La tratta delle bianche: un’invenzione giornalistica?

Nell’ultimo quarto dell’Ottocento scoppia in Belgio, Francia e Gran Bretagna una veemente polemica sulla “tratta delle bianche”, cioè sull’esportazione coatta di prostitute tra le nazioni del Vecchio Mondo[1]. Le prime pubblicazioni sul tema concernono soprattutto Bruxelles, Londra e Parigi, dove alla crescita demografica ha corrisposto l’aumento del numero di chi vive ai margini della società[2]. Ai primi resoconti giornalistici, spesso morbosi e ammantati di pretese moralizzanti, si accompagna l’azione di associazioni per la difesa delle donne e dei minori o più genericamente contro il “vizio”[3]. In tale contesto è rilevante il contributo di riformatrici come Josephine Butler, che nel 1875 fonda la British and Continental Federation for the Abolition of Prostitution e nel 1880 denuncia pubblicamente che molte minorenni britanniche si prostituiscono a Bruxelles[4].

Londra è la piazza più attiva nella protesta per molteplici motivi: l’ampio spettro locale delle prestazioni a pagamento, l’azione dell’associazionismo cristiano (spesso non denominazionale, come nel caso di Butler) e il contributo della stampa. William Thomas Stead, direttore di “The Pall Mall Gazette”, pubblica violenti articoli sulla prostituzione minorile, ottenendo una revisione delle leggi relative (Criminal Law Amendment Act, 1885), e partecipa alla fondazione della National Vigilance Association (sempre 1885). Sennonché viene poi condannato a tre mesi di prigione per aver sfruttato, anzi addirittura creato, false testimonianze utili a incrementare vendite e influenza del suo giornale[5].

Comunque l’eco dei dibattiti nel Parlamento e nei tribunali britannici ha coinvolto numerose associazioni nell’isola e nel continente. Per esempio, l’accusa di importare prostitute inglesi ha spinto i belgi a studiare il fenomeno e a chiedersi come rimediare[6]. Progressivamente campagne giornalistiche e scandali polarizzano l’attenzione di tutto il continente[7], mentre ci si rende conto che le prostitute europee sono invischiate in reti assai vaste, che le spingono verse mete sempre più lontane. Di conseguenza varie organizzazioni richiedono un progetto legislativo internazionale, come d’altronde alcuni commentatori belgi hanno domandato sin dagli inizi. A tale scopo, pur essendo nate su scala nazionale, molte associazioni per la protezione delle donne si federano a livello europeo, come d’altronde Butler aveva subito suggerito, e organizzano a scadenze regolari colloqui nelle maggiori capitali: Londra, Madrid e soprattutto Parigi[8]. In tali incontri sono siglati accordi internazionali, per esempio a Parigi nel 1904 e nel 1910, per combattere la tratta delle “schiave bianche”.

Negli anni antecedenti la Grande guerra sono dunque elaborati protocolli che dovrebbero frenare quei commerci. Dopo il conflitto la parola passa alla Società delle Nazioni, fondata nel 1919. La Prima Conferenza Internazionale contro la Tratta, organizzata da essa, si tiene a Ginevra nel 1921 e ribadisce la necessità di un quadro internazionale giuridicamente omogeneo, come indicato a Parigi nel 1904 e nel 1910. È quindi siglata una nuova convenzione internazionale, ma il fatto che nel 1933 ne sia elaborata una seconda rivela l’insuccesso della prima. Tuttavia la Società delle Nazioni non demorde e sino allo scioglimento nel 1946 continua a promuovere inchieste e dibattiti sul tema[9].

Nel frattempo le polemiche hanno investito il Nord America, in particolare gli Stati Uniti[10]. Qui il tema ha innervato alcuni dibattiti legislativi[11], sin da quelli primo novecenteschi sui pericoli generati da una immigrazione senza controlli. Ampio spazio è, per esempio, dato ai rapporti tra immigrazione e prostituzione nati dalle attività della Commissione Dillingham (1907-1911)[12]. Al contempo il tema delle “schiave bianche” si rivela di enorme appeal in campo massmediatico, come per altro sta accadendo pure nel Vecchio Mondo. Un aspetto particolare di quanto scritto su tale traffico è la possibilità di poter scivolare con estrema facilità dall’impegno civile alla pruriginosità. Sin dall’ultimo quarto dell’Ottocento, l’argomento attrae perciò autori e lettori europei e americani ed è sfruttato da giornali e riviste[13]. Il passo dalla prima pagina ai feuilleton sugli stessi organi di stampa è breve e storie di prostitute forzate compaiono presto nella produzione romanzesca di massa, a puntate o in libreria.

In Francia questa letteratura attraversa la Belle époque e prosegue nell’entre-deux-guerres, mischiando pretese interviste alla vittima della tratta e (sedicenti) memorie di tutori dell’ordine o crociati della moralizzazione[14]. Oltre Atlantico romanzi e inchieste romanzate hanno un ancor più grande successo, soprattutto se firmati da predicatori o da procuratori federali[15]. Un romanzo di Reginald Wright Kauffman si rivela un bestseller[16], ancora stampato nel secondo Novecento, ed è portato sullo schermo nel 1914, iniziando così uno specifico sottogenere cinematografico, sul quale torneremo fra qualche riga[17]. Quasi contemporaneamente il tema è recuperato a teatro. Un copione anonimo dedicato alla tratta è edito in Belgio negli anni Ottanta dell’Ottocento[18], quando è vivo lo scandalo bruxellese. Inoltre da tempo sono aggiornati gli spunti già in opere e operette sugli harem “turchi” elaborate tra secondo Settecento e primo Ottocento[19]. Certo ci sono significative differenze fra queste e quanto interessa a fine Ottocento. In Die Entführung aus dem Serail (1782) di Wolfgang Amadeus Mozart e in L’italiana in Algeri (1813) di Gioachino Rossini le protagoniste sono rapite, ma non prostitute. Tuttavia a metà secolo già si è ovviato a tale discrepanza. Nel 1863 una recensione della ripresa all’Opéra-Comique di Parigi di Les amours du diable (1853) del belga Albert Grisar segnala come tale spettacolo sia una sorta di pot-pourri, nel quale non manca una nave di corsari dediti alla “tratta delle bianche”[20].

