Intervista a Olga Sparschuh

Come le è venuta l’idea del libro?

La prima idea per il libro mi è venuta qualche tempo fa, quando ho vissuto prima a Monaco e poi a Torino.

Tutti e due queste città sono centri europei importanti che diventano città del boom industriale nel secondo dopoguerra. E la cosa che mi interessava era che le due città sono “italiane” (tra virgolette) in modo molto diverso.

Torino si è sempre orientata verso l’Europa e ha voltato le spalle all’Italia – e soprattutto al Sud. Per questo, l’arrivo dei migranti a partire dagli anni cinquanta è stato vissuto come traumatico. Certo ha contribuito anche che la migrazione interna non fosse regolamentata e, all’inizio, quasi illegale fino all’abolizione della legge contro l’urbanesimo nel 1961. Ci sono stati dibattiti pubblici e conflitti tra locali e nuovi arrivati hanno caratterizzato la vita in città.

Monaco, invece, nell’immaginario tedesco è sempre considerata come la “città più settentrionale d’Italia”, con la sua architettura quasi fiorentina, i caffè di strada, la “dolce vita” che si vive qui – e pare che l’arrivo di immigrati italiani a partire dagli anni cinquanta abbia contribuito a questo. E devi dire davvero che l’incontro tra la città e i migranti è stato meno problematico. Prima perché la migrazione era stata introdotta dall’accordo di assunzione, e poi perché c’era un’idea dell’Italia, anche del Sud Italia, più romantica, più indulgente.

Certo poi non era così semplice, però il fatto che le percezioni degli migranti erano più positive all’estero che in patria mi ha spinto a chiedere cosa c’era davvero la differenza tra una migrazione interna ed una all’estero. Anche perché nella ricerca storica sulle migrazioni si dà sempre per scontato che si tratti di cose completamente diverse.

Che differenza vi è stata tra l’inserimento a Torino e a Monaco dei migranti dall’Italia meridionale?

Per capire quale era la differenza, ho deciso di scrivere una storia della vita quotidiana dei migranti. Così che se il giorno ha 24 ore, l’ho diviso nelle sfere del lavoro, del tempo libero e del dormire o meglio dell’alloggio. Proprio questi erano i tre temi più importanti per i migranti – e mi hanno aiutato a creare un panorama della situazione migratoria in città.

Inoltre ho visto che problemi analoghi portavano a discussioni simili ed a provvedimenti spesso uguali da parte degli attori centrali: le città, le aziende e la chiesa. Anche le azioni dei migranti non differivano tanto nella migrazione in patria o all’estero.

Per esempio, gli immigrati sono entrati nei livelli più bassi dei mercati del lavoro e, in quanto “nuovi arrivati”, hanno avuto meno possibilità di far valere i propri interessi. A lungo termine solo pochi sono avanzati socialmente.

Se guardiamo il tempo libero: Le iniziative delle città e degli immigrati hanno creato i loro mondi, non c’è stata un’integrazione fluida nella società urbana.

Infine l’indagine sull’accoglienza mostra che né a Torino né a Monaco era chiaro se i migranti si sarebbero insediati a lungo termine. In entrambi i casi, sono stati allestiti soluzioni temporanee, tipo alberghi.

Tutto sommato, ho trovato soprattutto similarità tra le due città: i migranti erano stranieri in entrambe le città, che è anche a ciò si riferisce il titolo del mio lavoro. Però, c’era una differenza importante: Mentre la maggior parte degli immigrati si è stabilita a Torino, quelli andati a Monaco poi tornavano. E questo era difficile a spiegare. Io ho cercato di farlo non tanto in base alle differenze nazionali, ma al sistema di reclutamento. Da un lato, la migrazione interna non regolamentata a Torino portava alla creazione di colonie di migranti attraverso catene migratorie, che alla fine portavano a stabilirsi in città. Gli immigrati italiani a Monaco, chiamati a contratto, erano una diaspora in una città straniera e pochi sono poi rimasti in modo permanente. D’altra parte, il reclutamento parallelo da paesi terzi – tipo Turchia e Jugoslavia – ha ridotto la percentuale di italiani tra i “lavoratori ospiti”. E questo alla fine ha impedito lo sviluppo di un mercato del lavoro veramente europeo.

