Prostituzione (transfrontaliera) tra Italia e Svizzera nel terzo millennio

Parlare di prostituzione è sempre stato difficile, parlarne in un contesto transnazionale e contemporaneo lo è ancora di più a causa della viscosità dell’argomento, dell’atteggiamento ambiguo o fortemente variegato dei governi, di una materia in cui il confine tra legalità e illegalità è estremamente sottile. Inoltre, si tratta di un tipo di mobilità in cui è difficile reperire le testimonianze dei soggetti. In questa sede la nostra fonte primaria è un’intervista con un’operatrice sociale italosvizzera che lavora da anni in un’associazione che si occupa della salute delle prostitute in Canton Ticino.

La prostituzione delle donne italiane in emigrazione è stata poco studiata, ma non è un fenomeno nuovo nella storia per cui, prima di passare alle analisi delle dinamiche nel fenomeno contemporanee, ne ripercorreremo alcuni momenti.

  1. Il passato

A fine Ottocento, momento della nascita del mercato globale della prostituzione, quando si parlava nella letteratura italiana dell’emigrazione delle donne sole, aleggiava con frequenza lo spauracchio della “tratta delle bianche”, ma il termine prostituzione appariva raramente nelle inchieste dell’epoca anche se il problema era costantemente presente nella mente dei rappresentanti delle istituzioni e dei riformatori sociali[1]. Nel rapporto del Primo Congresso Nazionale delle donne italiane, che si svolse a Roma nell’aprile del 1908[2], si denunciava “il vizio trionfante fra le operaie in molti paesi esteri”, aggiungendo che “a Marsiglia un quinto delle 4.000 donne di cattiva fama è italiano”. In Francia il problema principale sembrava essere rappresentato dall’emigrazione clandestina di giovani donne reclutate da “accorti speculatori” che la istradavano sulla via della prostituzione, come si spiega in questa citazione:

Nel Mezzogiorno della Francia per supplire alla decrescenza delle nascite, le donne italiane delle provincie limitrofe, che si trovano prossime a diventare madri illegalmente, sono invitate a recarsi colà, ed i bambini, nascendo sul suolo francese, ne diventano sudditi. Le madri li abbandonano ad una balia […] e quasi tutte si danno alla prostituzione. Per questo Marsiglia è il centro estero ove la percentuale delle prostitute italiane è salita più alta che in tutti gli altri paesi[3].

Al Congresso si analizzarono anche le diverse tipologie di emigrazione per paese di insediamento, da cui emergeva che la preoccupazione delle riformatrici era rivolta non tanto alla denuncia delle durissime condizioni di vita delle giovanissime donne ‒ spesso appena quattordicenni, impiegate per 12 ore al giorno nelle fabbriche di profumi della Provenza, come cameriere negli alberghi della Costa Azzurra con paghe irrisorie, o nelle filature di cotone dei Grigioni in Svizzera ‒ quanto alla loro condotta, che si discostava dai canoni assegnati alle giovani donne delle classi subalterne dalla morale borghese. A proposito di centinaia di ragazze provenienti dall’Emilia che lavoravano in una fabbrica di scarpe in un villaggio vicino a Costanza, si scriveva: “È difficile immaginarsi le loro condizioni morali, […] È addirittura un gran postribolo, dicono gli stessi italiani”. La salvaguardia della morale risulta essere il tema dominante nelle indagini del Congresso concernenti i paesi europei: “Noi abbiamo veduto come le nostre giovani operaie sono esposte a tutti i pericoli nei paesi limitrofi ove emigrano quasi sempre sole, in cerca di guadagni problematici e d’una libertà che non trova e che quasi sempre si riduce ad essere il più duro, il più doloroso dei servaggi, il disonore”[4].

In una relazione su La tutela delle donne e dei fanciulli italiani in Europa, Danieli-Camozzi[5], esordì riportando le informazioni raccolte dal Segretariato permanente femminile per la tutela delle donne e dei fanciulli emigranti, sorto nel 1909 in base a una delibera del Congresso delle donne[6]. Le inchieste condotte in Europa confermarono una cospicua presenza di donne sole nell’emigrazione temporanea, composta in larga misura da minorenni[7]. In Svizzera lavoravano nelle fabbriche tessili come filatrici, ricamatrici, cucitrici; in Germania le troviamo nelle fabbriche di fiammiferi, di porcellane, nelle fornaci per oltre 12 ore al giorno, ma anche come venditrici ambulanti, fioraie, modelle e indovine. In Austria le “ciode” trentine lavoravano nell’agricoltura; in Francia nell’industria della seta e nei sugherifici[8].

D’altronde fra quante riuscivano a tornare in patria, erano molte ‒ si sosteneva ‒ quelle che diventavano “fattori dissolventi della pubblica moralità”. Gli inconvenienti dell’emigrazione femminile in Europa, come si intitola un paragrafo della relazione di Camozzi, venivano ricondotti alla situazione degli alloggi. Particolarmente fosco era il quadro che si dipingeva della Svizzera:

Le operaie italiane […] al loro giungere nei centri manifatturieri, sono accolte nelle case dei cosiddetti baccani, per lo più operai italiani sposati a donne svizzere, che le sfruttano. Esse sono spesso alloggiate in camere attigue a quelle degli operai italiani, in una promiscuità desolante, che è causa di mille guai. Le fanciulle, il sabato, all’uscita dal lavoro, la domenica e spesso il lunedì, sono condotte dai loro compagni nelle bettole a gozzovigliare, e, quando rientrano, sono sfinite per la settimana di lavoro e per le giornate e le nottate passate nel vizio, avendo consumato il salario guadagnato. Questa vita spesso le fa ammalare, e allora le aspetta la più squallida miseria, poiché non essendo iscritte a nessuna Società di assistenza non hanno risorsa alcuna. Gli affittacamere non le vogliono più ricoverare, temendo di non essere pagati, i compagni, finito il piacere, le abbandonano, e le poverette non hanno altra risorsa che ritornarsene al paese, se pur la famiglia può inviar loro i mezzi per rimpatriare. Spesso ritornano malate di tubercolosi e di sifilide, e molte volte riportano in patria il frutto dei loro amori[9].