Nel Novecento l’argomento non ha più a che vedere con gli harem operistici e concerne le sole case di tolleranza, ma continua a richiamare spettatori. Nella sala Montparnasse di Parigi, è messa in scena il 23 marzo 1907 La Traite des blanches, scritta da Marc Bonis-Charancle[21]. La pièce è poi ripresa nei teatri di Grenelle e dei Gobelins, infine al Théâtre populaire di Belleville, raccogliendo ovunque un buon successo. La fortuna degli spettacoli teatrali suggerisce ai cineasti europei di sfruttare il soggetto e nel 1910 viene distribuito Den hvide slavehandel (La tratta delle schiave bianche) del regista danese August Blom. Il film, in parte visibile su YouTube, pare sia il clone di un’altra pellicola di poco precedente su una giovane danese segregata in una casa chiusa londinese. In ogni caso genera ben due seguiti: Den hvide slavehandel II, 1911, e Den hvide slavehandel III, 1912[22] e prepara il decollo di quel tipo di pellicole oltre Atlantico.

Nel 1913 un film statunitense, Traffic in Souls diretta da George Loane Tucker, racconta il dramma di due svedesi attirate nella rete dei prosseneti e ratifica la nascita del già ricordato sottogenere cinematografico, che riemerge con regolarità sino a metà secolo. Su YouTube è disponibile la metà di un altro film del 1913, The Inside of the White Slave Traffic, regia di Frank Bill, che dichiara di essere tratto da “storie vere”: un altro elemento di questo tipo di narrazione. Nel 1926 l’olandese Jaap Speyer gira in Germania Mädchenhandel – Eine internationale Gefahr (in inglese: White Slaves Traffic) su una ballerina tedesca rapita a Budapest e inviata ad Atene. Nel 1937 appare in Francia Le Chemin de Rio del tedesco Robert Siodmak, sui traffici in Brasile, con tanto di giornalista che tenta di infiltrarsi fra i mercanti di prostitute. Nel 1952 Luigi Comencini accenna alla partenza di queste ultime dal porto di Genova in La tratta delle bianche.

La pellicola appena citata è l’ultima testimonianza della partecipazione italiana alla discussione sul “commercio” di prostitute. Agli inizi del Novecento il diplomatico Raniero Paolucci de’ Calboli prende spunto dalle prime conferenze internazionali sulla tratta per discutere il caso italiano, in riferimento sia all’emigrazione verso l’estero, sia a quella interna. Dopo la Grande guerra prende inoltre parte alle attività della Società delle Nazioni, nonostante le obiezioni di vari esponenti del regime fascista[23]. I pericoli della tratta sono stati intanto presentati in Parlamento nel 1903 da Alfredo Baccelli, sottosegretario agli Esteri[24], e su di essi tornano Vittorio Levi e Mario Pettoello prima della Grande guerra[25]. A sua volta il giurista Attilio Parazzoli riassume e commenta le iniziative internazionali nel primo dopoguerra[26]. Dagli inizi del secolo si succedono inoltre interventi e iniziative delle associazioni nate per la difesa delle giovani[27]. Esse provvedono anche a tradurre quanto elaborato sulla scena internazionale[28], nonché a rendere conto di quanto presentato agli incontri internazionali[29].

L’attività delle associazioni impegnate in Italia e all’estero, così come il dibattito prima e dopo la Grande guerra è stato approfondito da notevoli studi. Non vale quindi la pena di insistere su un terreno già brillantemente analizzato[30]. Dobbiamo, però, ricordare come nel 2009 il sociologo belga Jean-Michel Chaumont abbia definito il dibattito sulla tratta come la creazione di un mito[31]. In particolare egli ritiene che l’elaborazione dei documenti della Società delle Nazioni sia una voluta mistificazione, ai suoi occhi estremamente pericolosa. A sua volta Jo Doezema asserisce che elementi “fantastici” hanno inquinato la percezione di una situazione concreta[32].

In effetti il costrutto “tratta delle bianche” è ingannevole e alla sensibilità odierna appare nascondere un substrato razzista[33]. Inoltre è evidente che sfrutta le paure suscitate per rafforzare il controllo sociale[34]. Tuttavia le persone del tempo erano coscienti di questi aspetti negativi, ma ritenevano che non inficiassero la lotta contro il traffico di prostitute. Nel 1910 la prestigiosa “Revue des Deux-Mondes” dedica ampio spazio agli accordi internazionali di Parigi del 1904 e del 1910[35]. All’inizio del fascicolo si segnala come “Le mot de Traite des Blanches est peut-être impropre, car il ne s’agit pas, dans la lutte engagée, du sauvetage exclusif des femmes blanches, et celles de toute autre couleur, les noires comme les autres, ont droit à la même protection, mais il est clairement expressif” (il termine “tratta delle bianche” è forse improprio perché siamo impegnati in una lotta che non prevede il salvataggio delle sole donne bianche, perché tutte quelle di altro colore, nere comprese, hanno diritto ad eguale protezione, però è chiaramente molto espressivo).

Si potrebbe dunque rileggere alcune fonti di quel tempo, soprattutto giornalistiche e letterarie, e cercare di non sovrapporre la nostra percezione a discorsi non più interpretabili automaticamente, ma necessitanti una “traduzione”. A tal scopo possiamo ripercorre i libri-reportage di Albert Londres (1884-1932), sempre citati, ma altrettanto spesso non letti, perché ormai abbastanza noiosi e desueti.

Londres è stato uno dei più famosi reporter francesi, tanto che, dall’anno della morte in un naufragio al largo di Aden, gli è intitolato il premio per i giovani giornalisti francofoni[36]. Numerosi viaggi gli hanno permesso di esplorare aspetti diversi della globalizzazione primo novecentesca, fra i quali l’enorme sviluppo delle correnti migratorie. A queste, o meglio ad alcune città da esse nutrite, sono dedicati volumetti ancora oggi consultati quali fonti sugli anni Venti. In Marseille, porte du sud e Le Chemin de Buenos Aires, entrambi del 1927, le due città sono descritte quali terminali delle migrazioni in genere e di quelle legate alla prostituzione in particolare[37].

