé, Acre, Rio Negro, Manaus, Rio Banco, Santarém, Pará, Bahia, Ilhéus, Caetité, Petrópolis, Maranhão, Grajaú, Piauí, Gurguéia, Alto Solimões; a Benedetto Lopez: Florianópolis, Santa Maria, Pelotas, Uruguaiana, Porto Alegre, Diamantina, Montes Claros, Araçuaí, Vitória, Olinda, Recife, Pesqueira, Garanhuns, Nazaré, Paraíba, Cajazeiras, Natal, Maceió, Penedo, Aracajú, Fortaleza, Crato, Sobral (cfr. AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 bis, fasc. 952, ff. 4v-5).

[12]          “Não se pode, com efeito, duvidar da predileção de S. Santidade para com o Brasil ao determinar esta visita apostólica, concedida já nestes últimos anos a duas nações, a Itália e os Estados Unidos: desde a sua elevada posição, como chefe da Universal Igreja, vê o Sumo Pontífice com toda a perspicácia o lugar que o Brasil ocupa para os interesses católicos de toda a América. A situação geográfica desta grande nação, a imensidade de seus territórios, o número de seus habitantes que de ano para ano aumenta prodigiosamente, o seu desenvolvimento maravilhoso em todas as esferas da atividade humana, a paz política de que desfruta, colocam o Brasil no primeiro lugar entre os países latino-americanos”, cfr. AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 948, f. 126.

[13]          Cfr. Maurilio Guasco, La formazione del clero al tempo di Pio XI, in La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche, a cura di Cosimo Semeraro, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pp. 96-109.

[14]          Nacque a Taubaté (San Paolo) nel 1867. Fu ordinato presbitero nel 1892. Nel 1904 ricevette a Roma l’ordinazione episcopale e fu nominato vescovo di Curitiba (Paraná). Nel 1906 fu trasferito alla diocesi di San Paolo (diventata arcidiocesi nel 1908), dove rimase fino alla morte nel 1938. Cfr. Sônia Dias, Silva, Duarte Leopoldo e, in Dicionário Histórico-Biográfico da Primeira República, a cura di Alzira Alves de Abreu, Rio de Janeiro, Editora FGV, 2015.

[15]          “Au point de vue physique: santé médiocre, neurasthénie. L’an passé, avant de partir pour l’Europe, son état était assez inquiétant. Après s’être soumis à l’examen et aux soins d’excellents médecins de Paris, il est revenu au Brésil beaucoup mieux. Au point de vue intellectuel: bonnes qualités, mais sa formation théologique et canonique a été médiocre; il ne semble pas avoir des idées bien nettes sur certains points. Eloquent, bon écrivain. Talent notable d’organisateur et d’administrateur. Au point de vue moral et spirituel: pieux, conduite irrépréhensible et très laborieux. Dans son caractère, deux notes prédominent: une grande force de volonté pour arriver à ses fins, et un esprit absolu, dominateur, auquel tout doit se plier. Ces tendances, unies à son tempérament nerveux, le rendent facilement très sensible, susceptible, irritable, parfois peu délicat, dur même. Il exige des égards mais lui il ne les prodigue pas. Rien d’étonnant qu’il ait peu d’amis véritables, moins encore des conseillers sincères; hors Mgr Leme, je ne connais personne qui ait sur lui un véritable ascendant et soit en même temps capable de lui parler avec franchise sur des matières délicates. Son patriotisme est certainement sur plusieurs points exagéré” (cfr. AAV, Nunziatura in Brasile, busta 188, fasc. 1065, ff. 3-4).

[16]          Il patriottismo enfatico di monsignor Silva appare, ad esempio, nelle conferenze che il prelato dedicò al tema: Duarte Leopoldo e Silva, O clero e a independência. Conferências patrióticas, Rio de Janeiro, Centro Dom Vital, 1922.

[17]          Cfr. Fazer a América. A imigração em massa para a América Latina, a cura di Boris Fausto, San Paolo, Editora da Universidade de São Paulo, 2000. Nello stesso anno della visita apostolica (1924), il “Corriere della Sera” inviò in Brasile Luciano Magrini, incaricandolo di girare il paese per esaminare la situazione degli immigrati italiani. Vedi Chiara Vangelista, 1924. Luciano Magrini e l’emigrazione italiana in Brasile, “Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali”, 2 (2016), pp. 215-230.

[18]          Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica, População nos Censos Demográficos, segundo os municípios das capitais (1872/2010), https://censo2010.ibge.gov.br/sinopse/index.php?dados=6.

[19]          Per un quadro più ampio dell’impatto delle trasformazioni politiche e sociali del periodo sulla religione si rinvia a: José Oscar Beozzo, Mudanças nas relações entre a Igreja, a sociedade, o Estado e o povo dos fiéis, in L’ecclesiologia di Scalabrini, a cura di Gaetano Parolin e Agostino Lovatin, Roma, Urbaniana University Press, 2006, pp. 51-71.