Ma per sfuggire alle facili semplificazioni, come ci esorta a fare Laura Schettini, occorre notare che se queste dinamiche sono vere per la maggior parte delle emigrate, non mancano presenze “di donne che svolgevano già da molti anni il mestiere regolare di prostituta in patria e che si spostavano da un Paese all’altro, spesso dal Sud Europa all’altra sponda del Mediterraneo”[10]. Continua Schettini:

Dagli interrogatori di polizia raccolti al momento dell’iscrizione in una casa di tolleranza apprendiamo, per esempio, che molte prostitute partirono dall’Italia per recarsi in Egitto o Libia perché lì avrebbero guadagnato di più […] ma anche perché fare la prostituta lontane dalle proprie comunità di provenienza era utile per aggirare lo stigma sociale che inevitabilmente colpiva le meretrici[11].

Anche Schettini riscontra difficoltà nel quantificare l’entità del fenomeno a causa dell’impossibilità di registrare le partenze in base alla professione, ma afferma:

Sappiamo dalle corrispondenze consolari e dalle inchieste della Società delle Nazioni che le italiane erano tra le prostitute straniere le più numerose nei paesi del Mediterraneo, ma anche dell’Europa continentale. […] Per fare solo qualche esempio, la Regia Agenzia consolare de il Cairo sostenne che nel 1903 in città c’erano 66 prostitute e 37 case di tolleranza italiane, tutte concentrate in un solo quartiere, mentre ad Alessandria d’Egitto le italiane che esercitavano il meretricio erano 112. A Tripoli negli anni trenta arrivavano circa 15-20 nuove prostitute italiane al mese. Si trattava di presenze temporanee, perché le donne ogni 2-3 settimane tendevano a spostarsi in altri centri e questo rende ancora più difficile quantificare il fenomeno[12].

  1. Italiani e italiane in Svizzera, un breve inquadramento storico

Le relazioni tra l’Italia e la Confederazione Elvetica, per evidenti motivazioni geografiche, sono state da sempre strettissime. A partire dagli anni novanta dell’Ottocento, la Svizzera, da paese d’emigrazione – seppure con una lunga tradizione di accoglienza verso esuli religiosi e politici – diviene destinazione di immigrazione[13]. Mobilità stagionali o legate alla costruzione delle grandi infrastrutture, pensiamo alla costruzione del traforo del S. Gottardo (1872-82), spingono dapprima italiani provenienti dal Settentrione, in seguito, con i cantieri del traforo del Sempione (e poi del Lötschberg, del Ricken, dell’Hauenstein e del Mont d’Or), anche dal meridione della penisola verso i cantoni della Confederazione. Con l’industrializzazione di importanti aree della Svizzera il loro numero aumenta[14].

Nel 1948 viene stilato un primo accordo sull’emigrazione di lavoratori italiani in Svizzera, con la Confederazione Elvetica. Nel 1955 in Svizzera vi sono già 162.000 italiani, ma la crescita è rapida: passano a 435.000 nel 1960 rendendo necessario un nuovo accordo italo-svizzero [15].

Seppure nell’immaginario del secondo dopoguerra predomini la figura dell’emigrante uomo, solo, che vive nelle baracche, la componente femminile ebbe un peso importante e non fu sempre numericamente inferiore. Si pensi alle operaie nel settore tessile, alberghiero, orologiero, della ristorazione, e nei servizi domestici. Anche dopo la fine della Prima guerra mondiale per un decennio le donne erano state persino più numerose dei loro connazionali maschi[16] così come nel decennio 1945-1955. Per mancanza di manodopera maschile in quel periodo furono molte anche le donne a lavorare nel settore agricolo. Quindi donne che emigravano da sole, ma anche donne lavoratrici che accompagnavano, o raggiungevano i mariti lavoratori stagionali in Svizzera con un permesso vincolato al contratto di lavoro dato che non era previsto il ricongiungimento famigliare per gli stagionali. Sempre per questo motivo, furono tante le lavoratrici costrette a lasciare i propri figli in Italia con i parenti o al confine nelle comunità gestite dalla chiesa. Ma molti portarono con sé i figli clandestinamente, i “bambini nell’armadio” come vengono definiti negli ultimi anni dai media svizzeri.

In Ticino, nel primo decennio del Secondo dopoguerra, si rileva – come nel resto della Confederazione – un picco in cui la presenza femminile supera di nuovo quella maschile.

Inoltre, fino al 1970, le italiane rappresentavano tra l’80 e il 90% delle straniere residenti sul territorio svizzero e il loro numero in Ticino è continuato a crescere fino ai nostri giorni. Ciò che invece è cambiato è il tipo di permesso di cui usufruiscono: adeguandosi a quella che era la policy elvetica di restrizione dell’emigrazione negli anni settanta e ottanta (e probabilmente fino al 2004 con l’ingresso nell’area Schengen), il numero dei permessi stagionali e annuali è calato costantemente a favore dei permessi di frontalierato che per lo stato federale e il Canton Ticino comportano notevoli vantaggi sia in termini di flessibilità della manodopera che per quanto riguarda il profilo assicurativo, sanitario e così via.