La città francese è definita un magnete per chi proviene dall’Africa settentrionale, dal Medio Oriente, dalla Cina oppure da Spagna, Italia, Polonia e Romania, e vuole inserirsi in Francia oppure salpare verso l’Argentina, il Brasile e l’Australia. Gli immigranti di passaggio vivono un’incerta attesa nei dintorni del porto: “De partout ils arrivent à Marseille. […] Le grand caravansérail des temps modernes est ici, rue Fauchier. […] Il s’appelle Hôtel des Émigrants. Il n’est pas en Europe bâtiment plus nostalgique. C’est le foyer des hommes sur la branche” (Arrivano a Marsiglia da ogni dove. […] Il grande caravanserraglio dei tempi moderni si trova qui, in rue Fauchier. […]. Si tratta dell’Hôtel des Émigrants e non vi è in Europa un edificio più contrassegnato dalla nostalgia. È il rifugio domestico degli uomini in attesa). Proprio questo attendere è pericoloso per tutti, perché Marsiglia è una città violenta, ma specialmente per le donne, perché la malavita marsigliese è dedita alla “traite des Blanches”. Su tale traffico tuttavia Londres non si dilunga, preferendo esplorarlo nel quasi coevo libretto sulla capitale argentina, il quale copertina originale ha come sottotitolo proprio “La tratta delle bianche”[38].

Il reportage su Buenos Aires inizia con l’intervista a un prosseneta parigino, che esporta francesi in Argentina. Il giornalista, fintamente ingenuo, gli dice di aver sempre pensato che la destinazione principale delle prostitute fosse l’Egitto. Il lenone e alcuni suoi amici di un caffè del Faubourg Saint-Denis rispondono che lo sbocco migliore è Buenos Aires, perché lì la polizia è facilmente corrompibile e sempre pronta a dare una mano.

Londres ha, o almeno dichiara di avere, molti ammiratori fra la mala parigina, grazie ai suoi reportage sui bagni penali nella Guiana e quelli militari nell’Africa settentrionale[39]. Ottiene quindi una serie di interviste che lo convincono a imbarcarsi per Buenos Aires. Sul battello incontra una giovane prostituta con il suo protettore, entrambi francesi. Parlando con il secondo, Londres scopre che ha una moglie, già al “lavoro” nella capitale argentina. I due contano di restarci un altro anno e di avere poi abbastanza per aprire un bar a Marsiglia. Dalla stessa conversazione il giornalista capisce che Buenos Aires è la meta preferita delle prostitute francesi, ma che alcune sono impiegate a Montevideo in Uruguay e Santiago nel Cile[40]. In effetti dal battello discendono nella capitale uruguaiana diverse donne tra i 17 e i 22 anni: non hanno biglietto, né passaporto (ma questo non parrebbe servire ai francesi in Uruguay secondo il giornalista) e molte proveranno in un secondo tempo a entrare in Argentina. La polizia ferma invece a Buenos Aires il giornalista e non lo vorrebbe far sbarcare, temendone l’inchiesta, ma s’intromette a suo favore il “maquereau” conosciuto in mare.

La città sorprende il reporter (“ses maisons sont plus jolies qu’à Paris”: le sue case sono più graziose di quelle parigine), ma è una Cafarnao alla millesima potenza, cioè una città commerciale straricca e marchiata dai cattivi costumi. Recatosi alla Librairie française, che sa funzionare da cassetta postale dei prosseneti provenienti dalla Francia, fa in modo di incontrare questi ultimi, per i quali ha lettere di presentazione di colleghi parigini. Nel frattempo il suo compagno di viaggio lo introduce al mondo “sotterraneo” della città. Alla fine Londres conversa con tutti i “mercanti di prostitute” francesi e scopre che sono sempre parigini o marsigliesi (“Dans cette «église» là, il n’y a que ces deux évêchés”: in quella “Chiesa” vi sono soltanto due diocesi) e che a Buenos Aires “ils s’harmonisent admirablement avec l’ensemble du paysage argentin” (si armonizzano mirabilmente con il paesaggio argentino). Li definisce socialmente anarchici, ma politicamente conservatori, perché a loro parere i governi tradizionalisti fanno prosperare gli affari. Inoltre “[i]ls sont effrontément bourgeois. Ils raffolent des pantoufles, des parties de cartes, de la chasse, de la pêche à la ligne. Leur rêve est une maison de campagne sur les bords d’une eau douce” (sono sfrontatamente borghesi. Amano le pantofole, le partite a carte, la caccia, la pesca con la canna. Il loro sogno è una casa di campagna sulle rive di un fiumicello). Però, “[i]ls veulent avoir cela sans travailler. Ils n’ont pas la peur du travail, ils en ont le mépris” (vogliono avere tutto questo senza lavorare. Non hanno paura del lavoro, lo disprezzano).

Segue una sorta di biografia esemplare del prosseneta, basata su qualche intervista. Hanno tutti cominciato marinando la scuola e dandosi a piccoli furti. Poi sono finiti in prigione per la prima volta e hanno imparato che per guadagnare bisogna sfruttare le prostitute. Hanno quindi iniziato una carriera da piccoli mezzani e sono andati una seconda volta in prigione. Quando sono usciti, si sono portati una donna a Londra e con l’astuzia l’hanno spinta sulla strada, sapendo che le leggi britanniche sono più tenere di quelle francesi. Infine hanno scoperto la “moda argentina” e hanno ricominciato da zero oltre l’oceano, con l’aiuto di qualche compatriota che ha anticipato il capitale iniziale (a interessi esorbitanti). Quasi tutti hanno nel frattempo disertato la guerra e non hanno potuto più rientrare in Francia[41]. Quando è loro servito, si sono perciò fatti portare a Londra dai propri fratelli e cugini altre ragazze da impiegare a Buenos Aires.

