Manin esule e i liberali francesi: una strategia politica

 

Alla base del monumento a Daniele Manin di Torino, celata nel cemento, una cassa di piombo racchiude una pergamena recante la biografia di Daniele Manin voluta dai comitati francese e italiano e sulla quale si può leggere, a proposito dell’esilio:

 

[…] Viaggiando gli morì di colera a Marsiglia la moglie Teresa Perissinotti. […] Quasi presago della nobile alleanza fra italiani e francesi, scelse Parigi a rifugio dei patimenti che s’aspettava dallo esilio. Coi modi insinuanti dell’animo incontrò e legò illustri amicizie, destando simpatie per l’Italia.[…] Diede insegnamento privato di lingua italiana in sua casa e così visse coi figli. Ripigliò dappoi la vita politica dalla quale si era ritirato; pubblicò a riprese i suoi convincimenti e fu applaudito. Ebbe nuova sciagura colla perdita della figlia Emilia che amava più di sé medesimo […]. Provò con ripetuti scritti che l’Italia non potrebb’essere né pericolosa né nocevole alla Francia. Accettò la casa di Savoia purché concorra a lealmente fare l’Italia e renderla indipendente ed una[1].

 

Nel racconto voluto dal comitato francese e italiano all’origine dell’iniziativa, si possono individuare quattro aspetti dell’esilio di Manin: il dolore del lutto, la sussistenza tramite l’insegnamento della lingua italiana, l’importanza dei contatti francesi e il sostegno al Piemonte. La storiografia di fine Ottocento, francese e italiana insistette sui dolori dell’esilio. Se l’azione politica di Daniele Manin è stata studiata in modo approfondito da più decenni[2], la storia della vita privata è stata invece esplorata molto più recentemente[3]. Il presente articolo propone una riflessione sull’importanza della sociabilità parigina di Daniele Manin, sui legami con intellettuali e politici che gli hanno permesso di elaborare una politica molto più ricca e complessa della semplice accettazione della soluzione monarchico-piemontese per la realizzazione dell’unità d’Italia.

Esiste una coerenza politica evidente nella scelta della terra dell’esilio, anche se Manin non ha mai scritto sull’argomento. L’unico commento si trova in una lettera al medico Barral scritta dopo la morte della moglie, Teresa Perissinotti, a Marsiglia: “je ne m’étais pas trompé, lorsque j’ai choisi la France comme asile; elle est encore le pays des nobles sentiments et des élans généreux”[4].

Durante il Quarantotto, Manin è chiaramente filo-francese, una posizione che maturò in prigione tra il 18 gennaio e il 17 marzo 1848 leggendo il “manifesto alle potenze” di Lamartine del 4 marzo 1848, che prometteva il sostegno della Francia alla causa italiana[5]. Manin è sufficientemente idealista per credere che l’universalismo repubblicano possa diventare una realtà. A differenza dei suoi contemporanei, non dà credito alle riflessioni e paragoni storici che ricordano che il ruolo della Francia nella penisola, dal 1494 alle conquiste napoleoniche, ha spesso portato ad una nuova dominazione[6].

I segnali mandati dal presidente Manin alla Francia sono numerosi, a cominciare dalla nomina dell’artiere Angelo Toffoli, come ministro senza portafoglio, all’immagine di quanto avvenuto in Francia con l’operaio Albert. Anche se rapidamente la politica estera della Francia appare chiaramente attendista[7], Manin invia emissari a Parigi, in un primo tempo Tommaso Gar, poi Nicolò Tommaseo per chiedere – invano – un intervento francese a favore di Venezia. Infine, nell’agosto 1849, lascia Venezia a bordo della nave francese Pluton.

L’azione politica degli esuli si declina in quattro obbiettivi: rappresentare, cioè darsi una legittimità, testimoniare, informare e proseguire la lotta con o senza armi[8]. Manin non fa eccezione a questa regola e per realizzare la sua politica deve inserirsi in una sociabilità in grado sia di accettare il suo discorso politico che di essere capace di trasmetterlo a sua volta.