  1. Oggi

E oggi? Come ormai risaputo, l’Italia sta vivendo da più di una decina d’anni una nuova stagione di emigrazione. A partire dalla crisi del 2018 i numeri di coloro che lasciano il paese per trasferirsi all’estero si sono impennati e sono cresciuti in maniera costante e lineare senza mai tornare sotto le 100mila unità. Nonostante il Covid, la Brexit e altre macro-circostanze il flusso oggigiorno si attesta sulle 120mila unità e non accenna a diminuire. La vicina Svizzera, con il suo mercato del lavoro altamente specializzato, capace di drenare “cervelli” dalle economie più avanzate del mondo (pensiamo alla migrazione dei tedeschi e dei francesi verso la Confederazione) è in terza posizione dopo Regno Unito e Germania nonostante sia molto inferiore per popolazione.

Osservando i dati sui flussi in ingresso forniti dalle autorità svizzere, notiamo innanzitutto come vi sia stato una crescita sostenuta negli anni dopo la crisi nei quali la disoccupazione ha colpito maggiormente, mentre in seguito il numero si è stabilizzato e poi come sia diminuito negli ultimi anni lo scarto tra uomini e donne.

Possiamo rilevare le stesse tendenze riportate precedentemente a livello federale, anche in Canton Ticino. Va sottolineato che la figura, non tiene conto dei ca. 60mila frontalieri italiani che quotidianamente, o settimanalmente, attraversano il confine.

  1. Le sex worker italiane nelle nuove mobilità

Oggi le mete della prostituzione italiana in Europa dipendono, per quello che riguarda i fattori di attrazione, oltre alla vicinanza geografica, dalla legislazione dei singoli stati. L’Italia è circondata da paesi in cui la prostituzione è regolamentata, che si dividono tra i paesi “abolizionisti” in cui la prostituzione è lecita, ma le attività organizzate come favoreggiamento e sfruttamento sono illegali[17]; paesi che seguono il modello regolamentarista, tra cui la Svizzera, in cui vige un sistema teso alla legalizzazione e regolamentazione (come la statalizzazione dei bordelli e i quartieri a luci rosse)[18], paesi in cui vige una sorta di Neo-abolizionismo secondo cui è “illegale comprare prestazioni sessuali e favoreggiamento e sfruttamento, ma legale vendere prestazioni sessuali”; e paesi proibizionisti[19] in cui viene punita la prostituta e a volte anche il cliente. C’è poi un modello neo-proibizionista o “modello svedese”, adottato in Svezia dal 1999 e in Islanda, dal gennaio 2009 in Norvegia, dall’aprile 2016 e in Francia. Questo modello si fonda sulla criminalizzazione del cliente, con la punizione dell’acquisto di prestazioni sessuali e sull’assunto che la prostituzione è una violenza dell’uomo contro la donna anche quando la prostituta afferma di svolgere l’attività per scelta, consapevolmente.

Entrando più nel dettaglio, la prostituzione in Svizzera è una libera professione legalmente regolamentata, legalizzata nel Paese a partire dal 1942. Ciononostante, non esiste una legge sulla prostituzione a livello federale. Vi sono solamente alcuni, pochi, articoli del Codice penale che vietano espressamente la prostituzione minorile, lo sfruttamento, la tratta e così via. Il Codice penale offre quindi solamente una cornice mentre la regolamentazione vera a propria rimane appannaggio dei 26 cantoni. In 11 di loro, a partire dai primi anni 2000 sono state emanate specifiche ordinanze o articoli di legge, in alcuni casi intere leggi sulla prostituzione, questo è il caso del Ticino come vedremo più avanti. Si può affermare che tutti i cantoni a partire dagli anni novanta – con l’avvento di Internet come “vetrina” – hanno visto ridurre profondamente la prostituzione in strada. Nelle grandi città permangono comunque i cosiddetti “quartieri a luci rosse” come quello di Langstrasse a Zurigo, Les Pâquis a Ginevra o il Klingental a Basilea. Seppure il lavoro sessuale sia legale ovunque e, in generale le ordinanze locali colleghino il suo esercizio ad appartamenti o stanze in affitto o in proprietà, permessi, requisiti, limitazioni e così via divergono comunque da cantone a cantone.

A prestare attenzione alla mobilità della prostituzione italiana in Svizzera sono stati i media. Nel 2018, Le Iene, trasmissione televisiva in onda su Italia Uno, pubblicò un servizio sulle italiane che lavoravano nel Paese come prostitute, nello specifico in Ticino. Il servizio era composto da una serie di intervista a donne di diverse età che riportavano le loro esperienze e le motivazioni che le avevano spinte a praticare il lavoro sessuale nella Confederazione. Nonostante l’intento della trasmissione di calcare sul lato pruriginoso, essa forniva una fotografia piuttosto realistica del fenomeno sottolineando come la presenza delle italiane nel mercato del lavoro sessuale in Ticino fosse tutt’altro che trascurabile e come negli ultimi anni il loro numero fosse accresciuto in particolare dopo la crisi economica. Si stima infatti che oggi poco meno di un quarto delle prostitute nella Confederazione Elvetica sia di nazionalità italiana. Parimenti, i dati confermano l’aumento in seguito alla crisi economica che tanto ha colpito l’Italia a cavallo del primo decennio degli anni duemila.

  1. L’intervista

Per cominciare a indagare sul fenomeno della prostituzione italiana in Svizzera, e provare a tracciare un profilo delle donne italiane che oggi varcano il confine per recarsi in Ticino, abbiamo intervistato Vincenza Guarnaccia che dal 1995 lavora per il servizio Primis che si occupa del tema della tutela e la promozione della salute “rivolta alle persone che offrono prestazioni sessuali a pagamento”. Guarnaccia coordina un’equipe di mediatrici linguistico-culturali che lavorano sul campo. I settori di intervento sono in primo luogo quello della tutela della salute, i problemi di sfruttamento, di violenza, oppure “difficoltà a rientrare, così come problematiche di carattere sociale e burocratiche”, perché anche se in Svizzera la prostituzione è legale, “è un mestiere e in quanto tale richiede una serie di passaggi burocratici”, ci dice l’intervistata.