Le donne arrivate al Plata sono vendute e comprate fra marsigliesi e parigini, ma non provengono tutte dall’Esagono: alcune sono polacche o italiane. Tutte comunque sono spinte dalla fame e dal bisogno, oppure sono figlie di prostitute e ladri. La loro vita non è romantica, perché sono continuamente sfruttate: “Le milieu est une société d’hommes qui exploitent la femme, simplement, comme d’autres exploitent des forêts, des brevets, des mines ou des sources d’eau minérale” (la malavita è una società maschile che sfrutta la donna, quasi naturalmente, come altri sfruttano le foreste, i brevetti, le miniere o le fonti di acqua minerale). Inoltre anche i funzionari e i poliziotti argentini vogliono una parte dei guadagni. Nonostante tutto, però, le prostitute pensano che il loro sia l’unico modo di sopravvivere alla povertà e aiutare le famiglie. In realtà sostengono soprattutto i protettori: uno racconta al giornalista che ha un appartamento a Buenos Aires, un secondo alla Boca, un terzo vicino a Rosario e un quarto a Londra. Complessivamente quattro donne lavorano per lui, una per appartamento, e a 37 anni (di cui 5 già passati in carcere) ha messo da parte due milioni di franchi. Ha sposato una delle quattro prostitute al suo servizio e spera di vendere tutto e trasferirsi a Parigi, per vivervi da gran signore.

Londres interroga chi si batte contro la tratta e segnala che le francesi di Buenos Aires hanno fondato una associazione a tal fine. I suoi membri si recano al porto, ogni volta che attracca un battello francese, ma ottengono scarsi successi, perché la maggior parte delle prostitute non è vittima di inganno, ma ha scelto a occhi aperti questa peculiare forma di migrazione. In conclusione, dichiara il giornalista, nel caso francese la prostituzione migrante è all’80% volontaria ed è causata dalla povertà. La colpa ricade perciò sulla società francese, perché non ha fatto niente per aiutare le donne indigenti.

Il libro di Londres è oggi difficile da leggere, perché scritto con un piglio e uno stile troppo invecchiati. In particolare è percorso da una sottile vena sciovinista, che lo spinge a manifestare un profondo disprezzo verso chi non è francese: si vedano i ripetuti commenti sui difetti dell’America latina, dei britannici, dei funzionari della Società delle Nazioni. Inoltre il giornalista si esalta troppo nel descriversi come un Arsenio Lupin della carta stampata, simpatico ai delinquenti e sgradito ai tutori della legge. Tuttavia il suo discorso è meno semplicistico di quanto sembri. La stessa idea che per le francesi non si possa parlare di tratta, dato che partono volontariamente e in piccolo numero, si accompagna al riconoscimento che per le ebree polacche esiste invece un “commercio di carne umana”[42]. Le francesi infatti sono povere, ma hanno avuto una possibilità di scelta, mentre le ebree polacche sono vendute dalle famiglie a una rete di malviventi e mezzane che da Varsavia si estende oltre l’oceano. E Londres non si ferma a questa intuizione, ma cerca di capirne meglio il contesto. Negli anni immediatamente successivi esplora il mondo ebraico dell’Europa orientale e la sua diaspora nell’Europa occidentale e in Palestina, seguendo con attenzione e curiosità la nascita di quello che diverrà Israele[43]. Inoltre, per comprendere cosa sia la tratta, studia le forme di neo-schiavitù nelle colonie francesi in Africa. “Quand les nations d’Europe ont supprimé la traite (officiellement), ont-elles du même coup supprimé les esclaves?” (quando le nazioni europee hanno ufficialmente soppresso la tratta, hanno allo stesso tempo soppresso gli schiavi?)[44], si chiede retoricamente e risponde che le nazioni europee non hanno liberato di questi ultimi. Anzi essi sono rimasti nelle colonie e il loro numero è cresciuto, obbligando a forme di schiavitù chi finiva in prigione, e sono stati sfruttati per tutti i lavori necessari, a partire dalla costruzione delle ferrovie.

Pure questi libri sono scritti nello spirito (francese) del tempo, tanto che Londres si preoccupa dello sfruttamento degli africani, ma si chiede pure come far prosperare le colonie della Francia. Tuttavia il tentativo di offrire un resoconto realistico di quante accade fuori delle frontiere dell’Esagono è interessante e nel caso della prostituzione a Buenos Aires serve a tratteggiare una specie di storia sociale, anticipando quanto è stato fatto in tempi più recenti[45]. Inoltre il giornalista indaga sulla mentalità dei prosseneti, in particolare sul loro motivato conservatorismo politico[46], e permette d’inquadrarne la prospettiva economica in un traffico ridotto (si ricordi che il protettore più ricco ha alla fine solo quattro donne al lavoro). A un certo punto Londres intervista un anziano profittatore e questi racconta come, per massimizzare i profitti, ai tempi della sua giovinezza si portassero le prostitute a Ostenda e quindi a Londra. Poi ci si imbarcava a Manchester su qualche cargo e si sbarcava a L’Avana (Cuba) e Kingston (Giamaica), oppure in Canada e negli Stati Uniti. Solo più tardi è stata la volta dell’Argentina, dove l’unico pericolo erano i prosseneti locali che rubavano ai colleghi francesi e polacchi le donne appena sbarcate. Insomma il prosseneta studia i mercati internazionali e cerca di capire dove si deve trasferire per trarre il massimo guadagno.

 

Ovviamente, come per tutti i libri di Londres e in genere per tutti i reportage di viaggio, il problema è che il giornalista/viaggiatore costruisce la sua tesi su un numero limitato di interviste e su letture più o meno approfondite. Non si hanno quindi fonti quantitative, ma questo è un problema della storia della prostituzione in genere. Basti vedere quanti saggi in questo numero della nostra rivista lamentano la mancanza di dati (e in molti casi persino di bibliografia). Vi sono poi un certo numero di altre questioni specifiche che le pagine del giornalista francese sollevano e che meritano di essere ricordate perché sono in qualche modo condivise dai ricercatori attuali.

In primo luogo, Londres torna più volte sulla questione delle famiglie. I profittatori sono aiutati da fratelli e cugini, quando non possono tornare in Francia, inoltre sposano le loro donne e sognano una pensione dorata assieme a essa. Le francesi povere optano per le case di tolleranza all’estero per meglio aiutare la propria famiglia. I genitori delle ebree polacche le vendono ai giri internazionali. Le migrazioni in generale sono spesso una scelta, libera o forzata, nella quale entrano in gioco le famiglie, ma qui queste ultime hanno un peso notevole in scelte tutto sommato pericolose: molte prostitute finiscono in prigione e forse altrettante muoiono per le malattie e per la violenza di clienti e protettori.