Giunto a Parigi il 20 ottobre con i due figli, Emilia e Giorgio, la prima settimana è interamente dedicata alla costituzione di una rete di personalità in grado di riconoscerlo e sostenerlo[9]. Si reca per primo al ministero degli Interni dove si porta garante dei veneziani Toffoli, Morosini e Commelli. Il 25 ottobre incontra Victor Hugo e sua figlia e il 26 si intrattiene per due ore con Emile de Girardin (1806-1881), fondatore del quotidiano La Presse nel 1836. Anche se i contatti futuri tra Manin e Girardin non sono ben documentati, questo incontro è fondamentale per comprendere la strategia dell’esilio di Manin. Girardin è un giornalista d’avanguardia, inventore di un quotidiano politico cui prezzo di abbonamento è dimezzato grazie agli inserti pubblicitari. È anche il primo, con Armand Dutacq, direttore del “Siècle”, quotidiano nato nello stesso anno, ad inserire nelle colonne del giornale i celebri romanzi a puntate, il cui successo sarà notevole[10]. Manin dimostra dunque una stupefacente intuizione mediatica, della quale non percepisce ancora bene tutti i contorni ma ne sente l’incredibile potenziale. Parigi è in quel periodo, con il suo fermento culturale e politico, un laboratorio di opportunità mediatiche e di strumenti di comunicazione che Manin stesso, come celebrità politica, aiuterà a sviluppare, diventando lui stesso un argomento di attualità, ma che saprà usare a sua volta al momento del suo ritorno sulla scena politica nel 1855. Il 12 agosto 1850 Manin si stabilisce definitivamente a Parigi al n° 70 della rue Blanche, vicino a Montmartre, in prossimità del triangolo formato dalla rue des Petits-Champs, il Boulevard des Capucines – Boulevard des Italiens e la Rue Montmartre, che sono il cuore della vita sociale del parigina di quegli anni[11]. Al contrario di molti altri esuli, Manin svolge una vita sedentaria per ragioni famigliari, la malattia di Emilia e gli studi di Giorgio, ed effettua solo un breve soggiorno a Londra, dal 20 giugno all’11 luglio 1854.

Le lezioni di lingua italiana impartite da Manin sono il perno della sua sociabilità. Non rivestono solo una funzione finanziaria o sociale, sono bensì un momento in cui le persone vicine agli ideali repubblicani e democratici vengono formate politicamente da Manin alla questione italiana. I suoi studenti, sia ragazzi che adulti, appartenevano alla borghesia parigina. In una lettera a Manin, Cornélie Bouclier insiste sulle virtù morali del maestro, sottolineando che sua figlia non solo imparerà l’italiano, ma anche “une noblesse d’idées et une grandeur de cœur”[12]. L’opera di Dante occupa un posto importante nell’insegnamento di Manin, sia attraverso la Vita Nuova che la Divina Commedia. Marie d’Agoult, una delle sue celebri allieve, racconta che Manin commentava la Divina Commedia a modo suo, facendone essenzialmente una lettura politica, grazie alla quale imparò il vero significato “dell’arte della politica” e la nobiltà della causa italiana[13]. Frequentando Marie d’Agoult, con la quale lega una sincera amicizia, Manin accede al suo rinomato salotto della “Maison rose”[14], dove si ritrovavano repubblicani francesi e proscritti italiani o polacchi. In regola generale anche se le opere letterarie utilizzate da Manin sono molteplici, tutte rientrano nel canone risorgimentale identificato da Banti[15]. Così troviamo oltre a Dante, Petrarca, Lorenzo de’ Medici, Michelangelo per i classici, e Manzoni, Guerrazzi, Leopardi, Foscolo, Alfieri, Berchet tra gli autori contemporanei[16].

L’efficacia dell’insegnamento di Manin risiede in parte nel prestigio che circonda la sua persona, nella sua qualità di insegnante patriota, ma anche la dignità con la quale affronta l’esilio ed il lutto. Non solo, Manin formava fra gli intellettuali e politici liberali spiriti pronti ad aderire alle rivendicazioni italiane. Manin, come molti altri esuli, diventa un maestro della nazione.