Rispetto al passato quando la maggioranza delle donne italiane era vittima di trafficanti o “cadeva in disgrazia dopo essersi trasferita all’estero” emerge subito una importante differenza, che Guarnaccia rimarca più volte:

le persone italiane, con cui siamo entrate in contatto noi, vengono qui proprio con l’idea di prostituirsi, di lavorare qui sapendo che è un’attività legale, che si può esercitare legalmente, lontano dal proprio contesto di vita, in un luogo completamente diverso. Le persone che ho conosciuto, italiane, sia di origini o con cittadinanza italiana (va tenuto in considerazione anche questo) sono arrivate qua già con l’idea di svolgere questo lavoro. Per le esperienze che ho io, non ho mai incontrato persone italiane che erano qui “ingannate”, pensando di fare altro. Donne che provengono da altri paesi sì, ma non dall’Italia […].

Conosco dei casi di donne che lavoravano come operaie in Italia e poi qui si sono prostituite.

Nella mia esperienza, le donne che conoscono sono venute qua, o con una situazione difficile in Italia: dei debiti, problemi familiari ecc. pensando poi di poter mettere a posto, o migliorare una situazione, con un lavoro per un certo periodo qui. Non mi è capitato di conoscere italiane che lavoravano con un permesso qui e poi sono finite nella prostituzione.

Al primo posto della classifica sulla presenza di prostitute nel Cantone figurano le romene, aiutate dal fatto di essere cittadine europee, ma le sex workers italiane vengono subito dopo:

Sicuramente il fatto di appartenere all’Area Schengen è fondamentale. Per poter lavorare regolarmente con il permesso devi avere una cittadinanza di un paese dell’Unione Europea. Per questa ragione abbiamo moltissime giovani ragazze romene, seguono le italiane, lo confermo!

Per le italiane la vicinanza al confine è un fattore determinante. In un’inchiesta svolta da Silvia Marchetti pubblicata su “Newsweek” nel 2015, si racconta la storia di Carly, 35 anni, una frontaliera italiana che tutti i giorni lavorativi si reca in auto a Chiasso da Como, coprendo una distanza di soli 6 chilometri in una ventina di minuti[20]. Lavora da mezzogiorno alle 6 del pomeriggio, e condivide un appartamento con una collega transfrontaliera italiana. “Quando è via per le vacanze, affitta la sua stanza a colleghe di Milano”.

Secondo Guarnaccia, in Italia la crisi ha toccato anche il settore della prostituzione, facendo aumentare le partenze:

Nel periodo di crisi, lasciamo da parte il periodo pandemico, parlo della crisi economica in Italia e in Spagna, allora abbiamo visto un incremento di donne, non più giovanissime, spinte dal peggioramento del mercato del lavoro italiano. Persone che si sono trovate senza lavoro, ricordo anche una piccola imprenditrice che si è ritrovata piena di debiti e che è emigrata qui con l’idea di poter far fronte a queste difficoltà economiche. In quel periodo, abbiamo visto diverse donne anche tra i 40 e i 45 anni, venire qui a lavorare […]

Ma per lavorare occorre seguire un iter burocratico abbastanza complesso che si può così riassumere: in Ticino, l’esercizio della prostituzione regolato dalla già citata Legge Cantonale sull’esercizio della prostituzione del 2018 considera prostituzione ogni attività volta a “mettere a disposizione il proprio corpo o a praticare manipolazioni del corpo dei clienti, occasionalmente o per mestiere, con o senza congiunzione carnale, per il loro piacere sessuale in cambio di denaro o di altri vantaggi economici. L’acquisizione dei clienti è considerata esercizio della prostituzione”. Le persone di cittadinanza svizzera, che esercitano la prostituzione o che hanno l’intenzione di farlo devono registrarsi senza indugio alla Polizia cantonale. L’esercizio della prostituzione è autorizzato unicamente nei locali erotici muniti di autorizzazione o in appartamenti dove la prostituzione è eseguita a titolo individuale in locali di propria proprietà o di cui la persona vanta diritti d’uso. Guarnaccia entra nel dettaglio:

Chi vuole lavorare deve iscriversi al TESEU, la polizia del Ticino che si occupa di tratta umana, poi, proprio da loro, però, ci si deve anche registrare per poter lavorare nella prostituzione!
Ci si iscrive, si individua e si dichiara un luogo ove è possibile esercitare regolarmente questo mestiere. Bisogna iscriversi come “indipendente” [autonomo] all’AV (l’equivalente dall’INPS italiana) e poi inoltrare la richiesta di un permesso. Detta così sembra semplice, ma poi è complicato ottenerli questi permessi. Parliamo di permessi di domicilio perché di permesso B si tratta! L’alternativa è la possibilità di lavorare attraverso una notifica. Non ci si vuole trasferire, ma lavorare alcuni giorni la settimana. È paragonabile a una prestazione d’opera. L’equivalente di un lavoratore di una ditta italiana che viene a esercitare qui per alcuni giorni e deve fare questa notifica online della propria attività per l’anno in corso. Con essa, però, si lavora massimo 90 giorni in un anno!

Si può dire che è una specie di frontalierato, anche se non è uguale, perché poi c’è anche il permesso vero e proprio da frontaliere: il permesso G., oppure la notifica online che equivale a una prestazione d’opera. Quest’ultima, però permette di lavorare solamente 90 giorni all’anno. Scaduti i quali non si può più lavorare fino all’anno successivo. La notifica online viene soprattutto attivata da quelle persone che lavorano magari nei locali erotici e che spesso provengono dalla Romania […] Difficilmente vengono rilasciati i permessi G e B da indipendente poiché bisogna avere un luogo dove poter esercitare e i luoghi dove si può esercitare sono i locali erotici, ma sono pochissimi gli appartamenti dove veramente si può lavorare. Ciò crea un grosso problema con un rischio concreto di sfruttamento.

