Marie-Christine Michaud, From Steel Tracks to Gold-Paved Streets. The Ilalian Immigrantsand the Railroad in the North Central States, New York, Center for Migration Studies, 2005, xvi-204 pp.
Ad eccezione del caso degli insediamenti in California, la presenza degli italiani nelle regioni degli Stati Uniti a ovest del Mississippi è stata oggetto di scarsa attenzione da parte degli storici. Non a caso, il principale lavoro di sintesi su questo tema resta ancora lo studio, per certi aspetti pionieristico, di Andrew Rolle, The Immigrant Upraised (Norman, University of Oklahoma Press, 1968). La sua riedizione senza modifiche sostanziali, nonostante un titolo differente (Westward the Immigrants. Italian Adventurers and Colonists in an Expanding America, Niwot, University Press of Colorado, 1999), a trent’anni dalla sua prima uscita attesta ulteriormente la stasi delle ricerche in tale settore. Di per se stessa, però, la ripubblicazione del libro di Rolle è indicativa della crescita di un interesse per le vicende degli italiani al di fuori dei centri urbani dell’est e del mid-west, come dimostrato in tempi più recenti dai contributi raccolti negli atti del XXXIV congresso annuale dell’American Italian Historical Association (Italian Immigrants Go West: The Impact of Locale on Ethnicity, a cura di Janet E. Worrall, Carol Bonomo Albright e Elvira G. Di Fabio, Cambridge, MA, American Italian Historical Association, 2003) o dall’eccentrico libro di Alessandro Trojani, Go West! Alla ricerca degli italiani nel West americano (Firenze, Nuova Toscana Editrice, 2004).
La monografia di Marie-Christine Michaud arricchisce di un ulteriore tassello le conoscenze in questo ambito. Sulla base della documentazione archivistica di alcune compagnie ferroviarie nonché di raccolte di interviste e di carte private conservate a Minneapolis presso l’Immigration History Research Center della University of Minnesota, ma anche attingendo a lavori precedenti principalmente nell’ambito della storia locale, l’autrice presenta un dettagliato resoconto del ruolo svolto dagli immigrati italiani nella costruzione delle ferrovie in Illinois, Michigan, Wisconsin e soprattutto Minnesota tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Michaud si sofferma su alcune tematiche tipiche degli studi sulle comunità italo-americane: le condizioni di vita e di lavoro degli operai italiani, la loro adesione incerta e in ritardo al movimento sindacale anche a causa dei pregiudizi etnici di cui erano vittime, la formazione e i mutamenti delle società di mutuo soccorso, della stampa in lingua italiana e delle parrocchie cattoliche. A questi aspetti più convenzionali, comunque, l’autrice aggiunge l’esame di alcune problematiche specifiche del suo caso studio e non prive di originalità: le complesse dinamiche del reclutamento della manodopera nell’interazione tra agenti delle compagnie ferroviarie, “padroni” e relazioni di parentela e comparaggio, la circolarità dell’impiego tra settore ferroviario e minerario per supplire col secondo alla stagionalità dell’occupazione nel primo, la visione un po’ romantica delle ferrovie agli occhi dei figli dei dipendenti delle compagnie ferroviarie e la trasformazione del senso dell’identità degli immigrati fino all’elaborazione di un duplice attaccamento alla propria etnia e alla condizione operaia.
Le conclusioni dell’autrice avvalorano in parte quanto già sostenuto da Rolle nel suo studio generale sugli italiani all’ovest. Malgrado lo sfruttamento e le privazioni subite soprattutto negli insediamenti temporanei formati presso i cantieri ferroviari, la qualità della vita e le opportunità risultarono migliori per gli immigrati nei centri in crescita a occidente del Mississippi rispetto a quanto potevano offrire le città della costa atlantica. Inoltre, Michaud sottolinea la dedizione degli immigrati al proprio lavoro, per il desiderio di riscattare l’immagine negativa con la quale gli stereotipi del tempo rappresentarono gli italo-americani, nonché la dimensione quasi epica della lotta di questi ultimi contro le forze della natura in un territorio sostanzialmente ancora primitivo che si sarebbe aperto alla modernità dell’industrializzazione in senso lato grazie all’opera degli immigrati. In particolare, viene posto in risalto lo spirito pionieristico di intrepidi italo-americani che scelsero di lasciare i ghetti affollati delle metropoli del nord-est per cercare fortuna negli stati settentrionali del mid-west.
In questa prospettiva, l’autrice stenta a sottrarsi a una lettura celebrativa, influenzata in parte dall’eccessivo ricorso a fonti orali e a memorialistica italo-americana. Il fatto che gli italo-americani abbiano ritenuto di avere ricoperto una parte significativa nello sviluppo della rete ferroviaria statunitense e abbiano rivendicato una loro presunta funzione di iniziatori dell’industrializzazione in Minnesota e negli stati limitrofi attesta l’orgoglio e l’importanza della loro esperienza lavorativa nella memoria collettiva del proprio gruppo etnico. A Michaud va indubbiamente il merito di avere posto in evidenza questa componente. L’effettivo ruolo svolto dagli operai italo-americani e la reale entità del loro contributo rispetto alla manodopera di altre etnie rimangono, però, in ombra. I dati presentati attestano che un gran numero degli immigrati italiani diretti in Minnesota e in altri stati trovarono impieghi connessi alla costruzione delle ferrovie, dove sostituirono operai d’origine tedesca, scandinava e irlandese, che gli imprenditori ritenevano poco affidabili perché più inclini a intraprendere vertenze sindacali e meno disposti a compiere sacrifici personali. Tuttavia le cifre fornite si mostrano carenti riguardo a quale fosse la proporzione degli italiani all’interno della forza lavoro totale in questo settore. La percentuale degli italo-americani impiegati dalle compagnie ferroviarie non sono separate da quelle relative ad altri gruppi etnici. Per la Great Northern Company, per esempio, si afferma che nel 1912 italiani e slavi costituirono complessivamente il 75% dei dipendenti, ma manca una quantificazione ripartita per ciascuno dei due gruppi (p. 146). Allo stesso modo, sarebbero state auspicabili l’inclusione di statistiche sulla sindacalizzazione della manodopera italo-americana e una maggiore contestualizzazione rispetto alle vicende del movimento operaio statunitense.
Nell’uso delle fonti secondarie, invece, sorprende un po’ l’assenza di un qualunque studio pubblicato in italiano sugli italo-americani. Un confronto con la storiografia italiana, infatti, avrebbe conferito maggiore autorevolezza alle argomentazioni dell’autrice. Nondimeno From Steel Tracks to Gold-Paved Streets resta un’indagine utile, che getta luce su un aspetto dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti che finora non era stato indagato in maniera adeguata.