Come le è venuta l’idea del libro?

La prima idea per il libro mi è venuta qualche tempo fa, quando ho vissuto prima a Monaco e poi a Torino.

Tutti e due queste città sono centri europei importanti che diventano città del boom industriale nel secondo dopoguerra. E la cosa che mi interessava era che le due città sono “italiane” (tra virgolette) in modo molto diverso.

Torino si è sempre orientata verso l’Europa e ha voltato le spalle all’Italia – e soprattutto al Sud. Per questo, l’arrivo dei migranti a partire dagli anni cinquanta è stato vissuto come traumatico. Certo ha contribuito anche che la migrazione interna non fosse regolamentata e, all’inizio, quasi illegale fino all’abolizione della legge contro l’urbanesimo nel 1961. Ci sono stati dibattiti pubblici e conflitti tra locali e nuovi arrivati hanno caratterizzato la vita in città.

Monaco, invece, nell’immaginario tedesco è sempre considerata come la “città più settentrionale d’Italia”, con la sua architettura quasi fiorentina, i caffè di strada, la “dolce vita” che si vive qui – e pare che l’arrivo di immigrati italiani a partire dagli anni cinquanta abbia contribuito a questo. E devi dire davvero che l’incontro tra la città e i migranti è stato meno problematico. Prima perché la migrazione era stata introdotta dall’accordo di assunzione, e poi perché c’era un’idea dell’Italia, anche del Sud Italia, più romantica, più indulgente.

Certo poi non era così semplice, però il fatto che le percezioni degli migranti erano più positive all’estero che in patria mi ha spinto a chiedere cosa c’era davvero la differenza tra una migrazione interna ed una all’estero. Anche perché nella ricerca storica sulle migrazioni si dà sempre per scontato che si tratti di cose completamente diverse.

Che differenza vi è stata tra l’inserimento a Torino e a Monaco dei migranti dall’Italia meridionale?

Per capire quale era la differenza, ho deciso di scrivere una storia della vita quotidiana dei migranti. Così che se il giorno ha 24 ore, l’ho diviso nelle sfere del lavoro, del tempo libero e del dormire o meglio dell’alloggio. Proprio questi erano i tre temi più importanti per i migranti – e mi hanno aiutato a creare un panorama della situazione migratoria in città.

Inoltre ho visto che problemi analoghi portavano a discussioni simili ed a provvedimenti spesso uguali da parte degli attori centrali: le città, le aziende e la chiesa. Anche le azioni dei migranti non differivano tanto nella migrazione in patria o all’estero.

Per esempio, gli immigrati sono entrati nei livelli più bassi dei mercati del lavoro e, in quanto “nuovi arrivati”, hanno avuto meno possibilità di far valere i propri interessi. A lungo termine solo pochi sono avanzati socialmente.

Se guardiamo il tempo libero: Le iniziative delle città e degli immigrati hanno creato i loro mondi, non c’è stata un’integrazione fluida nella società urbana.

Infine l’indagine sull’accoglienza mostra che né a Torino né a Monaco era chiaro se i migranti si sarebbero insediati a lungo termine. In entrambi i casi, sono stati allestiti soluzioni temporanee, tipo alberghi.

Tutto sommato, ho trovato soprattutto similarità tra le due città: i migranti erano stranieri in entrambe le città, che è anche a ciò si riferisce il titolo del mio lavoro. Però, c’era una differenza importante: Mentre la maggior parte degli immigrati si è stabilita a Torino, quelli andati a Monaco poi tornavano. E questo era difficile a spiegare. Io ho cercato di farlo non tanto in base alle differenze nazionali, ma al sistema di reclutamento. Da un lato, la migrazione interna non regolamentata a Torino portava alla creazione di colonie di migranti attraverso catene migratorie, che alla fine portavano a stabilirsi in città. Gli immigrati italiani a Monaco, chiamati a contratto, erano una diaspora in una città straniera e pochi sono poi rimasti in modo permanente. D’altra parte, il reclutamento parallelo da paesi terzi – tipo Turchia e Jugoslavia – ha ridotto la percentuale di italiani tra i “lavoratori ospiti”. E questo alla fine ha impedito lo sviluppo di un mercato del lavoro veramente europeo.