A giudicare da un’inchiesta condotta da “TicinOnline” nel 2018, il problema dei permessi parrebbe facilmente aggirabile. A una ragazza che si fingeva aspirante lavoratrice del sesso un lenone al telefono spiegava: “Quello che fai vale 3 mesi. Dopo 2 mesi e mezzo, puoi richiedere il permesso G. Così puoi lavorare per altri 6 mesi mentre la tua richiesta di permesso resta in sospeso perché ne hanno tante. Dopo altri 5 mesi e mezzo fai un’altra richiesta e ti danno un altro permesso per altri 6 mesi. Finché ottieni il permesso G e vieni a lavorare quanto vuoi. Ogni volta fai il contratto con me per una settimana”[21].

Un capitolo importante, ancora tutto da indagare, riguarda le motivazioni che spingono le donne italiane del Terzo millennio a varcare il confine per esercitare il vecchio mestiere. Guarnaccia non può fornirci che un quadro impressionistico poiché, ci dice:

Non disponiamo di statistiche sulle motivazioni e, del resto, non è nemmeno il nostro compito. Io ho visto e continuo a vedere giovani ragazze; qualche giovane ragazza italiana che arriva con l’idea di poter lavorare regolarmente e guadagnare un po’ di soldi per sé stessa. Sia italiane senza formazione, sia giovani italiane con formazione […] anche universitarie che per mantenersi agli studi o per terminarli, così come per pagare le rette di università private allo scopo di ottenere una formazione di più alto livello, vengono qua a lavorare. Poi ci sono alcune donne di una certa età, insomma non giovanissime, tra i 40 e cinquant’anni, magari divorziate, con dei figli a carico con dei problemi per il mantenimento dei figli e che hanno sentito di questa possibilità di lavorare … dovendo gestire dei figli magari per un certo periodo per poi tornare giù, poter curare i figli. Proprio per questa cosa che dici: lavoro per un po’ e poi con questi soldi riesco a mantenere la mia economia domestica. Sono donne che si sono ritrovate in situazioni difficili con dei mariti che sono andati via e che quindi devono gestire il mantenimento dei figli e magari hanno perso il lavoro o non lo trovano e vengono spinte verso questo lavoro venute a conoscenza dell’esistenza di questa possibilità.

Il seguente grafico mostra i risultati di un sondaggio della polizia federale svizzera del 2014, rispetto alle motivazioni che avevano spinto le donne a intraprendere la professione di prostituta. L’indagine è stata condotta in 99 case d’appuntamento sparse per la Svizzera e coinvolse 270 sex worker di diverse nazionalità attraverso un questionario scritto. Naturalmente non è rappresentativo per le lavoratrici del sesso italiane (meno del 10% sul totale delle intervistate), ma permette nondimeno di gettare uno sguardo all’interno di un mondo che difficilmente lascia trapelare le proprie opinioni, idee e storie.

La testimonianza di Carly ci aiuta ad approfondire le motivazioni, innanzitutto, dice: “la Svizzera offre un posto di lavoro più sicuro, in Italia, le strade sono pericolose, ti metti in macchina e non sai mai cosa potrebbe succedere”. Ma ovviamente oltre sicurezza e all’assenza di protettori, sono gli aspetti economici a determinare la scelta:

quello che guadagno, una volta pagate le tasse, va dritto nelle mie tasche […] mio marito sa quello che faccio e mi supporta. Lui è un muratore e guadagna solo 500€ al mese. Abbiamo bisogno dei soldi, abbiamo una bambina di 3 anni. Ci piacerebbe comprare una casa in Svizzera e trasferirci lì un giorno’’.

Stella, intervistata dal “Corriere della Sera” una decina d’anni fa, ha raccontato che una volta la settimana oltrepassava il confine. Alla sua famiglia raccontava di lavorare in un centro estetico in Ticino, mentre in verità si prostituiva. “Non ho iniziato per fame, piuttosto ero affamata di denaro”, sottolineava mentre metteva l’accento sulle difficoltà nel precedente lavoro come impiegata, con un salario contenuto di 1000€ e mansioni frustranti: “Io oggi guadagno come un magistrato”:

Ho un appartamento e lavoro come massaggiatrice: significa che scelgo io con chi arrivare fino in fondo. Qui mi sento tutelata: pago le tasse, la burocrazia non è lenta e sibillina come da noi, le cose funzionano e quando chiedi un permesso, che ti serva per lavorare come cameriera o come prostituta, per loro non fa nessuna differenza. Non mi sono mai sentita giudicata ma, anzi, protetta. La polizia sa dove esercito, fanno dei controlli. Ogni tanto penso alle ragazze che in Italia lavorano per strada: se una di loro sparisce chi se ne accorge? [22].

Anche se nemmeno in un paese fortunato come la Svizzera si riesce a garantire “l’imprenditorialità” sul proprio corpo – quella di cui si parla nel dibattitto sulla legalizzazione della prostituzione:

Di fatto, per tutelare questa possibilità, c’è un bisogno di un controllo molto forte per evitare che si scivoli verso forme di sfruttamento. Per assurdo, proprio questo controllo che in Svizzera è presente, crea una serie di difficoltà, come trovare appartamenti in regola, ottenere i permessi ecc. Ciò spinge le donne verso forme meno “autonome”, come, ad esempio, lavorare nel locale erotico con l’autorizzazione, ma ciò impatta sensibilmente sull’autonomia della sex-worker. Si tratta di un serpente che si morde la coda.

D’altra parte, è giusto che ognuno possa svolgere questo mestiere come e dove vuole e quindi noi siamo a favore dell’idea di permettere alle persone di lavorare nei propri appartamenti. Solo così si può garantire la totale autonomia.