L’esempio di Marie d’Agoult può estendersi ad altri allievi che in seguito adotteranno una posizione favorevole all’Italia, come Anatole de la Forge, Pierre-Jean Béranger, Henri Martin, Nicolas-Louis Planat la Faye o Ary Scheffer. Anche quest’ultimo gioca un ruolo fondamentale nell’esilio di Manin. I due si incontrano per la prima volta nel maggio 1852 e tra loro nasce una solida amicizia. Pittore decisamente romantico, Ary Scheffer rimarrà per tutta la vita un fervente sostenitore di Luigi Filippo, ma anche un appassionato difensore della causa della nazionalità. Il suo studio è un vero salotto cosmopolita dove si ritrovano greci, polacchi e italiani ai quali offre sempre ospitalità. Ary Scheffer fornisce nuovi allievi a Daniele Manin, come lo scrittore inglese Charles Dickens e le sue due figlie nel 1855. Presenta pure a Manin Henri Martin che sarà il suo primo biografo e convinto sostenitore. Infine è Ary Scheffer, che offre la tomba di famiglia a Emilia Manin nel 1854 e nuovamente nel 1857, quando Manin muore a sua volta. Un altro sostegno importante nell’esilio, sia dal punto di vista domestico che politico, sono i coniugi Nicolas-Louis et Frédérique Planat de La Faye[17].

Cosciente dalla propria difficoltà a continuare la lotta politica, dovendo mantenere la famiglia, Manin permette ai democratici francesi di impadronirsi della sua figura politica e lascia loro il compito di elaborare la sua leggenda. Il contesto parigino degli anni 1850 è molto particolare: da un lato si stanno sviluppando tecniche mediatiche destinate ad un lungo successo, che rinforzano il ruolo di Parigi come capitale europea della cultura e della politica, da un altro le circostanze della politica interna, tra il colpo di Stato di Luigi-Napoleone Bonaparte del 2 dicembre 1851 e la proclamazione dell’Impero un anno dopo, fanno sì che i repubblicani francesi si ritrovano nell’opposizione. Intralciati dalla censura, hanno bisogno di alimentare il proprio discorso politico e Manin costituisce per loro un supporto ideale. Essi hanno bisogno di una figura democratico-moderata emblematica. La prima tappa nella costruzione e nell’uso della figura di Manin da parte francese è l’incontro con il giovane giornalista e saggista Anatole de La Forge (1821-1892). A partire dal 27 dicembre 1850 i due si incontrano regolarmente perché de La Forge sta preparando il testo della sua Histoire de la République de Venise sous Manin pubblicato tra il 1852 ed il 1853. In quest’opera apologetica, de La Forge sviluppa il tema del Manin redentore della patria e quella di capo popolo da opporre a Mazzini. Il giornalista scrive tra il 1850 ed il 1851, ed è sorprendente trovare nel suo saggio i concetti e le espressioni che saranno usate da Manin tra il 1854 ed il 1857 riguardo la realizzazione dell’unità italiana e che lo opporranno a Mazzini, come ad esempio la scelta della parola “unione” al posto di “unità”, rifiutando l’idea mazziniana di uno stato centralizzato[18]. Queste anticipazioni di quello che sarà pubblicamente il pensiero di Manin confermano l’implicazione diretta di Manin nell’elaborazione di questo saggio così come il ruolo che conferisce ai prosatori del partito repubblicano francese nell’elaborazione e la diffusione sia della sua propria figura che del suo pensiero politico[19]. L’attenzione che Manin dimostra nei confronti dell’Histoire di de La Forge, affinché essa annunci e non deformi la sua futura politica, si ritrova in una lettera inviata al giornale “Le Siècle” nella quale prende le sue distanze riguardo il giudizio espresso nei confronti della politica di Carlo-Alberto. Il francese infatti considerava un tradimento l’armistizio di Salasco del 9 agosto 1848[20]. La strategia politica di Manin è dunque chiara sin dal 1851: distinguersi da Mazzini ed incarnare una via moderata per la realizzazione dell’unità nazionale e parallelamente non sciupare i rapporti con il Piemonte. Il tutto prestandosi ad un gioco mediatico che giova particolarmente anche ai francesi.