[20]          “La situation religieuse de São Paulo est délicate, difficile et périlleuse; en voici les raisons: 1 – São Paulo est le plus grand centre industriel du Brésil, le prolétariat, très nombreux, est donc spécialement exposé aux dangers du socialisme. 2 – São Paulo, qui en 1890 n’avait que 60.000 habitants, est devenue une grande cité moderne cosmopolite; les vieilles traditions domestiques et religieuses disparaissent. 3 – São Paulo est un des plus grands centres financiers de l’Amérique du Sud, centre aussi d’attraction pour la vie frivole, luxueuse des nouveaux riches de toutes les races, qui y abondent. La vieille aristocratie disparaît” (AAV, Nunziatura in Brasile, busta 188, fasc. 1065, f. 13).

[21]          Ibid., f. 8.

[22]          Nacque a Cimbres (Pernambuco) nel 1850. Nel 1866 fu inviato a Roma per studiare nel Collegio Pio Latino Americano. Fu ordinato presbitero nel 1874 e vescovo nel 1890, ma rinunciò subito dopo alla diocesi che gli era stata affidata (Goiás). Fu nominato vescovo ausiliare di San Paolo nel 1892 e nel 1894 divenne l’ordinario della stessa diocesi. Nel 1897 fu promosso ad arcivescovo di Rio de Janeiro e nel 1905 fu elevato da Pio X al rango cardinalizio. Morì a Rio de Janeiro nel 1930. Cfr. Marjone Socorro Farias de Vasconcelos Leite, Dom Arcoverde: o Cardeal dos sertões, Tesi di laurea, Recife, Universidade Federal de Pernambuco, 2004; Alceste Pinheiro de Almeida, O Cardeal Arcoverde e a reorganização eclesiástica, Tesi di dottorato, San Paolo, Universidade de São Paulo, 2004. Sulla mobilitazione diplomatica del Brasile per l’ottenimento del cardinalato a monsignor Arcoverde si veda Adelar Heinsfeld, O Barão e o Cardeal: Rio Branco e a conquista do cardinalato para o Brasil, Passo Fundo, UPF, 2012.

[23]          Cfr. Luis Medina Ascencio, Historia del Colegio Pío Latino Americano. Roma: 1858-1978, Mexico, Editorial Jus, 1979.

[24]          “Il y a dans l’archidiocèse un certain nombre de prêtres apostats et même mariés civilement. Mais dans ces dernières années il n’y a pas eu de scandale public. Au jugement de l’archevêque coadjuteur, la conduite des prêtres est régulière; il faut cependant remarquer que dans une ville comme Rio, il est difficile à l’autorité ecclésiastique de suivre de près chacun des prêtres. De fait, des doutes circulent sur la bonne renommée de quelques prêtres, même assez distingués, de la capitale et m’ont été communiqués. Presque la moitié du clergé est formée d’étrangers et les sept huitième de prêtres d’autres diocèses. Ils sont presque tous venus à Rio, sans y être appelés et en général pour des intérêts temporels. Autrefois surtout, la plupart des prêtres étrangers venus au Brésil étaient peu scrupuleux in re morali et in re economica et ils ont formé une atmosphère de défiance envers les prêtres séculiers, non envers les religieux” (AAV, Nunziatura in Brasile, busta 188, fasc. 1065, ff. 21-22).

[25]          Sulla mobilitazione della Santa Sede riguardo alla questione migratoria si vedano Matteo Sanfilippo, L’emigrazione nei documenti pontifici, Todi, Tau Editrice, 2018, e Alejandro Mario Dieguez e Matteo Sanfilippo, Gli organismi della Santa Sede per l’emigrazione, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 18 (2022), pp. 55-65.

[26]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 188, fasc. 1065, ff. 8, 21, 74, 83, 95, 102, 110, 118, 131 e 161.

[27]          “Le clergé se recrute en grande partie au pays même, dans la plupart des diocèses du Nord, dans l’État de Minas Gerais (12 diocèses) et dans celui de Porto Alegre. Pour le reste, le clergé est formé ex omni tribu et lingua et natione. Parmi ces prêtres étrangers, il y en a certainement un bon nombre qui sont excellents, mais la plainte ordinaire est que la plupart vienne au Brésil pour faire de l’argent. Et cependant, à cause de la pénurie du clergé national, on doit désirer que beaucoup de prêtres séculiers viennent au Brésil. Ce qu’il faudrait changer, c’est la manière dont les évêques les recrutent. Quant au clergé brésilien, en très grande partie, il se recrute parmi le peuple et les familles pauvres. La formation reçue au Brésil par le clergé est en général très médiocre” (AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, f. 43).