Come accennato, anche le italiane di seconda generazione figurano nel novero delle emigrate in Ticino. Si tratta di

donne di cittadinanza italiana, ma di origine latino-americana. Ad esempio, abbiamo diverse persone transgender soprattutto brasiliane con la cittadinanza italiana. Sono sia le donne che le transgender che praticavano già prima questo mestiere che quindi sono rimaste in questa professione.

La chiediamo di approfondire:

Noi non seguiamo molto le transgender. Gli uomini, l’1 o 2 % sono uomini che si prostituiscono, ne abbiamo avuti qualcuno. Soprattutto rivolti ad altri maschi. Abbiamo avuto contatti registrati come escort, ma non riuscivano a lavorare perché il Ticino è un territorio troppo piccolo. Quei pochi sono omosessuali… veramente pochi, che si sono rivolti a noi. L’ambito della prostituzione maschile non si gioca nei luoghi dove noi andiamo. Più nei siti d’incontro.

Riguardo all’origine regionale:

In alcuni casi vengono dalla Lombardia, vi sono, per esempio, alcune giovani donne che decidono di fare questo mestiere dopo esperienze con l’intrattenimento erotico e la pornografia. Poi c’è chi viene da regioni più povere e spinte dalla crisi. Ho visto qualcuno arrivare da Napoli, dalla Sicilia, qualcuno dalla Toscana, dalla Puglia. Tutto è naturalmente cambiato con la pandemia.

Nel 2012 Claudine Esseiva, segretaria generale della sezione donne del Partito liberale radicale (PLR, centro-destra), faceva notare come le prostitute che volevano lavorare come indipendenti nel Canton Berna dovevano presentare un business plan, in cui andava specificato il tipo di prestazione e la strategia di marketing commentava: “È assurdo: più si complicano le procedure e più spingiamo queste persone, che spesso non capiscono la lingua, nelle mani dei protettori”[23].

La burocrazia e i permessi in Ticino creano difficoltà e limitano l’autonomia delle sex-worker. “È uno dei motivi [la burocrazia] per cui quasi tutte scegliamo di non ricevere i clienti in un appartamento, ma nei locali dove, in cambio di una percentuale sui guadagni, il titolare si occupa di burocrazia, alloggio e sicurezza” spiega Stefania, che prima di cambiare vita lavorava in un centro estetico[24].

Anche Guarnaccia conferma le difficoltà incontrate per proteggere le donne da sfruttamento e abusi:

Certo vi sono episodi di violenza, ci sono denunce, episodi di sfruttamento ecc. Purtroppo, anche situazioni di tratta, anche se non riguardano le italiane. Sono state fatti processi che coinvolgevano ragazze romene e di altre nazionalità.

Vi sono state anche denunce di violenze da parte di sex-worker italiane. Purtroppo, in Svizzera non esiste una legge sullo stalking come in Italia. E si tratta di un reato che nell’ambiente della prostituzione capita spesso. I clienti hanno i numeri delle sex-worker, le loro foto, sanno dove abitano ecc.

La nostra associazione lavora sulla prevenzione della violenza in questo settore. Violenza sia fisica che psicologica. Ad esempio, raramente viene denunciata la violenza sessuale, mentre capita spesso che clienti vogliano di più di ciò che era stato concordato. Ma sono pochissime le denunce, soprattutto, per paura di non essere credute. Vendono proprio prestazioni sessuali […] ed è difficile stabilire il limite tra ciò che era stato concordato (a voce) e ciò che avviene in seguito. A volte nemmeno le ragazze si rendono conto di essere vittime di violenza sessuale. In qualche modo sembra quasi che faccia parte del mestiere. Ma anche se vendi prestazioni sessuali hai comunque il diritto di dire NO!

È molto difficile stimare il numero di presenze italiane in questo campo poiché anche qui la clandestinità è presente:

Ci sono all’incirca sulle 250 persone che lavorano regolarmente. Per le persone senza permesso, in base ai nostri contatti, penso che si possa parlare di circa un centinaio che lavorano fuori dalle regole. Alcune non hanno scelta, in particolare coloro che faticano a ottenere il permesso come ad esempio brasiliane o sudamericane, non cittadine europee o dell’area Schengen. Ma vi sono anche italiane che non vogliono percorrere tutto l’iter burocratico per registrarsi.

I motivi possono essere anche di carattere psicologico:

Ci sono persone italiane, che lavorano illegalmente, che non vogliono fare tutta quella procedura perché registrarsi è come dire “voglio fare questo mestiere”. E non desiderano compiere questo passaggio. Piuttosto pensano: “Sono frontaliera, vado e lavoro un po’ in qualche appartamento o in qualche hotel senza poi registrarmi”.

In questo senso anche tra le italiane c’è prostituzione non regolare, illegale. Donne italiane che fanno questo giusto per arrotondare un po’ il proprio stipendio e non vogliono neanche andare a registrarsi, uscire allo scoperto e ufficializzare la loro scelta.

Quando chiediamo a Guarnaccia se ci sono persone di 2a generazione di origine italiana che lavorano nella prostituzione

No, non ci sono donne italiane di seconda generazione. C’è qualche cittadina svizzera magari di origine brasiliana [con cittadinanza italiana] che lavorava già in questo ambito e dopo tanti anni ha ottenuto la cittadinanza. Però parlo del Ticino, che è una realtà un po’ diversa rispetto al resto della Svizzera.

Soprattutto, parliamo di giovani ragazze rumene[25] anche nel resto della Svizzera, nigeriane, soprattutto in Svizzera francese, magari transitate dall’Italia o magari cittadine italiane, ma di nazionalità nigeriana e sudamericane, anche cittadine italiane ma sudamericane.

C’è tutta un’immigrazione di seconda generazione nella Svizzera tedesca, ma non ho mai sentito di italiane.