In secondo luogo Londres rifiuta i dossier della Società delle Nazioni e della polizia, perché gli paiono utili soltanto a proteggere i funzionari incaricati. Non interroga quindi i dati in essi contenuti, anche quando potrebbero essere interessanti[47], e preferisce ricostruire la vita di singole operatrici del sesso. In effetti anche i casi singoli sono rilevanti nel nostro settore di studio, come mostrano molte ricercatrici[48]. Inoltre l’insistenza sul retroterra economico della scelta delle singole prostitute si integra bene con quanto si è studiato negli ultimi anni riguardo alla strada come forma di lavoro[49]. A sua volta l’uso delle interviste e delle brevi storie di vita si accosta a quanto si va oggi discutendo sulla presenza o mancanza di “agency” di chi segue i cammini della prostituzione internazionale. Come ha segnalato Emanuela Abatecola, la scelta di prostituirsi altrove può infatti essere effettivamente autonoma, pur se in situazioni talmente disperate e cariche di violenza da domandarsi cosa voglia dire tale autonomia[50].

Alla fine rileggere e discutere i reportage di Londres non aumenta la nostra comprensione del fenomeno nel passato recente e in quello più remoto[51]. Tuttavia è utile vedere come alcune ipotesi odierne siano già formulate, magari in forma embrionale, un secolo fa e come già allora si dubiti non del “commercio” delle prostitute, quanto delle modalità a esso attribuite dalle organizzazioni internazionali e dalla stampa scandalistica. Riprendiamo allora per un momento le obiezioni di Jean-Michel Chaumont e compariamole a quanto descritto da Londres. Appare evidente che la risonanza mediatica della tratta risponda, allora come ora, a ragioni commerciali (vendere film, libri, giornali) e politiche (alcuni funzionari, giornalisti, parlamentari hanno costruito una carriera sulla denuncia; altri si sono serviti di questa per chiedere maggiori restrizioni sociali). Risalta chiaramente inoltre come non tutto avvenga nel modo denunciato nei e dai dossier politico-giornalistici. Tuttavia non si può dichiarare che siamo di fronte a una mera mistificazione, perché l’emigrazione di prostitute esiste e spesso è forzata, come ci ricorda Londres e come è confortato da molte altre fonti letterarie[52].

D’altronde Chaumont non è ingenuo e ha spiegato in un suo precedente lavoro (su quanto accaduto agli inizi del Duemila) che dietro alla condanna della tratta si nasconde il desiderio di espellere le prostitute ed eliminare semplicemente il problema[53]. Potremmo dire, riprendendo Londres, che si cela soprattutto il desiderio di cancellare il dato di fatto principale, ovvero che la miseria è la fabbrica della prostituzione e che quindi soltanto combattendo la prima si può eliminare la seconda.

Chaumont segnala inoltre, in un altro contributo, che ogni forma di proibizionismo potenzia i mercati che si vorrebbero chiudere[54], ma affrontare questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Per il momento possiamo fermarci a rilevare come tra le forme di mobilità, libera o coatta, delle donne (ma non solo: anche qui si dovrebbero intraprendere ulteriori esplorazioni) dobbiamo considerare la prostituzione. E tenendo conto dei contributi di questo fascicolo, questo accade da moltissimo tempo, pur se dobbiamo ancora cercare tutte le fonti archivistiche necessarie a farci comprendere meglio cosa sia accaduto e cosa stia accadendo.


[1]           Per una introduzione, anche ingenua: Michele Strazza, La tratta delle bianche a fine Ottocento, “Storia in network”, 2019, http://www.storiain.net/storia/la-tratta-delle-bianche-a-fine-ottocento/.

[2]           Per il quadro londinese, vedi i primi capitoli di Julia Laite, Common prostitutes and ordinary citizens: Commercial sex in London, 1885-1960, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2011.

[3]           F. Tacussel, La traite des blanches, Paris, J. Bonhoure et C.e, 1877; Alfred S. Dyer, The European Slave Trade in English Girls, London, Dyer Brothers, 1880.

[4]           Per lo specifico, vedi Josephine Butler and the Prostitution Campaigns: Child prostitution and the age of consent, a cura di Jane Jordan e Ingrid Sharp, London, Routledge, 2003; Sex, Gender, and Religion: Josephine Butler Revisited, a cura di Jenny Daggers e Diana Neal, New York, Peter Lang, 2006; Helen Mathers, Patron Saint of Prostitutes: Josephine Butler and the Victorian Sex Scandal, Stroud, The History Press, 2014. La bibliografia su Butler e il riformismo cristiano del secondo Ottocento, nonché sul loro incrociarsi con i movimenti proto-femministi, è troppo vasta per essere qui presentata.

[5]           Raymond L. Schults, Crusader in Babylon: W.T. Stead and the Pall Mall Gazette, Lincoln, University of Nebraska Press, 1972; The Maiden Tribute of Modern Babylon: The Report of the Secret Commission, a cura di Antony E. Simpson, Lambertville NJ, The True Bill Press. 2007.

[6]           Alexis Splingard, De l’organisation de la traite et de l’esclavage des blanches à Bruxelles, Bruxelles, Imprimerie A. Lefèvre, 1880, e De l’Abolition de la traite et de l’esclavage des blanches, par l’auteur de l’Organisation de la traite et de l’esclavage des blanches à Bruxelles, Bruxelles, Decq et Duhem, 1881. Cfr. Jean-Michel Chaumont, The White Slave Trade Affair (1880-1881): A Scandal Specific to Brussels?, “Brussels Studies”, 46 (2011), journals.openedition.org/brussels/838; Du sordide au mythe. L’affaire de la traite des blanches (Bruxelles, 1880), a cura di Jean-Michel Chaumont e Christine Machiels, Louvain-la-Neuve, Presses de l’Université de Louvain, 2013.

[7]           Gustav Butz, Die Bekämpfung des Mädchenhandels im internationalen Recht, Hagen i. W., G. Butz Buchdruckerei, 1908. Per la dimensione nazionale (soprattutto britannica) di queste proteste: Rachael Attwood, Lock up your daughters! Male activists, patriotic domesticity, and the fight against sex trafficking in England, 1880-1912, “Gender & History”, 23, 3, pp. 115-138, e A very un-English predicament: “The White Slave Traffic” and the construction of national identity in the suffragist and socialist movements’ coverage of the 1912 Criminal Law Amendment Bill, “National Identities”, 24, 3 (2022), pp. 217-246.