I sostenitori di Manin scendono in campo in reazione al romanzo di George Sand intitolato La Daniella, parso a puntate nella “Presse” a partire dal 6 gennaio 1857. Il romanzo, si ispira a un viaggio che George Sand fece a Roma nel 1855. La classica storia d’amore è qui un pretesto per un quadro storico dell’Italia contemporanea e soprattutto della Roma dei papi. Tuttavia, la controversia va ben oltre la questione dell’anti-clericalismo di George Sand. Infatti il 30 gennaio, Anatole de La Forge, sotto lo pseudonimo di “un lecteur bienveillant”, condanna la frase: “L’Italie, vierge prostituée à tous les bandits de l’univers, immortelle beauté que rien ne peut détruire, mais qu’aussi rien ne saurait purifier”[21]. Nasce così una corrispondenza via stampa tra George Sand che giustifica le sue scelte letterarie ed un de La Forge pronto a difendere la reputazione dell’Italia. In una delle sue lettere, precisa che parla a nome di Daniele Manin, Henri Martin e del Generale Ulloa. Per La Forge le considerazioni della scrittrice sono infondate perché le rivoluzioni del 1848 ed in particolare la Repubblica di Venezia di Daniele Manin, hanno riscattato definitivamente l’onore italiano, purificandolo nel sangue, nel coraggio e nel sacrificio[22].

Dopo la morte di Manin, il 22 settembre del 1857, i maniniani decidono di continuare l’opera politica del maestro. In base a quanto riferito da René Vallery-Radot[23], Manin, sentendo le sue forze declinare, avrebbe fatto promettere ai suoi amici di continuare dopo di lui la lotta politica per l’Italia[24]. Questa promessa costituisce l’atto di nascita del partito maniniano, “peu considérable par le nombre, mais actif, dévoué, toujours sur la brèche, ne laissant échapper aucune occasion de témoigner sa sympathie pour l’Italie, son ardent désir d’en voir chasser l’Autriche”[25]. La prima azione pubblica dei maniniani è la creazione di un comitato per l’edificazione di una statua in onore del veneziano, che avrebbe permesso di riunire gli amici francesi ed italiani di Daniele Manin, un’amicizia che Manin considerava indispensabile per il futuro dell’Italia[26]. Grazie all’azione di Giorgio Pallavicino, un comitato italiano è creato ed il progetto nasce nel 1858 per opera di Vincenzo Vela. L’inaugurazione avviene il 22 marzo 1861, anniversario della proclamazione della Repubblica veneta del 1848.

La costruzione della memoria francese di Manin prosegue con i libri dei coniugi Planat e di Henri Martin, che, appoggiandosi sulle fonti lasciate da Giorgio Manin ai Planat, scrivono due opere di stampo biografico-archivistico ed una pubblicazione della corrispondenza diplomatica di Manin. Nel 1859 Henri Martin pubblica quindi la sua biografia, Daniel Manin, seguita nel 1860 dai due volumi di Frédérique Planat de la Faye, Documents et pièces authentiques. La pubblicazione della corrispondenza diplomatica di Manin, invece, è curata da Nicolas-Louis de Planat de La Faye ed intitolata La Vénétie devant l’Europe[27]. I coniugi Planat moltiplicano infine gli sforzi a favore di Venezia e dell’Italia, usando contatti personali presso Napoleone III, documentandosi e scrivendo articoli nel “Siècle”, contribuendo così all’intervento francese in Italia nel 1859[28].

Dopo essere riusciti nell’intento di vedere la Francia associata al Piemonte, i maniniani proseguono l’azione commemorativa nel 1868, durante la traslazione delle salme di Manin a Venezia, ma anche nel 1875, per l’inaugurazione della statua di Manin in campo San Paternian. Essi, ed in particolare Henri Martin, diventano i custodi della memoria dell’esilio e le commemorazioni italiane sono per loro l’occasione di tramandare la figura di Manin da loro elaborata, in un contesto politico veneziano non proprio propizio al ricordo della gesta quarantottesca[29]. L’esilio di Daniele Manin fornisce dunque un buon esempio, anche se posteriore, di quell’internazionale liberale nella quale gli esuli italiani non si accontentano di assimilare le idee ed i concetti dell’Europa settentrionale, ma contribuiscono attivamente alla costituzione delle tematiche antidespotiche e repubblicane del liberalismo europeo[30].

 

[1]           Discorsi italiani e francesi pronunciati nella inaugurazione del monumento a Daniele Manin sul giardino pubblico di Torino, Torino, Botta, 1861, pp. 14-15.