A proposito della Svizzera tedesca emergono la questione salariale e le differenze legislative:

Qui una prestazione costa 80 100 franchi massimo, in Svizzera tedesca sono più alte, il Ticino è il Cantone dove ci sono gli stipendi più bassi.

Si guadagna di più dall’altra parte, ma tutto è più caro, a partire dall’affitto della camera. Mi dicono che ci sono diversi vincoli, da noi la persona affitta la camera e poi lavora. In alcuni locali di Lucerna, pagano invece il tempo ma non pagano il tempo di attesa, il cliente paga una parte del tempo, a differenza che nel Ticino.

Ma anche in un paese in cui la prostituzione è regolamentata non si è riusciti a sconfiggere lo sfruttamento perché ci dice:

Lo sfruttamento è dato dal fatto che queste persone devono accettare il costo dell’affitto di una camera. Ci sono affitti pagati in nero, le persone accettano il costo dell’affitto: se vuoi lavorare regolarmente devi accettare affitti di 150/160 franchi, una prestazione è 80, 100 franchi; vuol dire che per poter pagare camera e tasse, io devo avere almeno 2 clienti.

Poi c’è il fatto degli orari: i proprietari pretendono che le lavoratrici stiano nel locale al bar dalle 23 fino alle 3 di notte, ma la persona guadagna sulla prestazione, e per il tempo al bar non guadagna nulla, ma è costretta a stare lì perché per il gerente vuole dire attirare i clienti, ma la persona non guadagna.

Lo sfruttamento è che devono pagare 25 franchi di tasse al giorno, ma senza fattura, sono registrate molto meno dei giorni per cui hanno pagato. […] gli appartamenti regolari sono pochi con affitti molto alti. È la legge del mercato. Devo accettare delle regole anche se è un lavoro indipendente.

Nel 2017 il numero di appartamenti attivi a disposizione delle donne era di 97, stabile rispetto al 2015, quando erano 95, e al 2016, quando erano 92. La maggior parte di questi, inoltre, si trovava nelle città più popolose. Per quanto riguarda i centri di massaggio erotico, invece, nel 2017 erano 10, mentre i locali notturni 15, dieci dei quali nel Sottoceneri, in prossimità quindi del confine con l’Italia[26]. Si tratta di quei locali che vengono frequentati spesso, soprattutto dagli avventori italiani.

Il lockdown e la chiusura della frontiera fra Italia e Svizzera hanno poi spento il fenomeno della prostituzione in Canton Ticino. Meno clienti e, quindi, meno prostitute, come rivela la Polizia cantonale. Percentualmente, però, si registra il costante aumento, nel corso degli anni, delle prostitute italiane. Se nel 2015, infatti, le professioniste del sesso con la cittadinanza italiana operanti in Canton Ticino erano pari al 17% del totale, nel 2017 erano salite al 20%, mentre ora si attestano al 26%. Davanti alle italiane si piazza soltanto la nazionalità rumena, pari al 63%.

A questo punto poniamo una domanda riguardo al comportamento delle sex workers italiane rispetto al sistema sanitario federale.

Chi lavora qui dovrebbe avere una cassa malattia se lavora con un permesso B. A volte ce l’hanno. Chi ha il permesso G da frontaliere dovrebbe far riferimento sul sistema sanitario italiano.

Il frontaliero dovrebbe stare qui cinque giorni e poi andare via. Molte di loro stanno qua. Molte stando qua fanno riferimento a noi quando ci sono situazioni legate alla salute sessuale, perché noi ci profiliamo su quello, e offriamo controlli e test.

E qui emergono altri sprazzi di vita:

C’è poi tutto il tema del racconto. Donne italiane che hanno dei figli a casa raccontano qualcosa di diverso, raccontano che fanno le impiegate oppure le cameriere. Tutta una parte della vita che vogliono tenere nascosta. Quando c’è un problema preferiscono parlarne con noi perché sappiamo che tipo di lavoro svolgono. Noi offriamo test gratuiti, controlli ginecologici e sostegno di vario genere. Andare dal proprio ginecologo che ti ha visto partire e raccontare di essere preoccupata, magari per una rottura di un preservativo mentre si lavorava non è facile. Chi viene da noi non deve raccontare il mestiere che si fa quindi si evitano tutta una serie di domande imbarazzanti.

La pandemia che ha colpito duramente tutte le nuove mobilità, in particolare gli invisibili, ha toccato allo stesso modo anche il mercato regolarizzato del sesso:

Durante la pandemia vi sono stati aiuti per le regolari. Ma non per le irregolari. Noi, come Primis, attraverso la “Catena della solidarietà”, ente nazionale che ha raccolto i soldi durante pandemia, abbiamo aiutato 70-80 persone e distribuito buoni alimentari. Abbiamo avuto un aiuto dopo il primo lockdown dalla “Catena” per un progetto volto a rafforzare risorse e competenze anche nell’idea di dare la possibilità alle 40-50enni di cambiare lavoro. Hanno aderito alcune professioniste che hanno seguito dei corsi. Non puoi andare avanti a fare questo mestiere per sempre! La pandemia ha permesso di mettere in atto nuovi progetti.

Il profilo che emerge da questo case study sulle sex workers italiane nelle mobilità contemporanee è quello di donne mature che compiono una scelta “migratoria” che auspicano temporanea, in totale autonomia per sopperire a bisogni contingenti in un Paese che garantisce loro maggiore protezione. Anche se, lasciando l’ultima parola sul caso svizzero ticinese a Vincenza Guarnaccia:

è un fatto che una persona che viene qua sappia di fare questo mestiere coscientemente, ma non vuol dire che poi non c’è sfruttamento, lo sfruttamento c’è a diversi livelli, e guai a credere che legalizzare la prostituzione poi permetta veramente l’autonomia delle lavoratrici.