[28]          “Le peuple brésilien a le sentiment religieux, catholique, profondément enraciné dans l’âme. Ce sentiment catholique se manifeste par des actes qui sont devenus, au cours des siècles, des traditions ineffaçables. Mais, dira-t-on, ces manifestations sont tout extérieures, elles sont mêlées de superstitions et ne font pas que le peuple soit vraiment catholique. Soit, je suis le premier à le reconnaître: la pratique ne répond pas assez aux sentiments, et l’intégralité de la vie catholique réclame beaucoup plus. Mais telles qu’elles sont aujourd’hui même, avec toutes leurs imperfections, ces «extériorités», comme on les appelle, ont été un moyen providentiel pour défendre le peuple contre l’invasion protestante. Dans bien des cas, elles ont été l’unique barrière qui se soit opposée à leur envahissement. La mentalité des fidèles est loin de correspondre au sentiment religieux dont je viens d’indiquer la vigueur. On remarque souvent dans toutes les classes de la société une connaissance à peine rudimentaire des dogmes, de la doctrine et de la morale catholique — un mélange notable d’idées fausses, mondaines et de superstitions, incompatible avec la pureté du dogme et de la vie chrétienne” (AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, ff. 53v-54).

[29]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, ff. 73-156.

[30]          Ibid.

[31]          Cfr. Laura de Mello e Souza, O Diabo e a Terra de Santa Cruz. Feitiçaria e religiosidade popular no Brasil colonial, San Paolo, Companhia das Letras, 1986.

[32]          Cfr. Renan Gomes de Oliveira e João Miguel Teixeira de Godoy, A religião e a religiosidade brasileira oitocentista: os relatos de viagem de John Mawe, Alcide DOrbigny, Louis e Elizabeth Agassiz,  “REVER: Revista de Estudos da Religião”, 21, 3 (2021), pp. 67-84.

[33]          Cfr. Sergio Odilon Nadalin e Alain Bideau, Une communauté allemande au Brésil. De limmigration aux contacts culturels, XIXe-XXe siècle, Paris, Ined, 2011.

[34]          Cfr. Erika Helgen, Religious Conflict in Brazil: Protestants, Catholics, and the Rise of Religious Pluralism in the Early Twentieth Century, New Haven, Yale University Press, 2020.

[35]          Limitiamoci a segnalare i contributi che hanno fondato questo vasto filone storiografico: Gilberto Freyre, Casa-Grande e Senzala. Formação da família brasileira sob o regime de economia patriarcal, San Paolo, Editora Global, 2012 (prima edizione: 1933); Sérgio Buarque de Hollanda, Raízes do Brasil, San Paolo, Companhia das Letras, 2015 (prima edizione: 1936); Caio Prado Junior, Formação do Brasil Contemporâneo, San Paolo, Companhia das Letras, 2011 (prima edizione: 1942).

[36]          Cfr. Thales de Azevedo, O catolicismo no Brasil. Um campo para a pesquisa social, Rio de Janeiro, Imprensa Nacional, 1955, pp. 3-6; G. Freyre, Casa-Grande e Senzala, cit., p. 169; Eduardo Hoornaert, O cristianismo moreno do Brasil, Petrópolis, Vozes, 1991.

[37]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, f. 74v.

[38]          Ibid., f. 75.

[39]          Cfr. Thales de Azevedo, Democracia racial: ideologia e realidade, Petrópolis, Vozes, 1975; Florestan Fernandes, O negro no mundo dos brancos, San Paolo, Difusão Europeia do Livro, 1972; Emília Viotti da Costa, Da monarquia à república: momentos decisivos, San Paolo, Editora Unesp, 1999, pp. 365-384; Gilberto Freyre, Interpretação do Brasil: aspectos da formação social brasileira como processo de amalgamento de raças e culturas, San Paolo, Companhia das Letras, 2001.

[40]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, f. 75.

[41]          Per un contributo recente sul tema della schiavitù in Brasile si veda: Jeffrey Needell, The Sacred Cause: The Abolitionist Movement, Afro-Brazilian Mobilization, and Imperial Politics in Rio de Janeiro, Stanford, Stanford University Press, 2020. Sul rapporto, in generale, tra la Chiesa e la schiavitù: John Francis Maxwell, Slavery and the Catholic Church. The History of the Catholic Teaching Concerning the Moral Legitimacy of the Institution of Slavery, Londra, Barry Rose, 1975; Pius Onyemechi Adiele, The Popes, the Catholic Church and the Transatlantic Enslavement of Black Africans 1418-1839, Hildesheim, Georg Olms Verlag, 2017.

[42]          AAV, Nunziatura in Brasile, busta 173 (bis), fasc. 952, ff. 75v-76.

[43]          Ibid., f. 83v.

[44]          Cfr. Acta Apostolicae Sedis, 19 (1927), pp. 91-93.