Italians Then, Mexicans Now

Italians Then, Mexicans Now

Joel Perlmann, Italians Then, Mexicans Now: Immigrant Origins and Second-Generation Progress, 1890 to 2000 (New York: Russell Sage Foundation, 2005).

Italians Then, Mexicans NowLa nuova ondata di emigrazione di massa diretta verso gli Stati Uniti dopo l’approvazione della legge Hart-Celler nel 1965 e che ha continuato ad aumentare negli ultimi decenni ha spinto molti Americani a chiedersi se i movimenti migratori siano ormai fuori controllo. Molti americani sono convinti che gli immigrati di oggi siano completamente diversi da quelli che arrivarono negli Stati Uniti tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento. La monografia del sociologo Joel Perlmann si inserisce in una serie recente di studi sui movimenti migratori che smentisce queste presupposizioni e che con confronti longitudinali di esperienze tra immigrati negli Stati Uniti nel passato e nel presente dimostrano che i nuovi immigrati non sono diversi dagli immigrati dal Sud e dall’Est Europa di cento anni prima e che, come questi ultimi, saranno mai in grado di integrarsi nella società americana contemporanea. Perlmann mette a confronto i messicani arrivati negli Stati Uniti dopo il 1965 e gli immigrati dal Sud e dall’Est Europa—esclusi gli ebrei—che arrivarono tra il 1890 e il 1924, in particolare gli italiani. Entrambi i gruppi arrivarono durante periodi d’immigrazione di massa, non parlavano inglese, apparivano esteticamente e culturalmente diversi dagli autoctoni e provenivano da paesi con seri problemi economici, sociali e politici.

Perlmann divide la sua analisi in due parti. Nella prima, egli mette a confronto i dati sui salari per ricavare l’evoluzione della crescita e dell’integrazione economica degli immigrati, considerando che sia gli italiani di allora sia i messicani di oggi appartengono alla categoria di operai non specializzati. In questa prima parte, l’analisi di Perlmann si basa innanzitutto sull’uso degli Integrated Public Use Microdata (IPUMS) dal 1910 al 2000, costruiti con informazioni ricavate dai censimenti condotti in quegli anni, per paragonare gli italiani e gli altri immigrati dal Sud e dall’Est Europa che arrivarono negli Stati Uniti tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento con i messicani odierni. Attraverso quest’analisi, Perlmann conclude che gli immigrati italiani, così come gli immigrati dal resto del Sud e dell’Est Europa, videro i loro salari aumentare di più rispetto ai messicani di oggi, sebbene il loro vantaggio non fosse così significativo come si è pensato finora. In questo primo confronto, emerge, inoltre, un’altra importante differenza tra i due gruppi dovuta in parte ai loro diversi tipi di lavoro non specializzati. Mentre gli italiani lavorano perlopiù nelle industrie, gli immigrati messicani di oggi si concentrano nei servizi, un settore dell’economia in cui i salari sono o diminuiti o cresciuti di livelli minimi. Il crescente wage gap potrebbe influenzare non poco la crescita e la mobilità economica della seconda e delle successive generazioni.

Nella seconda parte della sua analisi, Perlmann mette a confronto i tassi di scolarizzazione e di successo economico tra gli immigrati di seconda generazione, sia italiani sia messicani, con gli stessi dati dei bianchi autoctoni. Ancora una volta, Perlmann conclude che i tassi di scolarizzazione tra gi italiani e i loro coetanei erano più simili a quelli dei bianchi autoctoni di quanto non lo siano oggi i tassi di scolarizzazione tra i messicani e i loro coetanei. Questa seconda parte dell’analisi, presenta degli effetti inaspettati dell’alto tasso di abbandono scolastico che prevale nella comunità messicana e che, in un certo modo nega le conclusioni dell’analisi dei dati ricavati dai censimenti: al contrario di altri gruppi a rischio di abbandono scolastico, la scelta tra gli immigrati messicani di seconda generazione di non proseguire gli studi diventa per loro un’occasione per entrare prima nel mondo del lavoro. Sebbene gli italiani fecero lo stesso agli inizi degli anni quaranta con ragguardevole successo, nel caso dei messicani questa scelta potrebbe rivelarsi controproducente considerando che la maggior parte dei lavori che garantiscono il benessere economico oggi richiede un minimo di educazione.

In conclusione, Perlmann dimostra che i messicani stanno entrando a far parte della società americana così come gli italiani fecero prima di loro, sebbene il processo di integrazione dei messicani stia avvenendo in tempi più rallentati. Nonostante l’originalità del metodo d’analisi utilizzato e il contributo teorico di Perlmann, bisogna chiedersi se le sue conclusioni sarebbero state diverse nel caso in cui avesse analizzato anche le condizioni delle donne dei gruppi di immigrati considerati e se avesse tenuto conto di come le diverse opportunità di lavoro che i messicani di prima e seconda generazione hanno a disposizione, soprattutto quando decidono di non conseguire un diploma di studi superiori, sono indubbiamente molto più limitate e non offrono alcuna possibilità di miglioramento, essendo precari e non garantiti da nessuna forma di protezione sindacale. Nonostante queste limitazioni, Italians Then, Mexicans Now presenta un’analisi longitudinale originale e contribuisce a sfatare il mito, prevalente negli Stati Uniti, che gli immigrati che arrivarono a cavallo tra l’ottocento e il novecento fossero in un certo senso migliori in quanto capaci di costruirsi un futuro da sé e di entrare a fare parte della società americana senza sforzi o cesure.