[8]           Stephanie A. Limoncelli, The Politics of Trafficking. The First International Movement to Combat the Sexual Exploitation of Women, Stanford, Stanford University Press, 2010; Rachael Attwood, Stopping the Traffic: The National Vigilance Association and the international fight against the “white slave” trade (1899-c.1909), “Women’s History Review”, 24, 3 (2015), pp. 325-350.

[9]           Eugenia Scarzanella, La tratta delle donne. Inchieste, esperti, dibattiti alla Società delle Nazioni (Ginevra, 1922-1939), “Nuova Storia Contemporanea”, 6, 1 (2002), pp. 31-44, e Paul Knepper, Measuring the Threat of Global Crime: Insights from Research by the League of Nations into the Traffic in Women, “Criminology”, 50, 3 (2012), pp. 777-809. Per l’edizione delle carte di uno dei ricercatori coinvolti: Trafficking in Women (1924-1926). The Paul Kinsie Reports for the League of Nations, a cura di Jean-Michel Chaumont, Magaly Rodríguez García e Paul Servais, 2 voll., Geneva, United Nations, 2017.

[10]          Fredrick K. Grittner, White Slavery. Myth, Ideology, and American Law, New York-London, Garland, 1990. Per il caso canadese: Constance B. Backhouse, Nineteenth-century Canadian prostitution law: Reflection of a discriminatory society, “Social History/Histoire Sociale”, 36 (1985), pp. 387-423, e Mariana Valverde, The age of light, soap, and water: Moral reform in English Canada, 1885-1925, Toronto, University of Toronto Press, 2008.

[11]          Importing Women for Immoral Purposes: A Partial Report from the Immigration Commission on the Importation and Harboring of Women for Immoral Purposes, Washington, U.S. Government Printing Office, 1909; Steerage conditions. Importation and harboring of women for immoral purposes. Immigrant homes and aid societies. Immigrant banks, Washington, U.S. Government Printing Office, 1911. Sui legami al tempo evidenziati tra immigrazione e prostituzione: Francesco Cordasco e Thomas Monroe Pitkin, The White Slave Trade and the Immigrants: A Chapter in American Social History, Detroit, Blaine Ethridge Books, 1981.

[12]          Katherine Benton-Cohen, Inventing the Immigration Problem: The Dillingham Commission and Its Legacy, Cambridge MA, Harvard University Press, 2018. Per lo specifico della prostituzione, Serenella Pegna, Immigrazione e prostituzione: nel Rapporto della Commissione Dillingham (1907-1910), “Genesis”, VI, 1 (2007), pp. 189-211.

[13]          Gretchen Soderlund, Covering Urban Vice: The New York Times, “White Slavery” and the Construction of Journalistic Knowledge, “Critical Studies in Media Communication”, 19, 4 (2002), pp. 438-460, e Sex trafficking, scandal, and the transformation of journalism, 1885-1917, Chicago-London, The University of Chicago Press, 2013.

[14]          Xavier de Montépin, La Traite des blanches, Paris, Degorge-Cadot, 1877; Jean de Merlin, Maison de rendez-vous. Nouveaux documents sur la traite des blanches, Paris, Bibliothèque du Fin de siècle, 1903; P. de Blanquefort [pseudonimo di Jean de Merlin?], Les Mystères de la traite des blanches. Un Atelier de débauche, grand roman documentaire sur le vice à Paris, Paris, Collection artistique du Fin de siècle et Collection gauloise réunies, 1909; René Cassellari, La Traite des blanches et le vice, étude sociale et révélations, Paris, Détective Magazine, 1914; Guy de Téramond, Les Bas-fonds, vol. 1, Vendue! Roman de la traite des blanches, Paris, J. Ferenczi et fils, 1929.

[15]          Tra i secondi vedi Ernest Albert Bell, Fighting the Traffic in Young Girls, Or, War on the White Slave Trade, [Chicago], Ball, 1910, e Clifford Griffith Roe, The Great War on White Slavery, Or, Fighting for the Protection of Our Girls, Philadelphia, P.W. Ziegler Company, 1911.

[16]          Reginald Wright Kauffman, The House of Bondage, New York, Grosset & Dunlap, 1910. Il film del 1914 è diretto da Pierce Kingsley. Sul romanzo e il sottogenere che ispira: Laura R. Fisher, White Slave Fiction, So-Called, “American Literary History”, 33, 1 (2021), pp. 29-49.

[17]          Shelley Stamp Lindsey, Is any girl safe? Female spectators at the white slave films, “Screen”, 37, 1 (1996), pp. 1-15, e “Oil upon the Flames of Vice”: The Battle over White Slave Films in New York City, “Film History”, 9,4 (1997), pp. 351-364.

[18]          La traite des blanches pièce en trois actes, Bruxelles, J. B. Moêns, 1884.

[19]          Sul mito europeo degli harem: Joan DelPlato, Multiple wives, multiple pleasures: representing the harem, 1800-1875, Madison NJ, Fairleigh Dickinson University Press, 2002. In certi casi il passaggio narrativo è facilitato perché luoghi al centro degli spettacoli sui “turchi” diventano centri di importazione di prostitute, ad esempio l’Egitto: Diane Robinson-Dunn, The Harem, Slavery And British Imperial Culture, Manchester, Manchester University Press, 2014. Sulla “globalizzazione” della prostituzione in Egitto a causa della costruzione e della gestione del canale di Suez: Valeska Huber, Channelling Mobilities: Migration and Globalisation in the Suez Canal Region and Beyond, 1869-1914, Cambridge, Cambridge University Press, 2013.

[20]          Vedi la Revue musicale di W. Batta, “Revue artistique et littéraire”, t. 5, IV (1863), pp. 110-112.

[21]          Marc Bonis-Charancle, La Traite des blanches, drame en un prologue, cinq actes et sept tableaux, Limoges-Pari, Imprimerie Perrette e Georges Ondet, éditeur, 1908.

[22]          Russell Campbell, Marked Women: Prostitutes and Prostitution in the Cinema, Madison, The University of Wisconsin Press, 2006, p. 15.