[1]       Si veda a questo proposito Laura Schettini, Turpi traffici. Prostituzione e migrazioni globali 1890-1940, Roma, Biblink, 2019, e l’Intervista di Maddalena Tirabassi a Laura Schettini su emigrazione italiana e prostituzione, “Altreitalie”, 60 (2020), pp. 99-111.

[2]         Sezione emigrazione, in Atti del Primo Congresso Nazionale delle donne italiane, Roma 24-30 aprile 1908, Roma, Stabilimento Tipografico della Società Editrice Laziale, 1912, pp. 515-577.

[3]           Ibid.

[4]           Beatrice Berio, [Senza titolo], ibid., p. 557. Per un approfondimento si veda Maddalena Tirabassi, L’Italia piccola delle emigrate, “Passato e Presente”, 83 (2011), pp. 153-170.

[5]           Maria Lisa Danieli-Camozzi, La tutela delle donne e dei fanciulli italiani all’estero (Europa), in Atti del Primo Congresso Nazionale delle donne italiane cit., pp. 515-528.

[6]           Il Segretariato compiva ispezioni nei centri di emigrazione italiani, aveva un servizio di ispettrici all’estero che accompagnavano le donne nelle fabbriche, organizzava comitati di sorveglianza nazionali e internazionali (ibid., p. 533).

[7]           Ibid., p. 519.

[8]           M.L. Danieli-Camozzi, La tutela delle donne e dei fanciulli italiani all’estero, cit., p. 539.

[9]           Ibid., p. 534 (corsivo nostro).

[10]          M. Tirabassi, intervista a Laura Schettini, cit., p. 101.

[11]          Ibid., p. 103.

[12]          Ibid., pp. 108-09.

[13]          Per le migrazioni italiane in Svizzera, si veda La migration italienne dans la Suisse d’après-guerre, a cura di Morena La Barba et al., Lausanne, Éditions Antipodes, 2013.

[14]          Si veda Toni Ricciardi, Associazionismo ed emigrazione. Storia delle colonie libere e degli Italiani in Svizzera, Roma-Bari, Laterza, 2013, e Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Dall’esodo di massa alle nuove mobilità, Roma, Donzelli, 2018.

[15]          Renzo Falaschi, Il Nuovo Accordo Italo-Svizzero di Emigrazione, “Rivista di Studi Politici Internazionali”, 32, 1 (1965), pp. 96-04, http://www.jstor.org/stable/42734926.

[16]          Sonia Castro, Le lavoratrici italiane in svizzera nel secondo dopoguerra: uno sguardo statistico, in Migrazioni femminili attraverso le Alpi. Lavoro, famiglia, trasformazioni culturali nel secondo dopoguerra, a cura di Anna Badino e Silvia Inaudi, Milano, Franco Angeli, 2013, pp. 57-72.

[17]          Il Gran Consiglio Della Repubblica e Cantone Ticino, Legge sull’esercizio della prostituzione (LProst), 22 gennaio 2018) in https://m3.ti.ch/CAN/RLeggi/public/index.php/raccolta-leggi/legge/num/643. I paesi abolizionisti sono: Andorra, Armenia, Belgio, Bulgaria, Città del Vaticano, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Malta, Monaco, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, San Marino, Slovacchia, Spagna

[18]          Paesi Bassi, Germania, Turchia, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia.

[19]          Albania, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Georgia, Kazakistan, Lituania, Moldavia, Montenegro, Russia, Serbia, Ucraina.

[20]          https://www.newsweek.com/2015/02/13/italys-sex-workers-take-refuge-switzerland-304266.html; pubblicato in italiano, Le sex workers italiane si rifugiano in Svizzera, https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/02/06/le-sex-workers-italiane-si-rifugiano-in-svizzera/febbraio 6, 2015laglasnost.

[21]          TicinOnline, Appartamenti hot: ecco chi li gestisce e come funzionano, https://www.tio.ch/ticino/focus/1248888/appartamenti-hot-ecco-chi-li-gestisce-e-come-funzionano.

[22]          Chiara Maffioletti, La mia vita (segreta) da frontaliera del sesso, “Corriere della Sera”, 14.05.2012, https://www.corriere.it/cronache/14_maggio_12/mia-vita-segreta-frontaliera-sesso-61aaa430-d99c-11e3-8b8a-dcb35a431922.shtml.

[23]          Luigi Jorio, Il diritto di fare sesso per denaro, swissinfo.ch, 27.10.2012, https://www.swissinfo.ch/ita/societa/prostituzione_il-diritto-di-fare-sesso-per-denaro/33950078?utm_campaign=teaser-in-article&utm_medium=display&utm_source=swissinfoch&utm_content=o.

[24]          Gianluca Ferraris, Io, escort in Svizzera per scelta, “Donna moderna”, 12.01.2017, https://www.donnamoderna.com/news/societa/prostituta-escort-svizzera-prostituzione-italia.

[25]          La legislazione Svizzera sui visti lavorativi temporanei aveva portato nel Paese, dai paesi europei più poveri, in particolare Romania e Ungheria, un’ondata di sex workers. Nel 2011 a Zurigo si parla di 5000 persone, si veda Charlotte McDonald-Gibson, Drive-in sex plan to curb prostitutes in Europe’s playground. A public backlash is forcing a rethink of Switzerland’s liberal laws on sex workers, “The independent”, 2 agosto 2011, https://www.independent.co.uk/news/world/europe/drivein-sex-plan-to-curb-prostitutes-in-europe-s-playground-2330219.html.

[26]          Il Sottoceneri è la regione del Canton Ticino posta a sud del passo del Monte Ceneri. Questa regione, più piccola territorialmente rispetto al Sopraceneri, è però più abitata e grazie a centri quali Lugano, Mendrisio e Chiasso, rinomate piazze finanziarie, rappresenta anche il polo economico del Canton Ticino.