 

[2]           Alessandro Levi, La politica di Daniele Manin, Milano-Genova-Roma-Napoli, Società anonima editrice Dante Alighieri, 1933.

 

[3]           Laura Lepscky Mueller, La famiglia di Daniele Manin, Venezia, Istituto di scienze, lettere ed arti, 2005.

 

[4]           Lettera del 12 ottobre citata in Henri Martin, Daniel Manin, Paris, Furne, 1859, p. 360.

 

[5]           Frédérique Planat de La Faye, Documents et pièces authentiques laissées par Daniel Manin, Paris, Furne, 1860, vol. 1, pp. 84-85.

 

[6]           Paul Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-1849 (1978), Milano, Feltrinelli, 2007, p. 100.

 

[7]           Ferdinand Boyer, La Seconde République et Charles Albert en 1848, Paris, A. Pedone, 1967.

 

[8]           Sylvie Aprile, Les siècle des exilés. Bannis et proscrits de 1789 à la Commune, Paris, CNRS éditions, 2010, p. 179.

 

[9]           Biblioteca del Museo Correr di Venezia (BMCV), Mss. Manin (Pellegrini), b. 14/8.

 

[10]          Marie-Ève Thérenty e Alain Vaillant, 1836. L’an I de l’ère médiatique. Analyse littéraire et historique de “La Presse” de Girardin, Paris, Nouveau Monde, 2001, pp. 7-17.

 

[11]          Gian-Luca Fruci, “Un contemporain célèbre”. Ritratti e immagini di Manin in Francia fra rivoluzione ed esilio, in Fuori d’Italia: Manin e l’esilio, a cura di Michele Gottardi, Venezia, Ateneo Veneto, 2009, p. 149.

 

[12]          BMCV, Mss. Manin (Pellegrini), b. 22/82-83, s.d.

 

[13]          Marie d’Agoult, Florence et Turin: études d’art et de politique (1857-1861), Paris, M. Lévy, 1862, pp. VII-VIII.

 

[14]          Marie d’Agoult, Mémoires (1833-1854), Paris, Calman-Lévy, 1927, pp. 219-225.

 

[15]          Alberto Maria Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000, p. 45.

 

[16]          BMCV, Mss. Manin (Pellegrini), b. 18/8, 9, 11. Vedi anche L. Lepscky Mueller, La famiglia, cit., pp. 217-221.

 

[17]          Nicolas-Louis Planat de La Faye (1784-1864) era un militare di carriera, aiutante di campo dei generali Lariboissière e Drouot, poi ufficiale attendente di Napoleone I.

 

[18]          Anatole de La Forge, Histoire de la République de Venise sous Manin, Paris, Amyot, 1853, I, pp. 53-54.

 

[19]          Ivan Brovelli, Daniele Manin – Anatole de La Forge: dall’azione politica al discorso storico (1849-1853), in Fuori d’Italia, cit., pp. 111-128.

 

[20]          Lettera del 20 giugno 1853, in F. Planat de La Faye, Documents, cit., II, pp. 421-422.

 

[21]          Annarosa Poli, La querelle de La Daniella, “Cahiers de l’AIEF”, 28, 1 (1976), p. 282.

 

[22]          “La Presse”, 19 marzo 1857.

 

[23]          René Vallery-Radot (1853-1933) è uno scrittore noto per aver pubblicato la prima biografia di Louis Pasteur.

 

[24]          Frédérique Planat de La Faye, Vie de Planat de la Faye, aide de camp des généraux Lariboisière et Drouot, Paris, Paul Ollendorff, 1895, p. XVIII.

 

[25]          Ibid., p. 631.

 

[26]          Ibid., p. XVIII.

 

[27]          Nicolas-Louis Planat de La Faye, La Vénétie devant l’Europe, Paris, E. Dentu, 1859.

 

[28]          Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Tommaseo, b. 113/87, lettera del 6 settembre 1859 di Nicolas-Louis Planat a Nicolò Tommaseo.

 

[29]          Eva Cecchinato, La rivoluzione restaurata. Il 1848-1849 a Venezia fra memoria e oblio, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 81-156.

 

[30]          Maurizio Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 29-42 e 309.