[23]          Raniero Paulucci di Calboli, La tratta delle ragazze italiane, “Nuova Antologia”, 98 (marzo-aprile 1902), pp. 418-438, e Ancora la tratta delle ragazze italiane, ibid., 101 (settembre-ottobre 1902), pp. 193-213, nonché Lacrime e sorrisi della emigrazione italiana, Milano, Mondadori, 1996 (edizione originale: Larmes et sourires de l’émigration italienne, Paris, Félix Juven, 1909). Sul diplomatico vedi la voce di Elena Papadia nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 81, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2014.

[24]          Alfredo Baccelli, Sulla tratta delle bianche: discorso di S.E. il sotto-segretario di Stato per gli Affari esteri pronunziato alla Camera dei deputati nella tornata del 9 marzo 1903, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1903.

[25]          Vittorio Levi, La prostitution chez la femme et la traite des blanches, Napoli, tipografia Castiglione, 1912; Mario Pettoello, La tratta delle bianche: studio giuridico sociale, Udine, Libreria Editrice Udinese, 1912.

[26]          Attilio Parazzoli, Lo statuto della Società delle Nazioni e la tratta delle bianche, “Nuova Antologia”, Serie 6, 200 (1919), pp. 215-217.

[27]          Rodolfo Bettazzi, La tratta delle bianche e l’Opera di protezione della giovine: conferenza tenuta in Firenze il giorno 28 dicembre 1902, Firenze, Stabilimento tip. G. Civelli, 1903; Pasquale Del Pezzo, Comitato Nazionale Italiano contro la tratta delle bianche: Sezione di Napoli, Napoli, [Comitato Nazionale Italiano contro la tratta delle bianche], 1903; Comitato contro la tratta delle bianche, Sezione di Milano, Relazione per gli anni 1902-1903, Milano, Tip. V. Ramperti, 1904; Comitato italiano contro la tratta delle bianche, Resoconto del Rifugio Genovese (tratta delle bianche), Firenze, Lastrucci, 1904; Comitato italiano Contro la tratta delle bianche, Relazione per gli anni 1906-1907, Milano, Tip. Nazionale, di V. Ramperti, 1908; Società d’assistenza e protezione femminile – Lega contro la tratta delle bianche, Trieste, Relazione sulla attività sociale nell’anno 1909, Monfalcone, Tip. Ionche, 1910; Comitato italiano contro la tratta delle bianche, Cenni sulla legislazione italiana circa la tratta delle bianche e la prostituzione in generale, Milano, Tip. Nazionale di V. Ramperti, 1911. Nel 1902 appare “Schiave bianche”, bollettino pubblicato dal surricordato Comitato di Milano contro la tratta delle bianche, inizialmente quale supplemento di “Unione femminile”. Per un quadro generale: Laura Schettini, Il comitato italiano contro la tratta: impegno locale e reti internazionali, in Attraversando il tempo. Centoventi anni dell’Unione femminile nazionale (1899-2019), a cura di Stefania Bartoloni, Roma, Viella, 2019, pp. 37-60

[28]          La tratta delle bianche e il commercio delle oscenità: conferenze diplomatiche internazionali del 15 luglio 1902 e del 18 aprile 1910 a Parigi, traduzione dal francese di Teresa Fondi Mattani, Firenze, Stab. Tip. Aldino, 1914.

[29]          Comitato italiano contro la tratta delle bianche, Relazione sull’opera del Comitato italiano contro la tratta delle bianche presentata al 4. congresso internazionale per la repressione della tratta delle bianche: Madrid, 24-28 ottobre 1910, [Milano, Tip. Nazionale di V. Ramperti], 1911; 5. Congresso internazionale per la repressione della tratta delle bianche, Londra 30 giugno – 4 luglio 1913, Rapporto dell’Ufficio Centrale Italiano, Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, 1913.

[30]          Laura Schettini, Turpi traffici. Prostituzione e migrazioni globali 1890-1940, Roma, Biblink, 2019; Sara Ercolani, La tratta delle bianche in Italia e in Gran Bretagna: dall’associazionismo alla Società delle nazioni (1885-1946), Bologna, Il Mulino, 2022.

[31]          Jean-Michel Chaumont, Le mythe de la traite des blanches. Enquête sur la fabrication d’un fléau, Paris, La Découverte, 2009.

[32]          Jo Doezema, Sex Slaves and Discourse Masters. The Construction of Trafficking, London-New York, Zed Books, 2013.

[33]          Cecily Devereux, “The Maiden Tribute” and the Rise of the White Slave in the Nineteenth Century: The Making of an Imperial Construct, “Victorian Review”, 26, 2 (2000), pp. 1-23.

[34]          Laura Schettini, La tratta delle bianche in Italia tra paure sociali e pratiche di polizia (XIX-XX secolo), “Italia contemporanea”, 288 (2018), pp. 236-258.

[35]          La traite des blanches et le commerce de l’obscénité. Conférences diplomatiques internationales du 15 juillet 1902 et du 18 avril 1910, “Revue des Deux Mondes”, 58 (1910).

[36]          È ancora oggi studiato come esempio di giornalismo impegnato: Pierre Assouline, Albert Londres. Vie et mort d’un grand reporter (1884-1932), Paris, Balland, 1989; Walter Redfern, Writing On the Move: Albert Londres and Investigative Journalism, Bern-New York, Lang, 2004; Benoît Heimermann, Albert Londres – La plume et la plaie, Paris, Paulsen, 2020. L’edizione originale delle sue opere è in parte disponibile su Gallica, la collezione digitale della Biblioteca Nazionale francese (gallica.bnf.fr/), ma ne esiste una versione relativamente recente, commentata da Assouline: Albert Londres, Oeuvres complètes, Paris, Arléa, 2008.

[37]          I due volumi, usciti contemporaneamente nel 1927, sono disponibili su Gallica e riediti dalla casa editrice Le serpent à plumes (Marseille, porte du Sud, 1999; Le Chemin de Buenos Aires, 2005), nonché raccolti nelle succitate Oeuvres complètes. Il libro su Buenos Aires è tradotto quasi subito in Italia da Lino Piazza e in seguito riedito più volte, sempre con lo stesso titolo: La tratta delle bianche, Milano, S. A. Ediz. Sunland, [1929].

[38]          Albert Londres, Le Chemin de Buenos Aires (la Traite des blanches), Paris, Albin Michel, 1927.

[39]          Albert Londres, Au bagne, Paris, Albin Michel, 1923, e Dante n’avait rien vu, Paris, Albin Michel, 1924.

[40]          Sui collegamenti tra Buenos Aires e Montevideo, cfr. Cristiana Schettini, Prostitution in Buenos Aires and Montevideo, in Trafficking in Women (1924-1926), cit., II, pp. 44-54.

[41]          Sulla Grande guerra e i francesi di Buenos Aires, cfr. Hernán Otero, La guerra en la sangre. Los franco-argentinos ante la Primera Guerra Mundial, Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 2009. Sui francesi in Argentina nel periodo: Id., Historia de los franceses en la Argentina, Buenos Aires, Editorial Biblos, 2012.

[42]          Londres specifica che si tratta di ebree polacche, di norma “protette” da compatrioti e correligionari, nonché da russi e cechi. A Buenos Aires costituiscono il “proletariato” della strada e si vendono per “due pesos”, lavorando soprattutto nel porto, mentre le francesi ne chiedono almeno cinque e lavorano in casa. Inoltre queste ultime arrivano una per volta, mentre le ebree polacche sbarcano a dozzine e il loro commercio è sostenuto (e sfruttato) da una rete di mezzane. Su questa tratta: Mir Yarfitz, Impure migration: Jews and sex work in golden age Argentina, New Brunswick, Rutgers University Press, [2019], nonché Myrtha Schalom, La Polaca. Inmigración, rufianes y esclavas a comienzos del siglo XX, Buenos Aires, Norma, 2003. Sul tentativo di opporvisi: Edward J. Bristow, Prostitution and Prejudice: The Jewish Fight against White Slavery, 1879-1939, Oxford, Schocken, 1982. La scoperta delle ramificazioni a Buenos Aires del traffico di prostitute ebree nutre ondate di antisemitismo, specie fra le forze armate e di polizia, come testimonia il libro del commissario Julio L. Alsogaray, Trilogía de la trata de blancas: rufianes, policía, Municipalidad, Buenos Aires, Editorial Tor, 1933. Questo memoriale si incentra sul caso di Raquel Liberman, approfondito da Nora Glickman, The Jewish white slave trade and the untold story of Raquel Liberman, New York, Garland, 2000.

[43]          Albert Londres, Le Juif errant est arrivé, Paris, Albin Michel, 1930.

[44]          Albert Londres, Terre d’ébène, Paris, Albin Michel, 1929. L’opera è disponibile su Gallica, ma esiste un’edizione che mette assieme i due libri sulla tratta, riadattandone i titoli: Albert Londres, La traite des blanches / La traite des noirs, Paris, 10-18, 1984. Per una valutazione del libro originario: Suzanne Miers, Le nouveau visage de l’esclavage au XXe siècle, “Cahiers d’Études Africaines”, 179-180 (2005), pp. 667-688.

[45]          Cristiana Schettini, A Social History of Prostitution in Buenos Aires, in Selling Sex in the City: A Global History of Prostitution, 1600s-2000s, a cura di Magaly Rodríguez García, Lex Heerma van Voss ed Elise van Nederveen Meerkerk, Leiden, Brill, 2017, pp. 357-385.

[46]          Per un approccio più recente: Julia Laite, Traffickers and Pimps in the Era of White Slavery, “Past & Present”, 237, 1 (2017), pp. 237-269, e Laura Schettini, Trattieri. Uomini e prostituzione attraverso il Mediterraneo coloniale, in Genere, sesso, migrazione. Percorsi transdisciplinari, a cura di Fabio Amato, Roma, DeriveApprodi, 2021, pp. 91-103.

[47]          Vedi Liat Kozma, Global Women, Colonial Ports: Prostitution in the Interwar Middle East, New York, SUNY Press, 2017. Sull’interesse di alcune serie documentarie di quegli anni, vedi nell’intervista di Maddalena Tirabassi a Laura Schettini (“Altreitalie”, 60, 2020) le annotazioni relative alla serie Tratta delle bianche (1923-1949) nella documentazione relativa all’Interpol (fondo Ministero degli Interni, Affari generali) dell’Archivio centrale dello Stato di Roma.

[48]          Si pensi a Julia Laite, The Disappearance of Lydia Harvey: A True Story of Sex, Crime and the Meaning of Justice, London, Profile Books, 2021, incentrato su una giovane neozelandese che muove alla volta di Buenos Aires e quindi di Londra nella prima decade del Novecento.

[49]          Oltre alla riflessione di Laura Schettini, della quale si veda anche il contributo a questo fascicolo, cfr. Julia Laite, Between Scylla and Charybdis: Women’s labour migration and sex trafficking in the early Twentieth Century, “International Review of Social History”, 62, 1 (2017), pp. 37-65, e Marlou Schrover, Labour Migration, in Handbook Global History of Work, a cura di Karin Hofmeester e Marcel van der Linden, Oldenbourg, De Gruyter, 2017, pp. 433-468.

[50]          Emanuela Abbatecola, Trans-migrazioni. Sfruttamento e violenza di genere nei mercati globali del sesso, Torino, Rosenberg & Sellier, 2018, e Violazione dei diritti umani o violenza di genere?, in Genere, sesso, migrazione. Percorsi transdisciplinari, cit., pp. 61-73.

[51]          Christopher Paolella, Human Trafficking in Medieval Europe Slavery. Sexual Exploitation, and Prostitution, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2020; vedi inoltre il saggio di Anna Esposito in questo fascicolo.

[52]          Laura Barberán Reinares, Sex Trafficking in Postcolonial Literature: Transnational Narratives from Joyce to Bolaño, London-New York, Routledge, 2014.

[53]          Jean-Michel Chaumont, La traite des êtres humains ou l’histoire de Pinocchio racontée aux grandes filles, “La revue nouvelle”, 3 (marzo 2005), pp. 62-70.

[54]          Jean-Michel Chaumont, La construction sociologique de la réalité. L’évolution du statut de vérité de la proposition “La réglementation de la prostitution est la cause de la traite des femmes et des enfants” (1880-1948), “Recherches sociologiques et anthropologiques“, 39, 1 (2008), pp. 87-100